In Europa i paesi in crisi hanno votato al centro

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    È da oggi disponibile il nuovo numero di “Le opportunità in Borsa”, la newsletter settimanale dedicata a consulenti finanziari ed esperti di Borsa. Azionario volatile nelle ultime sedute, in cui l’attenzione degli investitori è tornata a focalizzarsi sull’andamento dell’economia, in vista delle riunioni di politica monetaria di metà giugno. Sono emerse indicazioni in chiaroscuro dalla fitta serie di dati macro della scorsa settimana. I prezzi al consumo dell’eurozona, secondo la stima preliminare di maggio, hanno rallentato oltre le attese passando dal 7,0 al 6,1%, con il Cpi core in discesa dal 5,6% al 5,3%. Si moltiplicano, invece, i segnali a favore di una pausa della Fed nella riunione del prossimo 14 giugno.
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ceck78

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Il prossimo febbraio l'Italia sarà l'ultimo dei paesi in crisi dell'Eurozona a rinnovare il Parlamento. Irlanda, Grecia, Portogallo e Spagna già si sono sottoposti alle consultazioni politiche nazionali e il risultato è stato piuttosto omogeneo.

Nei tre paesi oggetto di interventi di finanziamento della cosiddetta troika, Bce, Fmi e Unione europea, perché impossibilitati ad accedere direttamente sui mercati finanziari per collocare i propri titoli di stato a tassi ragionevoli, le urne hanno premiato i partiti o le coalizioni centriste o moderate.

Portogallo, Irlanda e Grecia hanno scelto i partiti di centrodestra, risultati i più votati nelle elezioni. Infatti nei tre paesi i primi ministri sono oggi espressione di partiti moderati e non socialdemocratici.

In Spagna, che formalmente ha ricevuto aiuti per 100 miliardi di euro soltanto dal fondo europeo per ricapitalizzare le proprie banche e non anche dalla Bce o dal Fondo monetario internazionale, la vittoria elettorale è stata appannaggio di Mariano Rajoy, leader del partito popolare, un altro moderato.

Insomma i paesi in crisi dell'Eurozona hanno finora preferito affidarsi a leader e partiti moderati o di centrodestra per gestire la crisi. Ora tocca all'Italia e il pronostico dei sondaggi vede al momento in testa Pierluigi Bersani, segretario del Pd e a capo di una coalizione che si allarga a sinistra fino a ricomprendere i postcomunisti di Vendola (mai al governo in Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna, ndr.).

Se Bersani vincesse davvero le elezioni, il suo successo interromperebbe la serie di vittorie dei partiti moderati negli stati membri dell'Eurozona in crisi da spread e con tali squilibri di finanza pubblica e macroeconomici da necessitare interventi straordinari.

Ma un'altra chiave di lettura è anche possibile. Una prospettiva di analisi che porta diritti a valutare la discesa in campo del premier Mario Monti, un moderato da sempre.

Monti, che di Europa se ne intende, è evidentemente convinto che neppure in Italia il vento della crisi sarà così favorevole alla sinistra e che dalle urne potrebbe uscire un risultato più «europeo» di quanto non si ritenga. Il suo tentativo di organizzare una offerta politica centrista va letto anche così: la convinzione che il poker moderato nelle elezioni europee non impedisca ai centristi di ambire a fare scala reale.
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