Il prossimo febbraio l'Italia sarà l'ultimo dei paesi in crisi dell'Eurozona a rinnovare il Parlamento. Irlanda, Grecia, Portogallo e Spagna già si sono sottoposti alle consultazioni politiche nazionali e il risultato è stato piuttosto omogeneo.
Nei tre paesi oggetto di interventi di finanziamento della cosiddetta troika, Bce, Fmi e Unione europea, perché impossibilitati ad accedere direttamente sui mercati finanziari per collocare i propri titoli di stato a tassi ragionevoli, le urne hanno premiato i partiti o le coalizioni centriste o moderate.
Portogallo, Irlanda e Grecia hanno scelto i partiti di centrodestra, risultati i più votati nelle elezioni. Infatti nei tre paesi i primi ministri sono oggi espressione di partiti moderati e non socialdemocratici.
In Spagna, che formalmente ha ricevuto aiuti per 100 miliardi di euro soltanto dal fondo europeo per ricapitalizzare le proprie banche e non anche dalla Bce o dal Fondo monetario internazionale, la vittoria elettorale è stata appannaggio di Mariano Rajoy, leader del partito popolare, un altro moderato.
Insomma i paesi in crisi dell'Eurozona hanno finora preferito affidarsi a leader e partiti moderati o di centrodestra per gestire la crisi. Ora tocca all'Italia e il pronostico dei sondaggi vede al momento in testa Pierluigi Bersani, segretario del Pd e a capo di una coalizione che si allarga a sinistra fino a ricomprendere i postcomunisti di Vendola (mai al governo in Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna, ndr.).
Se Bersani vincesse davvero le elezioni, il suo successo interromperebbe la serie di vittorie dei partiti moderati negli stati membri dell'Eurozona in crisi da spread e con tali squilibri di finanza pubblica e macroeconomici da necessitare interventi straordinari.
Ma un'altra chiave di lettura è anche possibile. Una prospettiva di analisi che porta diritti a valutare la discesa in campo del premier Mario Monti, un moderato da sempre.
Monti, che di Europa se ne intende, è evidentemente convinto che neppure in Italia il vento della crisi sarà così favorevole alla sinistra e che dalle urne potrebbe uscire un risultato più «europeo» di quanto non si ritenga. Il suo tentativo di organizzare una offerta politica centrista va letto anche così: la convinzione che il poker moderato nelle elezioni europee non impedisca ai centristi di ambire a fare scala reale.