In Italia non si possono criticare i giudici

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Questo è grave e diffamatorio pero':

«offeso la reputazione del giudice lasciando intendere che le conseguenze gravissime derivate alla donna fossero conseguenza dell'atteggiamento inoperoso o superficiale dello stesso giudice che, non era stato sufficientemente vigile nel seguire l'evoluzione della vicenda».

Stranamente quando i giornalisti criticarono i calzini rossi del Magistrato Berlusconi non successe nulla
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"Assurdo attacco a un magistrato" Il caso Mesiano fa il giro del mondo - Politica - Repubblica.it
Il pericoloso giudice con i calzini - Wild Italy - L'approfondimento differente
 
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La magistratura italiana è una casta intoccabile, iper pagata e mai responsabile.
È indegna di un paese civile che pretende di essere nel primo mondo. È un retaggio medievale.
 
Il problema di fondo è la mancanza di un limite preciso tra diffamazione (reato)e libertà di opinione (diritto).

Anche una frase tipo "Secondo me la sentenza n°12345 è sbagliata" oppure "secondo me al Milan conviene vendere il giocatore ABC" potrebbero portare a condanna per diffamazione, perché implicano indirettamente che il magistrato e il calciatore non hanno fatto bene il loro lavoro (lo sportivo pure in maniera reiterata).
 
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Il problema di fondo è la mancanza di un limite preciso tra diffamazione (reato)e libertà di opinione (diritto).

Anche una frase tipo "Secondo me la sentenza n°12345 è sbagliata" oppure "secondo me al Milan conviene vendere il giocatore ABC" potrebbero portare a condanna per diffamazione, perché implicano indirettamente che il magistrato e il calciatore non hanno fatto bene il suo lavoro (lo sportivo pure in maniera reiterata).
A proposito del "secondo me": eppure sul FOL si puo' dire di tutto e la Cassazione approverebbe
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Art. 595 codice penale - Diffamazione - Brocardi.it

Più volte la Corte di Cassazione, nel corso degli ultimi anni, si è espressa sul disvalore penale che può assumere il comportamento di colui che posta un commento offensivo su una bacheca di facebook, ma lo ha fatto con riferimento all’ipotesi in cui persona offesa sia lo stesso utente titolare dell'account facebook.
In tale circostanza si è costantemente affermato che viene ad essere integrato il reato di diffamazione a mezzo stampa, in quanto significa dare al suddetto messaggio una diffusione che potenzialmente ha la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, sicché, laddove questo sia offensivo, deve ritenersi integrata la fattispecie aggravata del reato di diffamazione.

Secondo la Cassazione l’ipotesi di reato di cui al terzo comma dell'art. 595 c.p., quale fattispecie aggravata del delitto di diffamazione, trova il suo fondamento nella potenzialità, idoneità e capacità del mezzo utilizzato per la consumazione del reato a coinvolgere e raggiungere una pluralità di persone, ancorchè non individuate nello specifico ed apprezzabili soltanto in via potenziale, e ciò sia perché, per comune esperienza, bacheche di tal natura racchiudono un numero apprezzabile di persone, sia perché l'utilizzo di facebook integra una delle modalità attraverso le quali gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita, valorizzando in primo luogo il rapporto interpersonale allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione.

Nel nostro caso, però, il contenuto offensivo è riscontrabile innanzitutto nel post pubblicato sulla bacheca del profilo facebook, poi risultato peraltro falso, mentre l’autore del comportamento censurato e di cui si discute si è limitato ad esprimere un commento su tale post, commento peraltro non condiviso (come viene asserito nel quesito).

Proprio su tale fattispecie si è espressa la Cassazione penale, sez. V, con sentenza 29/01/2016 n° 3981, dalla lettura della quale si può dedurre che, in presenza di determinati presupposti, tale comportamento non integri alcuna fattispecie incriminatrice.
A parere di chi scrive, infatti, la frase rimproverata sarebbe priva di contenuto offensivo intrinseco o anche solo indiretto, come del resto del tutto errata risulterebbe una eventuale affermazione per cui il commento della persona incolpata mutuerebbe la sua carica offensiva dall'implicita adesione al post contenente veri e propri insulti caricati dall’ utente del profilo facebook.

Infatti, condividere o meno i presunti insulti che altri “postano” è circostanza irrilevante nella misura in cui la condotta materiale così posta in essere non evidenzia oggettivamente alcuna adesione ai medesimi, rilanciandoli direttamente o anche solo indirettamente.
E’ evidente che il commentatore del post abbia inteso “condividere”, inteso come manifestazione del pensiero garantita dall’art. 41 della Costituzione, la critica alle persone offese nel post stesso, ma non altrettanto che egli abbia condiviso le forme (illecite) attraverso cui altri l'avevano promossa, giacchè egli non ha posto in essere un comportamento materialmente apprezzabile in tal senso, ossia non ha a sua volta posto in essere alcuna azione di condivisione di tale post.

Rientra, infatti, nel diritto di ogni individuo manifestare un'opinione apertamente ostile nei confronti di chiunque altri, purchè tale diritto venga esercitato correttamente, senza ricorrere alle espressioni offensive utilizzate da altri, né dimostrando di volerle amplificare attraverso il proprio comportamento.
La condotta contestata potrebbe assumere in astratto rilevanza penale soltanto qualora potesse affermarsi che con il proprio messaggio il soggetto incolpato abbia consapevolmente rafforzato la volontà dei suoi interlocutori di diffamare le persone a cui si è fatto riferimento nel post.

In realtà, una attenta lettura del commento induce a pensare che l’autore di esso abbia solo preso atto e voluto esprimere un giudizio su fatti di cui è venuto a conoscenza attraverso questo particolare mezzo di comunicazione, ciò che ha fatto nell’esercizio di quella libertà di manifestazione del pensiero cui prima si è fatto cenno, garantita dall’art. 21 della nostra Costituzione, e che trova anche una esplicazione nel diritto di critica.

In tal senso sempre la Corte di Cassazione Sez. V penale, 1.7.2008, nel ribadire che la diffamazione tramite internet costituisce certamente un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, 3° co., ha evidenziato come, essendo ormai internet un potente mezzo di comunicazione di massa, anche attraverso di esso si estrinseca quel diritto di esprimere le proprie opinioni, diritto che costituisce uno dei cardini di una democrazia matura e che, per tale ragione, figura in posizione centrale nella vigente Carta costituzionale.
I diritti di cronaca e di critica, in altre parole, discendono direttamente, e senza bisogno di mediazione alcuna, dall'art. 21 Cost. e non sono riservati solo ai giornalisti o a chi fa informazione professionalmente, ma fanno riferimento all'individuo uti civis.
La Suprema Corte è giunta ad affermare che il diritto di critica si concretizza proprio nell'espressione di un giudizio o di un'opinione che, in quanto tale, non può in nessun modo essere rigorosamente obiettiva, essendo fondata su un'interpretazione di fatti e comportamenti (si veda C., Sez. V, 20.7.2016, n. 36838; C., Sez. V, 28.1.2005), per cui, qualora sia stata accertata la ricorrenza di una situazione di polemica politica e sia stata al contempo esclusa la sussistenza di malanimo e ostilità, occorre valutare la condotta dell'imputato alla luce della scriminante del diritto di critica.

Sulla base delle considerazioni sopra svolte, infine, si ritiene che nessuna rilevanza penale possa attribuirsi alle espressioni usate da coloro che hanno manifestato un giudizio sul commento, avendo anche loro esercitato una critica rivolta non tanto all’autore del commento, quanto piuttosto al contenuto in sé del commento stesso.
 
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