investire in una yogurteria

  • Ecco la 60° Edizione del settimanale "Le opportunità di Borsa" dedicato ai consulenti finanziari ed esperti di borsa.

    Questa settimana abbiamo assistito a nuovi record assoluti in Europa e a Wall Street. Il tutto, dopo una ottava che ha visto il susseguirsi di riunioni di banche centrali. Lunedì la Bank of Japan (BoJ) ha alzato i tassi per la prima volta dal 2007, mettendo fine all’era del costo del denaro negativo e al controllo della curva dei rendimenti. Mercoledì la Federal Reserve (Fed) ha confermato i tassi nel range 5,25%-5,50%, mentre i “dots”, le proiezioni dei funzionari sul costo del denaro, indicano sempre tre tagli nel corso del 2024. Il Fomc ha anche discusso in merito ad un possibile rallentamento del ritmo di riduzione del portafoglio titoli. Ieri la Bank of England (BoE) ha lasciato i tassi di interesse invariati al 5,25%. Per continuare a leggere visita il link

il libro nel 2007 era gia alla terza ristampa
 
Prendo spunto dal tuo avatar :)
I negozi di prodotti per animali, nonchè toilette per cani e gatti, lavorano molto e vanno bene, e c'è ancora spazio.

si lavorano molto.......quando c'è lo sciopero dei discount e degli ipermercati..

ma per favore........
hanno aperto un animal planet dalle mie parti..a 100 metri da un ospedale
quindi ci passa un mucchio di gente
le uniche auto nel parcheggio sono quelle dei proprietari...
 
si lavorano molto.......quando c'è lo sciopero dei discount e degli ipermercati..

ma per favore........
hanno aperto un animal planet dalle mie parti..a 100 metri da un ospedale
quindi ci passa un mucchio di gente
le uniche auto nel parcheggio sono quelle dei proprietari...
Non si vede un cane? :D
 
Prendo spunto dal tuo avatar :)
I negozi di prodotti per animali, nonchè toilette per cani e gatti, lavorano molto e vanno bene, e c'è ancora spazio.

va bene la toilette, ma il cibo ormai te lo prendi al super
 
bè il cibo per animali di qualità lo si prende al pet shop.
io ne frequento uno piccolo a conduzione familiare, e la gente a comperare c'è sempre...

però nei grossi centri vedo un sacco di curiosi davanti le gabbie dei coniglietti e dei cuccioli, e basta....
 
va bene la toilette, ma il cibo ormai te lo prendi al super

Ai super e discount, hanno il 10% dei prodotti che offre il mercato.
Oggi il cane è come un figlio. I prodotti del discount non li fai mangiare al bambino.
 
Ai super e discount, hanno il 10% dei prodotti che offre il mercato.
Oggi il cane è come un figlio. I prodotti del discount non li fai mangiare al bambino.

Bah, secondo me per tirare avanti, molti danno il cibo per cani al bambino
 
Crisi: Cgia, 150.000 negozi a rischio chiusura nel 2012
ASCA – sab 28 lug 2012 11:35 CEST

(ASCA) - Roma, 28 lug - ''Entro l'anno rischiano la chiusura almeno 150.000 piccole attivita' commerciali ed artigianali e con l'Imu e' probabile che col rinnovo dei contratti di locazione ci saranno ulteriori aumenti dei canoni''. Lo rileva Giuseppe Bortolussi, segretario Cgia di Mestre, che ha stilato una lista dalla quale emerge che gli affitti mensili piu' cari sono a Venezia: 7.228 euro in centro, 1.794 in periferia. Dall'indagine risulta che a Bari gli aumenti sono stati dell' 89,1%, a Genova del 70,1%, a Palermo del 68%, a Torino del 57,4% e a Roma del 53,4%. Sono solo alcuni degli aumenti che hanno subito i canoni di locazione dei piccoli negozi commerciali e dei laboratori artigianali nei centri storici delle grandi citta' italiane (periodo 2001-2011). Purtroppo, le cose, per Cgia, non sono andate per niente bene nemmeno in periferia: sempre nello stesso periodo di tempo gli affitti per i piccoli commercianti e gli artigiani sono saliti dell'82,6% a Bari, del 57,8% a Torino, del 48,4% a Roma, del 48,1% a Genova e del 46,7% a Cagliari. La Cgia ricorda che nello stesso intervallo di tempo l'inflazione media nazionale e' cresciuta del +24%. ''In Italia - osserva Bortolussi - noi stimiamo che almeno 2 negozi/botteghe artigiane su 3 siano in affitto. E' vero che in questi ultimi 2/3 anni c'e' stato una leggero calo del prezzo degli affitti, tuttavia se sommiamo gli aumenti avvenuti negli ultimi 10 anni dei canoni di locazione, delle tasse locali e delle utenze il peso dei costi fissi a carico dei piccoli negozianti e degli artigiani e' diventato insopportabile''. Bortolussi inoltre spiega che con la crisi ''che non accenna a venir meno, il costante calo dei consumi e la concorrenza sempre piu' dilagante della grande distribuzione, non e' da escludere che almeno 150.000 piccole aziende commerciali ed artigianali saranno costrette a chiudere i battenti entro il 2012''. A 'consolidare' la situazione di difficolta' che stanno vivendo le micro imprese del commercio e dell'artigianato ci sono anche i dati raccolti dell'Istat: tra il 2005 ed il 2011 l'indice delle vendite del commercio fisso al dettaglio e' diminuito del 4,7%, mentre le vendite della grande distribuzione sono aumentate del 6,6%. Ma per la Cgia c'e' un ulteriore problema che sicuramente fara' capolino nei prossimi mesi: ''con l'avvento dell'Imu - sottolinea - i proprietari di negozi e di laboratori artigiani hanno subito, rispetto il 2011, aumenti medi di imposta del +75%. Pertanto, e' molto probabile che in sede di rinnovo dei contratti di locazione i proprietari di questi immobili si rivarranno sui conduttori, chiedendo un forte ritocco all'insu' degli affitti''. Riguardo al costo dell'affitto medio, sia nelle aree centrali, sia in quelle periferiche delle grandi citta' italiane, piu' cara risulta essere Venezia: in un negozio/laboratorio del centro con una superficie media che nella citta' lagunare si aggira attorno ai 75 mq, l'affitto mensile medio e' pari a 7.228 euro, seguono Roma (superficie media pari a 78,5 mq circa), con 4.133 euro e Milano (68 mq circa), con 3.099 euro. Anche nelle zone periferiche delle citta' e' sempre Venezia la piu' 'esosa': l'affitto mensile medio e' pari a 1.794 euro. Al secondo posto si 'piazza' Roma, con 1.524 euro, e al terzo Ancona, con 1.098 euro.
 
Nei tempi d'oro il cane lo pettini, in quelli grami rischi di mangiartelo al forno ............. :o
 
Vendite Dettaglio: Cia, Famiglie Sfiduciate. 3 Su 10 Comprano Meno Cibo
di: Asca
Pubblicato il 29 agosto 2012| Ora 13:37


(ASCA) - Roma, 29 ago - A giugno le vendite di prodotti alimentari sono cresciute dell'1,3 per cento annuo: si tratta certo di un dato positivo, ma e' assolutamente insufficiente a invertire la tendenza fortemente recessiva dei consumi, con la spesa alimentare delle famiglie bloccata sui livelli di quasi trent'anni fa. Lo afferma in una nota la Cia-Confederazione italiana agricoltori, commentando il report sul commercio al dettaglio diffuso oggi dall'Istat. D'altra parte, i numeri parlano chiaro: nel 2011 c'e' stato un tonfo del 2 per cento -ricorda la Cia- e nel primo semestre di quest'anno le vendite alimentari sono rimaste ferme al palo, stagnanti, registrando un misero +0,2 per cento. Il fatto e' che le famiglie hanno il portafoglio vuoto, e anche la fiducia e' ai minimi termini, considerato che oggi il ''clima personale'' sulla situazione economica e' il peggiore dal 1996. Gli italiani sono stati costretti dalla crisi, dalla pressione fiscale alle stelle e dal ''caro-benzina'' a capovolgere stili e abitudini al supermercato, mettendo in atto comportamenti improntati al massimo risparmio. Secondo i nostri ultimi dati infatti -spiega la Cia- il 65 per cento delle famiglie compara i prezzi con piu' attenzione; il 53 per cento gira piu' negozi per cercare sconti, promozioni commerciali e offerte speciali e il 42 per cento preferisce le grandi confezioni, vale a dire il ''formato convenienza''. Ma c'e' anche chi, semplicemente, ha ''tagliato'' gli acquisti per la tavola: sono piu' del 30 per cento dei nuclei familiari ad aver ridotto le quantita' ed eliminato completamente gli ''sfizi'' culinari. Ovviamente, in questa ricerca del prezzo piu' basso e delle offerte, la Grande distribuzione organizzata vince sempre rispetto alle salumerie, ai macellai, alle botteghe di quartiere insomma. Una tendenza che va avanti da tempo e che trova conferma anche a giugno, con le vendite nei supermercati e nei discount che segnano rispettivamente +4 per cento e +3,9 per cento, mentre i piccoli negozi perdono per strada il 2,1 per cento.
 
torno dalle ferie e mi trovo 4 negozi nuovi in 2 isolati di vendita di sigarette elettroniche, penso in franchising, qualcuno di voi ne sa di più?
 
torno dalle ferie e mi trovo 4 negozi nuovi in 2 isolati di vendita di sigarette elettroniche, penso in franchising, qualcuno di voi ne sa di più?

Dubito che li vedrai ancora tra due anni ..............
 
Dubito che li vedrai ancora tra due anni ..............

..sei più ottimista di quello che lo sia io allora.;) indubbiamente però in questo momento di crisi è invogliante per tanti lanciarsi con un investimento "ridotto" di 15/20k nel commercio. poi la camera di commercio da i dati su apertura e chiusura P.Iva. nefasti.
 
..sei più ottimista di quello che lo sia io allora.;) indubbiamente però in questo momento di crisi è invogliante per tanti lanciarsi con un investimento "ridotto" di 15/20k nel commercio. poi la camera di commercio da i dati su apertura e chiusura P.Iva. nefasti.

Mah, dico due anni perchè il primo bene o male lo sfangano tutti ,poi arrivano le tasse e i debiti accumulati e se va male a dicembre 2014 chiudono .
 
torno dalle ferie e mi trovo 4 negozi nuovi in 2 isolati di vendita di sigarette elettroniche, penso in franchising, qualcuno di voi ne sa di più?

E' la moda del momento, stanna facendo una grande promozione, ma non so se funzionerà.
 
E' la moda del momento, stanna facendo una grande promozione, ma non so se funzionerà.

un negozio dedicato lo trovo arduo, forse inserire il prodotto in un contesto gia avviato magari si. le spese fisse sarebbero le stesse e si sfrutterebbe l'eventuale moda.
 
un negozio dedicato lo trovo arduo, forse inserire il prodotto in un contesto gia avviato magari si. le spese fisse sarebbero le stesse e si sfrutterebbe l'eventuale moda.

Penso anche io che i titolari del franchising, vogliano spremere troppo da questo prodotto.
 
New York, cinque mosse per aprire un ristorante italiano
Visto, società, location, Liquor Licence, personale. Cosa è bene sapere prima di avventurarsi nell'impresa
30-09-201211:00
New York, cinque mosse per aprire un ristorante italiano - Panorama
Dici “Italian restaurant” a New York e molto probabilmente conquisterai un cliente. L’appeal della nostra cucina è ancora inossidabile all'estero, e per questo il sogno di aprire un ristorante nella Grande Mela accarezza i desideri di molti italiani.

Ma attenzione: la competizione è altissima. A New York aprono in media mille ristoranti l’anno e anche l’autorevole guida Zagat ha messo in guardia gli avventurosi imprenditori, con il monito di “Don’t do it. Il rischio di fallimento della vostra attività si aggira attorno al 60%”! Un calderone in cui si sono ritrovati progetti promettenti come Ago, ristorante a gestione italiana aperto insieme a personaggi del calibro di Robert De Niro e Ridley Scott e chiuso dopo pochi mesi, o il trasteverino Sora Lella che nella location di Soho non ha bissato il successo romano.

Ma per chi nonostante tutto è pronto a cimentarsi con una delle città più competitive del mondo, ecco i passaggi fondamentali per iniziare:

1. Il Visto

Per lavorare negli States serve un visto ad hoc. Quello più comune è il visto B1 (Visto Business) che serve a preparare il lavoro esplorando le possibilità di investimento, e dura da sei mesi a un anno. Oppure il visto E2 (Visto investitore) che viene rilasciato dimostrando di avere capitali sufficienti oltre che un curriculum e un business plan che dimostrino la competenza nel campo della ristorazione. Altra soluzione è delegare tutto a un consulente in loco e seguire i lavori dall’Italia, visitando gli States con il permesso turistico da 90 giorni.

2. Aprire una società

Passo fondamentale è costituire una società: di solito sarà una LLC, Limited Liability Company, equivalente alla nostra Srl. L’operazione richiede poche settimane e ha un costo di circa 1500 dollari. È fondamentale che uno dei soci abbia un Social Security Number (cioè il nostro codice fiscale, che viene rilasciato sia a residenti negli States che a lavoratori temporanei) che a sua volta renderà la società in grado di avere un Tax Identification Number per pagare le tasse negli States.

3. La ricerca del locale. Meglio Brooklyn

A questo punto inizia la fase più lunga e difficile: la ricerca del locale. “Non sono solo gli italiani a volere aprire un ristorante a New York, ma tutto il mondo – spiega Antonio Pergoli Campanelli, consulente per l’apertura di ristoranti negli Usa e comproprietario di Broken English a Brooklyn - C’è una guerra spietata per la ricerca della location migliore e a questo si aggiunge il fatto che i locatori hanno dei forti benefici nel tenere i locali sfitti perché scaricano la perdita dalle tasse”.

Il periodo medio di ricerca è di solito sei mesi. Ma c’è chi, come ad esempio i fratelli Panella de L’Antica Pesa, sbarcato da Roma a Williamsburg a Brooklyn, ha aspettato anche tre anni.

I prezzi per l’affitto di un locale sono naturalmente stellari. Nella city si toccano vette di 50 mila al mese, e “in generale a Manhattan difficile trovare qualcosa sotto i 18 mila al mese – dice Alessandro Malpassi, consulente e socio della pizzeria Kestè al Village– le buone occasioni si trovano a Brooklyn che è un mercato in grande ascesa con prezzi ancora ragionevoli, che variano dai 6 - 8mila dollari per un locale di medie dimensioni fino ai 15 mila”.

Con i prezzi non si scherza e l’“undercapitalization”, una valutazione minore del capitale da investire, è l’errore più frequente che fanno molti imprenditori, spiega David Rosen, avvocato che ha seguito l’apertura di almeno trenta ristoranti italiani a New York e di in fatto di capital ci capisce (la sua parcella è di 375 dollari l’ora).

Una buona notizia è che, se il locale trovato non è stato in precedenza un ristorante, pizzeria o bar, ma ha avuto altre funzioni, sarà molto più facile e veloce cambiarne la destinazione d’uso rispetto all’Italia che ha centri storici più antichi, estesi e molti più vincoli da rispettare.

4. La Liquor Licence

Un'altra fase spinosa è l’ottenimento della Liquor Licence, che si affianca al permesso per servire il cibo. Viene rilasciata dalla New York State Liquor Autorithy che valuterà la richiesta in base a delle regole molte severe, alcune delle quali datano al post proibizionismo, come il requisito di una distanza minima di 60 metri da chiese, scuole e sinagoghe.

Ma non basta. Il ristorante dovrà ricevere l’approvazione del Community Board, un’organizzazione no profit formata da volontari che lavorano per risolvere dispute e mantenere relazioni pacifiche nel quartiere, una comunità con cui è bene mantenere buoni rapporti per evitare che arrivi la polizia a far controlli quotidiani, come misurare al millimetro la distanza tra la linea dei tavolini all’aperto e la fine del marciapiede.

5. Cercare il personale, costruire una squadra

Una volta aperto bisogna pensare alla scelta del personale. In questo c’è una differenza fondamentale con l’Italia. Negli Usa esiste una vera e propria filiera di ruoli che va dalla cucina alla sala. Nulla è lasciato al caso. Il cliente esige un servizio rapido, efficiente e anche un po’ di simpatia. Tutto risponde a un meccanismo preciso che va da chi taglia le insalate all’aiuto-chef fino allo chef; e da chi, come il bus-boy porta acqua e pane e pulisce i tavoli in sala, fino al runner che porta i piatti ai commensali, e al waiter, il cameriere che negli Usa è un venditore di cibo, e di vino soprattutto, deve conoscere bene il menu e la carta, solleticare l’appetito del cliente e prendere più ordini possibile.

A queste figure si aggiungerà poi un host o hostess che porta i clienti ai tavoli e prende le prenotazioni, un bravo bar tender (il vino e i super alcolici hanno una forte tassazione negli Stati Uniti ma rappresentano anche una delle entrate maggiori di un locale) e infine un manager a sovrintendere, controllare il personale e fare anche da Pr al locale.

Una organizzazione del lavoro radicalmente diversa rispetto ai ristoranti italiani, che rende praticamente impossibile l’apertura di un locale a conduzione familiare.

Una volta aperto il ristorante, pizzeria o bar che sia, bisognerà farlo rodare per almeno tre anni (il "periodo finestra", secondo i coniugi Zagat, entro il quale si rischia di fallire): mantenere sempre altissima la qualità del cibo, il servizio, le public relation, ambire a essere recensiti (positivamente) dal New York Times che decreta l’ascesa o la morte di un locale. ”New York tende a escludere chi arriva da fuori, chi non ha già avuto un’esperienza in città” dice Alessio de Sensi, Wine Director per i locali di Keith McNeilly, da Minetta Tavern a Balthazar“.

Basti pensare che tra i più grandi cuochi di cucina italiana a New York, non c’è n’è uno che sia italiano: Batali ad esempio è italoamericano di seconda generazione e Micheal White è americano del Wiscounsin.

C’è una gavetta dura da fare. Meglio prepararsi prima di arrivare a New York, come racconta Roberto Caporuscio, uno dei più esperti e longevi pizzaioli della Grande Mela: “I miei errori li ho fatti altrove, a Pittsburgh dove sono approdato prima di arrivare qui. Lì ho sbagliato e imparato. Ed è stato un bene, perché mi sono preparato ad una piazza molto più dura come quella di New York".
 
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