VITO GAMBERALE
Amministratore delegato di F2i
AgiChina24 intervista Vito Gamberale, Amministratore delegato di F2i.
di Sonia Montrella
Roma, 5 lug.- “Le infrastrutture in Europa e negli Stati Uniti hanno un forte bisogno di investimenti. E crediamo che un appoggio di China Investment Corporation, basato su principi commerciali ed economici, possa assicurare ottimi risultati a entrambe le parti”. Parola di Lou Jiwei, il presidente del Fondo Sovrano cinese, che con questa dichiarazione rilasciata lo scorso novembre al Financial Times aveva riacceso le speranze soprattutto nei Paesi fortemente indebitati.
Creato nel 2007 per investire una parte delle riserve valutarie della Cina, secondo le ultime stime note alla fine del 2010 China Investment Corporation (CIC) deteneva asset per 410 miliardi di dollari. Poi, dall’inizio dell’anno, il governo di Pechino ha iniettato nel fondo nuovi capitali per 50 miliardi di dollari. Cifre che lo collocano di diritto tra i primi Fondi al mondo.
Se i più importanti Fondi sovrani asiatici – da Abu Dhabi Investment Authority (Adia) a Temasek di Singapore, passando per CIC – hanno dato il via allo shopping in Europa, l’Italia non sembra certo in testa alle loro preferenze. O almeno così è stato fino a qualche settimana fa quando Pechino ha iniziato a guardare con particolare attenzione il Fondo infrastrutturale F2i guidato dal manager Vito Gamberale.
Secondo fonti della comunità d’affari, dal tavolo di lavoro Cina-Italia starebbe emergendo un interesse cinese su possibili investimenti in F2i, in particolare sul fronte dei progetti Metroweb di ampliamento della banda larga. Quanto c’è di vero in queste voci?
CIC ha guardato con interesse al nostro portafoglio e sta approfondendo lo studio sul secondo fondo. Siamo in contatto da due-tre mesi, un rapporto nato a seguito della visita in Cina del governo italiano. Oggi i due fondi stanno dialogando. Abbiamo visitato il loro quartier generale e loro sono venuti da noi, hanno i nostri documenti che stanno vagliando e abbiamo in calendario delle conference call di approfondimento e di affinamento. Tuttavia il quadro europeo non sarà estraneo e la decisione finale dipenderà anche dai prossimi avvenimenti nell’area comunitaria.
Quali carte bisogna giocare per destare l’interesse di CIC?
Negli investimenti all’estero, Cic è fondamentalmente interessato ai settori strategici di cui le infrastrutture e le utilities sono una parte importante. Finora in Italia il Fondo Sovrano cinese non ha ancora investito sebbene abbia ricevuto molte proposte. Abbiamo notato che tendono ad impegnarsi lì dove c’è un perimetro delineato, una storia chiara, che possa rappresentare una base d’interesse concreto e con una futura proiettabilità. E’ questo il profilo, il framework per loro interessante.
E nel vostro caso a ‘parlare’ è sopratutto il primo fondo.
Il primo fondo F2i ha prodotto dei risultati: abbiamo raccolto 1,850 miliardi di euro e ad oggi abbiamo investito circa 1,650 miliardi, ricoprendo un ruolo negli asset infrastrutturali del Paese. Parliamo di asset di proprietà pubblica territoriale, di comuni, regioni, province, Camere di Commercio più che asset di proprietà pubblica nazionale. Col tempo abbiamo creato un portafoglio il cui aggregato vale oltre 1,600 miliardi di ricavi, conta circa 700 milioni di Ebitda e 8.000 dipendenti. Senza considerare il profilo di sviluppo di questi asset.
Anche per il secondo parliamo di asset infrastrutturali
Esatto.
Insieme a un’importante società di consulenza industriale abbiamo condotto un’analisi molto dettagliata su tutto il territorio dalla quale sono emersi asset infrastrutturali da privatizzare che potrebbero impegnare circa 7,5 miliardi di euro di capitali in sola equity. Ciò significa che l’enterprise value si aggirerebbe attorno ai 15 miliardi di euro. Il nuovo fondo da 1,2 miliardi di euro sfrutta le opportunità presenti nelle filiere che abbiamo già attivato tra cui figureranno senz’altro la privatizzazione di aeroporti e di acquedotti, lo sviluppo della fibra ottica nei centri urbani delle principali città, e il waste-to-energy. Queste le opportunità che potremmo offrire agli investitori interessati a co-investimenti e che potrebbero rappresentare target importanti qualora l’ipotesi con CIC andasse avanti.
Che tipo di ruolo ricoprirebbe CIC a seguito dell’investimento nel fondo?
Se CIC decidesse di andare fino in fondo, sarebbe di sicuro interessato ad accompagnarci con un impegno di co-investment in taluni asset. E ciò per noi può essere molto utile, siamo abituati ad avere dei co-investitori istituzionali (sia italiani che stranieri) quindi ritengo che si tratti di un discorso che possa essere approfondito.
Non pensa che il fatto di avere dei co-investitori possa limitare il raggio d’azione?
Penso possa rappresentare un’opportunità, tuttavia ogni co-investimento comporta il fatto di essere con-soci con i relativi pro e contro. Molto dipende dalla governance che si va a definire: è necessario imporsi una disciplina e osservare quelle regole con cui in genere si condividono gli investimenti in aziende. Dopotutto la macchina può essere guidata da una sola persona, l’altra può solo collaborare.
L’interesse quindi è vasto non circoscritto solo intorno a Metroweb.
Metroweb è uno degli elementi che ha destato attenzione, ma i cinesi non sono concentrati solo su quello.
Perché si sono rivolti proprio a F2I?
F2i è un fondo privato ma istituzionale in quanto lo sono tutti gli investitori. Tra questi il più importante è la Cassa Depositi e Prestiti che ha delle similitudini - di sovranità e di ruolo - con CIC.
E questo senz’altro viene visto come un elemento di grande affidabilità.
Secondo la società di consulenza Mergermarket dal 1 gennaio all’11 giugno 2012 le aziende cinesi hanno più che decuplicato gli investimenti in Italia. Investimenti cinesi, due parole che evocano negli italiani sentimenti contrapposti: da una parte c’è timore di perdere il posto di lavoro, dall’altra la possibilità di fare affari con la seconda potenza economica al mondo e di salvare il salvabile. Qual è la sua opinione da manager, da imprenditore e infine da italiano?
Vedo bene gli investimenti stranieri in generale, non solo quelli relativi alla Cina. Oggi il mondo industriale occidentale, con quel perimetro che abbiamo considerato per molti decenni se non per un paio di secoli, è affaticato, per cui oggi i grandi investitori sono i Paesi emergenti, i Bric. La Cina e la Russia, in particolare, sono Paesi fortemente investitori non solo dentro i confini nazionali, ma anche all’estero e ciò rappresenta un’opportunità anche per i Paesi Europei che si ritrovano così con un ingresso di capitali stranieri tesi a rafforzare le economie.
Risorse naturali, energia, agricoltura, design e telecomunicazione: questi i principali settori che aprono il portafoglio di Pechino. Come interpreta queste preferenze e come, secondo lei, l’Italia può inserirsi nel ‘circuito’?
Per quanto riguarda il settore del design siamo il faro nel mondo, le statistiche mostrano che le grandi aziende di moda italiane che puntano sul brand, stanno registrando dei tassi di crescita rispettabili. E questo grazie essenzialmente al mercato cinese. Diverso è il discorso dell’energia, per cui i cinesi devono ingegnerizzare il territorio, e per farlo non hanno più tanto bisogno di know-how quanto piuttosto di campioni di riferimento.
Mentre le infrastrutture e gli utility assets regolamentati possono assicurare un flusso costante e prevedibile di cassa e, quindi, essere un target importante. La mia opinione è che è un bene che questi capitali entrino, ma con quote di minoranza, perché è opportuno che il cash flow generato dalle infrastrutture rimanga al servizio dello sviluppo del Paese.
Expo 2015. Quella di Shanghai sarà ricordata come l’edizione dei record: la più costosa e quella con il maggior numero di visitatori (circa 70 milioni). Ma soprattutto può essere definita un successo. L’Italia saprà reggere il confronto? Siete stati coinvolti in progetti di infrastrutture?
Me lo auguro. Personalmente ritengo che questi eventi dimostrativi debbano organizzarli i grossi Paesi in via di sviluppo, perché hanno le risorse e i capitali per poter far questo tipo di investimento che in genere è a limitato e differito ritorno. Tutti sappiamo che con le Olimpiadi la Grecia si è fatta male da sé, o che Torino si è caricata di un indebitamento critico con le Olimpiadi invernali. Shanghai era giusto che lo facesse, speriamo che per Milano non rappresenti una overdose di impegni, viste anche le difficoltà con le quali si sta procedendo.
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