Italia favorisce vendita di diritto straniero

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FaGal

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Perché l’Italia spinge la vendita di fondi esteri


Tra le tante stranezze che caratterizzano il nostro paese ce n’è una che riguarda il risparmio e i risparmiatori. Una stranezza passata quasi inosservata ma che merita invece di essere raccontata. Si tratta del fatto che, con l’attuale legislazione sulla tassazione dei fondi comuni d’investimento, si incoraggiano di fatto le banche e gli altri intermediari finanziari ad andare all’estero a creare società di gestione per poi tornare in Italia con i fondi di diritto estero (di solito lussemburghese o irlandese) da rivendere ai nostri risparmiatori. Siamo, in altre parole, l’unico paese al mondo che incoraggia i fondi stranieri!
Non si tratta, come può sembrare, soltanto di una convenienza (fiscale, amministrativa, ecc.) da parte delle banche a creare società all’estero che pure esiste e per rimuovere la quale questo governo non è minimamente intervenuto ma di una reale convenienza da parte dei risparmiatori ad acquistare fondi d’investimento esteri. Del resto i dati parlano chiaro e mostrano un crescente interesse della clientela ad acquistare fondi esteri. Nel 2003 i fondi di diritto italiano hanno raccolto 7,9 miliardi di euro. I fondi esterovestiti (lussemburghesi storici e fondi esteri promossi da intermediari italiani) hanno invece raccolto 15,6 miliardi di euro. I fondi esteri di intermediari esteri censiti da Assogestioni (l’associazione delle società di gestione) hanno invece registrato una raccolta di soli 2,7 miliardi.
La ragione di questa convenienza da parte dei risparmiatori ad acquistare fondi esteri sta nel fatto che questi ultimi godono di un regime fiscale più favorevole. In seguito alla riforma delle rendite finanziarie fatta dal centrosinistra, i fondi d’investimento di diritto italiano devono pagare anno per anno il 12,5 per cento sui guadagni virtuali anche se il risparmiatore non ritira la somma ma la lascia al gestore. Il che comporta, nel lungo termine, un prelievo maggiore rispetto a chi compra un fondo estero e paga l’imposta del 12,5 per cento soltanto alla fine.
Per rendere omogeneo il prelievo fiscale, il governo di centro sinistra aveva progettato un marchingegno chiamato "equalizzatore", che in sostanza avrebbe fatto accrescere le imposte al momento del disinvestimento per i fondi esteri.
Arrivato il nuovo governo, com’è accaduto anche in altri settori, c’è stata la conversione a U. Tremonti ha ucciso l’equalizzatore prima ancora che fosse nato, ripromettendosi di rivedere tutta la tassazione sulle rendite finanziarie. Cosa che ha fatto con la legge delega n. 80 del 7/4/03. L’intenzione di Tremonti era quella di riportare lo schema di tassazione dei fondi italiani a quelli esteri, con un prelievo secco del 12,5 per cento solo al momento del disinvestimento, e non più anno per anno sui guadagni virtuali.
Di buone intenzioni, però, è lastricato l’inferno. Per ora i decreti delegati non sono stati emanati. Dal ministero dell’Economia si dice che serve tempo per attuare la delega, che contiene tutte le novità fiscali da realizzare a poco a poco. Altre fonti indicano il 2005 come l’anno in cui questa parte della delega verrà attuata (sempre che nell’agenda politica non ci saranno questioni più urgenti e ora imprevedibili). Di certo per il 2004 non se ne parla.
I fatti, comunque, sono questi. Nei primi tre anni del governo Berlusconi si è soltanto bloccata l’iniziativa già predisposta dal centro sinistra per rendere omogeneo il prelievo su tutti i fondi d’investimento. Con il risultato, unico paese al mondo, di avvantaggiare i fondi esteri rispetto ai propri. E di far entrare nelle casse degli Stati esteri qualche soldo in più che le società di gestione del risparmio devono versare sotto forma di imposte.
http://www.repubblica.it/supplementi/af/2004/03/15/finanza/040gestures.html
 
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