Italia Sotto Processo Al Consiglio D'europa

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Dichiarazione dei Deputati Radicali della Lista Bonino al Parlamento Europeo

Domani, 3 ottobre, il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa esaminerà, una volta di più, il CASO ITALIA.
Il nostro Paese detiene il triste primato del maggior numero di ricorsi e di sentenze di condanna da parte della Corte europea dei Diritti dell'Uomo: nell'anno 2000, su un totale di 695 ricorsi dichiarati ricevibili, ben 396 riguardavano l'Italia; su un totale di 422 condanne emesse, 233 erano contro il nostro paese.

"Caso Italia" è certamente, anche se non solo, l'abnorme numero di condanne accumulate per la sistematica violazione dell'articolo 6 della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo, che sancisce il "due process of law" (il giusto processo): dal 1980 sono state emesse 477 sentenze di condanna contro l'Italia, di cui più di 140 dall'inizio del 2001.

E di caso italiano ha parlato persino il Presidente dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa nel discorso inaugurale dell'anno giudiziario 2000, autorizzando la Corte di Strasburgo a trattare i ricorsi italiani in maniera più sommaria. I ricorsi relativi alla violazione dell'articolo 6 da parte dell'Italia sono ormai considerati casi "clonati" e il Comitato dei Ministri ha cessato di emettere Risoluzioni di chiusura (che normalmente intervengono una volta accertata l'esecuzione delle sentenze) perché l'endemicità delle condanne non permette di considerarle eseguite fino ad un intervento legislativo che si possa considerare risolutorio.

L'alto numero di condanne discredita il Paese e rende difficoltoso, per la Corte europea, il rispetto a sua volta del délai raisonnable dei suoi procedimenti. In una sentenza del 1999 la Corte ha ritenuto che tali infrazioni, identiche e numerose, dessero luogo a una pratica «incompatibile» con la Convenzione.

A ciò si aggiungano l'insufficienza di informazioni fornite dalle autorità italiane sulle misure adottate e la loro complessità, nonché la mancata risposta a molte questioni. Di qui la decisione, da parte del Comitato dei Ministri, di prendere in considerazione l'esecuzione dei casi italiani in blocco, una volta all'anno, nell'ambito di una sola riunione, che si svolgerà domani, 3 ottobre e durante la quale saranno valutati gli oltre 1700 casi la cui esecuzione non è ancora stata accertata.

Nella stessa riunione il Comitato dei Ministri, come deciso nell'ottobre 2000, esaminerà l'efficacia della Legge Pinto (L.89/2001) entrata in vigore il 18 aprile 2001 e adottata proprio al fine di rimediare all'esorbitante numero di ricorsi a Strasburgo per l'eccessiva durata dei processi.

Tale legge, adottata il 24 marzo, ultimo giorno utile prima dello scioglimento delle Camere, ha l'evidente limite di non prevedere una via per evitare nuove violazione dell'articolo 6 della Convenzione europea, introducendo, invece, un meccanismo di ricorsi e di risarcimenti interni allo Stato, che rendono di fatto impossibile presentare ricorso a Strasburgo, stravolgendo così il sistema di garanzia previsto dalla Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo.

L'articolo 6 della Pinto prevede infatti che «coloro che abbiano tempestivamente presentato ricorso alla Corte europea dei Diritti dell'Uomo, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole ex art. 6 par. 1 della Convenzione, possano presentare domanda in tal senso» alla Corte d'Appello, qualora non sia già intervenuta una decisione sulla ricevibilità. Ma quella che è, apparentemente una facoltà, diventa, in pratica una scelta obbligata: oltre 10mila ricorsi sono stati rinviati da Strasburgo ai ricorrenti con l'invito a rivolgersi alle Corti italiane, ma i termini sono irragionevolmente stringenti: il ricorso alla Corte d'Appello deve essere presentato entro 6 mesi dall'entrata in vigore della legge e cioè entro il 18 ottobre.
Non a caso i primi provvedimenti intervenuti ex legge Pinto hanno dato risultati poco soddisfacenti, soprattutto dal punto di vista dell'esiguità delle "eque riparazioni" dei danni patrimoniali e non (risarcimenti per pochi milioni di Lire).

Da parte sua la Corte europea di Strasburgo si è affrettata a chiarire (decisione Brusco del 6 settembre) che ora esiste un ricorso interno per far valere la violazione in causa e tale ricorso deve essere esperito prima di poter riproporre il caso alla Corte stessa: se un ricorrente decidesse di utilizzare la facoltà di non adire la Corte d'Appello e di richiedere una sentenza a Strasburgo, si vedrebbe dunque opporre una decisione di irricevibilità per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne (e questo anche nel caso in cui il ricorso fosse stato presentato a Strasburgo prima dell'entrata in vigore della legge Pinto, come dimostra appunto la decisione Brusco).

Per parte nostra sottolineiamo come la riunione dei Ministri di domani costituisca l'ennesimo, umiliante appuntamento con gli altri paesi europei sulle clamorose defaillance della giustizia italiana. In attesa delle decisioni del Comitato, noi denunciamo con forza il vero e proprio sopruso rappresentato dalla legge Pinto e ci auguriamo che il Parlamento e il Governo italiano vogliano presto annullare un tale atto di disprezzo nei confronti dei cittadini italiani, ultimo "regalo" del Governo dell'Ulivo.
In questo senso noi ci batteremo nelle prossime settimane.
 
oggi ho preparato un atto di appello avverso una sentenza relativa ad un processo iniziato nel 1984. Incredibilmente, malgrado il tempo trascorso, era stata lasciata a metà la escussione dei testi!
 
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