Italiani delusi e sfiduciati

Particolarmente interessante è l’andamento evidenziato dal risparmio netto delle Amministrazioni pubbliche. Risulta negativo – e in tal caso si parla di disavanzo netto - fino al 1998. Dopo la crescita dei primi anni novanta, che ha portato il disavanzo al massimo storico di oltre 144.000 miliardi, si assiste ad un lento miglioramento: nel 1997, anno caratterizzato dalle politiche di riequilibrio atte a garantire il rispetto dei parametri di Maastricht, il disavanzo si riduce drasticamente da 94.000 miliardi circa a poco più di 27.000. Nel 1999 il disavanzo netto si tramuta in risparmio netto, pari a circa 5.000 miliardi e nel 2000 migliora ulteriormente.



Investimenti

Il risparmio rappresenta la fonte primaria di finanziamento nel processo di accumulazione reale. Quest’ultimo viene effettuato attraverso gli investimenti lordi e favorito dalle Amministrazioni pubbliche e dal Resto del Mondo (i fondi strutturali dell’Unione europea) mediante la corresponsione ai settori di contributi agli investimenti, ovvero risorse finanziarie destinate al sostegno dello sviluppo.

Dopo la stagnazione dei primi anni novanta, culminata nella brusca flessione del 1993 (-7% a livello di intera economia), gli investimenti fissi lordi tornano a crescere, in modo particolarmente sostenuto nel biennio 1995-96 ed ancora apprezzabile negli anni successivi. In questo quadro il settore delle società risulta il più dinamico. Tuttavia, un ruolo importante è svolto dalle Amministrazioni pubbliche, soprattutto negli ultimi quattro anni. Esse recuperano un ruolo di primo piano nello sviluppo della dotazione di capitale fisso reale del Paese, compensando ampiamente il ripiegamento avvenuto nella prima metà del decennio.

Più contenuta e regolare è l’evoluzione degli investimenti del settore Famiglie. Questi risentono in una prima fase del rallentamento nel settore delle costruzioni; successivamente beneficiano della ripresa del mercato immobiliare conseguente alla flessione del costo del denaro.


Distribuzione del reddito in Italia

Per studiare la distribuzione del reddito in Italia utilizzeremo la curva di Lorenz; la perfetta distribuzione del reddito presuppone che il 20% della popolazione abbia il 20% del reddito, che il 40% della popolazione abbia il 40% dal reddito, che il 100% della popolazione abbia il 100% del reddito, tanto più ci si allontana dalla diagonale tanto più il reddito è mal distribuito.

Il grafico sottostante mostra la reale sperequazione del reddito in Italia.

La diagonale del grafico rappresenta la perfetta distribuzione del reddito, cioè il 10 % della popolazione ha il 10% del reddito e così via, mentre la curva rappresenta come è oggi distribuito il reddito in Italia e tanto più la curva è distante dalla diagonale tanto più il reddito è male distribuito.

Il rapporto tra la percentuale delle famiglie e la percentuale del reddito nazionale percepito dalle stesse mostra la forbice che si è aperta in Italia tra i redditi più bassi e quelli più alti.

I vari interventi legislativi tesi a ridurre la pressione fiscale e il costo del lavoro (indipendente piuttosto che dipendente) non hanno prodotto un significativo miglioramento nella distribuzione del reddito, ma piuttosto un trasferimento di risorse verso i redditi più alti attraverso la contrazione del costo del lavoro e la compressione della pressione fiscale sui redditi da capitale.

La curva della distribuzione del reddito può essere rappresentata anche attraverso la relazione diretta tra la percentuale di reddito percepito dalle famiglie e la percentuale delle famiglie interessate dalla quota di quel reddito.
 

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Antibes
ho dato una rapidissima scorsa ai tuoi vari interventi ma mi riservo di leggerli ora con calma.
dai una occhiata al televideo della RAI, a pag 101 scrolla tutte le news
Se non ho letto male la Bankitalia ha detto che è aumentato la ricchezza e il potere di acquisto delle famiglie italiane (???? !!!!!!! ), è aumentata la transazione in borsa e il popolo dei bot si sta riavvicinando ai titoli di stato
 
In Italia la distribuzione del reddito evidenzia una forte polarizzazione che può mettere a rischio la coesione sociale e anche gli stessi equilibri microeconomici.

Infatti il 28,5% delle famiglie detiene solo il 2,0% del reddito del Paese, mentre il 2,1% delle famiglie più ricche il 27,5% del reddito.



La dinamica contenuta del costo del lavoro e le minori entrate da parte dello stato a seguito degli interventi legislativi tesi ad alleggerire gli oneri per le imprese, non hanno avuto l'effetto di ampliare il numero dei percettori di reddito, ma una sua diversa allocazione e polarizzazione.

Considerato lo squilibrio intervenuto nella distribuzione del reddito, occorre riconsiderare con maggiore attenzione l’equilibrio macro economico.
Nell'attuale situazione l'identità economica risparmio = investimenti appare compromessa nella sua capacità di creare opportunità di investimento nazionale. Infatti se in un mercato aperto gli investimenti sono indirizzati e intercettati dai mercati che mostrano maggiori prospettive di crescita, occorre immaginare interventi pubblici tesi a qualificare e indirizzare il risparmio delle famiglie verso investimenti infrastrutturali della pubblica amministrazione che sono certamente ubicati sul territorio nazionale.
Oltretutto, se si privilegia un certo tipo di reddito (quelli alti piuttosto che quelli bassi) è molto probabile che gli interventi correttivi economici saranno in una certa misura condizionati dal posizionamento intervenuto tra capitale, capitale finanziario e reddito da lavoro; se lo sviluppo del Paese è nei fatti determinato dal capitale finanziario, che si colloca per la maggior parte all'estero, si indebolisce l’economia del Paese e la si rende particolarmente vulnerabile alla variazione del corso delle moneta e dei tassi di interesse, che tra l’altro non sono più determinati dalla Banca d’Italia.Ciò suggerisce una riflessione attenta del mutato mix microeconomico intervenuto alla base della distribuzione del reddito, in ragione del nuovo regime dei tassi e delle prospettive economiche.
Infatti, i delta (D) di crescita del Pil e del reddito dei fattori non si sono implementati nella stessa misura.

Il mutato mix macro economico ha modificato la composizione del reddito nazionale nella divisione internazionale del lavoro, a cui, purtroppo, corrisponde una specializzazione produttiva nei settori tradizionali, con una forte esposizione con l'estero e un peso rilevante del debito pubblico, con la conseguenza di ampliare il sistema della rendita finanziaria inusuale per una struttura industriale sotto capitalizzata.
Se questo sviluppo finanziario potrebbe apparire coerente (ma non del tutto) per paesi come gli Stati Uniti o la Gran Bretagna, a causa di una diversa struttura del capitalismo, e del sistema delle imprese, la sostenuta attività finanziaria dell'Italia è invece poco coerente con le caratteristiche del tessuto produttivo, sostanzialmente calibrato su un capitalismo povero e incapace di traguardare profili superiori di gestione del proprio sistema.

Si è quindi realizzata una polarizzazione della ricchezza, che attraverso la Borsa e i Fondi di investimento può trovare nuove opportunità allocative, drogata dal debito pubblico, dai tassi d’interesse e dal minore contenuto di "riserva di liquidità" dei risparmi delle famiglie.
La polarizzazione dei redditi è anche il frutto di dicotomie strutturali non facilmente risolvibili, che alcune politiche nella distribuzione del reddito hanno accentuato. Non è stata forse la stessa politica della Comunità Europea e di molti stati membri a sostenere indirettamente l'idea che il lavoro produce poco valore aggiunto mentre i capitali (in particolare quelli finanziari) possono contribuire maggiormente allo sviluppo del paese?

Non è forse vero che la diversa tassazione dei redditi ha, di fatto, alimentato questa tesi?
Le stesse politiche fiscali e la competizione fiscale tra gli stati membri della Comunità, sempre più neutrali, non sono ancora riuscite a determinare alcun significativo miglioramento allocativo della ricchezza prodotta dal paese, così come non è ancora riuscita a migliorare la sua distribuzione.

Certamente i provvedimenti adottati dal Ministro delle Finanze sono stati capaci di recuperare una parte consistente della base imponibile, ma allo stesso tempo mostra, specularmente, come e quanto sia profonda la crisi del capitalismo nazionale.
Infatti, solo attraverso l'elusione fiscale e il lavoro sommerso (27% del Pil) è stato possibile competere (male) con i sistemi capitalistici più evoluti.

Forse, un intervento della Unione Europea in materia fiscale, la cosiddetta armonizzazione, potrebbe "rallentare" la competizione fiscale tra gli stati membri, ma ciò non risolverebbe i problemi dell’Italia, e forse potrebbe peggiorarli.
Infatti, a parità di pressione fiscale sono le condizioni reali a modificare il profilo e l'interesse degli investitori e in questo campo, come abbiamo visto, l'Italia parte svantaggiata.
Certamente l'Italia continua a mantenere una domanda aggregata superiore alla media dei paesi della comunità, ma la sua polarizzazione non ha agevolato l'equilibrio economico, poiché, le categorie di reddito che hanno beneficiato di un oggettivo trattamento di favore non rispondono a interessi collettivi, ma inseguono logiche che mal si conciliano con le persone che sono state escluse o vivono ai margini del mercato a seguito delle continue politiche di contenimento dei salari e delle manovre correttive imposte dalla Unione Europea.
Quindi, ripristinare un equilibrio più funzionale della distribuzione del reddito non risponde solo a delle logiche di tipo etico o di giustizia sociale (comunque dirimenti per una società complessa), ma anche a esigenze stringenti di equilibrio economico per il paese, cioè occorre ricostruire un equilibrio nella remunerazione dei fattori al fine di non alimentare le debolezze strutturali del paese.
 
In particolare è utile indagare quanta parte della ricchezza prodotta dal Paese è stata distribuita al lavoro dipendente.

Nel corso di tutti i 7 anni considerati dall’indagine, le retribuzioni di fatto hanno assorbito solo 3,2 punti percentuali della crescita della ricchezza del Paese (10 punti percentuali).
Comunque è importante valutare il rapporto tra la crescita del Pil e la ricchezza intercettata dalla contrattazione. Infatti, questo indicatore permette di "misurare" come i fattori di produzione sono stati retribuiti, in ragione della identità economica illustrata nella prima parte del saggio.
In prima approssimazione si può affermare che la crescita della ricchezza del Paese, tra il 1993 e il 1999, è stata sostanzialmente assorbita dal capitale per circa 7 punti percentuali, mentre il lavoro ha intercettato circa 3 punti percentuali.
In questo senso si conferma l’indagine del Cnel che ha osservato una crescita del reddito da capitale di almeno 6 punti percentuali durante gli ultimi anni ’90.
Le implicazioni di questo mutato mix microeconomico non sono marginali per l’equilibrio generale del Paese, soprattutto per un Paese che importa tecnologia dall’estero e che privilegia forme di accumulazione diseconomiche che mettono a rischio l’equilibrio generale del paese.
La sperequazione che si è e si sta realizzando nella distribuzione del reddito può essere evidenziata anche dai dati di Mediobanca relativi ai bilanci di 1.828 imprese dell'industria e del terziario con più di 20 addetti.
Secondo questa rilevazione dal 1990 al 1999 il fatturato in termini monetari delle imprese è cresciuto del 56%, il valore aggiunto del 44%, l'utile netto ( al netto delle imposte) del 413% e il costo del lavoro solo del 19%. Questo andamenti evidenziano l'entità delle sperequazione distributiva tutta a favore dei profitti; questo dato non è in realtà una novità, già la stessa Bankitalia, aveva messo in luce l'enorme crescita dei profitti.


In termini distributivi il lavoro perde nei 10 anni 10 punti percentuali dal 59 al 49 del valore aggiunto, mentre i profitti ne guadagnano 14, come si evidenzia nel grafico riportato di seguito.
Dal 1993, infatti è a partire da quella data che profitti guadagnano quote crescenti di reddito a scapito del lavoro e degli oneri finanziari.
Questo risultato, come abbiamo gi à detto ha operato nel senso di indebolire la capacità competitiva delle imprese nazionali, in quanto si è tradotto in una crescita degli investimenti finanziari, che sempre secondo i dati Mediobanca sono cresciuti dal 1991 al 1999 del 412%, mentre gli investimenti tecnici sono cresciuti in termini monetari solo del 7% (praticamente si sono contratti in termini reali). Questo dato è particolarmente evidente per le imprese private, anche se le imprese pubbliche non hanno certo brillato in quanto a investimenti.

In sintesi gli anni 90 sono stati segnati dal principio della moderazione salariale, come perno centrale dello schema delle politiche adottate nel nostro Paese, come contributo all'obiettivo del risanamento finanziario. Ma questo risultato si sta accompagnando anche ad un rallentamento nel tasso di crescita della produttività attestandosi per l'intera economia al di sotto dell'1%. Tale andamento è coerente con il rallentamento dell'attività economica osservato nel periodo.
 
Purtroppo o per fortuna, a seconda dei punti di vista, la «politica», intesa come sfera di attività ove si manifestano i conflitti e si prendono decisioni cruciali per la comunità, non è ancora del tutto sfuggita, nonostante la nascente moneta unica, alle grinfie dei singoli Stati europei. Per molti anni ancora, probabilmente, le diverse classi politiche europee continueranno, nonostante l'euro, a controllare aspetti per nulla trascurabili della vita dei loro Paesi. Per conseguenza, ancorché indebolita, limitata nelle sue possibilità di intervento, la «politica» non abbandonerà, nel prossimo futuro, l'ambito nazional-statuale. Basti pensare, per citare solo alcuni temi particolarmente rilevanti, che restano ancora intatte le prerogative statali in materia di welfare state, di politiche della giustizia, di politiche dell'istruzione, e, almeno in parte, delle politiche fiscali. E a seconda delle scelte che i leader nazionali faranno in questi settori essi determineranno la fortuna, la prosperità, oppure la decadenza, la rovina dei rispettivi Paesi
 
ma tutte queste affermazioni non hanno alcun senso se uno non ne accetta il presupposto, che le diversità reddituali siano frutto di diseguaglianze. Anche se tutti partissero da una eguale disponibilità di reddito, gli esiti temporali sarebbero molto diversi, (vedi parabola evangelica dei talenti). In realtà si diffonde la ricchezza permettendo alla gente di disporre dei propri soldi e consentendo loro una libertà di intrapresa. Riducendo le rendite parassitarie.
Perchè non occuparsi del fatto che tutti non sono egualmente alti o che non hanno una bella voce. Preso atto di queste realtà cosa proporrebbe l'eurispes l'incentivazione delle associazioni corali?:D
 
adolar ha scritto:
ma tutte queste affermazioni non hanno alcun senso se uno non ne accetta il presupposto, che le diversità reddituali siano frutto di diseguaglianze. Anche se tutti partissero da una eguale disponibilità di reddito, gli esiti temporali sarebbero molto diversi, (vedi parabola evangelica dei talenti). In realtà si diffonde la ricchezza permettendo alla gente di disporre dei propri soldi e consentendo loro una libertà di intrapresa. Riducendo le rendite parassitarie.
Perchè non occuparsi del fatto che tutti non sono egualmente alti o che non hanno una bella voce. Preso atto di queste realtà cosa proporrebbe l'eurispes l'incentivazione delle associazioni corali?:D

Io penso che tu abbia ben inteso le mie buone intenzioni e dal buon livello culturale di molti voi capisco che possano esserci delle parti molto opinabili o inesatte o senza un senso non so

Di fatto da qualche anno c'e' qualcosa che non va e non ne faccio una questione politica o altro .

Poi ognuno ne trae le sue conclusioni ma i numeri sono numeri mi sembrano
almeno quelli corretti

Poi se vogliamo dire che tutto va bene ............


ciao a buona serata :)
 
Antibes ha scritto:
Io penso che tu abbia ben inteso le mie buone intenzioni e dal buon livello culturale di molti voi capisco che possano esserci delle parti molto opinabili o inesatte o senza un senso non so

Di fatto da qualche anno c'e' qualcosa che non va e non ne faccio una questione politica o altro .

Poi ognuno ne trae le sue conclusioni ma i numeri sono numeri mi sembrano
almeno quelli corretti

Poi se vogliamo dire che tutto va bene ............


ciao a buona serata :)
ma per capire qualcosa si fa riferimento ai dati istat, isae, e a quelli confindustriali(fiducia delle imprese e simili, aumento investimenti, ) o di mediobanca. Posto che significhino qualcosa anche questi. Mi piace ricordare il vanto dell'ultimo governatore inglese di hon kong:" Governo uno stato la cui economia non ha bisogno di statistiche"
Il resto è aria fritta, con rispetto parlando.
 
Secondo questa rilevazione dal 1990 al 1999 il fatturato in termini monetari delle imprese è cresciuto del 56%, il valore aggiunto del 44%, l'utile netto ( al netto delle imposte) del 413% e il costo del lavoro solo del 19%. Questo andamenti evidenziano l'entità delle sperequazione distributiva tutta a favore dei profitti; questo dato non è in realtà una novità, già la stessa Bankitalia, aveva messo in luce l'enorme crescita dei profitti.
---------------------------------Antibes--------------------
Probabilmente perchè l'industria italiana è in forte declino , avanzano e resistono solo i settori in regime di monopolio o monopolio mascherato (basta vedere chi è quotato nel mib),settori protetti che trattano con lo stato per le tariffe invece che col resto del mondo con i prodotti , e l'utile sale , sale , sale , perchè il cittadino può essere spremuto a volontà.Le famiglie industriali si sono trasferite su telefonia , energia elettrica , autostrade ,banche....tutta roba senza reale concorrenza.
L'industria :fiat ,olivetti ,parmalat ,alitalia,tessile, mettiamoci anche l'agricoltura...sta andando a pezzi nel mercato dell'euro dove non possono svalutare più e dove la Cina gli fa le scarpe (anche letteralmente , visto il polo marchigiano della calzatura al collasso).
Il problema non è la distribuzione del reddito , ma la creazione, che non c'è.
Inoltre la tassazione elevata è una forma di ingiustizia sociale , perchè svantaggia molto di più le fasce a reddito basso .Quelle a reddito veramente alto le potranno sempre eludere.Tantovale abbassarglielo e favorire la ricircolazione del danaro e della voglia di farlo.
 
Ultima modifica:
adolar ha scritto:
ma per capire qualcosa si fa riferimento ai dati istat, isae, e a quelli confindustriali(fiducia delle imprese e simili, aumento investimenti, ) o di mediobanca. Posto che significhino qualcosa anche questi. Mi piace ricordare il vanto dell'ultimo governatore inglese di hon kong:" Governo uno stato la cui economia non ha bisogno di statistiche"
Il resto è aria fritta, con rispetto parlando.

Nella jungla anche il leone ha paura ricordatelo sempre

Son tutti finocchi con il popo' degli altri

Che i dati non siano tutto sono d'accordo ma quando ti offrono 800 euro per un lavoro a Milano ti assicuro che e' molto dura

Io per il momento non mi lamento ma intorno a me vedo molte cose troppe che stanno cambiando e non per tutti

Quando a casa mia non c'e' grasso non c'e' per tutti

ciao
 
manx ha scritto:
Secondo questa rilevazione dal 1990 al 1999 il fatturato in termini monetari delle imprese è cresciuto del 56%, il valore aggiunto del 44%, l'utile netto ( al netto delle imposte) del 413% e il costo del lavoro solo del 19%. Questo andamenti evidenziano l'entità delle sperequazione distributiva tutta a favore dei profitti; questo dato non è in realtà una novità, già la stessa Bankitalia, aveva messo in luce l'enorme crescita dei profitti.
---------------------------------Antibes--------------------
Probabilmente perchè l'industria italiana è in forte declino , avanzano e resistono solo i settori in regime di monopolio o monopolio mascherato (basta vedere chi è quotato nel mib),settori protetti che trattano con lo stato per le tariffe invece che col resto del mondo con i prodotti , e l'utile sale , sale , sale , perchè il cittadino può essere spremuto a volontà.Le famiglie industriali si sono trasferite su telefonia , energia elettrica , autostrade ,banche....tutta roba senza reale concorrenza.
L'industria :fiat ,olivetti ,parmalat ,alitalia,tessile, mettiamoci anche l'agricoltura...sta andando a pezzi nel mercato dell'euro dove non possono svalutare più e dove la Cina gli fa le scarpe (anche letteralmente , visto il polo marchigiano della calzatura al collasso).
Il problema non è la distribuzione del reddito , ma la creazione, che non c'è.
Inoltre la tassazione elevata è una forma di ingiustizia sociale , perchè svantaggia molto di più le fasce a reddito basso .Quelle a reddito veramente alto le potranno sempre eludere.Tantovale abbassarglielo e favorire la ricircolazione del danaro e della voglia di farlo.


Certo i dati ha volte vanno meglio analizzati :)

Ti ringrazio :)
 
Antibes ha scritto:
Uno stato democratico e equo lo si misura da come la ricchezza venga ridistribuita fra i suoi cittadini

In un paese dove la ricchezza e' in mano principalmente al 10% delle persone giustifica un cauto ottimismo magari sui mercati ma non per l'impiegato o l'operaio ,il commerciante e l'artigiano

La ridistribuzione del reddito nazionale e' il vero dato da esaminare +3% o -2% che sia adesso se trovo un'articolo lo posto

Interessante disquisizione. Bisognerebbe pero' cominciare a parlare di ridistribuzione pure del lavoro. Perche' se 1/3 lavora e produce, non puoi pretendere che la ricchezza venga distribuita adeguatamente anche a chi non lavora (non sto parlando dei disoccupati costretti).

Mezzo PIL e' intermediato dallo stato. Questo e' un fatto. 640 miliardi di euro su 1300 miliardi di euro.

In Italia abbiamo 3,5 milioni di dipendenti pubblici fissi + 1 milione di dipendenti pubblici precari. Qual e' il contributo in termini di servizi e beni utili prodotti da sta gente (valore di mercato) e qual e' il costo reale?

Quant'e' il monte pensioni che viene erogato oggi e qual e' la copertura delle stesse avuta nel corso degli anni?

Parlare solo di ridistribuzione a prescindere e' come guardare un cubo da un lato solo e dire che e' un quadrato.

Che senso ha pretendere 100 di pensione se si ha pagato per 50 solo perche' in giro c'e' chi vive con 300. Quello vive con 300 perche' produce per 300.

;)
 
Ultima modifica:
Sir Wildman ha scritto:
Interessante disquisizione. Bisognerebbe pero' coominciare a parlare di ridistribuzione pure del lavoro. Per se 1/3 lavora e produce, non puoi pretendere che la ricchezza venga distribuita adeguatamente anche a chi non lavora (non sto parlando dei disoccupati costretti).

Mezzo PIL e' intermediato dallo stato. Questo e' un fatto. 640 miliardi di euro su 1300 miliardi di euro.

In Italia abbiamo 3,5 milioni di dipendenti pubblici fissi + 1 milione di dipendenti pubblici precari. Qual e' il contributo in termini di servizi e beni utili prodotti da sta gente (valore di mercato) e qual e' il costo reale?

Quant'e' il monte pensioni che viene erogato oggi e qual e' la copertura delle stesse avute nel corso degli anni?

Parlare solo di ridistribuzione a prescindere e' come guardare un cubo da un lato solo e dire che e' un quadrato.

;)


condivido ma a prescindere dal problema bisogna pagare in modo equo tutti

Io non ho problemi a lavorare fino a 70 anni se lo stato mi garantisce che se perdo il lavoro a 50/60 mi aiuta a trovarlo

Di certo non e' solo li' il problema hai ragione :)
Ti ringrazio ciao
 
Il fatto che circa il 54% del Pil è intermediato dallo stato , non solo industrie del genere IRI, ma sopratutto attraverso il volume di denaro che è gestito da comuni regioni province , e che sta aumentando sempre di più anche sotto questo governo ,spiega perchè è difficile abbassare letasse in Italia:
Perchè tutto questo denaro , che è potere , non viene ottenuto attraverso la produzione di prodotti , ma attraverso la riscossione delle tasse , di ogni genere , dirette indirette accise .Quindi i padroni di quest'industria , che sono i politici e i dipendenti statali comunali regionali,faranno sempre resistenza a diminuire il loro fatturato, anche sotto un governo apparentementa di centr-destra , come si è visto di recente
 
Antibes ha scritto:
condivido ma a prescindere dal problema bisogna pagare in modo equo tutti

Io non ho problemi a lavorare fino a 70 anni se lo stato mi garantisce che se perdo il lavoro a 50/60 mi aiuta a trovarlo

Di certo non e' solo li' il problema hai ragione :)
Ti ringrazio ciao

Tra l'altro andrebbe anche ben sottolineato che in Italia la partecipazione della popolazione in eta' da lavoro (15-64 anni) alla produzione del reddito e' tra le piu' scarse tra i paesi industriali (se non ricordo male il 56% contro il 70% degli USA). Troppo comodo discutere di ridistribuire i frutti del lavoro altrui standosene in poltrona. La ridistribuzione deve esserci tra i produttori del reddito in base al valore di cio' che si produce.

Dei 640 miliardi di spesa pubblica, 145 miliardi sono per i dipendenti pubblici e 185 per i pensionati (dovrebbero essere dati 2003). 82 miliardi sono per la sanita' e 70 miliardi per l'interesse sul debito.

Ora, per fare un esempio, non e' accettabile che un insegnate mi parli di stipendio "europeo" quando non si vuole sentir parlare di "lavoro europeo". Se si portassero le ore obbligatorie a scuola a 40 per tutti e si fornisse un salario di 1800-2400 euro al mese (a seconda di vari criteri meritocratici/anzianita' ecc) quanti di questi insegnati ci starebbero? Quanti sarebbero disposti ad accettare modelli e sistemi di verifica simili ai paesi esteri dove l'istruzione e' piu' efficace e legare il proprio reddito ai risultati raggiunti? Quanti sarebbero disposti quindi a raggiungere la stessa produttivita'?
Io dico molto pochi .... :rolleyes:
 
manx ha scritto:
Il fatto che circa il 54% del Pil è intermediato dallo stato , non solo industrie del genere IRI, ma sopratutto attraverso il volume di denaro che è gestito da comuni regioni province , e che sta aumentando sempre di più anche sotto questo governo ,spiega perchè è difficile abbassare letasse in Italia:
Perchè tutto questo denaro , che è potere , non viene ottenuto attraverso la produzione di prodotti , ma attraverso la riscossione delle tasse , di ogni genere , dirette indirette accise .Quindi i padroni di quest'industria , che sono i politici e i dipendenti statali comunali regionali,faranno sempre resistenza a diminuire il loro fatturato, anche sotto un governo apparentementa di centr-destra , come si è visto di recente

quest'anno aumenteranno le tasse comunali ,provinciali ,regionali

Ici ,bolli ,accise,tassa dei rifiuti ecc

Si sono limitati a contenere i versamenti dallo stato verso di loro dandogli pero' la facolta' di aumentare le tasse locali a loro piacimento

bella trovata complimenti

Ti do' 10 euro in busta ma poi ...........lasciamo perdere

Ben venga una riduzione delle tasse a fronte almeno di una riduzione degli sprechi ma .......appunto ma
 
manx ha scritto:
Il fatto che circa il 54% del Pil è intermediato dallo stato , non solo industrie del genere IRI, ma sopratutto attraverso il volume di denaro che è gestito da comuni regioni province , e che sta aumentando sempre di più anche sotto questo governo ,spiega perchè è difficile abbassare letasse in Italia:
Perchè tutto questo denaro , che è potere , non viene ottenuto attraverso la produzione di prodotti , ma attraverso la riscossione delle tasse , di ogni genere , dirette indirette accise .Quindi i padroni di quest'industria , che sono i politici e i dipendenti statali comunali regionali,faranno sempre resistenza a diminuire il loro fatturato, anche sotto un governo apparentementa di centr-destra , come si è visto di recente

Beh, non e' il 54% ma un po' meno del 50% 640/1300-> 49,23%.
Poi la pressione fiscale e' di 545 miliardi di euro che rapportata al PIL da il 43,4%.

Comunque hai colto il punto essenziale del problema posto in evidenza anche parecchi decenni a dietro da brillanti economisti. Se le persone il cui reddito dipende dallo stato diventano troppe, le tasse non possono che continuare ad aumentare esponenzialmente perche' il reddito di questa gente aumenta con l'aumentare delle tasse. :yes:
L'unica maniera per mantenere la cosa sotto controllo e' far si che siano in netta minoranza. Naturalmente il discorso vale per le democrazie.
Se il peso di questa gente diventa preponderante (devi considerare non solo i dipendenti, ma anche quelli che dipendono da questi dipendenti come i coniugi i figli maggiorenni ecc ..) si arriva allo stallo che e' presente oggi in Italia.
 
Antibes ha scritto:
quest'anno aumenteranno le tasse comunali ,provinciali ,regionali

Ici ,bolli ,accise,tassa dei rifiuti ecc

Si sono limitati a contenere i versamenti dallo stato verso di loro dandogli pero' la facolta' di aumentare le tasse locali a loro piacimento

bella trovata complimenti

Ti do' 10 euro in busta ma poi ...........lasciamo perdere

Ben venga una riduzione delle tasse a fronte almeno di una riduzione degli sprechi ma .......appunto ma

Secondo me la parola spreco e' finita col diventare fuorviante. Mi spiego meglio. Uno spreco di solito e' un qualcosa che va buttato via e che non torna utile a nessuno. Ma qua allora non siamo davanti ad uno spreco, perche' quei soldi finiscono in tasca a qualcuno, non vengono mica bruciati. Quindi e' un problema di distribuzione del reddito. A me fa specie che quando si parla di ridistribuzione (e non parlo di quello che hai detto tu, ma di quello che si sente in TV) si intenda sempre che il problema sia dello scarso prelievo a tizio o a caio. Perche' invece non parliamo di come viene distribuito la meta' del PIL che gestisce lo stato? Eh, lo so, non si fa perche' si va contro al blocco "pubblico" che porta tanti e tanti consensi.
 
se le pagassero tutti le tasse .... :rolleyes:
 
davos ha scritto:
se le pagassero tutti le tasse .... :rolleyes:

Vai a farti un tuffo (tra poco adeeso e' fredda ) anche per me :D

Non pensare alle tasse :)

L' italiano e' una gran brava persona ma quando ne metti insieme 3 devi gia' fare una riunione e fare un regolamento
 
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