Erroneamente nell'Occidente latino sarà attribuita ad Averroè la cosiddetta dottrina della doppia verità, secondo la quale la verità a cui si può pervenire con la ragione per via puramente filosofica é diversa e talora contrastante con la verità di fede: come a dire, la ragione mi porterebbe a dire certe cose (per esempio che l’anima non è immortale), ma la fede mi fa dire l’opposto. In realtà, per Averroè, la verità é una, non c'é maggior verità nella filosofia rispetto alla religione o viceversa; piuttosto , la filosofia deve essere riconosciuta come legittima anche dal credente, in quanto non contrasta, bensì conferma la rivelazione. Questa tesi é argomentata da Averroè in un'opera, composta fra il 1177 e il 1180, intitolata "Libro della distinzione del discorso e della determinazione della conoscenza tra legge religiosa e filosofia" . La verità é una, ma molteplici sono i gradi e i modi in cui si accede ad essa. A tale proposito Averroè riprende da Aristotele la distinzione tra tre tipi di argomentazione : a) dimostrativa o scientifica, che parte da premesse vere; b) dialettica, che parte da premesse condivise dai più o dai più autorevoli; c) retorica , che parte da premesse che paiono persuasive all'auditorio. Esse rappresentano tre vie attraverso le quali ci si accosta alla verità: quella dimostrativa é propria del filosofo, quella dialettica lo é del teologo e quella retorica é appropriata ai più, inclini ad immaginarsi in maniera antropomorfa la divinità. I tre livelli e modi di comprensione della verità corrispondono a tre livelli di una gerarchia tra uomini, ma tutti i modi pervengono a riconoscere - anche se per vie diverse - che Dio esiste ed é uno e ha creato il mondo, di cui si prende cura provvidenzialmente; che Maometto é il suo profeta; che dopo la morte l'uomo sarà giudicato da Dio e destinato all'Inferno o al Paradiso e che avverrà la resurrezione finale . E' una concezione aristocratica della verità: i migliori, ossia i filosofi, raggiungeranno una verità di più alto livello – guidati dalla sola ragione - , mentre i peggiori (gli uomini comuni) raggiungeranno attraverso la religione una verità meno elevata, quasi divulgativa. La fede, tuttavia, é necessaria e obbligatoria per tutti, anche per i filosofi, secondo Averroè; ma, per questi ultimi, é anche lecita la ricerca razionale, che perviene a conclusioni cogenti. Il problema é non commettere l'errore dei teologi, che, divulgando i punti oscuri e segreti dell'interpretazione del testo sacro anche a quanti non sono in grado di comprenderli, fanno nascere le eresie. La stessa cosa avverrebbe se la filosofia mettesse in mano ai più, incapaci di usarli propriamente, i propri strumenti argomentativi: ogni tipo di discorso deve quindi essere adeguato ai propri destinatari. La filosofia , in particolare , deve indirizzare le proprie dimostrazioni solo a quanti sono in grado di seguirle e con ciò Averroè ribadisce la propria concezione elitaria del sapere filosofico. Il filosofo, che si comporta seguendo queste indicazioni, tributa a Dio il culto migliore, che consiste nel conoscere le sue opere e, attraverso di esse, Dio stesso: in tal modo, Averroé accoglieva da Aristotele la tesi del primato della vita teoretica.