Katarina

  • Ecco la 60° Edizione del settimanale "Le opportunità di Borsa" dedicato ai consulenti finanziari ed esperti di borsa.

    Questa settimana abbiamo assistito a nuovi record assoluti in Europa e a Wall Street. Il tutto, dopo una ottava che ha visto il susseguirsi di riunioni di banche centrali. Lunedì la Bank of Japan (BoJ) ha alzato i tassi per la prima volta dal 2007, mettendo fine all’era del costo del denaro negativo e al controllo della curva dei rendimenti. Mercoledì la Federal Reserve (Fed) ha confermato i tassi nel range 5,25%-5,50%, mentre i “dots”, le proiezioni dei funzionari sul costo del denaro, indicano sempre tre tagli nel corso del 2024. Il Fomc ha anche discusso in merito ad un possibile rallentamento del ritmo di riduzione del portafoglio titoli. Ieri la Bank of England (BoE) ha lasciato i tassi di interesse invariati al 5,25%. Per continuare a leggere visita il link

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Chi praticò la anatomia reale furono gli artisti. Alcuni di essi rinunciarono al salario per avere a disposizione delle salme dai vescovi (Leonardo, Michelangelo). Soprattutto Leonardo fu un finissimo anatomico. Si fecero numerosissime scoperte che vennero riprodotte fedelmente nei codici che rimasero più o meno segreti, sino a quando un allievo di Leonardo (1600) vendette questi codici ai reali d'Inghilterra, ed oggi costituiscono il codice Windsor. Però questo non influenzò affatto la anatomia. Leonardo, in verità, voleva fare un atlante insieme ad un anatomico, Marco Antonio della Torre, che però morì giovanissimo.

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La più antica traccia dell'anatomia di Leonardo è in un dipinto, il San Gerolamo, degli anni giovanili: collo e spalla rivelano già una certa conoscenza dell'anatomia muscolare. Mentre gli artisti contemporanei, come Michelangelo, si limitano all'anatomia superficiale, Leonardo estende la ricerca alle parti più profonde del corpo. Gli studi dei visceri di un cavallo e del midollo spinale di una rana provano come in questa fase egli ricorra alla dissezione animale. In una serie di disegni analizza le misure interne del cranio. Cerca anche di localizzare le facoltà psichiche all'interno di tre cavità circolari intracerebrali. Influenzato dalla tradizione, immagina i nervi come tubi attraversati da flussi aerei che provocano la contrazione dei muscoli per gonfiamento.

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Studi di Leonardo da Vinci intorno al San Gerolamo.
(Codice Atlantico, 888r)
 
I disegni di anatomia possono darci un’idea della simbiosi tra arte e scienza presente nel lavoro di Leonardo: la ricerca artistica sembra qui fondersi perfettamente con quella scientifica. Essi apparvero, agli inizi del ‘500, come un annuncio di quella riforma dell’anatomia che sarebbe stata propugnata, qualche decennio più tardi, da Andrea Vesalio.

L’interesse per l’anatomia segna gran parte della produzione leonardesca. Sin dai suoi primi lavori egli prende le distanze dall’anatomia artistica rinascimentale, che si limitava allo studio delle ossa e dei muscoli, evidenziando di essi soprattutto ciò che appariva “in superficie”, cioè attraverso la pelle. Per Leonardo, invece, l’anatomia è punto di convergenza di interessi più svariati, dall’idrologia alla statica, dalla dinamica alla psicologia. Lo studio e l’applicazione di queste discipline permette all’artista di indagare ora le proporzioni del corpo, ora l’anatomia di ossa e muscoli, ora l’espressione delle emozioni o il movimento del corpo. Ne risulta una grandissima varietà di disegni, insieme opere d’arte e racconti di indagini scientifiche.

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Leonardo non arriverà mai a stendere un trattato scientifico ortodosso, tuttavia sono indubbie l’acutezza e la novità delle sue osservazioni, unite a una grande originalità nel rappresentarle. Albrecht Dürer, grande pittore tedesco contemporaneo di Leonardo, rimane profondamente colpito dall’originalità e dalla verosimiglianza di queste immagini e si affretta a copiarle con grande cura.


Anche Michelangelo voleva fare un atlante di anatomia insieme a Realdo Colombo, ma anche questo si concluse nel nulla. Accanto allo studio anatomico che era praticato dagli artisti, ci fu chi mise in discussione tutta la teoria ippocratica-galenica: Teofilo Paracelso ( 1493-1541) medico filosofo (con vene di pazzia). è considerato il fondatore della iatrochimica, anche se in realtà era un alchimista, poichè dava importanza agli elementi chimici. Gli elementi chimici che lui considerava alla base dell'universo erano il sale, lo zolfo, il mercurio (qualcosa che tutto sommato si rifaceva alla concezione degli elementi). Praticava l'alchimia: diceva che alla base delle malattie c'è un'alterazione della chimica di questi elementi. Per la prima volta utilizzò l'etere e si accorse che questo aveva capacità anestetiche (questa pratica andò scemando e venne riscoperta in America 300 anni più tardi). Utilizzò anche il Laudano per lenire i dolori e altri composti chimici come l'antimonio. La sua fisiologia rimase piuttosto confusa anche se certamente in opposizione con quella galenica.
 
La religione cattolica non presenta impedimenti contro la dissezione, perchè il corpo è solo un elemento per contenere l'anima, infatti: pulvis eris, pulvis reverteris. Ci furono dei grandi anatomici che iniziarono a praticare l'anatomia da soli, senza l'interposizione del servo chirurgo: ad esempio Berengario da Carpi (1460-1530), Giambattista Canani (1515-1579); ma il grande sviluppo dell'anatomia si ebbe grazie ad Andrea Vesalio (1514-1564) (figlio del farmacista dell'imperatore Carlo V). Dopo aver frequentato università famose, come Parigi, ed aver ricevuto una educazione classica galenica, quando era ancora molto giovane, divenne professore di anatomia a Padova. Pubblicò un opera monumentale nel 1543 "DE HUMANI CORPORIS FABRlCA" in cui descriveva il corpo umano visto in una dissezione operata da lui stesso. La dissezione divenne autopsia nel senso ellenistico, qualcosa che si vedeva con i propri occhi. Si può notare l'orgogliosa affermazione dell'uomo rinascimentale che diceva: le cose le vedo io. Nel frontespizio della sua opera osserviamo l'anatomico (Vesalio stesso) che opera direttamente sul cadavere. Questa tavola è opera del pittore che esegui per Vesalio i disegni che corredano il libro: Giovanni Calcar allievo di Tiziano. Tutti i personaggi raffigurati in quest'opera sono stati identificati: ricordiamo Aristotele, Platone, Francesco I, Carlo V, etc. Nelle tavole di Calcar c'è una raffigurazione molto precisa del corpo umano: in piedi e con paesaggi di fantasia; le tavole non venivano colorate perchè era troppo dispendioso. Vesalio corresse Galeno in 250 punti; non attaccò, tuttavia, la concezione galenica del movimento del sangue anche se lo demolì, dimostrando che non esistevano pori nel cuore, non esisteva il circolo mirabile, ma li si fermò.
 
Nello stesso anno venne pubblicato il "DE REVOLUTIONIBUS ORBIUM CELESTIUM", di Nicolò Copernico, libro che confutava la teoria geocentrica della terra.

Il 1543 è l'anno della storia dell'uomo da ricordare perché vengono confutati due tra i più importanti miti scientifici dell'epoca: la concezione ANTROPOCENTRICA e la concezione GEOCENTRICA.

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Bruno si può considerare un mago della memoria, il suo primo scienziato. Già coltivata dai sofisti (Ippia si vantava di esserne il maestro), la mnemonica è l'arte di utilizzare al meglio la memoria, facendone uno strumento portentoso di "catalogazione".

Già nel "Ad Caium Herennium" (un trattato anonimo dell'82 d.C.), si dimostra come gli eventi che maggiormente ci restano impressi siano quelli ai quali vengono associate forte emozioni, o comunque particolari stati emotivi.

E per questo che la mente non ricorda magari gli avvenimenti ordinari come la cena o il pranzo del giorno prima, ma può tenere in sé il ricordo di eventi legati all'infanzia.


Una delle tecniche più usate per aumentare le capacità della memoria sono le immagini mnemoniche, disegni fortemente surreali per via dell'esigenza di creare figure che abbiano in sé tutti gli elementi che permettono di ricordarci qualcosa (ad esempio, per ricordarci del nome, di pura invenzione, Alba Forestieri, l'immagine da associare potrebbe essere un sole che sorge su una foresta, e questo è uno dei casi più semplici).
 
AVERROE'
(Cordova, Spagna, 1126 - Marocco, 1198)

L'intento dichiarato del pensiero di Averroè è quello di chiarire il significato autentico della filosofia di Aristotele, che per lui è il termine ultimo del pensiero umano.
Averroè non concepisce la filosofia in antagonismo con la religione; d'altra parte, però, la religione del filosofo non può essere quella del volgo. La religione popolare deve seguire una via semplice e narrativa che illumini e diriga l'azione; alla filosofia spetta invece il mondo della speculazione. Non gli si può quindi attribuire la dottrina della doppia verità che gli scolastici latini ritennero un caposaldo del suo sistema. Non c'è per lui una verità religiosa accanto ad una verità filosofica. La verità è una sola: il filosofo la cerca attraverso la dimostrazione necessaria, il credente la riceve dal Corano nella forma semplice e narrativa, che è adatta alla maggioranza degli uomini. Ma non c'è contrasto tra le due vie, né dualismo nella verità. La dottrina che gli scolastici latini ritennero tipica dell'averroismo è quella dell'intelletto. Per Averroè l'intelletto potenziale o materiale o ilico non è l'anima razionale umana (come invece sostenevano i filosofi arabi da al-Kindi a Ibn Tofail). L'intelletto speculativo o acquisito può invece essere detto da un lato unico e dall'altro molteplice; da un lato eterno, dall'altro generabile e corruttibile. In sé è unico ed eterno; come disposizione o preparazione dell'anima è molteplice e soggetto a nascita e morte. Da questa dottrina scaturisce una serie di conseguenze paradossali che attirarono la vivace polemica della scolastica latina. In primo luogo, l'intelletto materiale è unico in tutti gli uomini perché è la disposizione comunicata alle loro anime dall'Intelletto agente. Su questa natura dell'intelletto si fonda il destino ultimo dell'uomo. Averroè riprende in pieno la dottrina aristotelica della superiorità della vita teoretica per l'uomo. La scienza è l'unica via della beatitudine umana: una beatitudine che si raggiunge in questa vita, mediante la pura ricerca speculativa, giacché non c'è una continuazione della vita umana al di là della morte.

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Sul problema dell'intelletto e sulle questioni connesse, compresa quella dell'immortalità dell'anima, Averroè è in contrasto con i suoi precedessori e specialmente con Avicenna, il quale identificava l'intelletto materiale con l'umano e riteneva l'immortalità propria della natura e del destino dell'anima umana. Ma per ciò che riguarda il rapporto tra Dio e il mondo, Averroè è d'accordo con Avicenna sulla necessità dell'essere. La creazione è intesa da Averroè come dipendenza causale dall'essere necessario, non quindi l'inizio nel tempo, ed inoltre non ha nulla a che fare col concetto di creazione della Bibbia e del Corano. L'azione di Dio non è paragonabile a quella dell'uomo: egli regge il mondo con la sua scienza ma la scienza di Dio non ha nulla a che fare con quella umana. La sua scienza non riguarda le cose particolari, e così pure non le regge né le governa con la sua provvidenza. Dio regge il mondo secondo un ordine necessario e infallibile, ma ciò che è puramente individuale o casuale sfugge alla provvidenza come alla scienza di Dio. La stessa volontà umana è determinata: la volontà è per suo conto un agente libero, ma esplica la sua azione nel mondo che è regolato dall'ordine necessario ed eterno di Dio. Perciò il Corano parla di una infallibile predestinazione dell'uomo.
 
Il più importante studioso di Aristotele nel mondo arabo fu ibn Rushd, noto come Averroè ( 1126-1198 ). Nato a Cordova da una famiglia di giuristi , Averroè godette della protezione dei califfi della nuova dinastia degli Almohadi, che aveva sconfitto e sostituito quella degli Almoravidi. Averroè divenne medico del califfo Abu Yaqub Yusuf e fu nominato giudice a Siviglia e poi a Cordova; il califfo stesso gli diede il compito di commentare le opere di Aristotele. La sua situazione favorevole non mutò nei primi anni di regno del nuovo califfo al-Mansur, successo al padre nel 1184, ma verso il 1194 Averroè dovette subire un processo e varie sue opere furono distrutte. Per questa ragione, una parte di esse é sopravvissuta solo in versioni ebraiche e latine. Esiliato nei pressi di Cordoba , Averroè concluse la sua vita a Marrakesh in Marocco. Averroè diventerà noto presso i latini soprattutto come commentatore di Aristotele. Dante stesso nell' Inferno (IV, 144) lo definisce come colui "che ' l gran comento feo" . I suoi commenti sono di tre tipi : 1) commenti brevi , consistenti in sommari, parafrasi ed estratti di passi dalle opere commentate; 2) commenti medi e, infine, 3) commenti grandi, di maggiore estensione e complessità. Sono stati conservati tra gli altri i commenti medi alle "Categorie" , alla "Retorica", alla "Poetica", alla "Fisica", al "De caelo" e a "Generazione e corruzione", oltre ai commenti grandi al "De anima" e alla "Metafisica" di Aristotele; Averroè scrive anche un "Commento alla Repubblica" di Platone e uno all' "Isagoge" di Porfirio. Ma il filosofo per eccellenza rimane ai suoi occhi Aristotele: egli mira a comprenderne il pensiero autentico, convinto che le verità acquisite per via filosofica non siano in contrasto con la rivelazione del Corano, che é infallibile .

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Erroneamente nell'Occidente latino sarà attribuita ad Averroè la cosiddetta dottrina della doppia verità, secondo la quale la verità a cui si può pervenire con la ragione per via puramente filosofica é diversa e talora contrastante con la verità di fede: come a dire, la ragione mi porterebbe a dire certe cose (per esempio che l’anima non è immortale), ma la fede mi fa dire l’opposto. In realtà, per Averroè, la verità é una, non c'é maggior verità nella filosofia rispetto alla religione o viceversa; piuttosto , la filosofia deve essere riconosciuta come legittima anche dal credente, in quanto non contrasta, bensì conferma la rivelazione. Questa tesi é argomentata da Averroè in un'opera, composta fra il 1177 e il 1180, intitolata "Libro della distinzione del discorso e della determinazione della conoscenza tra legge religiosa e filosofia" . La verità é una, ma molteplici sono i gradi e i modi in cui si accede ad essa. A tale proposito Averroè riprende da Aristotele la distinzione tra tre tipi di argomentazione : a) dimostrativa o scientifica, che parte da premesse vere; b) dialettica, che parte da premesse condivise dai più o dai più autorevoli; c) retorica , che parte da premesse che paiono persuasive all'auditorio. Esse rappresentano tre vie attraverso le quali ci si accosta alla verità: quella dimostrativa é propria del filosofo, quella dialettica lo é del teologo e quella retorica é appropriata ai più, inclini ad immaginarsi in maniera antropomorfa la divinità. I tre livelli e modi di comprensione della verità corrispondono a tre livelli di una gerarchia tra uomini, ma tutti i modi pervengono a riconoscere - anche se per vie diverse - che Dio esiste ed é uno e ha creato il mondo, di cui si prende cura provvidenzialmente; che Maometto é il suo profeta; che dopo la morte l'uomo sarà giudicato da Dio e destinato all'Inferno o al Paradiso e che avverrà la resurrezione finale . E' una concezione aristocratica della verità: i migliori, ossia i filosofi, raggiungeranno una verità di più alto livello – guidati dalla sola ragione - , mentre i peggiori (gli uomini comuni) raggiungeranno attraverso la religione una verità meno elevata, quasi divulgativa. La fede, tuttavia, é necessaria e obbligatoria per tutti, anche per i filosofi, secondo Averroè; ma, per questi ultimi, é anche lecita la ricerca razionale, che perviene a conclusioni cogenti. Il problema é non commettere l'errore dei teologi, che, divulgando i punti oscuri e segreti dell'interpretazione del testo sacro anche a quanti non sono in grado di comprenderli, fanno nascere le eresie. La stessa cosa avverrebbe se la filosofia mettesse in mano ai più, incapaci di usarli propriamente, i propri strumenti argomentativi: ogni tipo di discorso deve quindi essere adeguato ai propri destinatari. La filosofia , in particolare , deve indirizzare le proprie dimostrazioni solo a quanti sono in grado di seguirle e con ciò Averroè ribadisce la propria concezione elitaria del sapere filosofico. Il filosofo, che si comporta seguendo queste indicazioni, tributa a Dio il culto migliore, che consiste nel conoscere le sue opere e, attraverso di esse, Dio stesso: in tal modo, Averroé accoglieva da Aristotele la tesi del primato della vita teoretica.
 
Claudio Galeno è stato, insieme ad Ippocrate, il più celebre medico del mondo antico. Nato nel 129 d.C. a Pergamo (Asia Minore), studiò ad Alessandria, per poi far ritorno nella città d'origine, dove cominciò ad esercitare la professione. Successivamente si trasferì a Roma, come medico alla corte di Marco Aurelio e dei suoi successori. Fondatore della fisiologia sperimentale e della medicina sistematica, sino al Rinascimento ebbe considerazione pari a quella di Aristotele in filosofia. Nelle malattie, a differenza di Ippocrate, valorizzò la perturbazione locale, cioé quella dei singoli organi. A Galeno vengono attribuiti oltre quattrocento scritti suddivisibili in sette gruppi: anatomia, patologia, terapia, diagnostica e prognostica, commentari agli scritti ippocratici, filosofia e grammatica. A noi ne sono pervenuti 108. Il più noto è il Methodus medendi, che riassume il metodo galenico e per lungo tempo costituì il testo fondamentale dell'insegnamento medico. Morì a Roma nel 199.

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Studiò a Pergamo, Smirne ed Alessandria assimilando la cultura aristotelica ed esercitò a Pergamo e a Roma dove fu medico personale di Marco Aurelio: con Ippocrate fu il più grande medico dell'antichità. Scrisse quattrocento opere da lui suddivise in anatomia, patologia, terapia, diagnostica, prognostica, commentari ippocratici, filosofia, grammatica, ma solo un centinaio ci sono pervenute e talora frammentarie; fra i più noti il "Methodus medendi". Fondatore della medicina sistematica e della fisiologia, accettato e riconosciuto dai Padri della Chiesa, fu l'autore fondamentale di tutto l'insegnamento medico a tutto il Rinascimento. L'importanza di Galeno, che pure si rifà alla teoria ippocratica dell'essenza vitale presente nel corpo umano, risiede nell'affermazione di un metodo sperimentale per la medicina. Sono fondamentali i suoi studi di osteologia, di miologia ed i neurologia: osservò la secrezione dell'urina da parte dei reni e la paralisi in seguito a resezione dei nervi spinali.
 
L'arte gotica si manifesta verso al metà del XII secolo e continua fino al XIV e nasce nell'Il-de-France per poi svilupparsi nel resto d'Europa, fino ad arrivare in Italia.
Il trecento in Italia è uno dei periodi più stimolanti per lo sviluppo artistico. Grossi fermenti politici e culturali percorrono la penisola, é infatti in questo periodo che nascono le organizzazioni delle arti e dei mestieri, la borghesia comincia a farsi strada come classe sociale attiva, sorgono i primi comuni liberi che si avviano a diventare signorie.
Il termine gotico venne applicato all'arte di questo periodo per designare le manifestazioni artistiche avvenute dopo la fine dell'arte antica e aveva il significato di barbarico. Questa accezione negativa durò fino alla fine del XVIII secolo.
 
La denominazione di " Arte gotica" risulta essere stata usata da parte di Raffaello nei primi anni del 1500, quale termine di disprezzo, sinonimo di barbaro, in contrasto con l'Arte antica, per la quale il grande artista mostrava ammirazione senza limiti.

Il termine è di natura vaga e imprecisa e non fu mai inteso come termine specificamente descrittivo, anche se nel periodo post rinascimentale la definizione rimase ad indicare I'Arte medioevale nel suo insieme.

Per molto tempo si è considerate I'Arte gotica inventata dai Goti e da questi importata in Francia, ma la attuazione del nuovo sistema di costruzione, con il coro e le due campane della navata anteriore, realizzato per la prima volta nella Basilica di SaintDenis (Il27-Il40). prova che dovrebbe parlarsi di "stile francese' o "stile ogivale".
 
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La basica vene edificata nel 1122 sulla tomba di San Dionigi, il cui santuario risale al Vsecolo. Secondo la leggenda il santo decapitato cammino, portando la sua testa, fino al luogo di cui desiderava essere sepolto. Con Luigi VI la basilica è consacrata necropoli reale, destinata ad accogliere tutti i re di Francia in una cripta le cui statue, dette "gisant", costituiscono un museo d'arte funebre unico al mondo. Durante la rivoluzione venne saccheggiata, le tombe reali furono profanate e le ceneri disperse. Anche il Tesoro, una parte del quale si trova oggi al Louvre e alla Bibliothèque Nationale, venne depredato. La basilica di Saint-denis, ora restaurata, è considerata come il primo esempio di arte gotica in Francia
 
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