la biblioteca ideale

Scarse sono le notizie sull’uomo che rivoluzionò il mondo della comunicazione, della cultura, della parola. Nato sul finire del Trecento in una famiglia di orefici di Magonza, allora importante centro commerciale della Germania, vissuto in solitudine e povertà e morto a Magonza nel 1468, Johannes Gutenberg dedicò gran parte della sua vita agli studi e alle ricerche, alla fabbricazione di quei caratteri mobili che per più di mezzo millennio, ossia fino all’avvento del computer, hanno permesso di inondare il mondo di masse di libri, giornali, manifesti, opuscoli e così via. L’aspetto rivoluzionario della sua invenzione fu proprio questo: i caratteri mobili, messi l’uno accanto all’altro, permettevano di comporre manualmente parole, frasi, pagine di interi libri, che poi, coperti da inchiostro grasso e pressati sotto un torchio non molto differente da quello usato per spremere l’uva o le olive, venivano riportati sulla carta, nitidamente impressa in caratteri per lo più gotici. Questo procedimento, pur laborioso nella fase della composizione, permetteva di stampare decine, perfino centinaia di copie, rendendo di colpo inutile il lavoro degli amanuensi, i quali infatti in qualche caso si organizzarono per boicottare l’invenzione del tipografo tedesco. Una protesta comprensibile: da diversi secoli i pochi libri in circolazione erano testi classici (latini e greci, ma anche la Divina Commedia di Dante) e religiosi che i monaci copiavano con elaborati caratteri, arricchendo le pagine di preziose miniature. L’invenzione di Gutenberg era un tornado che buttava all’aria un intero mondo, sconvolgeva ritmi, concetti esistenziali, sicurezze acquisite. La Bibbia fu anche il primo libro uscito dai torchi di Gutenberg nel 1455: fu detta la «Bibbia delle 42 linee», perché ogni pagina aveva appunto 42 righe, scese in altre edizioni a 36. Il primo passo era stato compiuto, anche se per Gutenberg coincise con una serie di difficoltà finanziarie. Johann Fust, suo concittadino, gli andò incontro sostenendo i costi necessari per l’acquisto di attrezzature, carta, inchiostro e per il pagamento dei salari dei lavoranti. Furono così stampate dalle 160 alle 180 copie, per un complesso di tre milioni e 35.000 lettere in circa trecento caratteri differenti. Le vendite, però, non furono sufficienti a coprire i costi. Seguì l’inevitabile rottura tra Gutenberg e Fust (il quale si associò subito con Peter Schoffer di Gensheim per stampare il Salterio di Magonza e altri libri di qualità), che segnò l’inizio della diffusione della stampa: alcuni lavoranti di Gutenberg, infatti, andarono ad aprire tipografie in altri centri della regione. Nel 1460 Johann Neumeister abbandonò Gutenberg, ormai vecchio, e partì per l’Italia. Lavorò prima a Roma e poi a Foligno, dove nel 1470 stampò la prima edizione delle opere di Dante (ma dove sconterà anche una condanna per debiti). Ormai gli artigiani tedeschi si sono impadroniti di tutti i segreti dell’arte tipografica e la diffondono nel resto dell’Europa, da Venezia (che diventa uno dei più importanti centri tipografici) a Parigi, dalla Spagna a Cracovia; ma non a Firenze, dove i Medici continuano a preferire il libro manoscritto. Dopo la scoperta dell’America, la stampa è ormai una realtà: a Venezia, Aldo Manuzio, professore, latinista ed ellenista, fonda la sua officina tipografica per pubblicare soprattutto classici greci, usando un carattere particolare - il corsivo italico - che ricorda la grafia dei manoscritti umanisti. Qualche anno dopo, nel 1517 a Wittenberg, Martin Lutero stampa le 95 tesi che segneranno la rottura con il Papa di Roma. La stampa è per il riformatore un aiuto prezioso per diffondere in migliaia di copie i suoi scritti e le varie edizioni della Bibbia. Quella della stampa con caratteri mobili è stata definita "una rivoluzione inavvertita" perché è avvenuta a piccoli passi, entrando un poco per volta nelle strutture della società, dove ha portato una grande diffusione di idee, favorendo spesso la formazione di nuove correnti di pensiero, dando corpo a speranze o utopie rivoluzionarie, offrendo - per esempio attraverso il giornale quotidiano - un’informazione sempre più precisa e capillare.
 
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Lutero incominciò ad essere conosciuto al di fuori della propria città quando, in seguito al racconto degli abitanti di Wittemberg, della vendita delle indulgenze nel 1517 bandita dal domenicano Tetzel per conto di Alberto di Brandeburgo, che per essere eletto Arcivescovo di Magonza aveva bisogno di una grossa somma da versare al Pontefice. Ad irritare Lutero fu il concetto di penitenza che la Chiesa Romana imponeva ad ognuno dei suoi confronti; un concetto che criticò e condannò con le 95 tesi che affisse sulla porta della Chiesa di Wittemberg. Grazie al nuovo potere della stampa la "tesi sulle indulgenze" di Lutero si diffuse con incredibile rapidità: tra il 1517 e il 1520 saranno vendute circa trecentomila copie.
 
Il controllo sulla stampa fu uno dei principali strumenti di cui si servì la Chiesa cattolica nella sua lotta contro l’eresia. Mettere una censura sui testi che minacciavano il dogma o la dubbia moralità, oppure che criticavano alcuni aspetti della vita del clero fu infatti un provvedimento, affiancato all’Inquisizione, per impedire e controllare la circolazione di idee.
L’avvento della stampa a caratteri mobili (avvenuta verso la metà del XV secolo) e la Riforma Protestante trasformarono il libro in un potenziale pericolo e spinsero la Chiesa ad elaborare in pochi anni un imponente e articolato apparato di controllo.

Fin verso la metà del XVI secolo il tentativo di bloccare la diffusione di testi ereticali, come le “95 tesi”di Lutero, procedette disordinatamente, ma questa situazione cambiò radicalmente con l’istituzione dell’Inquisizione Romana da parte di Papa Paolo III, nel luglio del 1542 che diede il via alle persecuzioni contro l’eresia e il suo veicolo fondamentale, il libro.

Non solo la Chiesa ma anche i sovrani istituirono, nei vari paesi europei, strutture preposte alla vigilanza sulla stampa.
 
Nel 1549 i Veneziani pubblicarono il primo Indice dei libri e degli autori proibiti, subito ritirato a causa delle reticenze dei librai della Serenissima, che costituivano quasi un piccolo impero commerciale.
Tra il 1553 e il 1555 venne diffuso un Indice da Roma a Firenze e a Venezia, ma fu nuovamente ritirato dall’Inquisizione veneziana.
Nel 1559 il papa Paolo IV indisse l’Indice Paolino, un vasto documento, suddiviso in tre sezioni (autori proibiti, autori di cui venivano condannate le singole opere, scritti anonimi) che bandiva ben 533 autori (sebbene alcuni fossero ripetuti due o più volte, a causa degli pseudonimi che utilizzavano per scrivere diverse opere).



Un nuovo Indice, più selettivo, redatto secondo le indicazioni del Concilio di Trento e detto appunto Indice Tridentino, venne emanato dal pontefice nel 1564.

Questo doveva essere la base e il modello per ogni altro Indice che sarebbe stato pubblicato negli anni a venire, e la fine per le “Stampe Libere” in ogni parte del mondo cattolico.

Nel 1596 fu emanato l’Indice Clementino che rappresentò il culmine dell’attività repressiva della Chiesa di Roma, in quanto l’intervento censorio non si limitò al campo religioso e dogmatico ma si estese ad argomenti di carattere letterario, scientifico e filosofico, in una sorta di prospettiva di irrigidimento dottrinario che pesò a lungo sulla cultura italiana e che continuò fino alla Rivoluzione Francese.

LA PROCEDURA

La Congregazione dell’Indice, istituita nel 1571 da Pio V, stabilì quali fossero i criteri con cui fermare la libera produzione di opere:

1) la Congregazione esamina, studia e decide se i testi in questione sono eretici o meno, e se questi devono essere ammessi o tolti dall’Indice;

2) la lista dei libri proibiti veniva mandata ai singoli inquisitori locali attraverso i mezzi d’informazione del Vaticano;

3) l’inquisitore a sua volta rendeva nota la lista a tutti i librai sotto la giurisdizione, segnalando i libri che non dovevano essere né venduti né stampati.
 
Inaugurata ufficialmente la biblioteca più grande della Terra, quella di Alessandria d'Egitto (che potrà contenere fino ad 8 milioni di volumi, disposta su 11 piani per una superficie totale di 85.000 mq e con una sala di lettura di 25.000 mq), eretta proprio sulle fondamenta dell'altra mitica biblioteca, costruita tre secoli prima di Cristo.
La biblioteca di Alessandria d'Egitto possedeva settecentomila volumi, che toccavano ogni branca del Sapere umano. Attorno ad essa, all'adiacente anfiteatro di anatomia e all'osservatorio astronomico, i più grandi uomini che fino allora il genere umano avesse prodotto, studiavano filosofia, geografia, meteorologia, anatomia, geometria, astronomia, in piena libertà. Alessandro Magno - il cui precettore era stato Aristotele - con le sue campagne militari era riuscito a diffondere la lingua, la cultura ed il sapere dei Greci per l'intera Asia Minore e la Mesopotamia, sino in Oriente.
Era nato il Sapere, la Conoscenza, la libera speculazione filosofica: Ari-stotele, Platone, Ippocrate etc. dissero: Basta con i miti, basta con le su-perstizioni. Cerchiamo di spiegarci i fenomeni della natura con il bene più prezioso che abbiamo: l'intelletto, la Ragione. L'acqua, il fuoco, la terra, l'aria, il nostro corpo, le malattie: proviamo a scoprire i segreti di madre natura con lo studio, con l'indagine.
Ma due eventi bloccarono il cammino della Conoscenza intrapreso dalla cultura ellenistica: Roma prima, e di seguito il Cristianesimo.
E pensare che sarebbe bastato che i filosofi e gli scienziati che operavano attorno alla Biblioteca e al Museo di Alessandria d'Egitto avessero potuto continuare la loro opera di studio e d'indagine... ed il mondo non avrebbe perso 1500 anni. Basti pensare che Eratostene, nel 244 a.C., aveva calcolato la circonferenza terrestre commettendo un errore di soli 70 km... su un totale di 40.000.
Nel 47 a.C. le legioni di Giulio Cesare entrarono in Alessandria d'Egitto e diedero fuoco alla Biblioteca. Un terzo dei 700.000 volumi andò distrutto. Nel 392 d.C. i cristiani bruciarono i restanti due terzi. Rimaneva come unica depositaria della scienza dei Greci una donna pagana, Ipazia, filosofa, scienziata, astronoma. Rifiutò di convertirsi al cristianesimo. Dietro ordine del vescovo e patriarca Cirillo (San Cirillo, dottore della Chiesa) venne fatta a pezzi e bruciata in un letamaio. Era il 415 d.C.
Con il martirio di Ipazia, venne distrutta non solo una delle menti più ge-niali della storia dell'umanità, ma una delle più esemplari comunità scientifiche di ogni epoca. Occorre attendere oltre 1200 anni prima che menti coraggiose tornino a puntare lo sguardo in cielo e studiare astro-nomia (Galileo Galilei e Giordano Bruno: il primo imprigionato per aver professato la teoria eliocentrica per prima studiata da Aristarco di Samo, il secondo bruciato vivo dalla Chiesa di Roma il 17 febbraio dell'anno Santo 1600 per aver teorizzato universi infiniti).
Dopo che l'ebbero trucidata, nessuno ebbe il coraggio di proclamarsi al-lievo di Ipazia, nessun filosofo - che l'aveva acclamata quand'era sua maestra - ebbe la forza di proclamarsi suo erede. L'allievo prediletto Si-nesio di Cirene - che l'aveva chiamata benefattrice, madre, sorella e maestra - tradì il suo insegnamento, si convertì e divenne vescovo di Tolemaide ed alleato fedele del patriarca Cirillo.
Dei tredici volumi di Ipazia di commento all'aritmetica di Diofanto (il padre dell'algebra), degli otto volumi sulle Coniche di Apollonio (spiegazione delle orbite dei pianeti), del trattato su Euclide e su Tolomeo, del Corpus Astronomico - raccolta di tavole sui corpi celesti, dei testi di meccanica e tecnologia, degli strumenti scientifici che aveva realizzato (astrolabio piatto, planisfero e idroscopio)... di tutta la sua immensa opera scientifica, il vescovo e patriarca Cirillo si adoperò affinché venisse distrutto tutto, per cancellare persino il ricordo dell'astronoma e matematica di Alessandria d'Egitto.
Quel poco che si salvò, venne saccheggiato dai crociati nella biblioteca di Costantinopoli ed oggi è conservato a Roma, nella Biblioteca Vaticana.
L'Europa divenne cristiana: il Sapere e la Scienza vennero messi al bando.
Le tenebre caddero sul cammino della Conoscenza per oltre un millennio.
Sopra le ceneri della più grande biblioteca dell'antichità, proprio là dove venne sacrificata Ipazia, astro incontaminato della sapiente cultura, martire e profeta della Ragione, il 16 ottobre 2002 potremo osservare sulle mura esterne di granito della nuova biblioteca di Alessandria d'Egitto le incisioni dei 4 mila caratteri che rappresentano tutti gli alfabeti del mondo.
È tornato in vita il sogno di Alessandro Magno, dei Tolomei, di Aristarco, di Euclide, Archimede, Ipazia: oggi come duemila anni fa, questo edificio si erge come unica ultima speranza del genere umano che sembra abbia perso il suo bene più prezioso: l'uso della Ragione.
 
La Biblioteca di Alessandria fu costruita all'inizio del III sec. a. C. e fu voluta da Tolomeo I. Tolomeo I, dopo anni di guerre sanguinose, era riuscito a farsi proclamare Re d'Egitto, fondando la Dinastia Tolemaica che durò circa 300 anni. Fino alla morte di Cleopatra VII nel 31 a.C., anno in cui l'Egitto divenne una provincia romana. Tolomeo I (conosciuto anche con il nome di Sotere="il preservatore") fu un uomo di lettere, imbevuto di cultura greca, appassionato di Aristotele.

Cercò sempre di amministrare il suo regno quasi fosse un'impresa, trasformando ben presto la capitale, Alessandria, in uno dei centri culturali, commerciali ed economici più importanti. Pensate che il commercio marittimo si sviluppò a tal punto da costringere Tolomeo a far costruire sull'isola di Faro un enorme faro (una delle sette meraviglie del mondo), affinché le numerosissime navi presenti nel porto non cozzassero l'una contro l'altra. Grande ammiratore di Alessandro Magno, tanto da arrivare a rapirne la salma e fargli costruire una maestosa tomba in Egitto, fu lui stesso storiografo, non solo dell'eroe macedone, ma pure delle proprie imprese. E fu proprio questo suo amore sconfinato nei confronti della storia a spingerlo a fondare, ad Alessandria, la biblioteca più grande di tutto il mondo antico. Un luogo che doveva conservare la summa del sapere scritto, che doveva essere messo a disposizione degli studiosi.

Per poter raccogliere più materiale possibile, Tolomeo sguinzagliò in giro per il mondo d'allora (area del Mediterraneo e Medio Oriente, soprattutto) centinaia di "inviati speciali" con il compito specifico di acquistare o copiare tutto ciò che capitava loro sottomano e che ritenevano interessante. Anche alle navi straniere che attraccavano nel porto di Alessandria veniva richiesto di mettere a disposizione eventuali biblioteche personali. Da riprodurre e restituire, ovviamente. L'edificio era composto dalla biblioteca in senso stretto che arrivò, con questa politica, a contenere un mezzo milione di rotoli di papiro o tavolette di cera, e da un museo (=tempio delle muse).

Progettato da Demetrio Falerio, un discepolo di Aristotele, su modello ateniese, custodiva le edizioni critiche ai testi stessi e, sotto i Tolomei, divenne una vera e propria università. Studiosi e studenti accorrevano da tutto il mondo conosciuto per insegnarvi o per seguire le lezioni. Tra gli illustri frequentatori della biblioteca: Euclide, il padre della geometria, Aristarco di Samo e Ipparco di Nicea, tra i più grandi astronomi dell'antichità, e tanti altri ancora. L'amministratore della biblioteca era un sacerdote nominato dal sovrano. I poeti ellenistici più famosi dell'epoca, da Callimaco ad Apollonio Rodio, combatterono battaglie all'ultimo respiro per essere nominati bibliotecari. Si dice che all'epoca di Cleopatra i volumi conservati nella biblioteca fossero più di settecentomila, collocati in nicchie nel muro, e contenessero tutto il sapere della grecità, da Omero in poi. L'esempio del padre fu seguito dal figlio Tolomeo II. Sotto il suo governo, Alessandria si confermò come il più importante centro letterario, matematico e scientifico dell'antico mondo occidentale e mediorientale. Una nuova Atene in Egitto!
 
La Biblioteca di Alessandria fu distrutta definitivamente - si ritiene - nel V secolo d. C. Anche se non poche furono le "angherie" che dovette sopportare nei secoli precedenti! Nel 48 a. C., per esempio, quando Giulio Cesare, a conclusione delle guerre alessandrine, diede fuoco alla flotta egiziana di Cleopatra. Le fiamme si propagarono dal porto fino agli edifici vicini, fra i quali la biblioteca. Ops, quattrocento opere in fumo. Fu Cleopatra a far costruire un nuovo centro di cultura sulla collina di Rhakotis. Una sorta di biblioteca "figlia", ricordo di quella che era andata distrutta. Un luogo immenso, di cui ancora oggi si possono scorgere resti di affreschi.

Per 400 anni la nuova biblioteca fu la meta di studiosi provenienti da ogni dove. Fino al tramonto del mondo classico, con l'affermarsi del cristianesimo. Alcuni affermano che furono fanatici islamici a radere al suolo la Biblioteca, nel IV secolo. La maggior parte degli studiosi, però, attribuisce la scomparsa definitiva della Biblioteca al patriarca d'Alessandria (ormai cristiana) Teofilo. Nel 391 d. C., - o nel 412 d. C.? - avrebbe guidato di persona una folla di fanatici nella distruzione totale della Biblioteca, simbolo - per i cristiani - del mondo e del sapere pagano. Circa 500mila opere finirono in fumo. Ovvero un numero di rotoli di papiro equivalenti a 100mila libri della nostra epoca. Un piano ben congegnato, quindi, per cancellare definitivamente alcuni testi che a molti, all'epoca, facevano paura per i propri contenuti. Libri di sacerdoti di religioni orientali che raccontavano i segreti e le origini del sapere umano, di asceti conoscitori - si pensava - di formule di alta magia. E ancora volumi di scienze all'avanguardia, di alchimia. Forse la leggenda, nel corso dei secoli, si é sovrapposta alla realtà, ma sono in molti ad essere convinti che, se la biblioteca non fosse stata distrutta, sarebbe giunta fino a noi non solo la conoscenza di egiziani, greci e romani, ma anche di popoli sconosciuti, di cui oggi si sa pochissimo.
 
Alessandria era destinata a diventare la capitale dell'Egitto sottraendo tale primato alla città di Menfi, cosa che avvenne all'epoca della dinastia dei Tolomei, con Tolomeo I. Fu proprio questo sovrano, grande cultore delle arti letterarie, a concepire l'idea di un luogo che avesse come funzione principale la conservazione dei sapere scritto. Egli inoltre capì l'importanza di mettere a disposizione dei dotti tale sapere e di tramandarlo ai posteri.

Per far questo si avvalse della collaborazione di un illustre letterato dell'epoca, ex governatore di Atene, il greco Demetrio Falereo, con il quale diede vita a due istituzioni fondamentali per la vita culturale dei mille anni successivi: il museo e la biblioteca di Alessandria.

Prima di allora la struttura di una biblioteca era molto diversa da quella che ci immaginiamo. La conservazione del sapere era infatti affidata per lo più a privati o ad istituzioni sacrali come i templi che possedevano pochissimi testi, di solito solo gli originali, ivi depositati dagli stessi autori. In quel tempi, infatti, la diffusione dei testi scritti era molto limitata a causa dei costi proibitivi dei materiali di supporto, che fossero tavolette di cera, pergamene o fogli di papiro. Quest'ultimo, introdotto dal VI sec. a.C., rappresentava una rivoluzione tecnologica, ma era ancora ben lungi dall'essere utilizzato in larga misura.

Fu Aristotele il primo a concepire l'idea della raccolta di testi come tutela del sapere. Egli tramandò la sua opera e il suo patrimonio librario al propri allievi, tra cui Teofrasto, amico di Demetrio Falereo. E fu proprio Demetrio Falereo ad introdurre in Egitto la biblioteca di tipo aristotelico, fondata sulla raccolta sistematica di testi messi a disposizione di un pubblico più vasto.
 
Biblioteca e museo vennero costruiti molto vicini l'uno all'altro ed erano reciprocamente complementari. I testi venivano raccolti nella biblioteca, mentre nel museo erano redatte le edizioni critiche dei testi stessi; e i dotti che visitavano uno dei luoghi non potevano astenersi dal visitare anche l'altro. I volumi raccolti erano centinaia di migliaia (all'epoca di Cleopatra più di settecentomila!) e il fatto che di ciascuna opera esistessero più copie non toglie nulla all'imponenza e all'organizzazione di quell'enorme apparato di conservazione.

La biblioteca divenne un vero e proprio laboratorio di filologia; lo scopo iniziale era quello di raccogliere unicamente testi scritti in greco, ma poi la collezione aumentò e ,si arricchì di opere di ogni genere che venivano acquistate a spese del sovrano o accuratamente ricopiate, qualora fosse impossibile entrare in possesso degli originali. Tutto ciò richiedeva naturalmente molto spazio e difatti la biblioteca era formata da dieci enormi sale e da parecchie dependances riservate agli studiosi. Nelle sale colme di scaffali erano conservati rotoli di papiro, tavolette di cera e pergamene, ovvero libri la cui forma differiva notevolmente da quella odierna che, lo ricordiamo, fu introdotta nell'era cristiana con l'avvento dei "codici" e che da allora rimarrà sostanzialmente invariata.

Punto di riferimento obbligato per la cultura dei tempo, nel corso degli anni la biblioteca venne frequentata da illustri personaggi tra cui citiamo Euclide, padre della geometria; Apelle, il famoso pittore; Aristarco di Samo e Ipparco di Nicea, ossia i più grandi astronomi dell'antichità, l'uno anticipatore della teoria eliocentrica, l'altro scopritore della precessione degli equinozí; e ancora il grammatico Aristarco di Samotracia; Erone di Alessandria, il più grande ingegnere dell'antichità, e molti altri ancora.
 
L'attività dell’Istituzione costituì un motivo di orgoglio per tutto l'Egitto tolemaico ed ebbe termine solo con la definitiva distruzione materiale della biblioteca, avvenuta all'incirca un migliaio di anni dopo la sua fondazione. E ben vero che prima di allora l'immensa raccolta di libri era già stata minacciata più volte e da più parti nel corso di incursioni o guerre di conquista. Nel 47 a.C., durante la guerra di Alessandria, i romani capeggiati da Giulio Cesare incendiarono una sezione della biblioteca; alcuni studiosi dicono che si trattò di un caso fortuito, altri invece sostengono che fu un'azione volta a danneggiare il patrimonio culturale alessandrino: fatto sta che oltre quarantamila rotoli andarono in fumo. Ben più imponente fu l'incendio provocato nei III sec. d.C. dalle truppe della regina Zenobia, sovrana dei piccolo regno di Paimyra: anche questo, però, non arrivò a distruggere completamente la biblioteca. E, nonostante tutto, non vi riuscì neanche l'imperatore Diocleziano, che nel 295 d.C. per sedare una rivolta scoppiata nella città egizia mise a ferro e fuoco la città.

Prima che cali definitivamente il sipario sulla grande biblioteca dovranno passare ancora diversi secoli, durante i quali l'Egitto passerà di mano in mano, dai Romani ai Persiani e da questi nel VII sec. d. C. agli Arabi. Se da una parte l'invasione araba tolse molte delle vessazioni imposte dai precedenti dominatori, soprattutto i Romani, dall'altra costrinse l'Egitto a scontrarsi con l'intransigenza religiosa dei mondo musulmano. Infatti dopo un lungo assedio da parte delle truppe dei generale Amr Ibn-el-as, agli ordini dei califfo di Baghdad, Omar 1, la città di Alessandria cadde in mano all'invasore nel 646 d.C. Il generale Amr chiese al suo sovrano quale dovesse essere il destino dei libri contenuti nella biblioteca, e Omar 1 rispose di seguire il seguente criterio: "Se i libri non riportano quanto è scritto nel Corano allora vanno distrutti, poiché non dicono il vero. Se i libri riportano quanto scritto nel Corano vanno distrutti ugualmente perché sono inutili".

Il destino della biblioteca era segnato da questo ragionamento che non lasciava via di scampo e che condannava il patrimonio culturale pazientemente raccolto nel corso di secoli a un rogo purificatore.

Qui finisce la storia e comincia il mito.
 
Giacomo Leopardi nacque a Recanati il 29 giugno 1798, primogenito della più illustre casata del piccolo centro marchigiano. Il padre, austero e politicamente reazionario, fu, insieme con i precettori ecclesiastici, il suo primo insegnante.

Ma l'ingegno precocissimo del giovane Giacomo e la sua estrema sensibilità, frustrati dalla freddezza parentale, lo indussero ben presto a riversare tutta la sua passione sui libri della biblioteca paterna (sette anni di studio "matto e disperatissimo") e ne fecero un fenomenale autodidatta, esperto in lingue classiche, ebraico, lingue moderne, storia, filosofia e filologia (nonché scienze naturali e astronomia).

Divenne saggista e traduttore, specialmente di classici. Del 1816 fu il suo passaggio 'dall'erudizione al bello', ossia dallo studio alla produzione poetica, e nello stesso anno è da datare la sua missiva alla 'Biblioteca Italiana', con la quale il Leopardi difendeva le posizioni dei classicisti in risposta alla de Stäel. L'anno dopo avviò una fitta corrispondenza con Pietro Giordani ed iniziò la stesura dello Zibaldone; sempre in questo periodo si innamorò di Geltrude Cassi, alla quale dedicò la poesia Il primo amore.

Il suo corpo, ormai minato dai molti anni di studio e di semi-volontaria reclusione, aveva già cominciato a mostrare i segni di quella deformazione alla colonna vertebrale che farà così soffrire il poeta, anche se la malattia, per il Leopardi, non rimase mai un motivo di lamento individuale ma si trasformò in uno straordinario mezzo di conoscenza. Del '18 sono le canzoni All'Italia e Sopra il monumento di Dante, nonché lo scritto Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica.
 
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La Biblioteca di Casa Leopardi, essenzialmente storica, e' formata da circa 20.000 volumi. Voluta da Monaldo Leopardi, padre di Giacomo, questa Biblioteca, o meglio, libreria, come veniva chiamata al tempo del Poeta, era aperta ai familiari, agli amici, ai concittadini. La Biblioteca nasce dal desiderio di Monaldo Leopardi di (come lui stesso scrisse) "possedere quantita' grande di libri, tanto per ricavarne profitto letterario, quanto per farne ornamento della famiglia". Dall'eta' di tredici fino ai sedici anni compro' libri alla rinfusa, senza nemmeno comprenderne il valore, spinto da un impulso che divento' quasi una missione. E in tale frenetica attivita' gli capito' di acquistare ottimi volumi. Dopo questa esperienza Monaldo decise di cambiare metodo, avendo capito che una biblioteca deve essere costituita non da grande quantita' di carte, ma da una scelta attenta delle opere. La Biblioteca e' ospitata in quattro sale, cui successivamente se ne e' aggiunta una quinta per contenere alcuni importanti manoscritti di Giacomo Leopardi.
 
L'anno seguente, il 1819, segnò un periodo di profonda crisi per il poeta: esasperato dall'ambiente familiare e dalla chiusura, soprattutto culturale, delle Marche, governate dal retrivo Stato Pontificio, il Leopardi tentò di fuggire da casa, ma il progetto venne sventato dal padre. A questo stesso periodo appartengono la composizione degli idilli L'infinito, Alla luna ed altri e la sua conversione 'dal bello al vero', con il conseguente intensificarsi delle sue elaborazioni filosofiche, tra cui la teoria del piacere.

Nel 1822 il padre gli concesse un soggiorno al di fuori di Recanati e fu così che il poeta poté andare a Roma, ospite di uno zio. La città si rivelò estremamente deludente e, dopo aver invano tentato di trovarvi una sistemazione, il Leopardi nel 1823 fece ritorno nelle Marche, dove iniziò a comporre le Operette morali. Proprio le Operette segnarono la piena formulazione del 'pessimismo storico', che vedeva nell'uomo e nella ragione le vere cause dell'infelicità, e del 'pessimismo cosmico', che al contrario accusava la Natura di essere la fonte delle sventure umane, in quanto instilla nelle persone un continuo desiderio di felicità destinato ad essere sistematicamente frustrato.

Nel 1825 riuscì a lasciare Recanati grazie all'avvio di una collaborazione con l'editore Stella che gli garantì una certa indipendenza economica: fu a Milano, Bologna (dove conobbe il conte Carlo Pepoli e pubblicò un'edizione di Versi), Firenze (dove incontrò il Manzoni e scrisse altre due operette morali) e Pisa (dove compose Il Risorgimento e A Silvia). Costretto a tornare a Recanati nel 1828, proseguì nella produzione lirica che aveva iniziata a Pisa con l'approfondimento delle tematiche della 'natura matrigna' e della caduta delle illusioni.

Nel '30 uno stipendio mensile messogli a disposizione da alcuni amici gli permise di lasciare nuovamente Recanati e di stabilirsi a Firenze. Qui s'innamorò di Fanny Targioni Tozzetti (la delusione scaturita dall'amore per lei gli ispirerà il ciclo di Aspasia) e strinse amicizia col Ranieri. In risposta a chi attribuiva alla deformità la sua concezione pessimistica della storia e della natura, il Leopardi compose il Dialogo di Tristano e di un amico. Del '36 sono La Ginestra, Il tramonto della luna e probabilmente I nuovi credenti.

Morì a Napoli il 14 giugno del 1837.
 
DIALOGO DI UN VENDITORE D'ALMANACCHI
E DI UN PASSEGGERE
Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
Passeggere. Almanacchi per l'anno nuovo?
Venditore. Si signore.
Passeggere. Credete che sarà felice quest'anno nuovo?
Venditore. Oh illustrissimo si, certo.
Passeggere. Come quest'anno passato?
Venditore. Più più assai.
Passeggere. Come quello di là?
Venditore. Più più, illustrissimo.
Passeggere. Ma come qual altro? Non vi piacerebb'egli che l'anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?
Venditore. Signor no, non mi piacerebbe.
Passeggere. Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?
Venditore. Saranno vent'anni, illustrissimo.
Passeggere. A quale di cotesti vent'anni vorreste che somigliasse l'anno venturo?
Venditore. Io? non saprei.
Passeggere. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
Venditore. No in verità, illustrissimo.
Passeggere. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?
Venditore. Cotesto si sa.
Passeggere. Non tornereste voi a vivere cotesti vent'anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passeggere. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?
Venditore. Cotesto non vorrei.
Passeggere. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch'ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l'appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Venditore. Lo credo cotesto.
Passeggere. Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Venditore. Signor no davvero, non tornerei.
Passeggere. Oh che vita vorreste voi dunque?
Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz'altri patti.
Passeggere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell'anno nuovo?
Venditore. Appunto.
Passeggere. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest'anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d'opinione che sia stato più o di più peso il male che gli e toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore. Speriamo.
Passeggere. Dunque mostratemi l'almanacco più bello che avete.
Venditore. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.
Passeggere. Ecco trenta soldi.
Venditore. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.
 
IL 2 FEBBRAIO 1970


Muore a Plas Penryn, Monmouthshire, Galles BERTRAND RUSSELL, uno dei massimi filosofi e matematici del XX secolo.

Nei quasi 98 anni di vita, da grande maestro della prosa qual era, ci ha lasciato più di 75 libri, per non parlare degli innumerevoli articoli, saggi e trattati, molti dei quali sono stati pubblicati più volte e hanno dato vita a una vasta produzione letteraria secondaria sulla sua vita e sulle sue idee. Tra i prestigiosi riconoscimenti ricevuti nel corso della sua lunga vita, va ricordato il Premio Nobel per la Letteratura nel 1950.
 
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