la globalizzazione: purtroppo é poca

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microalfa

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un articolo dell'economista Tommaso Padoa-Schioppa pone nella corretta luce, a mio modesto parere, il tema attualmente preso di mira dalla miope contestazione anti-global, e ne definisce obiettivi e strumenti (da costruire), ribadendo la personale convinzione che solo la vera internazionalizzazione di informazione ed economia rappresenti "la" risposta per il futuro sostenibile dell'umanità, sotto il grande ombrello liberale della "libertà entro precise (giuste) regole"; quelle regole che da che mondo é mondo consentono, quando vi sono e sono giuste, la migliore convivenza possibile, dalla famiglia ad una Nazione, da un forum virtuale all'intero Pianeta.


Come può l’arte di governo dare giustizia sociale, benessere, civile sicurezza se la realizzazione di questi beni non si esaurisce più nell’ambito dei singoli Stati, cui essa rimane confinata?

Ecco la domanda fondamentale che la globalizzazione ci pone.

E l’onesta risposta è: «Non lo sappiamo ancora».

Non lo sanno né i governanti né i manifestanti convenuti a Genova.
Per molti problemi non abbiamo soluzione; per altri, della soluzione abbiamo il principio, ma non le modalità; quando conosciamo principio e modalità la realizzazione è, allo stato attuale, spesso impossibile.
La difficoltà confonde la mente.

Quando i problemi sono acuti e le soluzioni non chiare, cresce il rischio di azioni affrettate che portano danno anziché rimedio.

Non si può dimenticare che ingenti doni di cibo fecero crollare l’agricoltura di Paesi affamati, immiserendone ancor più le popolazioni.
Per grandi che siano le differenze economiche e sociali entro gli Stati, quelle su scala mondiale sono ancor più drammatiche.
Oggi ne soffriamo come un tempo soffrivamo della miseria nella strada accanto, perché passando dai nonni, ai padri, ai figli la coscienza di chi sia il nostro prossimo si è dilatata.
La televisione ci fa riconoscere un fratello nel volto scavato di un africano o di un fuggiasco.
Alla compassione si accompagna una nuova responsabilità.

Il nodo centrale di Genova (come quello di Nizza, pochi mesi fa, per l’Europa) è che l’economia, travalicate le frontiere politiche, manca di governo.
I governi legittimi non sono efficaci, quelli efficaci non sono legittimi.
Il G8 riesce talora a governare il mondo, ma non è percepito come legittimo.

La tensione che ne deriva è avvertita con forza dai fautori come dai nemici della globalizzazione, dall’una come dall’altra parte delle transenne poste dalla polizia per separare i partecipanti alle riunioni.

Affinché la tensione si allenti occorre che il campo politico e il campo economico-sociale dell’attività umana, pur distinti e separati, avvicinino i loro perimetri.

I modi sono due: tornare indietro, riducendo il raggio dell’economia; oppure andare avanti, allungando il raggio della politica.

Tornare indietro sarebbe dannoso soprattutto per i poveri del mondo.

E’ la via del tribalismo, del nazionalismo, della miseria.

Non si può ignorare che la questione sociale fu aggravata, non risolta, con la soppressione del mercato e la chiusura delle frontiere; che progresso tecnico e commercio internazionale abbiano enormemente ridotto l’area della fame nel mondo; che il terzo- mondismo inteso come ideologia alternativa abbia portato tirannia, disuguaglianza e povertà.

Oggi che la tecnologia dei trasporti e delle comunicazioni rende arduo ogni tentativo di isolare un Paese, tornare indietro richiederebbe ancor più repressione e crudeltà che in passato.

Andare avanti significa cercare modi ad un tempo efficaci e legittimi per fare fronte ai mali mondiali della povertà, della disuguaglianza, dell’ingiustizia, dell’oppressione politica.

Quei modi vanno inventati, così come dovettero essere inventati nel passaggio dai villaggi alle città, ai piccoli poi ai grandi Stati, fino all’Unione europea di oggi.

Modi efficaci.

Significa innanzi tutto rafforzare le istituzioni internazionali, perché solo esse hanno per missione l’interesse del mondo.
Di esse (Nazioni Unite, Fondo monetario internazionale, Organizzazione mondiale del Commercio, Organizzazione mondiale della Sanità) occorre accrescere autorità, risorse, capacità d’intervento, indipendenza.
Bisogna renderle capaci di decidere anche quando non tutti sono d’accordo.

Oggi sono spesso viste con ostilità sia dai governi, che difendono poteri nazionali, sia dagli anti-global , che le accusano di non rispondere alle sfide.

Ma se non rispondono è perché sono troppo deboli.

Mi ha colpito l’invettiva di un manifestante al telegiornale: «Va soppressa l’Omc (Organizzazione mondiale del commercio), un potere praticamente illimitato, sovrannazionale».
Magari fosse un potere sovrannazionale! La vera questione è che l’Omc non ha il potere d’imporre le regole che dovrebbero accompagnare ogni libertà economica.

Animato da ottime intenzioni, quel manifestante chiedeva al mondo di tornare indietro nel momento stesso in cui si qualificava come cittadino del mondo.

La globalizzazione impaurisce anche perché è vista come una soppressione dell’identità locale.
Ma noi in Italia sappiamo bene che il sentirsi fortissimamente vicentini, e quindi tradizionalmente avversi ai veronesi, non impedisce di sentirsi veneti né, come veneti, italiani.

Anzi, più si scende (fino al livello della famiglia), più forte è il senso di appartenenza.

In politica ciò significa riconoscere che forme di governo superiori non sopprimono, oggi, le inferiori; pongono solo fine al potere assoluto degli Stati nazionali.

Perché non considerarlo un progresso se persino la Chiesa considera oggi una provvidenza la fine del proprio potere temporale?

Diversamente dal mondo, l’Europa ha saputo costruire insieme la libertà e le sue regole: una medesima legislazione non solo permette ma anche regola la circolazione di beni, capitali, servizi e persone.

Una simile capacità di costruzione parallela non esiste su scala globale.

Modi legittimi.

Significa andare oltre la legalità dei trattati internazionali ed elaborare prime forme di democrazia mondiale.

Sulla terra ci sono 200 Stati sovrani, circa 6.000 lingue.

Alla radice della democrazia sta la persona, non lo Stato.

Ma forme di democrazia mondiale ricondotte alla persona vanno pensate ex novo.
I governi di molti Stati sono autoritari; ma neppure riunendo quelli democraticamente eletti si assicura una vera democrazia mondiale, perché ciascuno di essi ha per missione l’interesse nazionale.

Un giovane mi ha chiesto: «Se il G8 è il governo del mondo, chi è l’opposizione?».
Non c’è per il mondo, come invece esiste per l’Europa, un parlamento eletto dove l’opposizione sia presente.
I dimostranti di Genova esprimono il bisogno d’opposizione che è proprio di ogni processo politico.
Essi hanno poca legittimità ma, come reggitore del mondo, non ne ha molta neppure il G8.

Nessuno sa ancora come organizzare una democrazia planetaria.

Rafforzare le istituzioni globali, articolare il potere su più livelli, inventare la democrazia su scala mondiale.

Sono punti sui quali l’Europa ha dato il buon esempio nella seconda metà del secolo, così come aveva dato il cattivo esempio nella prima.

Sia culturalmente sia politicamente oggi l’Europa è più preparata ad accettare questi principi di quanto lo siano gli Stati Uniti d’America; e se mesi fa li avesse realizzati più compiutamente a Nizza, oggi essa sarebbe, nella vicina Genova, modello di un più civile ordinamento mondiale.

Tocqueville scrisse che le crisi della democrazia si superano con più democrazia.

La crisi della globalizzazione si supera con più globalizzazione.
È una gara contro il tempo: il pericolo del ritorno indietro è grave, come fu ritorno indietro la fine dell’illusoria pace dei primi anni del XX secolo, fine voluta e salutata da manifestanti entusiasti.

Tommaso Padoa-Schioppa
 
Padoa-Schioppa che concorda con i Radicali... Ohibo'! che sta succedendo.

io da elettore "anche" dei radicali, invece non potrei concordare meno con Bonino e Compagni.

Non sono contro la Globalizzazione, sono contro questa globalizzazione, sono contro quegli Organismi che P-S menziona perche' estremamente politicizzati e nelle mani dei Paesi ricchi. Quel manifestante contro il WTO potevo esserlo io, Liberale e Socialista e non c'e' nulla di scioccante se questo WTO scende a patti coi Talebani per far passare un oleodotto in territorio afghano in nome del petrolio. un WTO che ammette la Cina nonostante i controlli delle nascite obbligatorie e l'abuso di diritti umani, un WTO che ha ancora un sistema di Veti, l'ultimo quello di oggi degli USA per l'ingresso dell'IRAN... non parliamo delgi altir che mi da' il voltastomaco slo a pensarci..

Tutti Santi e tutti bravi questi nostri politici moderni e tutti preoccupati per il bene di tutti i poveri del mondo che continuano ad aumentare.

Andare avanti globalizzando ancora di piu' quando si e' intrapreso un binario sbagliato sembra a me solo un errore.

Oggi anche Buttiglione ha portato avanti le stessissime tesi di Padoa-Schioppa (GR Parlamento) ma nonostante ci possa essere del vero nelle loro parole credo che se non si conosce ancora il metodo per andare avanti basta fermarsi o rallentare.

Buttiglione, nello stesso intervento, parlava di Forma di Stato Europea e diceva che non bisognava correre molto verso il Federalismo, anceh se lui e' favorevole alla soluzione Scroeder, altrimenti si torna indietro e ci si fa male visto che non siamo ancora preparati. Allo stesso tempo invece invitava poi a spingere sull'acceleratore della globalizzazione, anceh se non conosciamo ancora tutti i meccanismi ed a lui non piace eccessivamente, perche' non ci si puo' fermare e tornare indietro...

Quindi SI al Federalismo pero' meglio di NO e NO alla globalizzazione pero' meglio di SI'...

interessante...
 
Grande, come al solito gigir..
bOttiglione Pupazzo sempre in piedi (alla benigni)

saluti ed UP

Erik Kartman ex mariotto
 
"Mi basta sentire qualcuno parlare sinceramente di ideale ,di avvenire, di filosofia, sentirlo dire "noi" con tono risoluto, invocare gli "altri" e ritenersene l'interprete, perchè io lo consideri mio nemico". E.M.Cioran

condivido quanto sopra.
ciao GL
 
Dal crollo del Muro a Seattle
la nuova ideologia globalista

Lucio Caracciolo (Repubblica)

"UN MONDO diverso è possibile", statuisce il Genoa Social Forum.
Slogan apparentemente banale.
Preso alla lettera, è un'ovvietà - da quando esiste, il mondo non fa che cambiare.
Ma questa parola d'ordine ha un significato profondo, di cui forse gli stessi autori non sono perfettamente consapevoli.
Sancisce la fine di una grande illusione, nata quasi dodici anni fa, quando un bel mattino ci svegliammo senza più Muro di Berlino. Molti pensarono, dissero e scrissero che sotto i nostri occhi stava nascendo il migliore dei mondi possibili.
Un pianeta di liberi, di democratici e domani, chissà, anche di eguali.
Un Occidente mondiale.
Erano così ricchi di promesse, quei giorni. Il capo della superpotenza trionfante, George Bush padre, recuperava senza accorgersene un motto di hitleriana memoria, comunicandoci l'obiettivo di un "Nuovo Ordine Mondiale".

Il leader dell'impero sconfitto, Mikhail Gorbaciov, enunciava intanto un "nuovo pensiero" per un mondo basato su princìpi etici universali, non più sui rapporti di forza.

Si affermava una nuova filosofia della storia.

L'idea che il cammino dell'umanità abbia un senso.
A questo senso fu dato un nome: "globalizzazione".

Sulla globalizzazione si è esercitata una pubblicistica sconfinata, sia apologetica sia polemica.
Eppure è difficile trovare due autori che ne diano la stessa definizione. Spesso non la definiscono affatto, ne accettano il (vaghissimo) senso comune.
Recentemente, un politologo dell'Università del Galles, Ian Clark, ha lodato nel suo "Globalizzazione e frammentazione" (il Mulino) la "flessibilità" di un concetto la cui "utilità teorica è oggetto di forte contestazione".
Un termine talmente lasco da "essere inserito entro quadri teorici altrimenti incompatibili".

Ne vediamo la prova a Genova dove, per curioso paradosso, sia gli otto Grandi che molti dei loro contestatori si professano fautori della globalizzazione.
Anzi, la considerano un dato di natura, come le stagioni, la pioggia o il vento.

Ma la globalizzazione che hanno in testa Vittorio Agnoletto o Luca Casarini è probabilmente opposta a quella vagheggiata da George W. Bush o da Silvio Berlusconi.

Meglio, è "diversa".

Forse è impossibile definire la globalizzazione in modo univoco. Ciò nonostante - o anzi proprio per questo - essa ha prodotto una potente ideologia.
Più efficace di qualsiasi interpretazione "scientifica" del mondo.

Molti di coloro che erano in piazza a Seattle e che oggi assediano la "zona rossa" hanno preso sul serio l'ideologia globalista. Hanno davvero creduto ai filosofi che annunciavano la "fine della storia"; agli economisti che teorizzavano la "fine del ciclo"; ai politologi che decretavano la "fine dello Stato nazionale".

Sottili intese come trionfo del Bene sul Male, quantomeno del meglio sul peggio.
È vero che le dure repliche della storia non hanno tardato a manifestarsi, rammentandoci che la guerra non è stata espunta dal novero delle attività umane, che la crescita economica perenne e lineare non esiste e che alcune decine di nuovi Stati o staterelli colorano i planisferi post-Ottantanove mentre l'accademia continua a sfornare trattati sulla "fine delle frontiere".

Le ideologie, si sa, sono resistenti ai fatti.
Ci vuole molto, molto tempo prima che la percezione di eventi imprevisti o spiacevoli intacchi la nostra cognizione del reale.

I manifestanti di Genova vengono da culture ed esperienze estremamente varie.
Ma sono tutti figli della grande speranza che ha percorso l'Occidente (un po' meno il resto del mondo) dopo il crollo dell'Impero del Male.

La speranza che democrazia e libertà potessero diventare patrimonio dell'umanità.
La speranza in un pianeta di pari opportunità.

Una speranza che appartiene forse al nostro codice genetico e non può essere mai totalmente sradicata dal nostro orizzonte.

Dodici anni dopo, questa è una speranza delusa.

La colpa, secondo gli anti-G8, è del carattere selvaggio e disumano che il liberal-liberismo ha impresso alla globalizzazione. Più concretamente, aziende multinazionali, istituzioni internazionali come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario e l'Organizzazione del Commercio, Stati nazionali più o meno potenti, Usa in testa, sono accusati di aver profittato della fine della guerra fredda non per esportare libertà e benessere, ma per affermare un nuovo "Impero".
Il dominio del Nord ricco e americanizzato sul Sud povero e sfruttato.

Se globalizzazione può voler dire tutto e il contrario di tutto, se può incarnare le speranze di progresso come raffinate strategie neocoloniali, il confronto fra Grandi e popoli di Seattle non porterà molto lontano.
Rischia semmai di tralignare in commedia - speriamo non tragedia - degli equivoci.

Ogni movimento ha una forte produzione simbolica, certo.
E ogni istituzione alla ricerca di consenso ha bisogno di propaganda.
Ma qualche ancoraggio al principio di realtà potrebbe favorire il dialogo fra istituzioni e contestatori. Partendo dal fatto che le promesse dell'ideologia globalista - come mostra Luciano Gallino in un suo saggio su Globalizzazione e diseguaglianze (Laterza) - non hanno ridotto le distanze fra ricchi e poveri su scala planetaria.

Se è vero, ad esempio, che il rapporto fra il 20% più ricco e il 20% più povero della popolazione mondiale è passato in trent'anni da 30 a 1 (1960) a 60 a 1 (1990).
O che l'86% dei decessi mondiali da Aids avviene in Africa, ma il 95% delle spese mediche per combattere quel virus riguarda il 5% della popolazione (gli occidentali più fortunati).
Sono fatti duri. Inaccettabili.
Dei quali noi ricchi popoli del Nord siamo certamente corresponsabili.

Ma per modificarli occorre anzitutto maggiore sobrietà.
Da parte dei governanti, che scoprono il "dialogo" a poche settimane dal vertice, con intenti spesso strumentali.
E da parte dei "popoli di Seattle", i quali inclinano verso un moralismo che di per sé esclude qualsiasi confronto: "Noi siamo i popoli.
Gli altri sono i cattivi" (Rete contro G8).
Per discutere davvero, vale la pena di sgombrare il campo da qualche equivoco e da qualche eccesso di demagogia.

Solo tre esempi.

Primo: a forza di ripeterlo, alcuni manifestanti sembrano sinceramente convinti che il G8 sia o pretenda di essere il "governo mondiale".
In realtà, non è nemmeno un'istituzione, pur esibendone a tratti la pompa.
I suoi documenti finali si risolvono spesso in generiche raccomandazioni, illeggibili e non lette.
La funzione di tali vertici è (o era) di permettere uno scambio di idee a tu per tu fra i leader di alcuni Stati importanti, più o meno democratici - i quali stentano a governare i rispettivi paesi, figuriamoci se possono imbracare il mondo!

Secondo: a forza di criticare la globalizzazione - o di invocarne una "diversa" - si è diffusa l'idea che in qualche incerto passato l'Africa o altre regioni povere vivessero un'età dell'oro, stroncata dal colonialismo e poi dal neocolonialismo.
E che quindi lo sviluppo o il desviluppo del Terzo Mondo dipendano essenzialmente da fattori esterni, a prescindere dai vincoli storici, ambientali, politici e culturali.
Addirittura, che ci sia un rapporto diretto fra aiuti e sviluppo. Ammesso e non concesso che sia possibile controllare la destinazione degli aiuti in paesi che non dispongono delle minime strutture istituzionali e sono afflitti da rapaci "élite" tribali.

Terzo: così come i Grandi non rappresentano il mondo, i terzomondisti non parlano per i terzomondiali. I dannati della Terra non hanno voce, né diretta né indiretta.

Eppoi, siamo sicuri che gli africani la pensino come gli africanisti?
È vero che né il G8 né altri club occidentali hanno ricevuto deleghe dagli abitanti dei paesi poveri.
Ma le Organizzazioni non governative - talvolta governative nella provenienza dei fondi, e non solo - hanno forse ottenuto un simile mandato?
L'elenco potrebbe continuare a lungo.
Senza peraltro togliere al movimento un merito essenziale: averci costretto a ripensare al mondo.

L'Occidente riscopre un pianeta dimenticato.
I popoli di Seattle ci obbligano ad alzare lo sguardo su enormi, disastrate regioni che volevamo dimenticare.
O fingere che stessero diventando come noi.
 
Cosi' parlo' George W. Bush


"For those who want to shut down trade I say this to them as clearly as I can: You're hurting poor countries" a seguito dei disordini a Genova oggi

"Instead of embracing policies that help poor people, you embrace policies that lock poor people into poverty, and that is unacceptable to the United States."


Ciao Mr Kartman!
 
concordo perfettamente ...

con quanto scritto da schioppa..

vorrei aggiungere un paio di osservazioni personali....

con quale diritto gli occidentali......mi riferisco al movimento antiglobalizzazione..si arrocano il diritto di farsi portavoce dei paesi del terzo mondo.... avete mai visto un africano od un indiano od un asiatico... manifestare al fianco degli antiglobal????....... questa per me é una grande presunzione ideologica tutta occidentale ..al pari del piu becero colonialismo...

sarebbe come decidere di pretendere l'abbattimento di un palazzo... senza convocare i diretti interessati..ossia i residenti.... per deliberare in merito..

..perché non dare voce ai diretti interessati... ???? ...di fatto i movimenti antiglobal non esistono all'interno dei paesi poveri..... e questo la dice lunga..
avete mai visto un coreano del sud ad esempio .... manifestare contro quella globalizzazione che ha reso possibile il miracolo dei paesi del sud-est asiatico aumentando considerevolmente il reddito pro-capite... scusate non voglio infierire ma il paragone con la corea del nord..dove i bambini muiono di fame .... mi viene spontaneo...

gli antigliobal fanno una grande confusione fra globalizzazione e ingiustizia sociale.... combattere contro le ingiustizie nel mondo é lecito ma le ingiustizie nel mondo sono sempre esistite.... a prescindere dall globalizzazione...

negare la globalizzazione ai paesi poveri significa relegarli nell'isolamento ..... e quindi nella loro povertà.... senza dar loro la possibilità di affacciarsi al mondo e rendersi co-protagonisti del futuro...

e poi ancora un'ultima considerazione ... che cosa c'è di piu globalizzante di un pensiero uniformato antiglobalizzante..che di fatto vorrebbe poi si globalizzare il mondo..(secondo una propria visione del mondo antiglobalizzata appunto...)... nella poverta e nel regresso......

:)
 
Re: concordo perfettamente ...

Scritto da squirrel

..perché non dare voce ai diretti interessati... ????

nelle migliori librerie francesi e franco-africane:

La mondialisation. Le nouvel esclavage de l'Afrique.
- Jean-Marie Sindayigaya. (L'Harmattan, Paris, 2000, 268 pages, 150 F.)
Le cri du coeur, documenté et réfléchi, d'un intellectuel africain qui perçoit, dans le chaos de son continent, l'émergence d'un nouveau monde.

(da Le Monde Diplomatique)

(mondalisation = globalizzazione)
 
Re: concordo perfettamente ...

Scritto da squirrel
..perché non dare voce ai diretti interessati... ???? ...di fatto i movimenti antiglobal non esistono all'interno dei paesi poveri..... e questo la dice lunga..

TRADE, ENVIRONMENT AND SUSTAINABLE DEVELOPMENT : VIEWS FROM SUB-SAHARIAN AFRICA AND LATIN AMERICA, A READER. -

Environment and Multilateral Diplomacy Series. (The International Center for Trade and Sustainable Development, ICTSD, 13, chemin des Anémones, 1219 Genève.) Répondant au besoin de mieux informer les décideurs et leaders d'opinion sur la nécessité des pays du Sud de poursuivre un modèle de développement durable, ce livre regroupe différents articles d'auteurs africains et sud-américains, sur des sujets tels que la confrontation entre l'action de l'Organisation mondiale du commerce (OMC) et le développement durable, le rôle de la « société civile », l'impact des structures de commerce sur l'environnement...

(sempre da Le monde Diplomatique)
 
Dall'Asia (Malaysia) invece:

Globalisation and the South: Some Critical Issues
by Martin Khor

No. of pages: 110
Year Published: 2000
ISBN: 983-9747-46-0

Malaysia: RM15
Third World: US$9
Others: US$12

This book examines the implications of some of the main features of the globalisation process for the developing countries. It also makes several proposals for developing countries in considering national-level policies to face the globalisation challenge, as well as coordination among developing countries in facing negotiations or making proposals at the international level.

While there are many aspects to globalisation, among the most important is the recent globalisation of national policy-making not only through the normal spread of orthodox theories but more importantly through international agencies, such as the Bretton Woods institutions and the World Trade Organisation, through which the North has leverage over the South.

The book examines the liberalisation of trade, finance and investment as well as policy implications and choices in each of these categories. It is argued that, while there are some advantages to an open regime for developing countries, the impact of openness depends on a country's level of development and preparedness to take on the challenges of subjecting local production units to foreign competition, of being able to break into world markets, and of weathering the volatility and fickleness of private capital flows and their propensity for leading receipient countries into a debt trap.

It is therefore imperative that developing countries be given the possibility to have an adequate range of options, of when, how and to what extent to open their economies. For them to maintain the choice of flexibility in policy options, developing countries have to collectively press their case in international forums and institutions where decisions on the global economy are made. Failure in doing so would mean that developing countries will continue to be subjected to international and national policies that are unsuitable to their development, and that more than ever close off their development prospects and options.

About the author:

Martin Khor is the Director of Third World Network, a network of several NGOs in different parts of the developing world. An economist trained in Cambridge University who has lectured in economics in the Science University of Malaysia, he is the author of several books and articles on trade, development and environment issues.

He is a board member of the South Centre and of the International Forum on Globalisation. He was also formerly Vice Chairman of the UN Commissio on Human Rights Expert Group on the Right to Development and a consultant in several research studies under the United Nations.
 
Da responsabili locali dell'ILO (organizzazione internazionale del LAvoro - agenzia dell'ONU)

Latin America: Globalization doesn’t correct inequalities

by Gustavo Gonzalez

Santiago, 18 Jan 2001 (IPS) -- Globalization has not contributed to correcting the existing social inequalities of Latin America, according to Victor Tokman, regional director of the International Labour Organisation (ILO), and Emilio Klein, an ILO researcher.

In a study published in the latest edition of the Economic Commission for Latin America and the Caribbean (ECLAC) journal, Tokman and Klein analyse globalization’s effects on employment, income and equality, as well as the changes occurring in social structures as a result of the process.

The complete text (in Spanish) of the study “La estratificacion social bajo tension en la era de la globalizacion” (Social Stratification under Stress in the Globalization Era) by the ILO experts can be found at the ECLAC website (www.eclac.org).

Will globalization foment greater social integration within each country? Or will it lead to social breakdown as only a limited few reap the benefits while the majority is increasingly excluded? These are the key questions in Tokman and Klein’s analysis.

The authors identify globalization, privatisation and deregulation as the central characteristics of the emerging scenario in Latin America as the neoliberal-inspired structural reforms become widespread.

The globalization process is largely considered beneficial, to the extent that it creates more open economies and is based on rapid technological advances, which optimise the insertion of Latin American countries into the world market. But these benefits, while obvious on the surface, are difficult to identify in their social repercussions, and their distribution has tended to reflect or reproduce, rather than correct, the inequalities existing in the region, according to the ILO experts.

In theory, the changes brought about by globalization should improve productivity, boost workers’ real income and, as a result, improve the general welfare of the population.

By gaining space on the international market, it is expected that export-focussed economies in Latin America and other developing regions will concentrate on goods that require the intensive use of an unskilled workforce, which would drive up demand and reduce the gap between unskilled and highly skilled workers.

But the existing differences between countries as far as wages and labour regulations may also fuel the expansion of unfair practices toward workers, warn Tokman and Klein.

Situations are thus created in which there are further limits to pay raises as developing economies pursue ways to be more competitive internationally and succumb to internal pressures for greater flexibility in the workforce.

“This set of policies has produced greater macroeconomic equilibrium and has improved the international integration of Latin American countries, but its other effects are more problematic,” write the researchers.

Only five Latin American countries (Brazil, Chile, Colombia, Costa Rica and Uruguay) have achieved higher per capita income than the levels recorded prior to the recent financial crises.

Irregular growth rates and conditions specific to the region’s economies have also played a role in these discouraging results.

“In most Latin American countries, the minimum wages in 1999 were less than 26% of wages in 1980, but in the manufacturing sector they increased 2.9%,” says the study.

The non-salary costs of production ranged from 38% to 68% of costs in wages. In Chile and Argentina, the non-salary costs are higher than those of South Korea, similar to those of the United States, and much lower than in European countries.

These figures, as well as other indicators, underscore the importance of improving productivity “as a top priority for increasing the competitive ability” of the Latin American economies, maintain the experts.

Another negative effect of globalization is its insufficient creation of jobs in relation to the expansion of the workforce, influenced by the growing incorporation of women into the labour arena. Latin America’s average unemployment rate rose from 6.7% in 1980 to 8.8% in 1999.

Alongside that phenomenon, Tokman and Klein indicate that privatisations have modified the employment structure by displacing workers from the public to the private sector, where larger companies lower their production costs by reducing the number of jobs.

On average, large corporations contribute 17 of every 100 new jobs in the region.

In this new globalization scenario, the labour force is being displaced from the production of goods to the production of services. In the 1990s, the manufacturing sector’s portion of employment shrank by 4-6% in Bolivia, Costa Rica, Ecuador, Peru and Uruguay.

This evolution of the workforce also involves the “informalisation” of employment, as 70% of new jobs are found in the informal economy, where there are no contractual ties between worker and employer.

“Given the inexistence of labour insurance, unemployment is a luxury that few can afford” in Latin America, say the authors, who also warn of another new phenomenon: job insecurity.

Globalization and the policies that accompany it favour those who are already members of the higher-income sectors of society, Tokman and Klein indicate in the conclusion of their study.

The low-income population suffers greater negative impacts and the middle class also sees its welfare jeopardised, not only by the retreat of the public sector but also by the narrowing of social programmes to focus exclusively on the poor.

There is a great imbalance in the region’s existing social relations, characterised by income concentrated in the hands of a few, a dynamic that appears to have eliminated the benefits promised by the globalization process, say the ILO experts.
 
Globalization needs human face, global governance

by Chakravarthi Raghavan


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Geneva, 12 July -- Globalization of the world economy -- driven by forces to open national borders to trade, capital and information -- has benefited some, but marginalised many more and has increased inequalities within and among nations, warns the UN Development Programme in its Human Development Report 1999 (HDR-99) published Monday.

The HDR-99 argues that while the process itself is not new, today's globalization is driven by new markets, new tools like internet, new actors like the World Trade Organization with authority over national governments and Transnational Corporations, and new multilateral rules on trade, services and intellectual property more binding for governments and reducing the scope for national policy.

Globalization is offering great opportunities for human advance, but is also creating new threats to human security, both in rich and poor countries, says HDR 1999.

What is needed, said Richard Jolly, the chief author of the report, is stronger and more democratic governance -- nationally and internationally.

But strong on analysis, and with some plain-speaking in its critique of the current systems of money, finance and trade, HDR- 99 is seems to be more cautious, almost feeling the way, in recommendations for tackling the instruments and power relationships in global policy making of the IMF-World Bank and the WTO.

It calls for strengthening the bargaining position of the poor and small countries - through legal aid, such as in the proposed independent legal aid centre, appointment an ombudsmen to respond to grievances and investigate injustices, support for policy research and for reliance more on regional solidarity and regional institutions.

The ombudsman institution came into being in Nordic countries - where democratic polity and egalitarian policies formed the basis of social democracy, and an ombudsman could cut through bureaucratic tangles to ensure substantive justice.

But it is not clear what the HDR expects an ombudsman to do in WTO.

In the WTO, rules have been framed to advance and safeguard the neo-mercantlist interests of the major industrial nations and their corporations, are asymmetric and weighted against the developing world and the poor, lacks transparency of decision- making even for member-governments, leave aside the public, and with real decision-making in the hands of the major Northern countries, whose nationals are dominant in the secretariat, and hold most of posts of directors of divisions.

In such a situation, a legal aid mechanism to enable the developing countries to defend themselves before panels can reduce their costs, but cannot change the asymmetric rules. And without change the dispute settlement mechanism only serves to enforce the rules and perpetuate the asymmetry of the system, and making the multilateral trading system oppressive to the poor.

Today's Globalization, the HDR says, is driven by market expansion - opening national borders to trade, capital and information - outpacing governance of these markets and their repercussions for people.

"More progress has been made in norms, standards, policies and institutions for open global markets than for people and their rights. A new commitment is needed to the ethics of universalism set out in the Universal Declaration of Human Rights."

Competitive markets, it underscores, may be best guarantee of efficiency, but not necessarily for equity. Liberalization and privatization can be a step to competitive markets - but not a guarantee of them. Many activities and goods critical to human development are provided outside the market, but are being squeezed by the pressures of global competition.

In sum global opportunities are unevenly distributed - between countries and people. And if the opportunities are not shared better, the failed growth of the last decade will continue.

More than 80 countries still have per capita incomes lower than a decade or more ago. And while 40 countries have sustained average per capita income growth of more than three percent a year, 55 countries, mostly in sub-Saharan Africa and Eastern Europe and the Commonwealth of Independent States (CIS) have had declining per capita incomes.

Gaps are widening within countries. In China disparities are widening between export-oriented regions of the coast and the interior. Countries of eastern Europe and the Commonwealth of Independent States have registered the largest increases in the Gini coefficient - a measure of income inequality. The Gini coefficient has also registered big increases after the 1980s - especially in Sweden, UK and the US.

Inequality between countries has increased. The income gap between the fifth of the world people living in the richest countries and the fifth in the poorest was 74 to 1 in 1997 - up from 60 to 1 in 1990, and 30 to 1 in 1960. Inequality grew rapidly in the 19th century - during the last three decades of globalization - when the gap between the top and bottom countries increased from 3 to 1 in 1820 to 7 to 1 in 1870 and 11 to 1 in 1913.

By late 1990s, the fifth of the world living in the highest income countries had 86% of world GDP, had 82% of world export markets and 68% of foreign direct investment -- while the bottom fifth of the world had just one percent of each.

"Some have predicted convergence (through free trade and free markets). Yet the past decade has shown increasing concentration of income, resources and wealth among people, corporations and countries."

The world's 200 richest people more than doubled their net worth in the four years to 1998, to more than $1 trillion. The assets of the world's top three billionaires are more than the combined GDP of all least developed countries and their 600 million people.

And the recent wave of mergers and acquisitions is concentrating industrial power in mega-corporations at the risk of eroding competition. For e.g., in 1998, the top 10 companies in pesticides controlled 85% of a $31 billion global market, and the top 10 in telecommunications, 82% of a $262 billion market.

"In the globalizing world of shrinking time, shrinking space and disappearing borders, people are confronting new threats to human security - sudden and hurtful disruptions in the pattern of daily life."

The financial turmoil in Asia in 1997-99 showed the risks of global financial markets. While net capital flows to Indonesia, South Korea, Malaysia, the Philippines and Thailand rocketed to $93 billion in 1996, there was an outflow in 1997 - with a swing of 11% of pre-crisis GDP.

And while recovery seems to be on the way - and output growth, payment imbalances, interest rates and inflation rates may be returning to normal - human lives take longer to recover.

A review of financial crises in 80 countries over the past few decades show that real wages take an average of three years to pick up again and employment growth does not regain pre-crisis levels for several years.

And far from being isolated incidents, financial crises have become increasingly common - with the spread and growth of capital flows.

Globalization has increased job and income insecurity in all countries, has spread diseases globally, and is creating cultural insecurity.

While global good has gone down, the global bad has risen. Illicit trade - in drugs, women, weapons and laundered money - is contributing to violence and crime that threaten neighbourhoods around the world. The traffic in women and girls for sexual exploitation - 500,000 a year in western Europe alone - is one of the most heinous violations of human rights, and is estimated to be a $7 billion business. Internet is an easy vehicle for trafficking in drugs, arms and women - through nearly untraceable networks.

In 1995, illegal drug was estimated at 8% of world trade - more than trade in motor vehicles or iron and steel. Money laundering, estimated by the IMF to be 2 to 5 percent of world gdp - hides the traces of crime in split seconds.

And at the root of all this is the growing influence of organized crime, estimated to gross $1.5 trillion a year - rivalling TNCs as an economic power.

None of these pernicious trends of globalization is inevitable. With political will and commitment, they can all be reversed. With stronger governance, benefits of competitive markets can be preserved with clear rules and boundaries.

With market collapse in Asia, and its spread to Brazil and Russia and elsewhere, and the threat of global recession still looming, global governance is being re-examined.

But the current debate is too narrow, limited to the concerns of economic growth and financial stability. It is also too geographically unbalanced - dominated by the largest economies, usually the G-7, but often the G-1, and occasionally bringing in the large newly industrializing countries. Most small and weak countries are excluded.

Nor does the debate address the current weaknesses, imbalances and inequities in global governance.

Multilateral agreements have helped establish global markets, without considering their specific impact on human development and poverty.

And the structures for global policy-making are not representative. The key economic structures - IMF, World Bank, G7, G10, G22, the OECD, WTO - are dominated by the large and rich countries. There is little transparency in decisions, and there is no structured forum for civil society institutions to express their views.

Reinventing governance for the 21st century must start with strong commitments: to global ethics, justice and respect for human rights of all people; to human well-being as the end, with open markets and economic growth as a means; to respect for diverse conditions and needs of each country.

"What works in Chile does not necessarily work in Argentina, what is right for Mauritius may not for Madagascar."

Multilateral agreements and international human rights regimes hold only national governments accountable. National governance holds all actors accountable within national borders, but it is being overtaken by the rising importance of supra-national global actors - transnational corporations and international institutions (IMF, World Bank, WTO and Bank of International Settlements.)

Standards and norms to set limits and define responsibilities for all actors are needed.

Social policies and national governance are even more relevant today to make globalization work for human development.

This calls for changing labour market - not by going back to labour market policies protecting elite labour, but through job- creating growth, investing in workers skills, promoting labour rights and making informal work more productive and remunerative.

The shrinking fiscal resources of states need to be augmented by generating more revenue from new sources as taxes on income and land or on value added, reducing military spending globally. And declining cultural diversity should be reversed by supporting local culture, arts and artists.

The threats of financial volatility should be averted by liberalizing capital account more carefully and "with less international pressure and greater flexibility for countries to decide pace and phasing"; subjecting financial institutions to greater transparency; integrating macro-economic management and social policies; and strengthening international action to regulate and supervise banking systems.

The UN's Economic and Social Council, and the IMF and World Bank should conduct an international study of regulatory gaps, especially for short-term bank loans, reversible portfolio flows and activities of hedge funds.

Standstill provisions should be instituted on debt service to the IMF, World Bank and regional development banks; and better institutions should be developed for early warning and crisis management, and establishing an international lender of last resort.

TNCs influence the lives and welfare of billions of people. Yet their accountability is limited to their shareholders, with their influence on national and international policy-making kept behind the scenes.

"If they are brought into the structures of global governance, their positions would become more transparent, and their social responsibility subject to greater public accountability."

The HDR calls for a multilateral code of conduct to be developed for TNCs - rather than as now with TNCs held to codes of conduct only for what national legislation requires on social and environmental impact of their operations.

There are national policies to ensure free competition on national markets, but none in global markets. There is a need for a world anti-monopoly authority, and it could be included within the mandate of the WTO and given anti-monopoly functions over activities of TNCs, including production, working in close collaboration with national competition and anti-trust agencies.

A task force should be established on global economic governance - with ten industrial and ten developing countries, and with representatives of civil society and private financial and corporate actors, and should report to ECOSOC, IMF and World Bank, and to the WTO, the HDR-99 recommends.

It is time to begin building a more coherent and more democratic architecture for global governance in the 21st century including a stronger and more coherent UN as a forum for global leadership; a global central bank and lender of last resort; a WTO ensuring both free and fair trade, and a mandate on global competition policy with antitrust provisions and a code for conduct for TNCs; a world environment agency, a world investment trust, an international criminal court and a broader UN system including a two-chamber General Assembly to allow for civil society representation. (SUNS4475)

The above article first appeared in the South-North Development Monitor (SUNS) of which Chakravarthi Raghavan is the Chief Editor.
 
Re: concordo perfettamente ...

Scritto da squirrel
con quanto scritto da schioppa..

vorrei aggiungere un paio di osservazioni personali....

.... avete mai visto un africano od un indiano od un asiatico... manifestare al fianco degli antiglobal????.......

Giovedì 19 Luglio 2001 Genova
manifestazione dei migranti
circa 50.000 persone

nessun incidente

Erano presenti Africani di varie etnie-rappresentanti dei paesi magrebini-curdi-iraniani-afgani-orientali in genere,per un totale di circa 2/3 dei manifestanti.
Ero presente. (dichiarato su off la sera del 19)
Posso testimoniare di fronte a qualunque tribunale.
:)
 
a me non risulta cmq....

..gente mandata dal sindacato in piazza.... è risaputo che appena sbarcano come clandestini viene messa loro in mano subito una tessera del sindacato... ancora prima di un pezzo di pane...fa numero..;)

curdi???...i curdi poveretti non hanno terra e sono perseguitati da diversi paesei..che hanno da dire contro la globalizzazione???...non vedono l'ora se mai di essere globalizzati ed essere riconsciuti come un popolo di pari diritti... i magrebini??...hanno solo vantaggi dalla globalizzazione..se non altro possono smerciare droga globalizzata a mezzo mondo.... gli iraniani???...ehhehe....un pò difficile da globalizzare il paese musulmano antioccidentale e chiuso..per eccellenza...

diciamo che sta gente è stata fatta scendere in piazza per una manifestazione antiamericana.....

ma che vai dicendo mauro...???!!!

perchè volete appiattire il mondo..globalizzandolo verso il basso?

certo che fa un certo effetto vedere un paio di jeans addosso a un beduino o vederlo mentre si beve una coca cola ghiacciata all'ombra del suo cammello...
ma scommetto che se anziché..prodotti di marca americana (lo si sa gli americani sono il demonio impersonificato).... avessero in bocca un bel globalizzato sigaro cubano di fidel..o il capitale di carlo marx sott'occhio .. o perchè no un bellissimo eskimo stile anni 70...che sono cmq lontani anni luce dalla sua cultura e tradizione... allora non avreste niente da dire vero?????

allora non sarebbe piu un becera forma di egoistica globalizzazione capitalistica che solo sfrutta i poveri.. ma invece un sano e illuminante momento di pensiero globalizzato....

ma a chi credete di darla a bere???..
non vi rendete conto che siete proprio voi miei cari antiglobal....i globalizzatori per eccelenza... volete globalizzare il pensiero mondiale senza che nessuno vi abbia dato mandato a rappresentare i paesi poveri...

con simpatia

:)
 
Ultima modifica:
Squirrel i manifestanti extra c'erano e mauro ne è anche testimone come lui milioni di italiani davanti alla TV.
Tu come al solito li riduci ad una massa di "tesserati", ma rimane una tua opinione, non una verità.
Anche avessero la tessera ? Non hanno richeste leggitime ?

Devi sempre avere l'ultima parola :D:D

come tutte le donne del resto :D

Deep_al_mare
 
Re: a me non risulta cmq....

Scritto da squirrel
..gente mandata dal sindacato in piazza.... è risaputo che appena sbarcano come clandestini viene messa loro in mano subito una tessera del sindacato... ancora prima di un pezzo di pane...fa numero..;)

curdi???...i curdi poveretti non hanno terra e sono perseguitati da diversi paesei..che hanno da dire contro la globalizzazione???...non vedono l'ora se mai di essere globalizzati ed essere riconsciuti come un popolo di pari diritti... i magrebini??...hanno solo vantaggi dalla globalizzazione..se non altro possono smerciare droga globalizzata a mezzo mondo.... gli iraniani???...ehhehe....un pò difficile da globalizzare il paese musulmano antioccidentale e chiuso..per eccellenza...

diciamo che sta gente è stata fatta scendere in piazza per una manifestazione antiamericana.....

ma che vai dicendo mauro...???!!!

perchè volete appiattire il mondo..globalizzandolo verso il basso?

certo che fa un certo effetto vedere un paio di jeans addosso a un beduino o vederlo mentre si beve una coca cola ghiacciata all'ombra del suo cammello...
ma scommetto che se anziché..prodotti di marca americana (lo si sa gli americani sono il demonio impersonificato).... avessero in bocca un bel globalizzato sigaro cubano di fidel..o il capitale di carlo marx sott'occhio .. o perchè no un bellissimo eskimo stile anni 70...che sono cmq lontani anni luce dalla sua cultura e tradizione... allora non avreste niente da dire vero?????

allora non sarebbe piu un becera forma di egoistica globalizzazione capitalistica che solo sfrutta i poveri.. ma invece un sano e illuminante momento di pensiero globalizzato....

ma a chi credete di darla a bere???..
non vi rendete conto che siete proprio voi miei cari antiglobal....i globalizzatori per eccelenza... volete globalizzare il pensiero mondiale senza che nessuno vi abbia dato mandato a rappresentare i paesi poveri...

con simpatia

:)


Vedo che lei cara Squirrel continua qua, come in passato faceva in altri forum di finanza, a dire cose sbagliate sulla globalizzazione, i suoi sostenitori e contestatori.

Partiamo dai contestatori: è evidente che ci sia una volontà politica di Fausto Bertinotti di impossessarsi del bacino di voti del movimento, ma questo non vuol dire che chi è parte di questo movimento di pensiero stia al gioco di questo signore.
I sindacati a Genova non sono venuti, se si eccettua qualche realtà che si è presentata da sola, ad esempio la Cgil Brianza.
A Genova c'erano persone di ogni dove e di ogni credo religioso e politico quindi mi pare alquanto sciocco e completamente fuorviante per chi legge questo post voler affermare che NOI SOSTENITORI DI UNA GLOBALIZZAZIONE SOCIALE E NON DEI PROFITTI vogliamo ridurre tutto a un pensiero unico.

A me personalmente risulta che il pensiero unico rientri all'interno della GLOBALIZZAZIONE DEI PROFITTI e trova conferma nella riunione congiunta del 1-7-1997, a Hong Kong, della Banca Mondiale e del FMI.
Quel giorno Bush padre parlò per la prima volta del NUOVO ORDINE MONDIALE, sfortunatamente dimenticando che prima di lui Adolf Hitler utilizzò lo stesso termine (neues ordnung).

Il fatto che dopo 4 anni il figlio sia presidente degli Usa farebbe riflettere una persona con onestà intellettuale, mentre mi sembra che non sia il suo caso. Forse cara Squirrel il pensiero unico risiede nella mente di coloro che propongono a livello globale le stesse politiche economiche e cioé i NEOLIBERISTI, che tra l'altro sono tutto tranne che liberali.
Come dice Paul Krugman nel suo libro "il ritorno all'economia della depressione", i responsabili dei disastri economico-finanziari nei PVS sono il FMI e il segretario del Tesoro Usa grazie alle loro intuizioni di politica economica e monetaria. Per essere esaustivi vorrei precisare che al FMI il potere si esercita sulla base dei contributi versati e guarda caso il primo finanziatore sono gli Usa i quali poi impongono le loro regole al FMI che le consiglia in cambio di prestiti ai PVS disastrati, oggi tocca per l'ennesima volta all'Argentina.
Piace ricordare a Krugman come alcune delle economie colpite da crisi recentemente fossero sane, ma i consigli dei signori del FMI e quindi della politica governativa Usa hanno provocato un vero e proprio disastro portando le economie di tali paesi in recessione.

Ora, io che sono un membro indipendente del movimento per la globalizzazione sociale vorrei sapere perché lei, come ad esempio il signor Angelo Panebianco sul Corriere della Sera oppure un qualsiasi chiacchierone dell'attuale maggioranza di governo ma anche dell'opposizione, continuiate a dire e scrivere cose completamente errate, perché lo fate???


Guardi le sue ultime frasi, lei accusa i NO-Global, che sono tutto tranne che contro la globalizzazione in se, di voler imporre un pensiero unico senza mandato da parte dei PVS.

Scusi Squirrel, ma le politiche del FMI chi le decide? I PVS? E i deliri del G8 da chi sono decisi??? Dai PVS? Chi ha deciso nei PVS di fondare le proprie economie su beni agricoli da esportazione?
Chi ha scelto politiche di sviluppo ad alta densità di capitale nei PVS importando modelli di consumo occidentali? Chi ha deciso la specializzazione delle economie nei PVS? Coloro che si oppongono alla globalizzazione senza scrupoli delle multinazionali???

Io le ripeto ancora che sicuramente c'è qualcuno che ha un interesse politico a strumentalizzare il movimento, e parlo di Fausto Bertinotti, ma le posso garantire che nessuno dei vari appartenenti al GSF è disposto a piegarsi al pensiero di alcuno.
Ed è qua che sta la forza del GSF, nessuno comanda, nessuno impone pensiero, qualcuno ci prova stando dentro altri ci provano a farlo credere xché sono contro di noi e stanno dall'altra parte.
Il movimento fa paura xché non ha capi e non è identificabile, ma a qualcuno piace mettere in cima alla lista Casarini e Agnoletto, le tute bianche e il black block.
In realtà questa gente o questi gruppi comandano quanto comando io: NIENTE.
Io vado in piazza xché me lo dice la mia coscienza e la mia onestà intellettuale.

Forse a lei come ad altri 50 milioni di Italiani è sfuggita un'ANSA nei giorni del G8, in cui i capi di stato dei PVS, presenti a Genova, dichiaravano il loro appoggio alle manifestazioni di piazza pacifiche e alle idee sostenute da costoro.
Certo era un'ANSA scritta in inglese, figuriamoci se cose di questo tipo le scrivono in Italiano oppure qualcuno le riporta in TV o sui giornali, siamo pur sempre in Italia.
Ma se i capi dei PVS erano d'accordo con i manifestanti vuol dire che erano in disaccordo con i G8 o sbaglio? Allora chi è che vuole imporre il pensiero agli altri, I GLOBALIZZATORI SOCIALI O I GLOBALIZZATORI DEI PROFITTI???

Concludo questo mio primo intervento con una domanda a tutti: il caso Bayer non vi fa pensare neanche per un secondo che forse chi è sceso in piazza a Genova abbia qualche ragione???

Paul Krugman dice in conclusione del suo libro:"...gli unici veri ostacoli strutturali al benessere del mondo sono le dottrine obsolete che annebbiano la mente degli uomini."

bye


PS: per chi vuole farsi un'idea intelletualmente onesta sulle teorie dello sviluppo economico consiglio....................
Franco Volpi: "Introduzione all'economia dello sviluppo" edito da Franco Angeli, lire 48.000
 
Azz e si chiama mariagrazia
pensavo si chiamasse Frau Delikatessen :D:D


Deep_intimorito :D
 
Scritto da luigir
Padoa-Schioppa che concorda con i Radicali... Ohibo'! che sta succedendo.

io da elettore "anche" dei radicali, invece non potrei concordare meno con Bonino e Compagni.

Non sono contro la Globalizzazione, sono contro questa globalizzazione, sono contro quegli Organismi che P-S menziona perche' estremamente politicizzati e nelle mani dei Paesi ricchi. Quel manifestante contro il WTO potevo esserlo io, Liberale e Socialista e non c'e' nulla di scioccante se questo WTO scende a patti coi Talebani per far passare un oleodotto in territorio afghano in nome del petrolio. un WTO che ammette la Cina nonostante i controlli delle nascite obbligatorie e l'abuso di diritti umani, un WTO che ha ancora un sistema di Veti, l'ultimo quello di oggi degli USA per l'ingresso dell'IRAN... non parliamo delgi altir che mi da' il voltastomaco slo a pensarci..

Tutti Santi e tutti bravi questi nostri politici moderni e tutti preoccupati per il bene di tutti i poveri del mondo che continuano ad aumentare.

Andare avanti globalizzando ancora di piu' quando si e' intrapreso un binario sbagliato sembra a me solo un errore.

Oggi anche Buttiglione ha portato avanti le stessissime tesi di Padoa-Schioppa (GR Parlamento) ma nonostante ci possa essere del vero nelle loro parole credo che se non si conosce ancora il metodo per andare avanti basta fermarsi o rallentare.

Buttiglione, nello stesso intervento, parlava di Forma di Stato Europea e diceva che non bisognava correre molto verso il Federalismo, anceh se lui e' favorevole alla soluzione Scroeder, altrimenti si torna indietro e ci si fa male visto che non siamo ancora preparati. Allo stesso tempo invece invitava poi a spingere sull'acceleratore della globalizzazione, anceh se non conosciamo ancora tutti i meccanismi ed a lui non piace eccessivamente, perche' non ci si puo' fermare e tornare indietro...

Quindi SI al Federalismo pero' meglio di NO e NO alla globalizzazione pero' meglio di SI'...

interessante...


lo so che e' un po' troppo e forse sembrera' piaggeria ma...te lo devo proprio...

luigir...GRAZIE di esistere
:)
 
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