la spoliazione è il fondamento dell'azione statale e la fiscalità è l'arma essenziale

asqueldaz

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" Di fronte all'oppressione fiscale e al peso crescente di una tassazione che soffoca l'economia qualcuno potrebbe pensare che il problema sia tipicamente italiano e sia da ricollegare, in buona sostanza, al generale collasso delle nostre strutture pubbliche. Le cose non stanno così. Basta leggere il saggio dell'economista francese Pascal Salin su La tirannia fiscale per constatare che la nostra situazione si inserisce perfettamente nel quadro generale europeo ed occidentale. Se in Italia, dove ha governato per decenni una cleptocrazia da Terzo Mondo, le cose vanno male, non molto meglio funzionano in Germania, in Francia o in Gran Bretegna, dove spesso dignitosi governi conservatori si sono alternati a dignitosi governi progressisti. Così, chi si illude che possa bastare un semplice spostamento a destra dell'asse politico si sbaglia di grosso. Non è certo con ricette tradizionali, espressione di impostazioni culturali ancora legate a logiche fallimentari (centraliste e assistenzialiste), che potremo uscire da una crisi epocale quale è quella con cui l'intero Occidente è costretto a confrontarsi. Nel libro di Salin emerge molto bene come gli Stati - tutti gli Stati - stiano conoscendo un vero e proprio declino, ben testimoniato dal successo formidabile dei cosiddetti "paradisi fiscali". Gli individui e le imprese, infatti, malsopportano il taglieggiamento a cui le classi politiche e burocratiche sottopongono i gruppi sociali più produttivi e intraprendenti. E sfuggono alla rapacità del fisco trasferendosi in quelle realtà che offrono una migliore accoglienza agli individui e ai capitali. Ma se le cose stanno in questi termini, è evidente che non ha alcun senso immaginare una qualunque semplicazione o anche blande forme di cosiddetto "federalismo fiscale". L'idea stessa dell'imposizione fiscale va ripensata alla radice.

Va sottolineato, in questo senso, che l'economista francese prende sì di mira le "forme" della tassazione e critica il proliferare dei tributi, ma va ben oltre tutto questo. Egli auspica un sistema davvero semplice (non otto imposte, come vorrebbe il professor Tremonti, ma soltanto una....): un quadro legale che risponda a criteri di rispetto del contribuente e non soltanto all'esigenza dello Stato di accumulare sempre più soldi per finanziare clientele e privilegi, ma soprattutto egli attacca la "sostanza" del prelievo tributario, contestando una per una tutte le ragioni che vengono addotte dagli statalisti di destra e di sinistra a difesa della progressività impositiva, della patrimoniale, del prelievo fiscale sull'eredità (ovvero sul morto), ecc. E anche dell'intervento pubblico che le imposte finanziano: con la scusa di aiutare le aree più povere, i settori in crisi e i soggetti bisognosi. Quale economista di grande valore, Salin conosce ogni dettaglio tecnico delle impalcature fiscali che sono state costruite per sottarre dalle nostre tasche circa il 60% di quanto produciamo. Ma soprattutto, da autentico liberale quale è, egli ha il merito di sottoporre la fiscalità ad un vaglio critico davvero radicale: senza timore di infrangere tabù, né di scandalizzare le vestali dell'oppressione statalista. E così - leggendo questo testo - risulta del tutto evidente che "la spoliazione è il fondamento dell'azione statale", e che "la fiscalità è l'arma essenziale di questa spoliazione".

Salin analizza il fisco e lo Stato moderno al tempo stesso, convinto com'è che la crisi dell'uno rinvii alla crisi dell'altro.
.......... si chiede anche come sia possibile, realisticamente, uscire da questa situazione. Nelle ultime pagine emerge una risposta di notevole interesse anche per il nostro Paese. Salin sottolinea come la concorrenza tra "governanti o autorità pubbliche" sia una strada importantissima da seguire per chi voglia lasciare alle spalle i disastri dello Stato moderno e la fiscalità da rapina di cui esso si nutre. Ma cos'altro è questa concorrenza tra istituzioni se non l'avvio di processi di disgregazione dello Stato centrale, in virtù dell'introduzione di ordinamenti federali o anche di secessioni a catena volte a far comparire molti piccoli Stati dove oggi c'è invece una sola autorità che governa territori molto estesi? Chi in questi giorni scende in piazza contro il fisco fa bene. Chi cerca di difendersi dall'esproprio esercitato dai signori in divisa che entrano nelle imprese per conto delle classi politico-burocratiche, ha ragioni morali da vendere. Chi domanda tributi più semplici e meno bizantini si fa portavoce di una richiesta più che legittima. Ma se tutte queste persone non si rendono conto che l'iperfiscalità è l'altra faccia dello Stato sociale, del centralismo e del nazionalismo, esse sono destinate a non trovare alcuna risposta ai loro problemi. Salin spiega bene che soltanto chi ha compreso le ragioni morali del liberalismo, del mercato e della concorrenza tra istituzioni può prospettare un'autentica via d'uscita dal caos tributario entro il quale siamo finiti. Bisogna che i contribuenti se ne rendano conto, se non vogliono essere imbrogliati un'altra volta.

La tirannia fiscale

Pascal Salin

http://www.tg0.it/doc.php?foglio=2&doc=177
 
"L’unica via è una drastica riduzione della spesa pubblica"

24-09-2012

Francese e liberista fino al midollo si può. Pascal Salin è tra i massimi esponenti viventi della Scuola austriaca di economia. Già presidente della Mont Pelerin Society, l’associazione baluardo del libero mercato che annovera tra i suoi membri Milton Friedman e Friedrich von Hayek. Secondo alcuni rumors Salin avrebbe partecipato al summit riservato dei guru dell’economia organizzato a Villa Gernetto da Silvio Berlusconi e Antonio Martino. A domanda diretta lui non conferma né smentisce.

Professore, lei ha dichiarato che la “crisi dell’euro” non esiste e che in realtà si tratterebbe di una crisi del debito. Che intende?

Contrariamente all’opinione corrente non c’è nessuna crisi dell’euro. In Europa molti governi hanno accumulato dei deficit di bilancio significativi, e diversi tra loro non sono in grado di restituire i prestiti contratti con i relativi interessi. E’ il caso della Grecia e non solo. In realtà però non si tratta di una crisi della Grecia, ma di una crisi della politica di bilancio della Grecia, non è la stessa cosa. Perché allora parlano di crisi dell’euro? Perché la Grecia fa parte della zona euro. Se però uno stato degli Stati Uniti ha delle difficoltà finanziarie, nessuno parla di “crisi del dollaro”. La crisi specifica greca diventa crisi dell’euro nel momento in cui i governi pretendono a torto che venga esercitata la solidarietà tra i Paesi membri per il sol fatto che essi usano la stessa moneta.

In nome di questa solidarietà i governi hanno chiesto e ottenuto l’intervento della Banca centrale europea.

Esattamente. In questo modo il problema budgetario di un Paese diventa problema monetario e si costruisce arbitrariamente una crisi dell’euro che non dovrebbe esistere. Ne derivano inflazione e instabilità economico-finanziaria.

Ma perché i governi non riescono a tenere i conti in ordine?

Perché da lungo tempo si illudono di rilanciare l’attività economica con le solite ricette sbagliate. Secondo la teoria keynesiana, che è ancor oggi il credo economico degli Stati, un deficit di bilancio aumenta la domanda globale e favorisce la crescita economica. Per spendere di più però gli Stati si indebitano, ciò comprime la capacità di risparmio e di conseguenza gli investimenti privati. Non si crea nuova domanda e molto spesso l’unico effetto è lo spreco di risorse scarse.

Perché allora i politici europei hanno stabilito questo link artificiale tra il problema del bilancio nazionale e il funzionamento dell’eurozona?

I governi agiscono in modo complice gli uni con gli altri e mal sopportano che arrivino i mercati finanziari a sanzionare la cattiva gestione delle finanze pubbliche da parte di uno di essi. I governi credono che convenga venire in soccorso della Grecia (ovvero del governo greco) affinché anche gli altri Paesi agiscano allo stesso modo nel caso in cui in futuro quel Paese incappi nelle medesime difficoltà. Tra le imprese invece non funziona così: se un’azienda non riesce a ripagare i suoi debiti, non si aspetta certo che le altre se ne facciano carico in nome di una presunta solidarietà. Ognuno è responsabile per sé. Perché non ragionano così anche i governi? Spetta al governo greco risolvere i problemi dovuti alla disastrosa gestione finanziaria del passato. Gli altri Paesi non devono sostenerne il peso sotto il pretesto che hanno la stessa moneta.

Secondo alcuni l’unione monetaria non è in grado di funzionare se persistono vistose differenze macroeconomiche tra i Paesi membri.

E’ falso! Ho già citato il caso della zona del dollaro, ma possiamo pensare anche alla zona del franco: da lungo tempo la Francia e i Paesi africani della zona francofona condividono senza problemi la stessa moneta (che oggi in realtà è l’euro). Anche l’Italia non ha avuto una moneta unica, la lira, con regioni assai diverse tra loro? Spesso si ritiene che un’unione monetaria debba comprendere Paesi simili perché implicitamente si crede – a torto – che per mezzo delle manipolazioni monetarie si possa influenzare l’attività economica, per esempio a colpi di svalutazione. E’ una mera illusione. In campo monetario c’è una sola regola da seguire: mai aumentare arbitrariamente la quantità di moneta in circolazione, qualunque sia il livello di sviluppo del Paese considerato.

E’ meglio mantenere l’euro o tornare alla moneta nazionale?

Non c’è un solo motivo per tornare alla moneta nazionale. Io non ero particolarmente entusiasta della creazione dell’euro, che ha distolto l’attenzione dei cittadini da problemi importanti come la riduzione delle tasse. Oggi però l’euro esiste e va mantenuto. Se la Grecia tornasse alla dracma, potrebbe svalutare la moneta. Ma una svalutazione è un furto ad opera dello Stato perché consiste nella modifica discrezionale del valore della moneta nazionale che i cittadini sono obbligati a usare. Si illude chi crede che un cambiamento monetario di questo tipo possa avere degli effetti reali benefici. Certo, per un breve periodo si ingannano i cittadini perché i prezzi aumentano prima che i salari possano raggiungerli. Ma le persone non si fanno ingannare a lungo da questo genere di manipolazione. Quanto alla Banca centrale, si parla spesso del suo ruolo come prestatore di ultima istanza. A me sembra assai pericoloso. In realtà, ciò consiste nel dire alle banche: assumete pure rischi importanti per fare profitti elevati. Se rischiate di fallire, vi salverà la banca centrale. E’ una logica deresponsabilizzante: in questo modo i profitti sono privati e le perdite collettivizzate. In un mondo di imprenditori responsabili il fallimento va accettato come sanzione di una cattiva gestione.

Che deve fare il governo italiano per ricostruire la fiducia degli investitori?

L’unica via è una drastica riduzione della spesa pubblica. Il governo deve comportarsi come farebbe una persona comune: se ha troppi debiti vanno tagliate le spese. Purtroppo la tentazione assai frequente è l’aumento delle tasse, ma questa politica distrugge gli incentivi a produrre e può portare persino a una riduzione delle entrate fiscali. E’ per questo che vanno tagliate le imposte.

Secondo un recente studio di Confcommercio, la pressione fiscale in Italia ha raggiunto un record mondiale. Il settore del lusso è in caduta libera. I blitz polizieschi contro i simboli del benessere come Cortina aiutano nella lotta all’evasione?

Ai governi converrebbe diminuire significativamente e rapidamente le tasse perché così incentiverebbero i cittadini a lavorare, innovare, risparmiare e investire di più. Peraltro è dimostrato che l’evasione fiscale è più ridotta quando le aliquote sono basse. E’ meglio avere imposte leggere e poca evasione fiscale piuttosto che tasse elevate e una politica di lotta all’evasione che è in sé costosa, lesiva della privacy degli individui, foriera di frustrazione e paura, inevitabilmente molto iniqua.

Lei ha detto che l’evasione fiscale non è “immorale”.

L’uso della forza è immorale. Lo Stato detiene il monopolio della forza legalizzato. Ma legalità non vuol dire legittimità né moralità. Il prelievo fiscale sarebbe legittimo se fosse approvato all’unanimità. Nella realtà una maggioranza di individui attraverso i propri rappresentanti politici è in grado di espropriare una minoranza a tassi di imposta paragonabili a una vera e propria confisca e innegabilmente immorali. Possiamo allora ritenere che colui che resiste a questa oppressione attraverso l’evasione fiscale sia in una situazione di legittima difesa dei propri diritti? Ci sono diversi metodi di evadere il fisco. Chi esilia per sfuggire all’inferno fiscale, come quello francese o italiano, non fa che esercitare i propri diritti e la propria libertà. Tuttavia chi sfugge all’imposta sa che gli altri contribuenti rischiano di essere ancor più pesantemente vessati dal fisco a causa della sua defezione. Egli può scegliere se esiliare oppure intraprendere un’opera di persuasione verso i propri concittadini al fine di eleggere nuovi governanti o, per esempio, organizzare uno sciopero collettivo. Tutto ciò però rientra nella coscienza individuale, è difficile stabilire in proposito una regola generale incontestabile.

E’ ottimista sul futuro dell’Italia?

La situazione economica nel vostro Paese è preoccupante. Ma sembra che l’attuale governo abbia fatto tutto sommato qualche passo nella giusta direzione. Le politiche realizzate in Italia sono certamente migliori di quelle francesi dove il governo fa l’esatto opposto di quello che serve. Si tratta tuttavia di risposte timide rispetto a quello che andrebbe fatto (drastica e rapida riduzione delle tasse, deregolamentazioni). Io conservo un certo ottimismo perché nel passato gli italiani hanno dato prova della loro capacità di intraprendere e del loro amore per la libertà individuale. Dobbiamo dunque sperare che la pressione dell’opinione pubblica spingerà i governi futuri ad adottare misure liberatrici. Poi la storia è sempre imprevedibile. Possiamo sperare che avvengano dei profondi cambiamenti istituzionali, ma non possiamo essere certi che accadranno.

Pascal Salin: La crisi dell’euro non esiste. Evadere il fisco? Non è immorale - I blog di Panorama
 
" La moderna democrazia nasce dall'esigenza di limitare i poteri di chi governa, non ultimo quello di imporre tasse. Laddove - come è accaduto in molti paesi e in special modo in Italia negli ultimi trent'anni - la potestà tributaria è usata come strumento per depredare alcuni cittadini a favore di altri, e ha come unico limite quello della voracità delle corporazioni sul cui consenso si fonda il potere, lì la democrazia si riduce a farsa della democrazia.
Accade allora che il "Principe", attraverso un accurato lavaggio del cervello, riesca a persuadere la massa dei cittadini che alcune scelte tributarie, come ad esempio progressività delle imposte, tassazione dell'eredità, ipertassazione dei patrimoni, armonizzazione fiscale europea e così via, siano dogmi indiscutibili e immodificabili. Dogmi che vengono spacciati per verità scientifiche e nobilitati di un'aura di alta eticità. Ma per fortuna vi sono ancora eresiarchi impenitenti, come Pascal Salin, che con la lama del libero pensiero smascherano queste "pie frodi" elaborate per legittimare le scandalose rapine dello Stato padrone-predone.

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Pascal Salin - La tirannia fiscale
 

Pascal Salin

" ... Lo Stato detiene il monopolio della forza legalizzato. Ma legalità non vuol dire legittimità né moralità. Il prelievo fiscale sarebbe legittimo se fosse approvato all’unanimità. Nella realtà una maggioranza di individui attraverso i propri rappresentanti politici è in grado di espropriare una minoranza a tassi di imposta paragonabili a una vera e propria confisca e innegabilmente immorali. ... "
 
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