La tattica del perdente

serenanotte

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Non sono passate nemmeno due settimane, ma sembra già un ricordo appannato quello di Pier Luigi Bersani che sale sul palco del teatro Capranica accolto da un'ovazione nella notte delle primarie. In quel momento ad apparire ormai sbiadita era la foto del governo dei «tecnici», infilata nell'album dei ricordi dai milioni di cittadini in fila ai gazebo. In questa manciata di giorni sono accadute però molte cose. E' tornato in campo Berlusconi (solo che questa volta non ha trovato il campo), ma soprattutto, con le sue pre-dimissioni, si è ripreso prepotentemente la scena Mario Monti, schierando una folta e influente tifoseria internazionale. Talmente influente che per lo stesso segretario Pd la carica delle primarie rischia di essere già un amarcord.
Il presidente del consiglio non ha ancora sciolto la riserva su una sua candidatura, ma l'ingresso teatrale di ieri al vertice Ppe è servito a raccogliere un'investitura che in ogni caso, è il messaggio inviato in patria, dovrà servire come monito a chi entrerà dopo di lui a palazzo Chigi. L'ombra del montismo si allunga a tal punto sul Pd che, intervistato dalla Welt, Bersani si è sentito in dovere di affermare che sì, Monti farebbe bene a tenersi fuori dalla campagna elettorale, ma se deciderà di candidarsi «rispetteremo la decisione e segnaleremo la volontà di collaborare». Di fronte all'evidente difficoltà di fronteggiare un potenziale candidato così ingombrante e oltretutto sostenuto «lealmente», è leggibile il tentativo di uscire dall'angolo improvvisando una nuova mossa tattica per rassicurare le famose cancellerie. Ma di tattica (e dell'intramontabile complesso da fattore K), come Bersani dovrebbe ben sapere, si può morire. Ancor prima delle elezioni il leader del «cambiamento» promesso si precipita a indicare accordi con chi potrebbe diventare il suo principale contendente (magari con mezzo Pdl al seguito), ridimensionando l'alleato di sinistra Vendola («si deciderà a maggioranza e il Pd è sopra il 30%»). Più che a una tattica somiglia alla rassegnazione. Oltretutto per il segretario democratico ora l'agenda Monti è «un punto di non ritorno».
Le primarie per la scelta dei parlamentari potrebbero rivelarsi l'ultimo paradosso. Si voterà con il Porcellum soprattutto per la netta contrarietà di Bersani a una riforma che gli sbarrasse la strada, favorendo un Monti bis. Ma con la china intrapresa il leader del Pd rischia di tornare alla casella di partenza, incoronando il professore prima del tempo. Incrociare le dita sperando che l'unto dai mercati decida di non scendere in campo non è esattamente una posizione politica.

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