L’American Enterprise minaccia l’Italia

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lothar54

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ho letto questo articolo di m. blondet e sarei grato conoscere le vostre considerazioni in merito, grazie

lot


Sul Financial Times è apparso un ennesimo articolo che minaccia l’Italia (1).
Lo firma Desmond Lachman.
Chi è?
E’ uno dei membri dell’American Enterprise, la fondazione «culturale» di Richard Perle, Paul Wolfowitz e Michael Leeden, insomma dei neocon ebraico-americani.
Lo stesso organismo che ha spinto l’America alla guerra in Iraq, ed ora la sta spingendo contro l’Iran.
E’ dunque una minaccia da prendere sul serio.
L’Italia, dice Lachman, «sta scendendo la china che ha portato l’Argentina al disastro».
Ed elenca le analogie.
Nel 1991, l’Argentina agganciò la sua moneta al dollaro, divisa troppo forte per la sua debole economia.
L’Italia ha abbandonato la lira per l’euro, troppo forte.
Entrambi i Paesi speravano così di imporsi, in un regime di bassa inflazione, la disciplina fiscale e le dure riforme del lavoro («flessibilità») necessarie per competere sul mercato globale.
Così facendo, anche l’Italia, come l’Argentina, ha rinunciato alla facoltà di stabilizzare la sua economia come ha sempre fatto: con svalutazioni periodiche per far costare meno le sue merci all’estero, e con inflazione per diluire il suo debito pubblico.



Privatasi della sua politica monetaria sovrana, l’Italia deve ora accettare i tassi d’interesse imposti - uguali per tutti i Paesi europei - dalla BCE, Banca Centrale Europea.
E ora, la BCE ha aumentato i tassi, aggravando gli interessi che l’Italia paga sul suo debito pubblico colossale.
Ora, i liberisti sanno che se la moneta è «rigida», a dover diventare «flessibili» sono le paghe dei lavoratori.
L’Italia non taglia i salari, né il bilancio statale.
Né Berlusconi né Prodi danno garanzie che lo faranno in futuro.
Intanto, l’Italia perde competitività (15 punti sotto la Germania, perché «gli aumenti salariali» - quali? - «non sono stati compensati da un aumento di produttività»), perde quote di mercato, esporta sempre meno.
Nella recessione deflazionista in cui l’ha gettata la moneta forte, l’Italia vede diminuire gli introiti fiscali: sicchè aumenta sia il deficit pubblico (4% del PIL, fuori dai parametri di Maastricht) sia il debito.
Prossimamente, prevede Lachman, le agenzie di rating declasseranno di nuovo il debito italiano: i BOT.
Fino ad oggi, la BCE accetta i BOT italiani al tasso d’interesse (lieve) che ha imposto a tutta l’Europa.



Così facendo, in pratica, sono i Paesi «forti» (Germania, Belgio, Olanda, Francia) ad accollarsi il costo-Italia, di fatto accollandosi la differenza tra il rendimento dei BOT attuale e quello che dovremmo offrire se fossimo fuori dall’euro.
Questa cosa non può continuare, intima Lachman.
Anche l’Argentina confidò che il Fondo Monetario avrebbe continuato a coprire le sue perdite per sempre: si sbagliò.
«L’Italia commetterebbe un grave errore se rimandasse le dolorose riforme di mercato necessarie, confidando nell’indefinita indulgenza della BCE».
Articolo notevole, per vari motivi.
Il primo è che un americano dica, o piuttosto ordini, le future mosse della Banca Europea contro l’Italia.
Il secondo: il messaggio dei neocon è rivolto a Prodi, che hanno deciso dovrà vincere le elezioni.
Ma l’amico Claudio Celani, che lavora per l’Executive Intelligence Review, ci fa notare che il messaggio contiene qualcosa di peggio: delineerebbe il piano per sbattere fuori l’Italia dai benefici dell’euro.
Espellendola di fatto dall’Unione Europea.



Il primo a parlare del piano è stato Joachim Fels, economista della Morgan Stanley.
In un’intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung rilasciata l’8 agosto 2005: proprio il giorno in cui l’agenzia di rating Standard & Poor’s aveva decretato il passaggio dell’economia italiana da «stabile» a «negativa», preludio al declassamento del nostro debito pubblico.
In altri tempi, questo fatto avrebbe costretto il Tesoro ad aumentare gli interessi dei nostri BOT, aggravando il nostro deficit; ma poiché siamo nell’euro, i nostri tassi sono quelli europei.
Bassi.
Per questo, Fels disse al giornale tedesco: «ritengo improbabile che l’Italia esca dal sistema monetario europeo di sua volontà. E’ più probabile che un giorno i Paesi che vogliono la stabilità [dell’euro] diranno: noi introduciamo una nuova moneta forte, che chiamiamo Neuro (sic). E così gli italiani, e gli altri che diluiscono la qualità e stabilità dell’euro, saranno lasciati fuori».
Pochi giorni dopo (il 13 agosto) l’Economist, che è l’organo ufficioso della City di Londra, chiedeva le dimissioni di Fazio da Bankitalia: segnale d’inizio della lotta che è finita come sappiamo.
Come disse allora Tremonti, era la preparazione allo stesso scenario «del Britannia».
Ricordate?



Nel 1992 il Britannia, il panfilo della regina d’Inghilterra, comparve al largo di Civitavecchia: era pieno di banchieri inglesi, che imbarcarono una quantità di banchieri ed esponenti di poteri forti italiani.
C’era anche Mario Draghi, allora funzionario del Tesoro: che tacque di quell’incontro per ammettere solo due anni dopo, interrogato da una commissione parlamentare, che sul Britannia c’era anche lui.
I banchieri inglesi erano venuti a «fare la spesa», ossia a comprarsi i gioielli dell’industria pubblica italiana; e per rendere economica la spesa, anche allora Standard & Poor’s declassò il debito italiano; nello stesso periodo, George Soros lanciò il suo famoso attacco contro la lira che portò alla svalutazione della nostra moneta.
E in lire svalutate lorsignori comprarono i gioielli dell’IRI.
Insomma: una strategia concertata.
Ora si sta ripetendo lo stesso scenario, con Draghi a Bankitalia.
Ci si chiederà: che cosa ci vogliono prendere ancora, i banchieri della City e del Bilderberg Club? Facile risposta, viste le teleguidate sventure di Fiorani e Consorte: vogliono mettere le mani sul risparmio delle famiglie italiane, valutato a 140 miliardi di euro, e gestito dalle banche italiane nel noto modo criminale, rifilandoci obbligazioni Parmalat e bond argentini.



Ma può essere peggio, se a gestire il risparmio nostro sono quelli del Britannia.
Vediamo la strategia.
Bernard Connolly, il capo-economista della AIG (il più grosso gruppo assicurativo mondiale) ha scritto recentemente su The Wall Street Italia un articolo significativo: «l’Italia può uscire dall’euro?».
E anche lui traccia un parallelo fra noi e l’Argentina.
Dice Connolly: come l’Argentina agganciò la sua moneta al dollaro - moneta troppo forte per la sua fragile economia - così l’Italia si è voluta agganciare all’euro per darsi una disciplina di spesa. Ormai, la sola strada che resta agli italiani per mettere ordine nei conti pubblici è «tagliare i salari», e attuare una politica deflazionista dura.
Sicchè l’Italia ha davanti la prospettiva di «un orribile martirio», come quello sofferto dagli argentini: dovrà andare in recessione, e lo Stato dovrà chiedere al popolo italiano - disoccupato o malpagato - «di sopportare l’insopportabile».
Perché in realtà l’Italia dovrebbe svalutare del 20 %, e non può, poiché è nell’euro.



Subito dopo Martin Wolf, direttore del Financial Times nonché membro del Bilderberg (la società segreta dei miliardari delle due sponde dell’Atlantico) rilanciava lo «scenario Argentina» per il nostro Paese.
E diceva: se vuol restare nell’euro, l’Italia deve darsi «un governo tecnocratico con largo appoggio popolare» (sic) che tagli i salari all’osso: il programma che da quel momento viene adottato da Montezemolo.
Ma Connolly diceva un’altra cosa: l’Italia deve uscire dall’euro, diciamo così, per il suo bene.
Ci converrebbe infatti, salvo un piccolo particolare: i nostri debiti sono in euro, e con un ritorno alla lira svalutata, dovremmo continuare a pagare gli interessi in euro.
Ci siamo indebitati in euro, si noti, senza necessità: perché i risparmiatori italiani hanno sempre acquistato i BOT italiani, ed hanno i mezzi per farlo.
Invece Ciampi, sia come governatore di Bankitalia sia come ministro e premier, ha emesso una quantità enorme di BOT che ha venduto sui mercati europei.
La metà dei titoli che galleggiano sul mercato degli eurobond è costituito dai nostri BOT in moneta forte.
Ed è questo che ci rende fragili di fronte alle manovre.
L’autunno scorso la Banca Centrale Europea ha intimato che non accetterà più buoni del Tesoro di Stati che non abbiano un rating superiore ad A-.



L’intimazione apparentemente era mirata alla Grecia, che ha un rating A; anche ad essa si prospetta uno scenario argentino. Ma la Grecia non ha tanto debito all’estero come noi.
Il vero bersaglio era l’Italia: proprio allora, guarda caso, la solita Standard & Poor’s ci aveva declassato i BOT ad AA- «negativo», peggio del Portogallo (AA- «stabile»).
Che cosa vuol dire?
Nel succo, vuol dire questo: che non ci permetteranno di abbandonare l’euro.
Perché se l’Italia torna alla lira, può fare davvero come l’Argentina: ripudiare il suo debito in euro, dichiarare fallimento, e lasciare chi detiene i nostri eurobond con pacchi di carta straccia.
Ma gli stranieri, che hanno i nostri eurobond, non ce lo lasceranno fare.
Ecco il senso del progetto di Fels della Morgan Stanley: ci vogliono lasciare nell’euro, ma un euro «indebolito», con Grecia e Portogallo.
Mentre Germania, Francia, Olanda e Lussemburgo, Belgio e forse Spagna, si daranno una nuova moneta forte, il new-euro o «neuro».
Così, noi dovremo continuare a pagare gli interessi sul nostro debito in euro: il punto è che l’euro, benché «indebolito», continuerà ad essere emesso dalla Banca Centrale Europea.
L’Italia non recupererà la propria sovranità monetaria, che comprende anche la sovrana decisione di… non pagare il debito.



E' il progetto «neuro», ma non è da neurodeliri.
Questa non è solo una minaccia, è un ordine.
Vogliono cacciarci dal club dell’Europa forte, ma tenerci incatenati all’euro, per impedirci di tornare padroni della nostra moneta.
Il Problema sarà di Prodi.
Ma soprattutto nostro.
Perché Prodi, il signor Goldman Sachs, eseguirà gli ordini ricevuti a nostre spese.
Ci farà «sopportare l’insopportabile», risucchiando i risparmi, tassando case e tagliando salari.
Poi, potrà dire che, grazie ai «sacrifici» (nostri), «ha tenuto l'Italia nell’euro» (debole).

Maurizio Blondet




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Note
1) Desmond Lachman, «Italy follows Argentina in the same road to ruin», Financial Times, 17 marzo 2006.
2) Lo fece per primo Edoardo III, re d’Inghilterra, ripudiando il debito contratto con gli avidi banchieri fiorentini. Confronta il mio «Schiavi delle banche», Effedieffe, pagine 70 e seguenti.
 
:yes: :yes: :yes: :yes: :yes: :yes: :yes: :yes: :yes: :yes: :yes:

andrà proprio così......purtroppo...
 
Erano almeno 12 ore che non si leggeva nulla sul paragone Italia-Argentina.

Secondo me è un atto dovuto di scaramanzia...
 
L’Italia, dice Lachman, «sta scendendo la china che ha portato l’Argentina al disastro».
Ed elenca le analogie.
Nel 1991, l’Argentina agganciò la sua moneta al dollaro, divisa troppo forte per la sua debole economia.
L’Italia ha abbandonato la lira per l’euro, troppo forte.
Entrambi i Paesi speravano così di imporsi, in un regime di bassa inflazione, la disciplina fiscale e le dure riforme del lavoro («flessibilità») necessarie per competere sul mercato globale.
Così facendo, anche l’Italia, come l’Argentina, ha rinunciato alla facoltà di stabilizzare la sua economia come ha sempre fatto: con svalutazioni periodiche per far costare meno le sue merci all’estero, e con inflazione per diluire il suo debito pubblico.


una cosa che mi fa incavolare degli americani est che considerano spesso l europa una nazione sul modello degli usa, per poi invee in materia economica trattare l italia come loro trattavano la colonia argentina. Allora non abbiamo rinunciato alla nostra politica monetaria, a differenza dell argentina non abbiamo ancorato la nostra divisa al dollaro ma l abbiamo scambiata per un altra divisa che est anche nostra. esistono dei parametri da rispettare, cosa che non avveniva in argentina. argentina che aveva un interscambio in maggioranza con i paesi ue ma con divisa agganciata al dollaro, pura follia. la nostra situazione est ben diversa e mi auguro che vi rendiate conto, prima o poi, che queste sono null altro che manovre che discretitano l italia e l euro perche, aamici, agli americani l euro non est andato proprio a genio e cercano l anello debole per colpire visto che hanno bisogno di una divisa che sia veramente globale e che non venga meno la fiducia nel biglietto verde altrimenti so catsi,,, detta papele papele


Privatasi della sua politica monetaria sovrana, l’Italia deve ora accettare i tassi d’interesse imposti - uguali per tutti i Paesi europei - dalla BCE, Banca Centrale Europea.
E ora, la BCE ha aumentato i tassi, aggravando gli interessi che l’Italia paga sul suo debito pubblico colossale.
Ora, i liberisti sanno che se la moneta è «rigida», a dover diventare «flessibili» sono le paghe dei lavoratori.
L’Italia non taglia i salari, né il bilancio statale.
Né Berlusconi né Prodi danno garanzie che lo faranno in futuro.
Intanto, l’Italia perde competitività (15 punti sotto la Germania, perché «gli aumenti salariali» - quali? - «non sono stati compensati da un aumento di produttività»), perde quote di mercato, esporta sempre meno.
Nella recessione deflazionista in cui l’ha gettata la moneta forte, l’Italia vede diminuire gli introiti fiscali: sicchè aumenta sia il deficit pubblico (4% del PIL, fuori dai parametri di Maastricht) sia il debito.
Prossimamente, prevede Lachman, le agenzie di rating declasseranno di nuovo il debito italiano: i BOT.
Fino ad oggi, la BCE accetta i BOT italiani al tasso d’interesse (lieve) che ha imposto a tutta l’Europa.


1, non ci siamo privati della politica monetaria, non piu della California o del Connecticut.

2. i tassi fissati sono quelli della bce ma nulla toglie che poi a livello nazionale ci siano delle deviazioni. Non credo che il costo del denaro quando c era la lira fosse uguale ain tutta italia.

3, recessione deflazionistica... dove lo stanno programmando? Per gli amanti del genere suggerisco uno dei miei politici scrittori preferiti, Jacques Attali.

4, le colpe sono solo politiche e di paura, come dimostrato da questo governo, di prendere decisioni forti ed impopolari altrimenti altro che riforme si potevano fare.



Così facendo, in pratica, sono i Paesi «forti» (Germania, Belgio, Olanda, Francia) ad accollarsi il costo-Italia, di fatto accollandosi la differenza tra il rendimento dei BOT attuale e quello che dovremmo offrire se fossimo fuori dall’euro.
Questa cosa non può continuare, intima Lachman.
Anche l’Argentina confidò che il Fondo Monetario avrebbe continuato a coprire le sue perdite per sempre: si sbagliò.
«L’Italia commetterebbe un grave errore se rimandasse le dolorose riforme di mercato necessarie, confidando nell’indefinita indulgenza della BCE».
Articolo notevole, per vari motivi.
Il primo è che un americano dica, o piuttosto ordini, le future mosse della Banca Europea contro l’Italia.
Il secondo: il messaggio dei neocon è rivolto a Prodi, che hanno deciso dovrà vincere le elezioni.
Ma l’amico Claudio Celani, che lavora per l’Executive Intelligence Review, ci fa notare che il messaggio contiene qualcosa di peggio: delineerebbe il piano per sbattere fuori l’Italia dai benefici dell’euro.
Espellendola di fatto dall’Unione Europea.


Questa parte est veramente di puro terrorismo informativo, da querela o da manicomio, non so. Dimostra scarsa conoscenza della vicenda fmi argentina ed amcora peggio dei meccanismi dell ue



Il primo a parlare del piano è stato Joachim Fels, economista della Morgan Stanley.
In un’intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung rilasciata l’8 agosto 2005: proprio il giorno in cui l’agenzia di rating Standard & Poor’s aveva decretato il passaggio dell’economia italiana da «stabile» a «negativa», preludio al declassamento del nostro debito pubblico.
In altri tempi, questo fatto avrebbe costretto il Tesoro ad aumentare gli interessi dei nostri BOT, aggravando il nostro deficit; ma poiché siamo nell’euro, i nostri tassi sono quelli europei.
Bassi.
Per questo, Fels disse al giornale tedesco: «ritengo improbabile che l’Italia esca dal sistema monetario europeo di sua volontà. E’ più probabile che un giorno i Paesi che vogliono la stabilità [dell’euro] diranno: noi introduciamo una nuova moneta forte, che chiamiamo Neuro (sic). E così gli italiani, e gli altri che diluiscono la qualità e stabilità dell’euro, saranno lasciati fuori».
Pochi giorni dopo (il 13 agosto) l’Economist, che è l’organo ufficioso della City di Londra, chiedeva le dimissioni di Fazio da Bankitalia: segnale d’inizio della lotta che è finita come sappiamo.
Come disse allora Tremonti, era la preparazione allo stesso scenario «del Britannia».
Ricordate?


conosco joachim fels e mi astengo sui suoi giudizi sull europa e sull euro. Chiederei solo a joachim la posizione dei suoi traders sui titoli italiani e sull euro se sia corta o lunga. l intervista in questione era del 7 agosto. visto che si fa l elogio dela politica delle svalutazioni ricordo che anche con quella si arriva ad un eventuale default, non solo con l aggancio di una divisa ad un altra. Ricordo anche un seminario del 1997 dove joachim fels, che ora si dichiara da sempre conto l unione monetaria, dichiararsi favorevole, tengo sempre il link a questo sito della stanford university ogni qual volta leggo le sue elucubrazioni. basta leggere l ultima riga piuttosto che tutto. anzi vi est un cambiamento di posizione in questo speech, dice io ero contro lo sme ma ora sono a favore dell euro anche se euroscettico. http://www.stanford.edu/~wacziarg/articles/ftarticles/ftart2.html



Nel 1992 il Britannia, il panfilo della regina d’Inghilterra, comparve al largo di Civitavecchia: era pieno di banchieri inglesi, che imbarcarono una quantità di banchieri ed esponenti di poteri forti italiani.
C’era anche Mario Draghi, allora funzionario del Tesoro: che tacque di quell’incontro per ammettere solo due anni dopo, interrogato da una commissione parlamentare, che sul Britannia c’era anche lui.
I banchieri inglesi erano venuti a «fare la spesa», ossia a comprarsi i gioielli dell’industria pubblica italiana; e per rendere economica la spesa, anche allora Standard & Poor’s declassò il debito italiano; nello stesso periodo, George Soros lanciò il suo famoso attacco contro la lira che portò alla svalutazione della nostra moneta.
E in lire svalutate lorsignori comprarono i gioielli dell’IRI.
Insomma: una strategia concertata.
Ora si sta ripetendo lo stesso scenario, con Draghi a Bankitalia.
Ci si chiederà: che cosa ci vogliono prendere ancora, i banchieri della City e del Bilderberg Club? Facile risposta, viste le teleguidate sventure di Fiorani e Consorte: vogliono mettere le mani sul risparmio delle famiglie italiane, valutato a 140 miliardi di euro, e gestito dalle banche italiane nel noto modo criminale, rifilandoci obbligazioni Parmalat e bond argentini.


Infatti la prova est che anche la sterlina svaluto ed usci dal serpente monetario forse dopo aver fatto man bassa di tutti i nostri gioielli,,, quali?



Ma può essere peggio, se a gestire il risparmio nostro sono quelli del Britannia.
Vediamo la strategia.
Bernard Connolly, il capo-economista della AIG (il più grosso gruppo assicurativo mondiale) ha scritto recentemente su The Wall Street Italia un articolo significativo: «l’Italia può uscire dall’euro?».
E anche lui traccia un parallelo fra noi e l’Argentina.
Dice Connolly: come l’Argentina agganciò la sua moneta al dollaro - moneta troppo forte per la sua fragile economia - così l’Italia si è voluta agganciare all’euro per darsi una disciplina di spesa. Ormai, la sola strada che resta agli italiani per mettere ordine nei conti pubblici è «tagliare i salari», e attuare una politica deflazionista dura.
Sicchè l’Italia ha davanti la prospettiva di «un orribile martirio», come quello sofferto dagli argentini: dovrà andare in recessione, e lo Stato dovrà chiedere al popolo italiano - disoccupato o malpagato - «di sopportare l’insopportabile».
Perché in realtà l’Italia dovrebbe svalutare del 20 %, e non può, poiché è nell’euro.


gia detto cosa ne penso



Subito dopo Martin Wolf, direttore del Financial Times nonché membro del Bilderberg (la società segreta dei miliardari delle due sponde dell’Atlantico) rilanciava lo «scenario Argentina» per il nostro Paese.
E diceva: se vuol restare nell’euro, l’Italia deve darsi «un governo tecnocratico con largo appoggio popolare» (sic) che tagli i salari all’osso: il programma che da quel momento viene adottato da Montezemolo.
Ma Connolly diceva un’altra cosa: l’Italia deve uscire dall’euro, diciamo così, per il suo bene.
Ci converrebbe infatti, salvo un piccolo particolare: i nostri debiti sono in euro, e con un ritorno alla lira svalutata, dovremmo continuare a pagare gli interessi in euro.
Ci siamo indebitati in euro, si noti, senza necessità: perché i risparmiatori italiani hanno sempre acquistato i BOT italiani, ed hanno i mezzi per farlo.
Invece Ciampi, sia come governatore di Bankitalia sia come ministro e premier, ha emesso una quantità enorme di BOT che ha venduto sui mercati europei.
La metà dei titoli che galleggiano sul mercato degli eurobond è costituito dai nostri BOT in moneta forte.
Ed è questo che ci rende fragili di fronte alle manovre.
L’autunno scorso la Banca Centrale Europea ha intimato che non accetterà più buoni del Tesoro di Stati che non abbiano un rating superiore ad A-.


da ricovero immediato... mai pensato che le societa segrete appaiono sugl ielenchi telefonici o nei forum di finanza.

smetto qui perche non vale lapena commentare oltre, una marea di boia.te. poi visto che sono gli stessi che parlano della cospirazione giudaica che vorrebbe distruggere il mondo, credo che sia piu onesto dire che se siamo in merd,a 7 colpa di chi ci governa,,, inutile cercare scuse,,,
 
luigir ha scritto:
Erano almeno 12 ore che non si leggeva nulla sul paragone Italia-Argentina.

Secondo me è un atto dovuto di scaramanzia...
Devo rifarmi ai post su Italia-euro-argentina che mi sembravano
abbastanza esaustivi.
Ora, affermare che l'Italia ha preso una strada sbagliata và bene.
Ma porca zozza perchè gli italiani dovrebbero continuare per questa
strada mi risulta di difficile comprensione?
E' chiaro a tutti, politici e gente comune, che qualcosa bisognerà fare
(i 5 punti in meno del cuneo fiscale -con tutte le polemiche-
non vanno forse nella direzione giusta (per le imprese intendo)?
Certo che i lavoratori dovranno, purtroppo, probabilmente
rinunciare a qualcosa (vedi Germania) e i sindacati prima o poi
se ne renderanno conto. Speriamo prima che inizino a licenziare
(cosa peraltro non ancora in atto, se non per qualche impresa
qui e là) .
Ma se la Fiat che sembrava destinata al fallimento solo 18 mesi fa
ce l'ha -quasi- fatta, perchè non dovrebbero riuscirci altre
imprese?
Mi spiace, ma su questo devo dar ragione a Berlusconi, se
continui a vedere tutto nero è ( più) difficile venirne fuori...
Ragazzi, io temo che voi teniate troppo in considerazione i
politici e le loro scelte, io faccio affidamento sugli italiani
e soprattutto le imprese medio-piccole.
Ma che ne sappiamo noi di cosa producono vendono in giro
per il mondo (sull'ultimo no. del'Economist c'è un bell'art.
sui vini siciliani..e di come siano riusciti ad emergere
chiamando in aiuto i tecnici australiani, sì australiani
perchè i loro clima è simile a quello siciliano....)
Le ns.imprese non dormono e non guardano a Roma...per fortuna
un saluto a tutti
 
Fresca fresca di giornata...
Isae: la fiducia delle imprese manifatturiere balza a marzo sui massimi degli ultimi 5 anni

L’indice, considerato al netto dei fattori stagionali e calcolato in base 2000=100, si attesta a 94,2 da 92,7 di febbraio; migliorano soprattutto i giudizi sull’andamento degli ordini (in particolare sui mercati esteri) e le previsioni sulla produzione, mentre tornano ad aumentare lievemente le scorte di prodotti finiti.
Recuperano anche i giudizi sugli attuali livelli produttivi e le attese su ordini e occupazione, mentre sono in leggero ribasso le aspettative Generali sull’economia e sono stabili i livelli di liquidità per le esigenze operative.
A livello settoriale, la fiducia migliora marcatamente nei beni di consumo (da 91,5 a 93,7 sui massimi da novembre 2004) e nei beni intermedi (da 91,9 a 94,3 il valore più elevato da gennaio 2001); un miglioramento meno marcato si registra invece nel settore dei beni di investimento (da 95,6 a 96), dove comunque l’indicatore si attesta sui massimi dal dicembre 2000.
Il maggiore ottimismo è diffuso a livello territoriale: la fiducia migliora in modo particolare nel Nord Ovest e nel Centro, sale moderatamente nel Nord Est e rimane invariata nel Mezzogiorno.

Nel primo trimestre dell’anno migliorano le prospettive dell’attivita’ di esportazione e salgono i prezzi all’estero

Le attese riguardo all’andamento del fatturato all’esportazione passano, in termini di saldo destagionalizzato, da -1 a 3 ed i giudizi sulla situazione corrente salgono a 13 da 7; aumenta anche il rapporto tra prezzi all’esportazione e prezzi interni.
Coerentemente, diminuiscono i vincoli all’attività di esportazione, grazie soprattutto ad una diminuzione del ruolo degli “altri motivi”, probabilmente legati all’andamento della domanda internazionale.
Le imprese indicano in diminuzione la concorrenza che proviene dai paesi europei, in particolar modo dalla Germania e dalla Francia, e quella degli USA e della Cina; è invece in aumento la quota di coloro che indicano come concorrenti i Paesi del resto del mondo.
 
luigir ha scritto:
L’Italia, dice Lachman, «sta scendendo la china che ha portato l’Argentina al disastro».
Ed elenca le analogie.
Nel 1991, l’Argentina agganciò la sua moneta al dollaro, divisa troppo forte per la sua debole economia.
L’Italia ha abbandonato la lira per l’euro, troppo forte.
Entrambi i Paesi speravano così di imporsi, in un regime di bassa inflazione, la disciplina fiscale e le dure riforme del lavoro («flessibilità») necessarie per competere sul mercato globale.
Così facendo, anche l’Italia, come l’Argentina, ha rinunciato alla facoltà di stabilizzare la sua economia come ha sempre fatto: con svalutazioni periodiche per far costare meno le sue merci all’estero, e con inflazione per diluire il suo debito pubblico.


una cosa che mi fa incavolare degli americani est che considerano spesso l europa una nazione sul modello degli usa, per poi invee in materia economica trattare l italia come loro trattavano la colonia argentina. Allora non abbiamo rinunciato alla nostra politica monetaria, a differenza dell argentina non abbiamo ancorato la nostra divisa al dollaro ma l abbiamo scambiata per un altra divisa che est anche nostra. esistono dei parametri da rispettare, cosa che non avveniva in argentina. argentina che aveva un interscambio in maggioranza con i paesi ue ma con divisa agganciata al dollaro, pura follia. la nostra situazione est ben diversa e mi auguro che vi rendiate conto, prima o poi, che queste sono null altro che manovre che discretitano l italia e l euro perche, aamici, agli americani l euro non est andato proprio a genio e cercano l anello debole per colpire visto che hanno bisogno di una divisa che sia veramente globale e che non venga meno la fiducia nel biglietto verde altrimenti so catsi,,, detta papele papele


Privatasi della sua politica monetaria sovrana, l’Italia deve ora accettare i tassi d’interesse imposti - uguali per tutti i Paesi europei - dalla BCE, Banca Centrale Europea.
E ora, la BCE ha aumentato i tassi, aggravando gli interessi che l’Italia paga sul suo debito pubblico colossale.
Ora, i liberisti sanno che se la moneta è «rigida», a dover diventare «flessibili» sono le paghe dei lavoratori.
L’Italia non taglia i salari, né il bilancio statale.
Né Berlusconi né Prodi danno garanzie che lo faranno in futuro.
Intanto, l’Italia perde competitività (15 punti sotto la Germania, perché «gli aumenti salariali» - quali? - «non sono stati compensati da un aumento di produttività»), perde quote di mercato, esporta sempre meno.
Nella recessione deflazionista in cui l’ha gettata la moneta forte, l’Italia vede diminuire gli introiti fiscali: sicchè aumenta sia il deficit pubblico (4% del PIL, fuori dai parametri di Maastricht) sia il debito.
Prossimamente, prevede Lachman, le agenzie di rating declasseranno di nuovo il debito italiano: i BOT.
Fino ad oggi, la BCE accetta i BOT italiani al tasso d’interesse (lieve) che ha imposto a tutta l’Europa.


1, non ci siamo privati della politica monetaria, non piu della California o del Connecticut.

2. i tassi fissati sono quelli della bce ma nulla toglie che poi a livello nazionale ci siano delle deviazioni. Non credo che il costo del denaro quando c era la lira fosse uguale ain tutta italia.

3, recessione deflazionistica... dove lo stanno programmando? Per gli amanti del genere suggerisco uno dei miei politici scrittori preferiti, Jacques Attali.

4, le colpe sono solo politiche e di paura, come dimostrato da questo governo, di prendere decisioni forti ed impopolari altrimenti altro che riforme si potevano fare.



Così facendo, in pratica, sono i Paesi «forti» (Germania, Belgio, Olanda, Francia) ad accollarsi il costo-Italia, di fatto accollandosi la differenza tra il rendimento dei BOT attuale e quello che dovremmo offrire se fossimo fuori dall’euro.
Questa cosa non può continuare, intima Lachman.
Anche l’Argentina confidò che il Fondo Monetario avrebbe continuato a coprire le sue perdite per sempre: si sbagliò.
«L’Italia commetterebbe un grave errore se rimandasse le dolorose riforme di mercato necessarie, confidando nell’indefinita indulgenza della BCE».
Articolo notevole, per vari motivi.
Il primo è che un americano dica, o piuttosto ordini, le future mosse della Banca Europea contro l’Italia.
Il secondo: il messaggio dei neocon è rivolto a Prodi, che hanno deciso dovrà vincere le elezioni.
Ma l’amico Claudio Celani, che lavora per l’Executive Intelligence Review, ci fa notare che il messaggio contiene qualcosa di peggio: delineerebbe il piano per sbattere fuori l’Italia dai benefici dell’euro.
Espellendola di fatto dall’Unione Europea.


Questa parte est veramente di puro terrorismo informativo, da querela o da manicomio, non so. Dimostra scarsa conoscenza della vicenda fmi argentina ed amcora peggio dei meccanismi dell ue



Il primo a parlare del piano è stato Joachim Fels, economista della Morgan Stanley.
In un’intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung rilasciata l’8 agosto 2005: proprio il giorno in cui l’agenzia di rating Standard & Poor’s aveva decretato il passaggio dell’economia italiana da «stabile» a «negativa», preludio al declassamento del nostro debito pubblico.
In altri tempi, questo fatto avrebbe costretto il Tesoro ad aumentare gli interessi dei nostri BOT, aggravando il nostro deficit; ma poiché siamo nell’euro, i nostri tassi sono quelli europei.
Bassi.
Per questo, Fels disse al giornale tedesco: «ritengo improbabile che l’Italia esca dal sistema monetario europeo di sua volontà. E’ più probabile che un giorno i Paesi che vogliono la stabilità [dell’euro] diranno: noi introduciamo una nuova moneta forte, che chiamiamo Neuro (sic). E così gli italiani, e gli altri che diluiscono la qualità e stabilità dell’euro, saranno lasciati fuori».
Pochi giorni dopo (il 13 agosto) l’Economist, che è l’organo ufficioso della City di Londra, chiedeva le dimissioni di Fazio da Bankitalia: segnale d’inizio della lotta che è finita come sappiamo.
Come disse allora Tremonti, era la preparazione allo stesso scenario «del Britannia».
Ricordate?


conosco joachim fels e mi astengo sui suoi giudizi sull europa e sull euro. Chiederei solo a joachim la posizione dei suoi traders sui titoli italiani e sull euro se sia corta o lunga. l intervista in questione era del 7 agosto. visto che si fa l elogio dela politica delle svalutazioni ricordo che anche con quella si arriva ad un eventuale default, non solo con l aggancio di una divisa ad un altra. Ricordo anche un seminario del 1997 dove joachim fels, che ora si dichiara da sempre conto l unione monetaria, dichiararsi favorevole, tengo sempre il link a questo sito della stanford university ogni qual volta leggo le sue elucubrazioni. basta leggere l ultima riga piuttosto che tutto. anzi vi est un cambiamento di posizione in questo speech, dice io ero contro lo sme ma ora sono a favore dell euro anche se euroscettico. http://www.stanford.edu/~wacziarg/articles/ftarticles/ftart2.html



Nel 1992 il Britannia, il panfilo della regina d’Inghilterra, comparve al largo di Civitavecchia: era pieno di banchieri inglesi, che imbarcarono una quantità di banchieri ed esponenti di poteri forti italiani.
C’era anche Mario Draghi, allora funzionario del Tesoro: che tacque di quell’incontro per ammettere solo due anni dopo, interrogato da una commissione parlamentare, che sul Britannia c’era anche lui.
I banchieri inglesi erano venuti a «fare la spesa», ossia a comprarsi i gioielli dell’industria pubblica italiana; e per rendere economica la spesa, anche allora Standard & Poor’s declassò il debito italiano; nello stesso periodo, George Soros lanciò il suo famoso attacco contro la lira che portò alla svalutazione della nostra moneta.
E in lire svalutate lorsignori comprarono i gioielli dell’IRI.
Insomma: una strategia concertata.
Ora si sta ripetendo lo stesso scenario, con Draghi a Bankitalia.
Ci si chiederà: che cosa ci vogliono prendere ancora, i banchieri della City e del Bilderberg Club? Facile risposta, viste le teleguidate sventure di Fiorani e Consorte: vogliono mettere le mani sul risparmio delle famiglie italiane, valutato a 140 miliardi di euro, e gestito dalle banche italiane nel noto modo criminale, rifilandoci obbligazioni Parmalat e bond argentini.


Infatti la prova est che anche la sterlina svaluto ed usci dal serpente monetario forse dopo aver fatto man bassa di tutti i nostri gioielli,,, quali?



Ma può essere peggio, se a gestire il risparmio nostro sono quelli del Britannia.
Vediamo la strategia.
Bernard Connolly, il capo-economista della AIG (il più grosso gruppo assicurativo mondiale) ha scritto recentemente su The Wall Street Italia un articolo significativo: «l’Italia può uscire dall’euro?».
E anche lui traccia un parallelo fra noi e l’Argentina.
Dice Connolly: come l’Argentina agganciò la sua moneta al dollaro - moneta troppo forte per la sua fragile economia - così l’Italia si è voluta agganciare all’euro per darsi una disciplina di spesa. Ormai, la sola strada che resta agli italiani per mettere ordine nei conti pubblici è «tagliare i salari», e attuare una politica deflazionista dura.
Sicchè l’Italia ha davanti la prospettiva di «un orribile martirio», come quello sofferto dagli argentini: dovrà andare in recessione, e lo Stato dovrà chiedere al popolo italiano - disoccupato o malpagato - «di sopportare l’insopportabile».
Perché in realtà l’Italia dovrebbe svalutare del 20 %, e non può, poiché è nell’euro.


gia detto cosa ne penso



Subito dopo Martin Wolf, direttore del Financial Times nonché membro del Bilderberg (la società segreta dei miliardari delle due sponde dell’Atlantico) rilanciava lo «scenario Argentina» per il nostro Paese.
E diceva: se vuol restare nell’euro, l’Italia deve darsi «un governo tecnocratico con largo appoggio popolare» (sic) che tagli i salari all’osso: il programma che da quel momento viene adottato da Montezemolo.
Ma Connolly diceva un’altra cosa: l’Italia deve uscire dall’euro, diciamo così, per il suo bene.
Ci converrebbe infatti, salvo un piccolo particolare: i nostri debiti sono in euro, e con un ritorno alla lira svalutata, dovremmo continuare a pagare gli interessi in euro.
Ci siamo indebitati in euro, si noti, senza necessità: perché i risparmiatori italiani hanno sempre acquistato i BOT italiani, ed hanno i mezzi per farlo.
Invece Ciampi, sia come governatore di Bankitalia sia come ministro e premier, ha emesso una quantità enorme di BOT che ha venduto sui mercati europei.
La metà dei titoli che galleggiano sul mercato degli eurobond è costituito dai nostri BOT in moneta forte.
Ed è questo che ci rende fragili di fronte alle manovre.
L’autunno scorso la Banca Centrale Europea ha intimato che non accetterà più buoni del Tesoro di Stati che non abbiano un rating superiore ad A-.


da ricovero immediato... mai pensato che le societa segrete appaiono sugl ielenchi telefonici o nei forum di finanza.

smetto qui perche non vale lapena commentare oltre, una marea di boia.te. poi visto che sono gli stessi che parlano della cospirazione giudaica che vorrebbe distruggere il mondo, credo che sia piu onesto dire che se siamo in merd,a 7 colpa di chi ci governa,,, inutile cercare scuse,,,


ciao ottimo Luigir

leggo sempre con piacere i tuoi illuminati interventi e approfitto dell'occasione per chiedere un tuo parere sulla TEORIA DEL DITTATORE PAZZO" di j. kleeves
a proposito del FMI e dei suoi interventi "a sostegno" delle nazioni bisognose!

lot
 
luigir ha scritto:
una cosa che mi fa incavolare degli americani est che considerano spesso l europa una nazione sul modello degli usa, per poi invee in materia economica trattare l italia come loro trattavano la colonia argentina. Allora non abbiamo rinunciato alla nostra politica monetaria, a differenza dell argentina non abbiamo ancorato la nostra divisa al dollaro ma l abbiamo scambiata per un altra divisa che est anche nostra. esistono dei parametri da rispettare, cosa che non avveniva in argentina.

L'Italia a livello europeo conta molto poco, inoltre i parametri di Maastricht sono alla mercè dei politicanti di turno, qundi hanno perso ogni credibilità.

luigir ha scritto:
1, non ci siamo privati della politica monetaria, non piu della California o del Connecticut.

2. i tassi fissati sono quelli della bce ma nulla toglie che poi a livello nazionale ci siano delle deviazioni. Non credo che il costo del denaro quando c era la lira fosse uguale ain tutta italia.

3, recessione deflazionistica... dove lo stanno programmando? Per gli amanti del genere suggerisco uno dei miei politici scrittori preferiti, Jacques Attali.

4, le colpe sono solo politiche e di paura, come dimostrato da questo governo, di prendere decisioni forti ed impopolari altrimenti altro che riforme si potevano fare.

1. Il paragone non regge, il Connecticut e la California sono molto più omogenei dal punto di vista economico, politico sociale, fiscale e "linguistico" rispetto, che so all'Italia ed all'Irlanda. La mobilità del lavoro all'interno degli USA è molto più agevole e sviluppata rispetto a quella all'interno della UE.

2. Il problema non è a livello locale, ma relativo agli interessi sul debito pubblico, che come ben sai hanno portato l'Argentina al crack. Ti segnalo questo articolo "argentino" apparso sulla Stampa qualche giorno fa:

ROMA. Rischio deficit primario nel 2006. Circola tra gli esperti di finanza pubblica questo termine tecnico che li fa rabbrividire. Vuol dire, in parole povere, che per pagare gli interessi sul debito pubblico bisognerebbe contrarre altri debiti: rientrando in un circolo vizioso nel quale l’Italia era precipitata alla fine degli anni Settanta e da cui era uscita nel 1992.


http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200603articoli/3541girata.asp

3. La deflazione non è una possibilità da escludere, secondo me, visto che in qualche modo il debito (soprattutto pubblico) andrà liquidato ...

4. Su questo concordo

Certo le situazioni sono diverse soprattutto dal punto di vista quantitativo, ma liquidare tutto come capzate mi sembra non voler vedere la realtà. I problemi di fondo sono secondo me due:

- siamo entrati nell'euro con un debito troppo alto, e soprattutto senza che la gente avesse consapevolezza delle riforme dolorose ma necessarie per poter avere una moneta forte

- chi volesse riformare veramente oggi andrebbe incontro ad un suicidio politico in quanto andrebbero a toccare enormi interessi (privilegi) considerati intoccabili

luigir ha scritto:
Infatti la prova est che anche la sterlina svaluto ed usci dal serpente monetario forse dopo aver fatto man bassa di tutti i nostri gioielli,,, quali?

Locatelli, Invernizzi, Buitoni, Galbani, Negroni, Ferrarelle, Peroni, Moretti, Fini, Perugina, Mira Lanza ...
 
lothar54 ha scritto:
ciao ottimo Luigir

leggo sempre con piacere i tuoi illuminati interventi e approfitto dell'occasione per chiedere un tuo parere sulla TEORIA DEL DITTATORE PAZZO" di j. kleeves
a proposito del FMI e dei suoi interventi "a sostegno" delle nazioni bisognose!

lot

in poche parole. concordo con lui. ho sempre accusato il FMI e gli USA di praticare terrorismo economico e selvaggio con esperimenti di ogni sorta. ho anche spiegato piu volte che est facile ingabbiare paesi dominati o governati da persone non democratiche o corrotte. L esperimento argentino ha dato i suoi risultati, da me attesi e previsti molto prima che saltasse fuori il pandemonio, e se il brasile si est salvato est stato solo grazie alla volonta del fmi di non far riverificare un caso argentina e far crollare, e dico crollare, il mondo nella sfiducia piu nera, sfiducia che poi avrebbe fatto danni anche e soprattutto negli usa. la turchia poteva essere un altra vittima sacrificale per gli esperimenti e per la ambizione, ora rientrata, di un mondo con una sola divisa, il dollaro, ma comunque gli aitui del fmi sono diretti quasi sempre ad ingabbiare i paesi e dare loro uno standard che agli occhi degli usa est quello giusto. le sosituzioni al vertice del fmi con Anne Kruger, falco terribile dell amministrazione reaganiana, est stato un segno non tanto occulto di questa volonta, perche l europa che ha una visione diversa dell organizzazione del mercato e sulla democrazia, est stata spettatrice di uno scempio fatto ai danni di paesi latinoamericani ed asiatici grazie alle politiche del fmi sponsorizzate dagli usa.

piu soldi per tutti era il motto del fmi, non me ne voglia berlusconi, e quando hanno preteso il ritorno questi erano gia in uruguay o nei paradisi fiscali di mezzo mondo e gli argentini, per parlare di questa nazione in particolare, hanno patito e con loro i poveri investitori italiani soggiogati dalle banche.

Ma in tutto questo non vedo nulla di occulto perche se un idiot.a qualcunque come me riusciva a vedere cio che avveniva credo che si tratta di cecita voluta.

cioa lothar, salutoni!
 
1. Il paragone non regge, il Connecticut e la California sono molto più omogenei dal punto di vista economico, politico sociale, fiscale e "linguistico" rispetto, che so all'Italia ed all'Irlanda. La mobilità del lavoro all'interno degli USA è molto più agevole e sviluppata rispetto a quella all'interno della UE.

beh a parte la lingua non sembra che tu conosca bene il breakdown degli stati che fanno parte degli usa.

2. Il problema non è a livello locale, ma relativo agli interessi sul debito pubblico, che come ben sai hanno portato l'Argentina al crack.

non sono stati gli interessi sul debito pubblico a portare l argentina al crack, quella est stata la conseguenza di anni di spreco, disonesta ed affarismo oltre che di cecita economica come l agganciamento al peso, eppoi se l italia deve pagare di piu il debito non dipende dall ue ma dai tassi di assegnazione aste o dai ratings che guardano all italia come nazione non come partecipante all euro.

3. La deflazione non è una possibilità da escludere, secondo me, visto che in qualche modo il debito (soprattutto pubblico) andrà liquidato ...

no non est da escludere, infatti quando si dicono preoccupati dell inflazione mi fa ridere perche io spero che salga ancora un po di piu, altro che scendere. Ma al momento non vedo segnali di deflazione. eppoi non si puo usare la clava dell inflazione e della deflazione a piacimento, mettiamoci d accordo una volta e per sempre: preoccupa in questo momento l inflazione o la deflazione.


Certo le situazioni sono diverse soprattutto dal punto di vista quantitativo, ma liquidare tutto come capzate mi sembra non voler vedere la realtà. I problemi di fondo sono secondo me due:

- siamo entrati nell'euro con un debito troppo alto, e soprattutto senza che la gente avesse consapevolezza delle riforme dolorose ma necessarie per poter avere una moneta forte

- chi volesse riformare veramente oggi andrebbe incontro ad un suicidio politico in quanto andrebbero a toccare enormi interessi (privilegi) considerati intoccabili


credo che siano capzate perche strumentalizzate. hai detto anche tu egregiamente dove sta il problema, allora se non se la sentono di riformare veramente l italia stessero a casa e non rompessero i co.glioni. seconod te perche non voto? Fuori dall euro sarebbe stato un suicidio ed i nostri partner sapendo che siamo molto scorretti con le nostre svalutazioni ci han tirato dentro, ma mi chiedo se fosse stato meglio stare fuori, fino a quanto avremmo svalutato per fare concorrenza alla Cina? altro che argentina, ora veramente saremmo alla guerra civile.



Locatelli, Invernizzi, Buitoni, Galbani, Negroni, Ferrarelle, Peroni, Moretti, Fini, Perugina, Mira Lanza ..

invece quanto ha dismesso la GB?

La teoria delle cospirazioni non attacca con me. i miei commenti si basano solo su informazioni visibili e commentabili. che Elvis e Mailyn siano sulla Luna mi lascia indifferente quanto i meeting dei massoni. poi se si svaluta, in fondo lo si fa per essere piu competitivi... o no? Allora, hanno raggiunto il loro scopo. Per me se in Italia compra una soceta UE la cosa non mi da per niente fastidio, mi darebbe fastidio se una giapponese od un americana comprasse
 
luigir ha scritto:
credo che siano capzate perche strumentalizzate. hai detto anche tu egregiamente dove sta il problema, allora se non se la sentono di riformare veramente l italia stessero a casa e non rompessero i co.glioni. seconod te perche non voto? Fuori dall euro sarebbe stato un suicidio ed i nostri partner sapendo che siamo molto scorretti con le nostre svalutazioni ci han tirato dentro, ma mi chiedo se fosse stato meglio stare fuori, fino a quanto avremmo svalutato per fare concorrenza alla Cina? altro che argentina, ora veramente saremmo alla guerra civile.

OK!

Alla fine l'Italia sembra un baminone viziato, che ha cercato di darsi delle regole per diventare grande ma che è incapace di abbandonare i capricci a cui è abituato. E temo che purtroppo senza una sonora "sculacciata" le cose non cambieranno ...

Ho trovato molto interessanti i temi sviluppati da Giavazzi (Lobby d'Italia) e da Alvi (Una Repubblica Fondata sulle rendite, appena ho una attimo conto di acquistarlo in libreria); ma nei dibattiti si parla solo di "soldi a tizo, sgravi a caio, aiuti a sempronio", sembrano comizi da paese del balocchi ...
 
overthecounter ha scritto:
OK!

Alla fine l'Italia sembra un baminone viziato, che ha cercato di darsi delle regole per diventare grande ma che è incapace di abbandonare i capricci a cui è abituato. E temo che purtroppo senza una sonora "sculacciata" le cose non cambieranno ...

Ho trovato molto interessanti i temi sviluppati da Giavazzi (Lobby d'Italia) e da Alvi (Una Repubblica Fondata sulle rendite, appena ho una attimo conto di acquistarlo in libreria); ma nei dibattiti si parla solo di "soldi a tizo, sgravi a caio, aiuti a sempronio", sembrano comizi da paese del balocchi ...

vero, ahime devo concordare. Ciao OTC
 
avevo lasciato RINASCITA all'estrema sinistra......e ora mi dicono si trovi collocata all'estrema destra.....o addirittura un mix nazimaoista......vabbhè!

bando alle definizioni......vi posto l'articolo che penso possa suscitare ulteriori commenti e sviluppi......:


Il dominio dei poteri forti
pubblicato da Redazione il 4/4/2006 5:36:41 (755 letture)
di Mario Consoli

Il dibattito elettorale, mentre mostra, ad uso del necessario spettacolo, vivacità di interventi e virulenza di scontri, dietro il clamore nasconde il più grande vuoto di idee, di proposte, di contenuti che si ricordi in Europa.

Sul piano della politica internazionale si assiste al più vergognoso servilismo all'asse USA-Israele. Né la sinistra, né la destra mettono in discussione lo status quo, anche quando sono con evidenza lesi gli interessi italiani ed europei. I casi del Cermis e dell'uccisione di Nicola Calipari sono solo esempi conosciuti di una diffusa e molteplice realtà molto meno nota, perché abilmente da tutti insabbiata, di sudditanza finanziaria, diplomatica e militare.

La sovranità nazionale non alberga in Italia.

Sul piano della politica interna, il dibattito si concentra tutto sui decimali con i quali quantificare la situazione di crisi economica ...

... e sul dove e come reperire i fondi necessari a fronteggiare la situazione. Insomma, sulle tasse da imporre.Il confronto diretto tra Prodi e Berlusconi è apparso simile a una noiosa polemica per la nomina di un amministratore di condominio.

Dunque nessuna nuova vivanda ci viene preparata per il pranzo che ci aspetta nel dopo-elezioni. Le prime settimane di dibattiti elettorali - non si era mai visto prima - si sono svolte in TV tra la mezzanotte e le due e mezza, quando gli italiani stavano dormendo. Evidentemente erano dedicati ad un pubblico di pochi intimi. Ma, siccome in tempo di elezioni i pochi non contan nulla e i molti, invece, parecchio, ad essere determinanti alla fin fine saranno solo i due-tre slogan ben orchestrati e fatti circolare - a mo' della moderna arte pubblicitaria - e lo schieramento delle "autorevoli" fonti di informazione. E si tratta di uno schieramento derterminato solo dalla capacità condizionante dei "poteri forti".

Mettiamo quindi le carte in tavola: la partita che si sta giocando non è tra forze politiche e idee di destra e di sinistra. Lo scontro è tra "poteri forti" - alta finanza internazionale, banche e grande industria - che hanno scelto, oggi per la verità in piccolissima parte, il cavallo di destra e quelli che hanno scelto, in questo frangente nella stragrande maggioranza dei casi, quello di sinistra; e, soprattutto, quelli che, lavorando sottobanco, puntano ad azzoppare ambedue i cavalli, subito dopo le elezioni, per metterne in pista uno nuovo, di centro.

Il top, per costoro, sarebbe un risultato di pareggio - camera e senato di segno differrente - che spianerebbe la strada alla formazione di un terzo polo, senza complicanze di ribaltoni e piroette varie. E' un gioco talmente spregiudicato, senza regole e solo fittiziamente politico, che si possono individuare la tutela degli interessi tradizionalmente di destra - alta finanza e privatizzazioni - più nello schieramento di sinistra che nel Polo.

Stiamo assistendo a un'Unione che amoreggia con i vertici della Confindustria e una destra che fa il contropelo alla Fiat e al grande capitale.

Prodi è un uomo della Goldman Sachs; è colui che da presidente dell'IRI svendette a piene mani le aziende italiane alle finanziarie anglo-americane. Prodi è colui che cercò di "regalare" a Carlo De Benedetti la SME, importante pacchetto di aziende e di distribuzione alimentari italiane. L'allora ministro dell'industria Renato Altissimo - lo riferì nell'aula del Tribunale di Milano nell'ottobre 2002 - quando chiese al presidente dell'IRI spiegazioni sull'operazione, si sentì rispondere: "Perché Carlo ha un taglio sul pisello che tu non hai", con evidente riferimento alla circoncisione. Potenza dell'appartenere al popolo eletto. E poi ci vengono a dire che sospettare che gli ebrei godano di privilegi sia solo indice di complottismo!

Ma, tornando all'oggi, nello schieramento di destra, invece di una chiara denuncia di queste compromissioni - che peraltro potrebbe essere foriera di numerosi e preziosi consensi elettorali - si assiste a un atteggiamento sostanzialmente omertoso e contraddittorio. Perché?

Perché Berlusconi, che pur si è spesso mostrato restio a proseguire nell'incondizionato saccheggio dei beni italiani a favore della finanza internazionale, alla fine, sempre, si è adeguato? Perché continua a parlare di "cose inconfessabili", di "scheletri nell'armadio", ma non va mai avanti con il discorso, non arriva ai fatti, ai nomi, agli indirizzi? Perché fa capire che ci sono pentole che bollono, ma non vuole mai a sollevarne i coperchi?

Evidentemente non è possibile, mai, la convivenza tra propositi di buon governo e l'abitudine al totale asservimento agli interessi stranieri. Non si può, al tempo stesso, tutelare gli interessi del popolo e quelli di chi ne saccheggia le risorse.E poi, i "poteri forti", anche se oggi appaiono privilegiare l'Unione di centro-sinistra, non hanno certamente rinunciato ad imporre la loro ingombrante presenza anche al Polo di destra.

Ci sono infatti domande che è doveroso porsi.

Perché Tremonti ha svolto una sacrosanta lotta contro quella società privata che risponde al nome di Banca d'Italia, in difesa della primazia della politica e degli interessi dei risparmiatori, ma ha poi accettato che a sostituire il governatore Antonio Fazio fosse quel Mario Draghi che, a conti fatti, è peggio di Fazio?

Mario Draghi è stato definito da Marcello Veneziani "un britannico nato per caso a Roma. Vive e prospera a Londra ed è vicepresidente della Goldman Sachs" (Libero, 30-12-2005).

Nel 1983 è a Washington, prima alla Banca interamericana, poi alla Banca mondiale. Nel 1991 viene chiamato da Guido Carli alla Direzione generale del Tesoro.

Gli addetti ai lavori lo ricordano come il regista, nel giugno 1992, dell'"Operazione Britannia" e l'organizzatore delle successive privatizzazioni; di ciò che è passato alla storia come la "Grande svendita".

Del Britannia, dopo molti anni di silenzio, se ne è scritto, anche recentemente, su libri e giornali, ma non è mai inutile ricordarne le linee essenziali, perché rappresenta la boa, passata la quale la lira e l'economia italiana cominciarono a subire batoste memorabili.

Fu quello un anno ricco di avvenimenti significativi. Molti ne parlano come "l'anno dei complotti". Il 23 maggio 1992 la mafia liquida, con la strage di Capaci, i suoi conti con il giudice Giovanni Falcone. E' di quell'anno l'inizio di Tangentopoli, con la conseguente messa in pensione di grandi partiti come la DC e il PSI.

Sono sempre di quel periodo le rapine valutarie ai danni della lira, prima fra tutte quella dello speculatore ebreo George Soros che in una sola notte, giocando con i cambi della sterlina e soprattutto della lira, si accaparrò 2.300 miliardi della nostra moneta. C'è chi fece risalire la corresponsabilità di queste brutte vicende (per acquiescenza o inettitudine?) alla Banca d'Italia e al suo governatore di allora, l'attuale presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

In quei giorni la Banca d'Italia bruciò, secondo le diverse stime, da 40.000 a 100.000 miliardi di lire, di fatto prosciugando le riserve valutarie della nostra Banca centrale. Per molto meno altri governatori, in altre parti del mondo, sono stati licenziati. Noi Ciampi, per premio, lo abbiamo mandato prima a Palazzo Chigi, poi al Quirinale.

1992, anno di tante storie "poco chiare".

Il 2 giugno, dunque, al largo di Civitavecchia, a bordo del panfilo Britannia della Regina Elisabetta, giunti da bravi pirati via mare, c'erano i dirigenti della Warburg, della Baring Co., della Barclay's Bank, della Coopers Lybrand, della Goldman Sachs, insomma il Gotha della City di Londra e di Wall Street. Ad incontrare questi signori c'era Mario Draghi, i dirigenti dell'ENI, dell'AGIP, dell'IRI, dell'Ambroveneto, del Crediop, della Comit, delle Generali e della Società Autostrade. Ed altri personaggi "importanti" tra cui Rainer Masera, Giovanni Barzoli e Beneamino Andreatta.

Quest'ultimo, sino a quando un ictus lo ha fermato, dopo quella crociera ha fatto molta strada ed è stato ministro nei governi Amato, Ciampi e Prodi.Draghi parla, introduce gli argomenti, poi si fa condurre a terra. Non vuole esporsi eccessivamente. Si tratta di un'operazione che scotta.

A bordo si continua a discutere, a decidere, a mettersi d'accordo. In sintesi, si pianifica la campagna di privatizzazioni delle aziende dello Stato italiano. E si decide anche di svalutare la lira, così che le aziende da vendere, oltre ad una vistosa sottovalutazione di partenza, possono essere offerte ai "paperoni con i dollari in tasca" con un ulteriore sconto del 30%. Un vero affare.

Mario Draghi seguirà queste operazioni, come uomo del governo italiano. E grandi furono gli affari delle banche anglo-americane, particolarmente di quella Goldman Sachs di cui l'attuale Governatore di Bankitalia, addirittura, nel 2001 diventerà vice presidente.

Quella delle privatizzazioni fu dunque un'operazione sciagurata ai danni delle finanze dello Stato italiano - di tutti noi - avviata dal governo Amato, con la benedizione di Carlo Azeglio Ciampi, e poi realizzata da Draghi e da quell'"astro nascente" della politica italiana che era Romano Prodi.

Con loro il saccheggio fu facile, veloce ed efficace. Nel solo settore agroalimentare - così importante per la nostra economia - passarono subito in mani straniere Locatelli, Invernizzi, Buitoni, Galbani, Negroni, Ferrarelle, Peroni, Moretti, Fini, Perugina, Mira Lanza, ecc., ecc.

Negli anni successivi fu la volta della Telecom, dell'Enel, dell'ENI, di tutte le altre grandi aziende dello Stato e delle Banche pubbliche italiane.Prodi, Ciampi, Draghi, Amato: il quartetto dei grandi privatizzatori ai quali gli italiani dovranno sempre portare "riconoscenza". Un mare di grandi affari, ma sempre a beneficio degli altri e a scapito del popolo.

Un quartetto premiato con folgoranti carriere. Per completare il quadro dei "riconoscimenti per benefici ricevuti", dopo aver sponsorizzato Ciampi per il Quirinale, Prodi per Palazzo Chigi, Draghi per Palazzo Koch, i "poteri forti" hanno già avviato i lavori per cercare di ottenere la presidenza della Repubblica per Giuliano Amato. Se ci riusciranno, il quadro sarà completo.

Ma, tornando all'imbarcazione al largo di Civitavecchia, gli anglo-americani presenti sul Britannia si accaparrarono il 50% delle privatizzazioni dello Stato italiano e degli affari ad esse collegati. Il giornalista Massimo Gaggi del Corriere della Sera, che era riuscito a salire a bordo del panfilo, scrisse di una torta di 100.000 miliardi.

Craxi provò ad opporsi e a denunciare la situazione, ma, già mal sopportato per la storia di Sigonella, fu fatto diventare il capro espiatorio di Tangentopoli e brutalmente azzittito.

Tutto questo è un piccolo esempio di cosa rappresentano i "poteri forti" che comandano, decidono, condizionano, in barba alle elezioni e al consenso popolare. Un esempio di ciò che bolle in quelle pentole di cui Berlusconi si è abbondantemente accorto, ma ha sinora dimostrato di avere una tremenda paura di sollevarne i coperchi.

Perché queste cose le conoscono, a livello di vertice, proprio tutti. Sul Britannia, come "osservatore" c'era anche l'avvocato fiscalista Giulio Tremonti. E il ministro dell'economia oggi si limita a considerare, sul Corriere della Sera, che quella fu "un'operazione elitaria che prescindeva dal popolo". Tutto qui?

La Goldman Sachs & Co., una delle più importanti Banche d'affari del mondo, negli ultimi anni si è specializzata in privatizzazioni; in Italia, come abbiamo visto, ma anche in Russia dove, tra l'altro, ha tenuto il sacco a Michail Chodorkovski che nel 2003 Putin, cercando di recuperare qualcosa, ha messo sotto processo e quindi in galera.

Una Banca d'affari che abbiamo incontrato spesso nelle vicende citate: nel complotto del Britannia, nelle carriere di Draghi e Prodi e la riincontriamo anche in questi giorni giacché si è venuto a sapere che tra i massimi finanziatori della campagna elettorale di Romano Prodi c'è una certa signora Linda Costamagna, moglie di Claudio Costamagna, Amministratore delegato della Goldman Sachs per l'Europa.

E dopo il danno la beffa. La Goldman Sachs, dopo aver fatto con l'Italia - o, più esattamente, ai danni dell'Italia - affari plurimiliardari, per voce di Jim O'Neill, suo Managing Director e suo capo della ricerca economica, ci viene a dire che di buono in Italia ormai rimane solo il "cibo e un po' di calcio".

Elezioni-farsa dunque. Chi decide sta altrove, e ha già deciso tutto.

La libertà ce la siamo giocata da un pezzo, giacché non c'è nessuna forza politica autorevole disposta a schierarsi contro l'asse USA-Israele e rivendicare per l'Italia e l'Europa la piena sovranità nazionale. E nessun uomo potrà mai sognarsi di essere libero in una patria che libera non è. Ma siamo giunti a perdere anche le ultime illusioni di partecipazione.

La democrazia, di per sé, è una parola vuota, buona per qualsiasi propaganda. In suo nome si sono legittimate rivoluzioni e sono stati ottenuti cambiamenti politici e sociali di ogni tipo, e si sono anche giustificati bagni di sangue, occupazioni militari e genocidi; Mussolini scrisse che il Fascismo è la migliore delle democrazie, ma è in nome della democrazia che i bombardieri americani fanno piovere morte su tutti quei popoli che, a capriccio e convenienza della Casa Bianca, vengono definiti "canaglia".

Democrazia è una parola vuota. Il sostantivo che segna invece la differenza tra un regime tirannico ed uno basato sul consenso è "partecipazione". Non è l'adozione di un sistema elettorale anziché di un altro a qualificare un ordinamento, ma il risultato che si ottiene.

Qualificante è solo il reale "grado" di partecipazione politica.

Ora, è un fatto che in Italia questo "grado" è diminuito negli ultimi decenni sino a raggiungere un minimo storico agghiacciante.Di politica, di vera politica, non parlano più i candidati, ma, quel che è più grave, ai cittadini non interessa nulla. Non ne sentono la mancanza. I giovani non la conoscono neppure. Tre, quattro decenni fa c'era un dibattito, nel popolo, che oggi sembra fantascienza. Nelle piazze la gente faceva capannelli e discuteva animatamente; le sezioni dei partiti esistevano, erano piene e vive. Gli argomenti erano sviscerati e dibattuti. E, soprattutto, questo, a noi che eravamo stati contagiati dal virus della passione politica, non bastava: volevamo molto di più.

Volevamo uno Stato di vera e diffusa partecipazione politica. Giudicavamo i partiti uno strumento superato, cristallizzato. Volevamo che si individuassero nuove sedi di raccolta del consenso, e realizzarle. Sognavamo la costruzione di uno "stato legale rivoluzionario", capace di garantire un governo efficiente, autorevole, forte e al tempo stesso una partecipazione continua, cosciente, attenta; un controllo dei delegati ai pubblici poteri con perenne possibilità di revoca del mandato.

Il fatto che le liste dei candidati fossero redatte dai vertici dei partiti e non scaturissero dalla base, ci andava stretto, molto stretto. Ma nel corso degli anni è andata peggio: la prima botta è avvenuta col maggioritario, la seconda con l'ultima riforma elettorale. Oggi nessuno si può nemmeno togliere la soddisfazione di illudersi di influenzare l'andamento elettorale votando un candidato anziché un altro. Come oggi, a parte la questione del partito unico, si votava nell'Unione Sovietica.

Negli anni Sessanta e Settanta eravamo alla ricerca di nuove forme di partecipazione, capaci di qualificare l'apporto di ciascuno secondo le proprie reali potenzialità. Oggi, passando tra l'utopia ugualitaria e la demagogia democratica, i cittadini, con tappe di crescente disinteresse, sono giunti al totale rigetto della politica.

Il sistema si sta totalmente americanizzando; i partiti sono ridotti a "comitati d'affari" ai quali si rivolgono una ridicola porzione di cittadinanza. Negli USA ci sono al potere maggioranze che talvolta stentano a rappresentare il 13% della popolazione.


Allora noi ci lamentavamo che il rapporto voti-iscritti dei partiti riscontrasse un pesante divario. Il PCI, a fronte degli undici milioni di voti che riceveva, riusciva a portare a casa solo 1.800.000 tessere. Oggi gli iscritti sono talmente pochi che non c'è nessun partito disposto a rendere pubblico il risultato delle proprie campagne di tesseramento. Spesso non si fanno nemmeno più, queste campagne. Chi arriva, arriva; tanto non conta niente.

In quegli anni pensavamo di aver toccato il fondo e non immaginavamo di stare invece per precipitare in una voragine senza fine. Il trionfo dei "poteri forti", per divenire incontrastato, doveva necessariamente coincidere con l'avvento di autorità politiche estremamente deboli e avulse da ogni reale partecipazione dei cittadini.

Libertà addio, dunque, ma anche partecipazione addio. Abbiamo fatto un salto indietro di secoli. Le cose cambieranno in futuro? Sicuramente. Ma saranno cambiamenti traumatici, provocati dallo scoppio tremendo delle folli contraddizioni di questo sistema disumano. Perché non può esistere società più disumana nella storia di quella dominata dalle banche, dagli usurai e dai pirati della finanza. Un sistema che ha posto sugli altari il dio-denaro e ridotto l'uomo allo stato di schiavitù al mercato e al consumismo.

Si sente già odor di barricate, si scorgono già bagliori di spari e tristissimi scenari di strade sporche di sangue. Peccato, sarebbe potuto andare molto differentemente. Ma si sarebbe dovuto impedire la consegna di tutti i poteri in mano ai nemici di tutti i popoli. Anche queste elezioni, come le precedenti e più delle precedenti, sono una farsa.

Lo spudorato accerchiamento operato dai mezzi d'informazione ai danni di Berlusconi, l'impudica connivenza tra "poteri forti" e sinistre d'ogni ordine e grado, la scandalosa ostentazione da parte dell'Unione di un leader come Prodi, totalmente compromesso con privatizzazioni e grandi Banche d'affari, indubbiamente possono far venire la voglia di votare per il Polo. Nonostante le troppe cose non dette e non fatte. Nonostante il colpevole, ottuso e disastroso americanismo. Si tratterebbe di una scelta in qualche modo comprensibile, anche se non ideologicamente ortodossa.

Legittima e coerente invece è la scelta del non voto: il rifiuto di un sistema che globalmente è sbagliato e incondivisibile.Ma, mettendo bene a fuoco la situazione, ci si accorge che ambedue queste opzioni sono destinate a risultare ininfluenti. Politicamente inutili.

Come vada vada, le decisioni sono già state prese, i complotti già preparati, le rapine ai danni del popolo già programmate. I "poteri forti" hanno già vinto; non hanno bisogno dei voti, loro.Saranno altre le occasioni che vedranno tornare il popolo protagonista. Occasioni che forse non sono ancora dietro l'angolo, ma che indubbiamente il nostro popolo sarà destinato a vivere.

Mario Consoli (Uomolibero)

L'articolo è stato pubblicato da "Rinascita" Lunedi 27 Marzo 2006

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