L'Arca di Noè........parole, musica!


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“Sono una farfalla notturna che vuole solo condividere la tua luce,
sono solo un insetto che tenta di venir fuori dalla notte”. […]

Radiohead - All I Need


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Alejandro Jodorowsky

Le gelosie

Come un olio nero la tua assenza
invadendo i mobili, i vestiti , lo specchio
gli occhi dei mie gatti, ogni lettera
d’ogni riga d’ogni pagina d’ogni libro,
e più sotto alla ferita, niente,
solo la morta eco della tua voce
e io dentro al pozzo eternamente cadendo
senza raggiungere il tuo nome, scrigno d’acciaio
dove dormono per sempre le mie sementi.
Le tue carezze per l’altro nella mia pelle sono sferzate,
sono il cielo dell’alba attraversato da spine,
sono le lenzuola del letto trasformate in pantano,
sono le mie mani che graffiano l ‘aria fino a tirarne fuori sangue.
Non ho saputo offrirti tagliate su un piatto
né le mie orecchie nè le mia anima,
t’ho tirato rinchiusa in un cimitero pieno di lapidi
che portano solo il mio nome,
oggi avanzo nelle tenebre piangendo lacrime di sette metri
sotto la mia maschera di cane
mentre lontano lontano lontano e più lontano
balli cercando di assomigliare ai tuoi propri limiti.


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«Il cielo è pieno di nuvole bianche, leggere, simili ai disegni di un fuoco d’artificio. […] Questa alternanza di luce e di ombra sulla superficie liscia delle colline, che come onde del mare che si spingono l’una dopo l’altra fino all’orizzonte, sembra il respiro della vita stessa, il ritmo solenne della natura, pieno del frinire delle cicale e della luce abbagliante del sole nei momenti in cui spunta dalle nuvole. Questa terra arata di Toscana […], bella quasi come sono i miei boschi, le mie colline […], lontani, russi, antichi, irraggiungibili ed eterni».

“Signore, lo vedi come chiede, perché non gli dici qualcosa?”
“Te lo immagini che cosa succederebbe se sentisse la mia voce?”
“Fagli sentire la tua presenza”
“Io la faccio sentire sempre, è lui che non se ne accorge”

Dal racconto preparatorio di Nostalghia (Andrej Tarkovskij)

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Catene

Giorno afoso, una cuccia e un cane alla catena.
Poco più in là una ciotola ricolma d’acqua.
Ma la catena è corta e il cane non ci arriva.
Aggiungiamo al quadretto ancora un elemento:
le nostre sono molto più lunghe
e meno visibili catene
che ci fanno passare accanto disinvolti.

Wislawa Szymborska,

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Sfuggire alla vedova nera
è un miracolo grande come l’arte
che ragnatele sa tessere
attirando a sé pian piano.


Ti abbraccia,
e quando è soddisfatta
ti uccide.
Sempre abbracciandoti
ti succhia il sangue.

Io sono sfuggito alla mia vedova nera
perché aveva troppi maschi
nella sua tela,
e mentre ne abbracciava uno
e poi un altro e poi
un altro
io me la sono svignata,
sono scappato da dove ero prima.

Lei sentirà la mia mancanza:
non del mio amore
ma del sapore del mio sangue
ma è brava lei, troverà altro sangue
diverso dal mio.

È così brava che quasi rimpiango la mia morte
ma non del tutto.
Sono sfuggito.
Osservo le altre ragnatele.

Charles Bukowski

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«L’amo quando di notte o di mattina mi sveglio e vedo: lei mi guarda e mi ama. E nessuno, meno di tutti io, può impedirle di amare come lei sa, a suo modo. L’amo quando è seduta vicino a me, e noi sappiamo che ci amiamo l’un altro, ed essa dice: Lëvočka, e si ferma: perché i tubi del camino sono dritti? oppure perché i cavalli vivono a lungo? o cose simili. L’amo quando stiamo a lungo soli, e io dico: che facciamo, Sonja? che possiamo fare? Lei ride. L’amo quando s’arrabbia con me e d’improvviso, in un batter d’occhio, il suo pensiero e le sue parole diventano aspri: smettiamo, mi dai fastidio; dopo un minuto già mi sorride timidamente. L’amo quando lei non mi vede e non sa che ci sono, e io l’amo a modo mio. L’amo quando è una bambina col vestito giallo e sporge la mascella inferiore e tira fuori la lingua, l’amo quando vedo la sua testa rovesciata all’indietro, e ha il viso serio e spaventato, infantile e appassionato».

Lev Tolstoj, “I diari”

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Ti amo per ciglia, per capello, t’impugno in candidi
androni dove non s’avventurano i giochi della luce,
questiono ogni tuo nome, ti strappo con premura di cicatrice,
ti immergo nei capelli ceneri di lampo
e nastri addormentati dalla pioggia.
Non voglio che tu abbia una forma, che tu sia
scrupolosamente ciò che arriva dopo la tua mano,
perché l’acqua, considera l’acqua, e i leoni
si sciolgono nello zucchero della fiaba
e i gesti, quella architettura del nulla,
accendono le loro lampade a metà di ogni incontro.
Il mattino è la lavagna nella quale t’invento e ti disegno,
pronto a cancellarti, no, non sei così, nemmeno
sono tuoi quei capelli lisci, quel sorriso.
Cerco la tua cifra, il bordo della coppa dove il vino
è al contempo sia luna che specchio,
cerco quella linea che fa tremare un uomo
in una galleria di museo.
E poi ti amo, e fa tempo e freddo.

Julio Cortàzar


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