Le esperienze di pre-morte e la (non) prova del paradiso

frankyone

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Le cosiddette esperienze di pre-morte, che il recente libro di un neurochirurgo sopravvissuto al coma ha cercato di spacciare come prova dell'esistenza del paradiso, sono in realtà spiegabili in termini neurologici. Ma soprattutto, le sensazioni e le visioni che si sperimentano in quelle occasioni non sono affatto legate a situazioni in cui si sta effettivamente morendo, poiché si possono verificare in molte altre circostanze

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Sei proiettato in una luce accecante. Intorno a te, i fantasmi di persone scomparse. Gruppi di nuvole si allontanano ondeggiando, lasciando il posto a un luccicante portale dorato. Senti l'aria mossa da un delicato frullare d'ali. Tutto è rilassante, confortante, familiare. Paradisiaco.

E' un paradiso che alcuni sperimentano nel corso di una morte apparente. La sorprendente coerenza di queste visioni celesti durante le cosiddette esperienze di "pre-morte", secondo molte persone indica che ci attende una vita nell'aldilà. I credenti interpretano questi racconti - simili, ma con delle varianti - come nella storia dei ciechi che tastano un elefante: ognuno sente qualcosa di diverso (la coda è un serpente, le gambe tronchi d'albero), benché tutti stiano toccando la stessa cosa. Gli scettici sottolineano la curiosa tendenza del paradiso a uniformarsi ai desideri umani e a manifestarsi in forme legate alla cultura o al periodo storico.

Il paradiso, in una prospettiva teologica, ha un qualche tipo di porta. Quando si muore, questa porta – una specie di binario 9 ¾ di Harry Potter – dovrebbe apparire a chi sta correndo verso la fossa. E l'unico modo per vedere il paradiso senza salire davvero sul treno sarebbe l'esperienza di pre-morte. Riportate recentemente sotto la luce dei riflettori da un chirurgo che sostiene che siano Proof of Heaven, la prova del paradiso, le esperienze di pre-morte sono state oggetto di attenzione sia da parte di teologi sia di scienziati per la loro supposta capacità di mostrare in anteprima il grande concerto celeste.

Ma arrivare a vedere il paradiso è un inferno, bisogna morire. Oppure no?

Varcare la soglia con Eben Alexander
Nell'ottobre scorso, il neurochirurgo Eben Alexander ha affermato che "il paradiso è reale", guadagnandosi la copertina dell'ormai defunta rivista “Newsweek”. La sua descrizione del paradiso si basa su una serie di visioni che ha avuto mentre era in coma, colpito da una forma particolarmente grave di meningite batterica. Alexander sostiene che, poiché durante la malattia la sua corteccia era "inattiva", le sue visioni di pre-morte indicano l'esistenza di un intelletto che prescinde dalla materia grigia; e che, quindi, una parte di noi sopravvive alla morte cerebrale.

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La copertina di ottobre di "Newsweek".

Le splendenti descrizioni dell'aldilà di Alexander sono belle e coinvolgenti, ma sono state anche promosse a prova scientifica. Poiché Alexander è uno "scienziato" del cervello (più precisamente, un neurochirurgo), il suo racconto sembra avere maggior peso.

Le pretese di scientificità di Alexander sono state oggetto di aspre critiche, e, a mio avviso, smentite senza ombra di dubbio. Il neurologo Steve Novella demolisce le basi stesse della pretesa Alexander osservando che il presupposto di fondo, che la sua corteccia cerebrale fosse "disattivata", è sbagliato. "Alexander afferma che non esistono spiegazioni scientifiche per le sue esperienze, ma eccone una: [le esperienze] si sono verificate mentre le sue funzioni cerebrali erano in calo o in ripresa, o in entrambi i momenti, e non quando vi era poca o nessuna attività cerebrale."

E non basta. Il neuroscienziato Sam Harris sottolinea che mancano addirittura le prove dell'inattivazione cerebrale di Alexander. "Il problema è che TAC ed esami neurologici [quelli citati dal neurochirurgo] non possono stabilire l'inattività neuronale, né nella corteccia né in qualsiasi altro luogo. E Alexander non fa alcun riferimento a dati funzionali che potrebbero essere stati acquisiti con fMRI, PET o EEG, né sembra rendersi conto che solo quel tipo di prova potrebbe sostenere la sua tesi."

Dato che le presunte prove di Alexander mancano di fondamento scientifico, gli scettici suggeriscono che abbia avuto un'esperienza di pre-morte, che ha rimpolpato con il suo desiderio di conferma e colorito con la sua cultura. Harris conclude: "Credo di non aver mai sentito uno scienziato parlare in modo così indicativo di un pio desiderio. Se l'autoinganno fosse uno sport olimpico, è così che i nostri atleti più dotati vorrebbero apparire nella forma migliore".

Queste critiche non sono isolate. Sull'Huffington Post, Paul Raeburn, riferendosi alla visione di Alexander promossa a resoconto scientifico, ha scritto, "Siamo tutti umiliati, e il dibattito nazionale è svilito da chi promuove questo genere di cose a scienza. Si tratta di fede religiosa. Nient'altro". E benché sia lecito aspettarsi questi toni dagli scettici, in realtà la pensano così anche alcuni credenti: sul “Christian Post”, Greg Stier scrive che, pur credendo fermamente all'esistenza del paradiso, non dovremmo considerare una prova i racconti di esperienze di pre-morte come quello di Alexander.

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Altro che scienza
Le critiche ad Alexander sottolineano che le sue visioni sono quelle di una classica esperienza di pre-morte: la luce bianca, il tunnel, i sentimenti di connessione, ecc. E tanto basta per smantellare il suo racconto di un "intelletto immateriale" perché, finora, la maggior parte dei sintomi di un'esperienza di pre-morte sono di fatto scientificamente spiegabili. (Non intendo approfondire la questione: nel sito, un altro articolo fornisce una descrizione dettagliata degli elementi di prova, così come questo studio.)

Si potrebbe sostenere che la descrizione scientifica dei sintomi di un'esperienza di pre-morte non è che il resoconto fisico di ciò che accade quando vi si incappa. Un cervello senza ossigeno può esperire la "visione di un tunnel", ma un cervello senza ossigeno è anche vicino alla morte e si avvicina l'aldilà, per esempio. Questo argomento si basa però sul fatto che si stia davvero morendo. Ma, senza impegnarmi in una ginnastica teologica, penso che ci sia un aspetto trascurato ma fondamentale riguardo al fenomeno della pre-morte: gli studi hanno dimostrato che non c'è bisogno di essere sul punto di morire per avere un'esperienza di pre-morte.

"Morire"
Nel 1990 su “Lancet” fu pubblicato uno studio che esaminava le cartelle cliniche di persone che avevano avuto sintomi di un'esperienza di pre-morte a causa di qualche infortunio o malattia: lo studio dimostrava che su 58 pazienti che riferivano esperienze "insolite" simili a quelle di pre-morte (il tunnel, la luce, essere al di fuori del proprio corpo, ecc), 30 non erano affatto in pericolo di vita, anche se credevano di esserlo.

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Ascesa all'Empireo di Hieronymus Bosch. (© Marco Secchi/Corbis)

Ma perché il cervello reagisce in questo modo alla morte (anche solo immaginata)? Beh, la morte è una cosa spaventosa. I resoconti scientifici sull'esperienza di pre-morte la caratterizzano come un meccanismo di risposta psicologica e fisiologica del corpo a questa paura, con la produzione nel cervello di sostanze chimiche calmanti, inducendo sensazioni di euforia per ridurre il trauma.

Pensate un alpinista che precipita in un dirupo. Se è profondamente credente, l'esperienza con cui potrà entrare in contatto sarà molto simile alle sensazioni di pre-morte (per esempio, "la vita mi è passata davanti agli occhi ..."). Lo sappiamo perché alcune delle persone a cui è accaduto sono tornate fra noi. I sintomi scientificamente spiegabili dell'esperienza di pre-morte puntano alla neurologia anziché al paradiso.

Il paradiso può attendere
Spiegare l'esperienza di pre-morte in modo puramente fisico non vuol dire che le persone non sperimentino un intenso viaggio mentale. L'esperienza è reale e ci dice diverse cose sul cervello (sollevando interrogativi ancora più affascinanti sulla coscienza). Ma l'intensità emotiva ed esperienziale non dice nulla sul paradiso o sulla vita dopo la morte in generale. Anche l'ingestione di una dose non pericolosa di ketamina può indurre le stesse sensazioni, ma raramente si considera questo stato euforico uno sguardo sul paradiso e su Dio.

Come posso negare con tanta semplicità l'importanza teologica di un'esperienza di pre-morte? Come ho detto, capisco benissimo quanto reale e preziosa possa essere. Ma in questo caso, come nella scienza, una teoria può essere sconfitta dalla sperimentazione. Come disse Richard Feynman: "Non importa quanto è bella la tua teoria, non importa quanto sei intelligente. Se non è in accordo con l'esperimento, è sbagliata”.

Con la sperimentazione si stanno vagliando le esperienze di pre-morte in varie condizioni. Le stesse sensazioni possono prodursi anche quando in realtà non si sta morendo? Se è così, bussare alla porte del paradiso è un'illusione, anche se il paradiso esiste davvero: San Pietro è sicuramente in grado di capire la differenza tra una persona che sta morendo e una che ha le allucinazioni. L'esperienza di pre-morte come prefigurazione del Paradiso è, forse, una bella teoria, ma è sbagliata.

Appoggiato su soffici nuvole bianche, forse il paradiso ci attende. Non possiamo dimostrare che non sia così. Ma possiamo chiarire che l'esperienza di pre-morte non dipende dalla morte, e che ci dice quanto interessante e complesso sia il cervello umano. Niente di più.

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