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Di Marco Travaglio, oggi su Il Fatto 
I commenti alla condanna di Del Turco a 9 anni e mezzo per corruzione sono identici a
quelli che avrebbero accolto una sua assoluzione. È sempre così, quando finiscono alla
sbarra i politici e gli altri imputati ec- cellenti: è sempre complotto, accanimento
giudiziario, teorema senza prove, persecuzione politica, nuovo caso Tortora.
Essendo potenti, dunque innocenti a prescindere, le sentenze non contano. Se vengono assolti, è la prova che c’era un complotto. Se vengono condannati, è la prova che c’è un complotto.
Gli atti, le udienze, le prove, gli indizi, le testimonianze, le intercettazioni non contano nulla:
tanto chi commenta i processi non li segue, non li conosce, non li studia. Al massimo
capita che la stampa di destra giudichi colpevole qualche potente di sinistra per dovere
d’ufficio, o viceversa. Ma di solito i processi ai potenti riguardano ruberie trasversali, di
larghe intese: la destra ruba, il centro tiene il sacco e la sinistra fa il palo o, invertendo
l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia. E una mano sporca lava l’altra.
Il processo alla Sanitopoli abruzzese è un caso di scuola.
Lì secondo la sentenza di lunedì e un’altra
d’appello non c’era destra né centro né sinistra: le giunte cambiavano, ma governatori
e assessori e consiglieri continuavano a rubare. Condannato il governatore Pdl Pace, con-
dannato il governatore Pd Del Turco, condannato il deputato Pdl Aracu. Era “il partito
unico dei soldi”, come diceva uno degl’imputati intercettato. Intanto il buco della sanità
si allargava, le cliniche private ingrassavano sullo sfascio degli ospedali e sugli accreditamenti
regionali, e Pantalone pagava. Del Turco poi è una larga intesa ambulante:
da buon ex socialista, è popolarissimo nel mondo berlusconiano e in quello pidino (specie
nell’ex Pci migliorista, detto pigliorista), entrambi infarciti di avanzi e vedovi inconsolabili
del craxismo. Basta leggere i giornali, o assistere alle lacrimazioni dei tg Rai e Mediaset.
Il Giornale: “Del Turco condannato senza prove”. Il Foglio: “Di prove non se ne sono viste”.
Libero: “La prova non c’è, la condanna sì” (firmato Maria Giovanna Maglie, che al
processo non c’era, ma nell’entourage di Bottino sì). Corriere: “Del Turco, 9 anni e
mezzo: ‘Io trattato come Tortora’”, “Quei buchi nell’inchiesta”. L’Unità: “La sentenza non
ha spazzato via tutti i dubbi. Se possibile ne ha anche aggiunti altri... Se i soldi non ci
sono, la condanna invece resta. E con questa i dubbi”, “Io come Tortora, condannato
senza prove”.
Per carità, le sentenze non sono vangelo, e questa è solo di primo grado. Ma
per criticarle bisognerebbe almeno conoscere qualche carta, oltre al diritto e alla logica.
Invece qui si dicono scemenze da Guinness. Si ignora che, a confermare le accuse del
corruttore Angelini, ci sono le te- stimonianze convergenti della moglie, della segretaria e
dell’autista. Si ripete che le foto delle mazzette portate a villa Del Turco sarebbero false
o dubbie, mentre una perizia super partes le ha dimostrate autentiche e un’intercettazione
dimostra che un coimputato istruiva il consulente della difesa per alterarle.
Nessuno scrive che un processo per corruzione in cui il corruttore (spacciandosi per concusso) confessa tutto, fotografa le mazzette dinanzi a testimoni, dimostra i viaggi per le
consegne con i telepass autostradali, è il sogno di tutti i giudici. Nei processi di tangenti il
bottino non si trova quasi mai (solo i deficienti lo nascondono nel materasso per farselo
trovare).
Se bastasse far sparire il corpo del reato e l’arma del delitto per essere assolti,
non si riuscirebbe mai a condannare un killer mafioso per i casi di lupara bianca. Però si
può sempre fare una riforma: chi brucia il cadavere o lo scioglie nell’acido e getta la
pistola in mare aperto, è innocente.
L A D R I


I commenti alla condanna di Del Turco a 9 anni e mezzo per corruzione sono identici a
quelli che avrebbero accolto una sua assoluzione. È sempre così, quando finiscono alla
sbarra i politici e gli altri imputati ec- cellenti: è sempre complotto, accanimento
giudiziario, teorema senza prove, persecuzione politica, nuovo caso Tortora.
Essendo potenti, dunque innocenti a prescindere, le sentenze non contano. Se vengono assolti, è la prova che c’era un complotto. Se vengono condannati, è la prova che c’è un complotto.
Gli atti, le udienze, le prove, gli indizi, le testimonianze, le intercettazioni non contano nulla:
tanto chi commenta i processi non li segue, non li conosce, non li studia. Al massimo
capita che la stampa di destra giudichi colpevole qualche potente di sinistra per dovere
d’ufficio, o viceversa. Ma di solito i processi ai potenti riguardano ruberie trasversali, di
larghe intese: la destra ruba, il centro tiene il sacco e la sinistra fa il palo o, invertendo
l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia. E una mano sporca lava l’altra.
Il processo alla Sanitopoli abruzzese è un caso di scuola.
Lì secondo la sentenza di lunedì e un’altra
d’appello non c’era destra né centro né sinistra: le giunte cambiavano, ma governatori
e assessori e consiglieri continuavano a rubare. Condannato il governatore Pdl Pace, con-
dannato il governatore Pd Del Turco, condannato il deputato Pdl Aracu. Era “il partito
unico dei soldi”, come diceva uno degl’imputati intercettato. Intanto il buco della sanità
si allargava, le cliniche private ingrassavano sullo sfascio degli ospedali e sugli accreditamenti
regionali, e Pantalone pagava. Del Turco poi è una larga intesa ambulante:
da buon ex socialista, è popolarissimo nel mondo berlusconiano e in quello pidino (specie
nell’ex Pci migliorista, detto pigliorista), entrambi infarciti di avanzi e vedovi inconsolabili
del craxismo. Basta leggere i giornali, o assistere alle lacrimazioni dei tg Rai e Mediaset.
Il Giornale: “Del Turco condannato senza prove”. Il Foglio: “Di prove non se ne sono viste”.
Libero: “La prova non c’è, la condanna sì” (firmato Maria Giovanna Maglie, che al
processo non c’era, ma nell’entourage di Bottino sì). Corriere: “Del Turco, 9 anni e
mezzo: ‘Io trattato come Tortora’”, “Quei buchi nell’inchiesta”. L’Unità: “La sentenza non
ha spazzato via tutti i dubbi. Se possibile ne ha anche aggiunti altri... Se i soldi non ci
sono, la condanna invece resta. E con questa i dubbi”, “Io come Tortora, condannato
senza prove”.
Per carità, le sentenze non sono vangelo, e questa è solo di primo grado. Ma
per criticarle bisognerebbe almeno conoscere qualche carta, oltre al diritto e alla logica.
Invece qui si dicono scemenze da Guinness. Si ignora che, a confermare le accuse del
corruttore Angelini, ci sono le te- stimonianze convergenti della moglie, della segretaria e
dell’autista. Si ripete che le foto delle mazzette portate a villa Del Turco sarebbero false
o dubbie, mentre una perizia super partes le ha dimostrate autentiche e un’intercettazione
dimostra che un coimputato istruiva il consulente della difesa per alterarle.
Nessuno scrive che un processo per corruzione in cui il corruttore (spacciandosi per concusso) confessa tutto, fotografa le mazzette dinanzi a testimoni, dimostra i viaggi per le
consegne con i telepass autostradali, è il sogno di tutti i giudici. Nei processi di tangenti il
bottino non si trova quasi mai (solo i deficienti lo nascondono nel materasso per farselo
trovare).
Se bastasse far sparire il corpo del reato e l’arma del delitto per essere assolti,
non si riuscirebbe mai a condannare un killer mafioso per i casi di lupara bianca. Però si
può sempre fare una riforma: chi brucia il cadavere o lo scioglie nell’acido e getta la
pistola in mare aperto, è innocente.
L A D R I

