Le razze non esistono ma i razzisti non lo sanno

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La Stampa - “Disimparare” il razzismo
GALASSIAMENTE
19/07/2013
“Disimparare” il razzismo


ROSALBA MICELI
A volte il discorso razzista comincia così, in sordina, con una premessa: «Non sono razzista, ma…» e poi prosegue con una valanga di affermazioni di coloritura chiaramente razzista. È invece raro incontrare qualcuno che ammetta candidamente: «Sono razzista ma sto cercando di smettere». Sono razzista ma sto cercando di smettere è anche il titolo sottilmente ironico del saggio scientifico che Guido Barbujani, ordinario di Genetica all’Università di Ferrara ha scritto a due mani con il giornalista Pietro Cheli (pubblicato da Laterza, nel 2008). Esperto in genetica delle popolazioni, Barbujani, in collaborazione con Robert R. Sokal, è stato tra i primi a sviluppare metodi statistici per confrontare dati genetici e linguistici, e ricostruire in tal modo la storia evolutiva delle popolazioni umane. Attraverso lo studio del DNA e di come le differenze genetiche sono distribuite fra popolazioni umane, è giunto alla conclusione che il concetto tradizionale di «razza» non rappresenti una descrizione soddisfacente della diversità umana.

Le razze umane non esistono, di fatto. Sono un’invenzione, un costrutto sociale. E allora, se è fuorviante classificare i nostri simili in base a categorie razziali, perché questi concetti continuano a incontrare una certa, sorda resistenza? Il razzismo è un problema che si ripresenta continuamente talvolta anche in forme che non vogliono darsi una patente scientifica - abbandonando il riferimento forte al fondamento biologico della razza e riproponendolo, nelle pratiche sociali, in termini di differenze etniche o culturali o sociali - spingendo ad etichettare come inferiore o non degno di valore ciò che è diverso o non conforme alla propria cultura di appartenenza. In altre parole, alimentando forme virulente di intolleranza che semplicemente non accettano che tutti abbiano gli stessi diritti.

Il fenomeno appare particolarmente attuale alla luce delle problematiche connesse ai processi di globalizzazione che hanno accelerato i contatti tra culture diverse e acutizzato le istanze di riconoscimento che i vari gruppi, spesso di minoranza, avanzano all’interno delle società multiculturali contemporanee. Significativi, in tal senso, gli attacchi ripetuti al Ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione di origine congolese Cécile Kyenge, fino all’ultimo, recente episodio in cui l’esponente leghista Calderoli (e vicepresidente del Senato) è giunto a paragonarne le sembianze a quelle di un orango.

Dal punto di vista educativo si pone la questione: è possibile, agendo sulle rappresentazioni mentali e culturali, superare la diffidenza, il sospetto, l’avversione verso ciò che è diverso? Finanche «disimparare» il razzismo? Il razzismo nasce dall’incontro/scontro con la diversità, l’alterità irriducibile dell’altro, ed è un problema in cui si intrecciano dinamiche personali, culturali e sociali.

Appare forse semplicistico il tentativo di risolvere il problema dell’incontro con l’altro affermando: «Se lo conosci forse puoi imparare ad apprezzarlo», perché ci si può trovare davanti ad un rifiuto totale: «Non lo voglio conoscere». «Non lo voglio conoscere» equivale a dire «Non lo voglio ri-conoscere», ovvero non voglio fare esperienza diretta e concreta dell’altro, preferisco giudicarlo in base all’idea, alle credenze che ho su di lui.

Quali sono le dinamiche che ostacolano o negano il processo di riconoscimento? Come già intuito da Hegel (la dialettica servo-padrone in La fenomenologia dello spirito ) il processo di riconoscimento ha una natura dinamica e reciproca perché costituito al suo interno da una relazione reciproca, per quanto asimmetrica. Reciprocità non è da intendersi nel senso di uguaglianza: si tratta di una reciprocità conflittuale, in cui si innescano lotte per negoziare i criteri di reciprocità e per stabilirli come criteri di uguaglianza. Secondo il pensiero di Renate Siebert, professore ordinario di Sociologia del mutamento presso l’Università della Calabria, autrice del volume Il razzismo. Il riconoscimento negato (Carocci, 2003), affinché ci sia lotta, dialettica e tensione per il riconoscimento, è indispensabile che i due soggetti si riconoscano come esseri umani a pieno titolo.

Ci può essere - e ciò alimenta la tensione - disuguaglianza: servo e padrone, pur essendo molto diversi rispetto al ruolo sociale sono uguali in quanto esseri umani e potenzialmente possono entrare in una dinamica di riconoscimento poiché l’uno presuppone dell’altro che abbia la capacità della coscienza di sé, dell’autocoscienza. Ben diversa è la situazione dello schiavo, considerato un oggetto, come non-umano, o sub-umano. In questi termini le varie forme di razzismo rendono inferiori in modo forte coloro che ne vengono colpiti negando loro lo status di esseri umani a pieno titolo e cercando di estrometterli dalla possibilità di una relazione che consenta la dialettica del riconoscimento.

Una società che si muove verso la globalizzazione può fare a meno del rispetto per i diritti umani?
«In un mondo in cui tutti sono interconnessi, l’intolleranza e l’assenza di rispetto sono opzioni non più concepibili - scrive Howard Gardner nel saggio Cinque chiavi per il futuro (Feltrinelli, 2007) - anziché ignorare le diversità o esserne infastiditi, o cercare di annullarle attraverso l’amore o attraverso l’odio, invito gli esseri umani ad accettare le diversità, a imparare a convivere con esse e ad apprezzare coloro che appartengono ad altre schiere».
 
il premio nobel fo ................ defini' brunetta un nano ............. in effetti un po' di ragione l'aveva ...... ! ma penso che in fondo in fondo anche calderoli una certa ispirazione l'abbia avuta ...oppure dobbiamo per forza dire che solo i sinistroidi abbiano la prerogativa e l'esclusivita' della satira ?????????????????''
 
Tanta gente s'inventa l'esistenza dei cattivi per apparire migliore, non potendo fare diversamente.

Oggi il discorso sui razzisti in Italia, somiglia tanto alla caccia agli untori del 1600.
A qualcuno bisogna dare la colpa del fallimento delle politiche dell'integrazione.
 
il peggior razzista ????

sicuramente un radical chic sinistrini che pensa di essere superiore (e non importa la razza)

un sinistrino può appartenere a un ceppo dell'umanità o all'altro..... ma si comporterà sempre da razzista anche col sotto posto............in azienda
 
ma vi siete sentiti chiamati in causa per rispondere così?
è un testo di non facilissima lettura
mentre anche stanca lo leggevo cercavo di capire le basi delle argomentazioni
se mi tornavano con cose lette teoriche, con cose esperite, mi domandavano se e come e quando posso avere, sulla base dei criteri individuati nell'articolo, qualche spunto razzista, se le argomentazioni mi tornavano (alcune poco)
insomma di tutto e di più

e non mi sarebbe mai venuto in mente di rispondere che il razzismo è una caccia all'untore o tanto meno citare destra sinistri .. giusto sinistri

(a me alex mi sembri un po' sinistro te a non far altro che parlare di sinistri)

ma a cosa vi ha fatto pensare sto testo?
 
per esempio secondo alcuni non è lo schiavismo conseguenza del razzismo ma viceversa
e la tesi del non riconoscimento come persona dello schiavo, che è diverso dal riconoscerti ma giudicarti da meno, rompi.******** etc, espressa nell'articolo sembra o confermare o avere la stessa base ideologica.
 
Quali sono le dinamiche che ostacolano o negano il processo di riconoscimento? Come già intuito da Hegel (la dialettica servo-padrone in La fenomenologia dello spirito ) il processo di riconoscimento ha una natura dinamica e reciproca perché costituito al suo interno da una relazione reciproca, per quanto asimmetrica

che poi secondo il detto comune è meglio ricevere un vaffa che l'indifferenza
o anche non si litiga con chi si considera veramente inferiore
 
Tanta gente s'inventa l'esistenza dei cattivi per apparire migliore, non potendo fare diversamente.

Oggi il discorso sui razzisti in Italia, somiglia tanto alla caccia agli untori del 1600.
A qualcuno bisogna dare la colpa del fallimento delle politiche dell'integrazione.

Ooooooooohh yessssss
 
il peggior razzista ????

sicuramente un radical chic sinistrini che pensa di essere superiore (e non importa la razza)

un sinistrino può appartenere a un ceppo dell'umanità o all'altro..... ma si comporterà sempre da razzista anche col sotto posto............in azienda

Very good .........uh
 
e anche che è più promettente una società dove ci sono forti tensioni (quindi anche neri bianchi) piuttosto che una società dove una parte è ghettizzata ed esclusa (e onestamente in italia chi è di colore vive soprattutto un forte isolamento)
 
siete più tranquilli adesso? sogni d'oro.
 
Se uno tratta gli ebeti da ebeti si definisce razzismo? Deve dire che sono delle volpi? :confused:
 
ma vi siete sentiti chiamati in causa per rispondere così?


e non mi sarebbe mai venuto in mente di rispondere che il razzismo è una caccia all'untore
o tanto meno citare destra sinistri .. giusto sinistri

(a me alex mi sembri un po' sinistro te a non far altro che parlare di sinistri)

ma a cosa vi ha fatto pensare sto testo?

dipende anche dalla familiarità che si ha con la storia e la letteratura.
Confermo. La ricerca del razzista e come la caccia all'untore. Come nel 1600 erano falliti i tentativi per fermare la peste e se ne doveva dare la colpa a qualcuno, oggi sono falliti i tentativi di integrazione e se ne deve dare la colpa a qualcuno. In ambedue i casi quei "qualcuno" in Italia non esistevano e non esistono.

l'articolo può anche essere profondo, ma è fuori luogo perchè in italia, dove il razzismo non esiste.
al più può esistere la puzzetta sotto il naso
 
Se uno tratta gli ebeti da ebeti si definisce razzismo? Deve dire che sono delle volpi? :confused:

il problema è che il razzismo considera inumano il nero perché nero
se consideri nero un nero non sei razzista
che è come considerare un ebete ebete
ma se tu ti consideri più umano di un ebete allora verso l'ebete sei razzista
dato che l'umanità è anche ebete
 
siete più tranquilli adesso? sogni d'oro.

Tu in quanto ad atteggiamento razzista vesso chi ha idee diverse dalle tue, per quanto documentate, non sei seconda a nessuno! OK!


Chissà perché in taluni ambienti piace sovente citare l'ART.3 della Costituzione ma le uniche due parole che si fa finta di dimenticare sono "d'opinione politica"!
 
dipende anche dalla familiarità che si ha con la storia e la letteratura.
Confermo. La ricerca del razzista e come la caccia all'untore. Come nel 1600 erano falliti i tentativi per fermare la peste e se ne doveva dare la colpa a qualcuno, oggi sono falliti i tentativi di integrazione e se ne deve dare la colpa a qualcuno. In ambedue i casi quei "qualcuno" in Italia non esistevano e non esistono.

l'articolo può anche essere profondo, ma è fuori luogo perchè in italia, dove il razzismo non esiste.
al più può esistere la puzzetta sotto il naso

guarda che della storia della colonna infame mi parlarono in prima o seconda liceo
non mi è certo non venuto in mente perché non so che vuol dire caccia all'untore

poi che in italia non esista proprio non ci giurerei
inoltre per esistere un fenomeno deve esserci un motivo reale
e finchè di neri ci sono tre gatti è ovvio che non puoi essere razzista manco volendo
ma nel futuro non saranno tre gatti
infine l'articolo esamina le cause del razzismo
il processo psicologico che ne è all'origine
se non lo siamo leggere è mera cultura personale, nel caso lo si possa diventare è un antidoto, se uno lo è lo rifiuta

se leggo un saggio su un insetto dell'amazzonia scritto da un italiano in italia dico che è una capzata o fanno terrorismo mediatico perché in italia non c'è?
 
il problema è che il razzismo considera inumano il nero perché nero
se consideri nero un nero non sei razzista
che è come considerare un ebete ebete
ma se tu ti consideri più umano di un ebete allora verso l'ebete sei razzista
dato che l'umanità è anche ebete

Supercalifragilistichedichespiralitoso anche se ti sembra che abbia un suono spaventoso .......... gne gne nìgne gne gne ...didididi strepitoso .........
 
potrei improvvisamente decidere di dar retta ad elisar e divenire razzista culturale
 
il problema è che il razzismo considera inumano il nero perché nero
se consideri nero un nero non sei razzista
che è come considerare un ebete ebete
ma se tu ti consideri più umano di un ebete allora verso l'ebete sei razzista
dato che l'umanità è anche ebete

No, per me un ebete resta un ebete anche se è birulò, devo dire che è una volpe? Perché, sedico che un nero è un ebete arriva qualcuno a strumentalizzare ed a dirmi che sono razzista? :confused:
 
A parte un numero abbastanza contenuto di veri razzisti, la questione è semmai, a torto o a ragione, percepire certi atteggiamenti culturali come incompatibili con la cultura locale.
Secondo me, i politically correct fanno disastri confondendo razzismo con altre cose.

Sulla compatibilità tra culture esterne e culture locali, faccio un esempio danese, per evitare di toccare nervi italiani.
E' compatibile la cultura islamica, che vuole le donne obbligate a sposare altri islamici e a uscire solo coperte da capo a piedi, e andare a lavorare solo con l'autorizzazione del padre, dei fratelli o del marito, con la cultura locale danese di autodeterminazione delle donne?
E' razzismo affermare che la cultura islamica introdotta è incompatibile con la locale cultura danese?
 
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