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Autore ignoto - "Apocalisse"

Apocalisse significa in greco “rivelazione” ed è il racconto di una terrificante visione avuta dall’autore, che i padri della Chiesa identificarono in San Giovanni. Vi si prevede, con un simbolismo talmente ricco da eccitare la fantasia di centinaia di artisti, dai codici di Girona a Giotto, da Rubens a De Chirico, la fine del mondo e il trionfo finale di Cristo. Il mondo del male, naturalmente, era per Giovanni l’impero di Roma e l’autore ne decretava il crollo con l’avvento di una nuova era : ignaro di quanti altri diavoli e dragoni sarebbero venuti dopo. E’un documento di potenza ineguagliabile : e infatti nessun testo di fantascienza è mai stato altrettanto efficace.
 
Apocalisse (o apocalissi con terminazione alla latina) è un termine colto, proprio della tradizione cristiana, che riprende il tardo latino apocalypsis.
In latino la parola riproduce il titolo in greco antico dell’ultimo libro del Nuovo Testamento apokalypsis, che valeva originariamente in quella lingua rivelazione, manifestazione, ed era un derivato di apokalyptein svelare.

Il termine deve la sua fortuna millenaria al fatto di essere stato usato come titolo e come parola iniziale dell’ultimo libro della Bibbia cristiana, appunto l’Apocalisse, il cui autore dichiara di chiamarsi Giovanni, un personaggio in cui la tradizione ha voluto riconoscere il san Giovanni autore del quarto vangelo con una attribuzione oggi molto discussa soprattutto per le divergenze stilistiche fra le due opere.

Si tratta di una visione, o meglio di una serie di visioni profetiche, di grande valore simbolico, ma spesso assai complesse, oscure e descritte con un linguaggio volutamente allusivo e generico, tipico della letteratura apocalittica giudaica e poi cristiana del periodo intorno alla nascita di Cristo.


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Il tema fondamentale è costituito dalle tribolazioni che i giusti dovranno affrontare con l’acuirsi della lotta fra bene e male, soprattutto negli ultimi tempi, che vengono rappresentati con numerose immagini spaventose e terribili, fino alla catastrofe universale finale.

Ecco così i sette sigilli la cui apertura scatena i quattro cavalieri dell’Apocalisse; gli angeli delle sette trombe dei castighi di Dio e quelli dei sette ultimi flagelli, la grande tribolazione, l’avvento della Bestia, cioè dell’Anticristo e da ultimo la distruzione di Babilonia, simbolo del regno del male, e le tremende battaglie con la sconfitta totale di Satana, prima del giudizio finale.

E’ facile comprendere come tale susseguirsi incalzante di terrificanti descrizioni, narrate in forma tanto solenne quanto enigmatica, abbiano colpito anche attraverso le raffigurazioni artistiche l’immaginazione popolare, che ha così identificato l’apocalisse con la fine del mondo, e con gli sconvolgimenti cosmici e le inenarrabili sofferenze che avrebbero dovuto accompagnarla: in ogni tempo vi sono state persone che hanno atteso più o meno fanaticamente l’arrivo di tale fine prevista come prossima, annunciandola ai loro contemporanei.

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Ma il libro biblico non contiene soltanto elementi di paura: anzi il suo scopo è quello di rafforzare i credenti nella loro fede, e si chiude con un solenne messaggio di fiducia e di speranza: ‘Non ci sarà più né lutto né pianto né dolore. Il mondo di prima è scomparso per sempre’. Allora Dio dal suo trono disse: ‘Ora faccio nuova ogni cosa’.
 
"B"

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Per la B, saltando la Bibbia (troppo impegnativa), te la cavi facilmente : I Buddenbrook, un capolavoro! ;)
 
Autore ignoto - "Il cantico dei cantici"

E’ il canto per eccellenza dell’amore – col pieno coinvolgimento dei sensi - tra un uomo e una donna. Il fatto che sia stato incluso come libro sacro nella Bibbia ( intorno al sesto secolo a.C.), ha indotto gli studiosi a interpretarlo come un rapporto nuziale fra Dio e il popolo d’Israele e , più tardi, fra Cristo e la Chiesa. Ma la lettura, sia letterale che simbolica, di questo gioiello poetico, porta a ritenere assai forzate queste interpretazioni. Vale sempre, comunque, la definizione che ne fu data dal grande rabbino Akiba 20 secoli fa: «L’universo intero non vale il giorno in cui Israele ebbe il Cantico dei Cantici».
 
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Il Cantico dei Cantici è uno dei 24 libri della Bibbia, nella sezione degli Agiografi, più precisamente dell'insieme chiamato Meghillòt. Fu scritto dal grande re Salomone che regno tra il 2924 e il 2964 del calendario ebraico (836-876 a.e.v.).

Composto da otto capitoli che racchiudono in apparenza parole d'amore, come uno sposo e una sposa che si parlano con affetto, in realtà sono espressioni dal significato molto profondo e simbolico, presentate in forma implicita e allegorica.
Siccome la natura dell'uomo è di ricercare il significato profondo delle cose, quando si imbatte in qualcosa di enigmatico, l'opera è stata scritta in apparente ambiguità da un grande re conosciuto come il più saggio tra gli uomini.
Chiunque approfondisca il testo capirà che un re come Salomone non ha scritto quest'opera per parlare dell'affetto tra due persone, bensì per rappresentare qualcosa di molto più grande, con parole ardite l'autore descrive l'amore spirituale che lega D-o al suo popolo, solo scavando nella profondità dei vocaboli si può arrivare a capire l'intensità e la bellezza di questo importante libro.

Rabbi 'Akìva affermava:"Il mondo intero non è tanto prezioso quanto il giorno in cui fu dato a Israele il Cantico dei Cantici, perchè tutti gli Scritti sono sacri ma il Cantico dei Cantici è il sacro per eccellenza" (Mishnà Yadayìm 3,5).
 
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Cantico dei Cantici IV (1958). Marc Chagall (1887-1985).
 
Come sei bella, amica mia, come sei bella! I tuoi occhi, dietro al tuo velo, somiglian quelli delle colombe; i tuoi capelli son come un gregge di capre, sospese ai fianchi del monte di Galaad.

I tuoi denti son come un branco di pecore tosate, che tornano dal lavatoio; tutte hanno de’ gemelli, non ve n’è alcuna che sia sterile.

Le tue labbra somigliano un filo di scarlatto, e la tua bocca è graziosa; le tue gote, dietro al tuo velo, son come un pezzo di melagrana.

Il tuo collo è come la torre di Davide, edificata per essere un’armeria; mille scudi vi sono appesi, tutte le targhe de’ prodi.

Le tue due mammelle son due gemelli di gazzella, che pasturano fra i gigli.

Prima che spiri l’aura del giorno e che le ombre fuggano, io me ne andrò al monte della mirra e al colle dell’incenso.

Tu sei tutta bella, amica mia, e non v’è difetto alcuno in te.
 
P (Proverbi di Watson)

P
Proverbi di watson

Figlio mio, se tu accoglierai le mie parole
e custodirai in te i miei precetti,
tendendo il tuo orecchio alla sapienza,
inclinando il tuo cuore alla prudenza,
se appunto invocherai l'intelligenza
e chiamerai la saggezza,
se la ricercherai come l'argento
e per essa scaverai come per i tesori,
allora comprenderai il timore del Signore
e troverai la scienza di Dio,
perché il Signore dà la sapienza,
dalla sua bocca esce scienza e prudenza.
Egli riserva ai giusti la sua protezione,
è scudo a coloro che agiscono con rettitudine,
vegliando sui sentieri della giustizia
e custodendo le vie dei suoi amici.
Allora comprenderai l'equità e la giustizia,
e la rettitudine con tutte le vie del bene,
perché la sapienza entrerà nel tuo cuore
e la scienza delizierà il tuo animo.
La riflessione ti custodirà
e l'intelligenza veglierà su di te,
per salvarti dalla via del male,
dall'uomo che parla di propositi perversi,
da coloro che abbandonano i retti sentieri
per camminare nelle vie delle tenebre,
che godono nel fare il male,
gioiscono dei loro propositi perversi;
i cui sentieri sono tortuosi
e le cui strade sono oblique,
per salvarti dalla donna straniera,
dalla forestiera che ha parole seducenti,
che abbandona il compagno della sua giovinezza
e dimentica l'alleanza con il suo Dio.
La sua casa conduce verso la morte
e verso il regno delle ombre i suoi sentieri.
Quanti vanno da lei non fanno ritorno,
non raggiungono i sentieri della vita.
Per questo tu camminerai sulla strada dei buoni
e ti atterrai ai sentieri dei giusti,
perché gli uomini retti abiteranno nel paese
e gli integri vi resteranno,
ma i malvagi saranno sterminati dalla terra,
gli infedeli ne saranno strappati.
 
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Chagall è uno di quegli artisti che riescono a denudare l’artifizio della narrazione. Le sue trame cinetiche abbracciano un palcoscenico grande come il mondo e alto come il cielo. Le acrobazie dei suoi personaggi scalzano ogni logica e rispecchiano il nostro inconfessato, volubile inconscio. Chagall è un poeta. Se dovessi trovare un lirico cui appaiarlo, sceglierei senza dubbio Sergej Esenin che vedeva nella luna la rana d’oro del firmamento oppure un agnello ricciuto, baciava i felici piedini delle betulle, e immaginava che l’aurora sul tetto fosse un gattino che si lecca il muso con la zampa. C’è in questi artisti un grande bisogno di sopperire con il sogno al piatto grigiore dell’esistenza; ma c’è anche una spinta innata al canto per il canto. Non a caso Chagall è l’interprete stupefacente del «Cantico dei Cantici», pittoricamente tradotto in cinque opere che si possono ammirare presso il Musèe du Message Biblique di Nizza e che Pierluigi Lia analizza nel suo recente volumetto «Il cantico di Chagall» (ed. Àncora, pag. 80, L.28.000). Lia è un sacerdote, docente alla Cattolica e teologo. Dunque la sua indagine è condotta soprattutto sul filo della fede, e l’emozionalità prevale. Egli si mette davanti all’opera e contempla, attirato dalla consonanza delle pitture con il Cantico di Salomone che anticamente, presso i Giudei, corse il rischio di essere escluso dal Canone per la sua sensualità, e invece vi rimase dopo essere stato rivalutato e definito «santissimo» fra i libri santi. Come sappiamo, nel «Cantico dei Cantici» risuonano espressioni egizie, arabe ed ebraiche, cioè di popoli che davano una grande importanza all’allegoria e al simbolo, frutto di un’attitudine recettiva, estatica e visionaria che ritroveremo pari pari nel gnostico «Canto della perla» (secondo dell’era volgare). In entrambi questi inni la conoscenza religiosa non è acquisita per via di una analisi speculativa, sebbene come dono divino che passa attraverso il corpo. Scrive Tertulliano nel «De resurrectione»: «La carne è il cardine della salvezza. Infatti se l’anima diventa tutta di Dio è la carne che glielo rende possibile!». Gli amanti «carnali» del «Cantico dei Cantici» - Dio ed Israele, Dio e l’umanità - pescano in tal modo in un repertorio figurale ricchissimo, pieno di calore intimo e di reciproci incitamenti ad abbandonarsi alla passione. Un invito strepitoso per un artista come Chagall, al quale qualsiasi etichetta andò sempre stretta, eccetto quella della magia. L’infinito spazio immaginario russo movimentato da un annaspìo di figurine stralunate, sposi, asinelli, acrobati - uno spazio già di per se «sacrale» - si carica di misticismo biblico direi d’ordine cosmico. La cosmicità è infatti la dimensione di questo singolare museo che Lia accuratamente descrive per introdurre il lettore alla degustazione delle cinque opere dedicate al «Cantico». Degustazione, sì. La pittura di Chagall è infatti un formidabile banchetto imbandito. Colori, profumi, sapori si intrecciano e ci avvolgono. Non ci sono pause, segni di interpunzione, arresti. Gli impaginati di Chagall sono sempre talmente affollati da far pensare che egli abbia per forza lasciato fuori qualcosa, qualche elemento dei gioiosi racconti che gli urgevano dentro. L’autore del bel volumetto, tutto illustrato, sottolinea il rapporto fra i brani pittorici e la biografia del grande artista ebreo che dedicò a Vava, la moglie, il festino nuziale del «Cantico»; come a dire che egli ha voluto celebrare nei colori il suo amore d’uomo, la ragione dell’esultanza originaria per cui la vita si perpetua. In un mobilismo di trottole, la perenne e insopprimibile felicità dell’amore si veste di rosso. Dopo il blu delle vetrate di questa cattedrale nizzarda, dove ci si muove in punta di piedi per non scalfire l’incantesimo, il rosso vivo del sangue e il rosso notturno degli alchimisti - l’athanor che rigenera - si succedono, sempre per esaltare il significante privilegio della porpora, da Mefisto che si veste di rosso per discendere agli inferi a Jahvè, colore dei generali, della nobiltà, degli imperatori. Colore degli amanti. Dietro le pietre del massiccio edificio cavate dalle montagne circostanti, pietre bianche d’un luccicore di sale, Chagall ha narrato una delle sue favole più intriganti. Il Lia consiglia di prepararsi alla visione dopo un’adeguata lettura del testo biblico (e mi pare cosa giusta!). Ma la fantasticheria di Chagall smaterializza il «peso» della parola; e il suo mondo che si allunga di qua e di là mulinando sui tetti miracoli di fiori e d’uccelli, di mani che sembrano avere ciglia, può essere goduto comunque e da chiunque, perché rimane il mondo di un immaginista russo, di un poeta - contadino, mistico, mago e stregone , «alla Esenin». Curzia Ferrari
 
Autori vari - "Le mille e una notte"

Questa grande raccolta di novelle che è stata costruita in venti secoli (raggiunse infatti la sua compiutezza definitiva nel Quattrocento e solo molto più tardi fu tradotta, e sempre parzialmente, nelle lingue europee) racconta colori odori e sapori dei favolosi popoli e regni che si sono avvicendati nelle terre dal Nilo all’ Indo. Dà la chiave non solo per gustare fantasie, magie, crudeltà e raffinata eleganza di generazioni scomparse , ma anche per comprendere meglio i fili segreti che muovovo le trame nel vicino Oriente. Non si puo’ capire nemmeno la politica dei paesi arabi se non si è letto “Le mille e una notte”.
 
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"Le mille e una notte", dal titolo originale in arabo: alf laila wa laila, è indubbiamente il classico della letteratura orientale più famoso e conosciuto in assoluto. Alcuni personaggi che animano le favole raccontate dalla principessa Shahrazàd fanno parte dell'immaginario di tanti bambini del mondo, come Alì Baba e i quaranta ladroni o Aladino con la sua lampada magica o ancora i viaggi di Sindbad il marinaio.

Il re Shahriyàr deluso ed infuriato per il tradimento della moglie concepisce un odio mortale per l'intero genere femminile. A causa di ciò egli ordina al vizir, che è anche il padre di Shahrazàd, di condurgli una vergine ogni notte: avrebbe passato la notte con lei e la mattina seguente ne avrebbe ordinato l'esecuzione. La strage continua per tre anni finché Shahrazàd bella, saggia e coraggiosa non si offre di passare la notte col re dicendo al padre: "O rimarrò in vita, o sarò il riscatto delle vergini musulmane e la causa della loro liberazione dalle mani del re e dalle tue".

Shahrazàd, per non essere messa a morte dal vendicativo re, per mille e una notte, tiene desta la curiosità del sovrano con i suoi racconti straordinari, ora incatenati l'uno all'altro come anelli di una collana, ora rinchiusi l'uno nell'altro come in un sistema di scatole cinesi. Quando Shahrazàd smette di raccontare, il re Shahriyàr ormai ha dimenticato per amor suo l'antico odio per le donne; il tempo e la fantasia l'hanno riconciliato con la vita. Shahrazàd ha salvato se stessa e ben più di mille e una fanciulla.
 
Agostino – "Le confessioni"

Agostino qui si spoglia di tutta la sua dottrina e si mostra ai contemporanei e ai posteri così com’è , con tutte le sue debolezze , le sue paure, le sue certezze e anche, com’è naturale, con qualche reticenza Però la sua sincerità è spesso disarmante, come quando chiede a Dio di dargli il dono della castità, «ma non ora, non subito». Si potrebbe dire, parafrasando un grande poeta, che questo non è soltanto un libro: chi tocca questo, tocca un uomo. E un uomo molto simile, se si escludono alcune convinzioni, a quelli del nostro tempo, anche nei difetti e nelle convinzioni stravaganti. A differenza dalle altre opere di Sant’Agostino, “Le confessioni” mantengono un carattere di grande attualità.
 
Sant'Agostino nell'undicesimo libro delle Confessioni si occupa di questo problema: se la creazione è avvenuta davvero come afferma il primo capitolo della Genesi, e come essa dovrebbe essere accaduta dal nulla.
Egli sostiene che il mondo non fu creato da una materia qualsiasi, ma dal nulla. Dio creò la sostanza, non soltanto l'ordine e la disposizione delle cose, la Genesi a tal proposito è esplicita.
La domanda che lo tormenta è: "Perché il mondo non fu creato prima?"
Perché non c'era alcun "prima". Il tempo fu creato quando il mondo fu creato. Dio è eterno, nel senso che è senza tempo; in Dio non c'è né prima né dopo, ma solo un eterno presente. L'eternità di Dio è libera da ogni rapporto con il tempo.
Egli non precedette la sua creazione del tempo, perché ciò implicherebbe che Egli stesse nel tempo, mentre Egli sta eternamente al di fuori della corrente del tempo, ciò conduce Sant'Agostino alla sua teoria del tempo.

"Che cosa è allora il tempo?" si chiede.
"Se nessuno me lo chiede, lo so; se cerco di spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so." Sant'Agostino è perplesso; né il passato né il futuro, ma soltanto il presente realmente è; il presente è solo un momento, e il tempo può essere misurato soltanto mentre passa. Tuttavia, esistono realmente il tempo passato e il tempo futuro. Sembra d'esser caduti in contraddizione.
La via che Agostino trova per evitare queste contraddizioni è quella di dire che il passato ed il futuro possono essere pensati solo come presente: "il passato" come memoria, e "il futuro" come attesa, e la memoria e l'attesa sono entrambe fatti presenti.
Dice : "Il presente delle cose passate è la memoria; il presente delle cose presenti è la vista; e il presente delle cose future è l'attesa." (Libro XI, capitolo 20).Sa di non avere risolto tutte le difficoltà, con questa teoria.
"La mia anima aspira a conoscere questo enigma terribilmente imbrogliato e prega Dio di illuminarlo, assicurandolo che il suo interesse per il problema non proviene da vana curiosita. Io ti confesso, o Signore, di ignorare ancora che cosa sia il tempo."
La svolta avviene quando intuisce che il tempo è soggettivo: il tempo risiede nella mente urnana che attende, considera e ricorda.(Capitolo 30) Ne consegue che non ci può essere tempo senza un essere creato,(capitolo 30) e che parlare del tempo prima della creazione è insensato.

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