«Io volevo sì superare la figura, superare il disegno. Ma per superarli credevo mi fosse necessario prima di tutto conoscere a fondo queste forme tradizionali. Quando sono entrato all’accademia […] volevo dare alle mie ricerche una base classica»
... al suo rientro nella fervente vita milanese, nel ’47, prende vita la sua personale teoria:
lo spazio e il vuoto devono diventare i protagonisti dell’opera; ma come si può rappresentare lo schiudersi del vuoto, per mezzo della materia?
Bell’ostacolo la materia, si sa. Nel primo manifesto del Movimento spazialista, Fontana sottolinea l’importanza dell’antimateria e del gesto; nel secondo manifesto
dichiara quindi la necessità di una nuova forma espressiva che non sia più «solo pittura» o «solo scultura», ma una sintesi che permetta l’espressione dello spazio, quello dell’esistenza pura, libera dalla materia.
La sostanza va affinandosi: dal catrame al gesso e alla terracotta, e ora alla tela.
Una tela bianca bidimensionale è un ostacolo agli occhi di uno scultore che, all’apice della sua elaborazione, ha deciso di voler rappresentare lo spazio e il vuoto, ma è allo stesso tempo la sfida di un uomo che «quando si accorge di aver raggiunto il pieno dominio della materia […]
castiga la materia stessa, riduce ancora il suo linguaggio ai mezzi più essenziali per un bisogno di liberazione
Ma perché il titolo Attese?


L’attesa è una condizione in cui il tempo sembra non esistere o essere infinito, e porta con sé la proiezione verso il futuro che è frenetica gioia e contemporaneamente terrore,
unione di due opposti, esattamente come «la luce passa nell’area del taglio dal suo tono massimo allo zero, in una sintesi radicale del problema del chiaroscuro»
G. Dorfles, A. Vettese, Storia dell’arte
qualcuno vuole arrampicarsi sugli alberi, stasera?
