Ludmilla

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watson

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Tristan Corbière

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Tristan Corbière (ma il suo nome proprio era Edouard-Joaquim) nacque a Ploujean [Bretagna] nel 1845. Costretto giovanissimo a interrompere gli studi per una grave malattia che lo rese deforme, si stabilì a Roscoff [Bretagna] dove trascorse quasi tutta la vita (morì a Morlaix nel 1875).
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Esordì come scrittore a Paris nel 1873 pubblicando su «La Vie parisienne» alcune poesie e due rac- conti. Nello stesso anno raccolse tutti i suoi versi in quello che rimase il suo unico volume: Gli amori gialli (Les amours jaunes). Cominciò a essere noto solo dal 1884 quando Verlaine ne "I poeti maledetti" ne rivalutò la figura, presentandolo accanto agli altri maestri del simbolismo.
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Corbière è stato un poeta originale e innovatore, di gusto barocco e fantastico, ma anche con accenti popolareschi, volute prosaicità e irregolarità formali. Uno dei motivi principali della sua opera è la vita del mare di cui dette una interpretazione non convenzionale, oltre ogni forma di idealizzazione romantica. Ebbe un notevole influsso sui poeti successivi: attraverso Laforgue (che ne criticò però l''impurità' formale) fino a T.S. Eliot.
 
corbiere.jpg
 
Fu Paul Verlaine, nelle splendide e delicate pagine di “Les poètes maudits” (1884), a rivelare al grande pubblico la raffinatezza poetica di Tristan Corbière. La “maledizione” colpì un giovane artista dalla vita sregolata, focoso amante del mare in tempesta, e sino ad allora conosciuto per un’anonima raccolta di versi (Les amours jaunes – Gli amori gialli, 1873) e due modeste novelle pubblicate, nel medesimo anno, sulla rivista “La Vie parisienne”. Giocoliere dell’anima e del verso, Corbière prese poche cose sul serio, e tra queste, certamente, non il suo nome di battesimo. Eduard – Joachim Corbière nasce nel 1845 a Ploujean in Bretagna, salmastro paese di pescatori e naviganti. Studia a Saint – Brieuc e Nantes sino a quando violenti reumatismi ed una tubercolosi cronica non lo costringono ad abbandonare i libri per una vita attenta alle insidie del clima. Rifugiatosi nella villa paterna di Roscoff, Corbière comincia a comporre le prime poesie. E’ qui che Eduard, malato e sfigurato dal dolore, celebra Tristan, la malinconica maschera onomastica che non abbandonerà più. Lo sguardo del poeta vaga inconsolabile sul mare, sulle onde infuriate e schiumanti che vorrebbe cavalcare; l’orizzonte plumbeo è l’ultimo, invalicabile limite, che inghiotte tutti i sogni del giovane bretone. Tristan viaggia ancora, a Parigi, poi a Roma e quindi a Capri. All’ombra dei faraglioni dichiara il suo amore ad Armida Giuseppina Cuchiani, una giovane, promettente attrice, conosciuta qualche anno prima a Roscoff. La donna, pur provando una forte simpatia per il poeta, ha già ceduto alle lusinghe del conte Rodolphe de Battine, che presto li raggiunge sull’isola. Tristan torna a Parigi. Intinge il pennino in un calamaio colmo di delusione ed ironia. I suoi versi cantano Marcelle, la donna perduta. La tristezza però si deforma nella plasticità di una metrica cantilenante e beffarda.
 
Se il cuore del poeta è in pezzi, il vigore sarcastico della sua lirica sfugge alle depressioni del sentimento. Nel 1873 Tristan Corbière raccoglie e pubblica tutte le sue poesie nel volume “Les amours jaunes” (“Gli amori gialli”), un libro che il pubblico ignora pressoché completamente. Due anni dopo, gravemente malato, Tristan Corbière viene trasferito a Morlaix, dove si spegne il primo di marzo. Devono trascorrere nove anni prima che la magia della bacchetta di Paul Verlaine riconosca ed esalti le doti del giovane artista bretone. Giallo è il colore della poesia di Corbière, del la cromia delle foglie autunnali, dell’esaltazione della vita anche dopo la morte. Una metrica fortemente verticale, un gioco insolito e inconsueto, illuminato dall’elaborazione di un linguaggio volutamente eccentrico, originale. In un continuo arabesco verbale fatto d’improvvisi scatti, inversioni, antifrasi, Corbière mescola il sapore della malinconia alla nonchalance del più irridente nichilismo. E’ la celebrazione artistica di uno spirito cupo e ribelle, di un’ispirazione lontana dal sussiego autoesaltato del romanticismo, di un poeta che ha saputo combinare, come nella più ambigua delle maschere teatrali, il sorriso dell’uomo con la forza ottundente ed ottenebrante del Nulla.
 
Uh uhhhhhh.....gente allegra!

Mi ricorda i tempi dell'università....Meraviglioso!

Non scordare una sezione dedicata al suo contemporaneo, non meno interessante, Lautréamont.

Ciao ciao, wat :)
 
Scritto da Mafaldita
Uh uhhhhhh.....gente allegra!

Mi ricorda i tempi dell'università....Meraviglioso!

Non scordare una sezione dedicata al suo contemporaneo, non meno interessante, Lautréamont.

Ciao ciao, wat :)


sarà fatto.(al momento non so nemmeno chi sia).
 
Tra il 1870-80 Tristan Corbière fa una variazione ad una poesia di Baudelaire, dove non essendo più nessuno si aggira per la città a caccia di sensazioni varie. Vede una donna e cerca di agganciarla (lui è vestito lacero nei panni di un mendicante) questa facendo ondeggiare l'ombrellino gli offre dei soldi come elemosina, e tutto finisce in questo gesto.

Quando e ' bel tempo, batto i marciapiedi
per la passante dall'aria di vittoria
che scardinera' con una punta d'ombrello
la palpebra dei miei occhi o la scorza del mio cuore.

Contento (ma non troppo) mi dico: questo e' vivere:
a spasso con i crampi, il barbone si ubriaca.

Un bel giorno (che mestiere!) faccio al solito il mio giro.
Beh, mestiere...E alla fine, passa lei.
Lei chi? Ma la passante! Col suo ombrello!
Come un ladro in chiesa la sfioro...e lei
mi guarda un po', sorridendo benevola,
mi tende la mano
e sgancia due soldi.
 
"Non so quello che voglio.
Non so quello che mi piace.
Non so in che cosa credo
- se pure credo in qualcosa."

"Ogni pagina di questo libro suscita meraviglia."
Henry Miller

Quando Albert Fish Budd di Bivalve, New Jersey, operaio in fabbrica di professione, collezionista di schegge di fango essiccato per passione, pubblica con grande successo il suo libro The Spill of Desire, la sua vita cambia. Ormai ricco, può abbandonare tutto e realizzare la sua vecchia aspirazione: diventare investigatore privato. Il mondo gli apre allora le sue porte e comincia a svelargli i suoi misteri. Lo attende, in un crescendo visionario, una galleria di personaggi e situazioni surreali e crude, grottesche e liriche: utopici inventori; schizofrenici; donne entusiaste del suo libro che tentano di sedurlo e infrangere il velo della sua timidezza. Ma una sola donna, Priscilla, saprà accompagnare Budd in un viaggio iniziatico verso la conoscenza profonda e autentica del desiderio dell'amore. Budd è un angelo impigliato in un mondo in decomposizione, di cui fotografa con ricca lucidità e precisione chirurgica i frammenti, ricercando senza compromessi un senso e un'armonia possibili. Pubblicato per la prima volta nel 1945, Memorie di un pornografo timido è stato forse il romanzo più amato dai grandi scrittori degli ultimi decenni, da Kerouac a Salinger a Henry Miller, che ne hanno esaltato l'originalità e la potenza espressiva.

NOTE BIOGRAFICHE - Kenneth Patchen nacque a Niles (Ohio) nel 1911, e morì a Palo Alto (California) nel 1972. Come suo padre lavorò come operaio in una acciaieria, per mancanza di mezzi fu costretto a interrompere gli studi alla Wisconsin University e cominciò a vagare per gli Stati Uniti passando da un mestiere all'altro, prima di potersi dedicare completamente alla letteratura grazie ad una borsa di studio. Patchen è stato l'unico grande poeta surrealista statunitense, oltre che narratore e illustratore. Ha lasciato raccolte poetiche in cui si avvertono echi di Blake, di Rimbaud e dei surrealisti (fra le altre, First Will and Testament, 1939; The Dark Kingdom, 1942; Poem-Scapes, 1957) e libri figurati (But Even So, 1968), geniali mescolanze di poesia e grafica. Tra i suoi romanzi (tra cui See You in the Morning, 1948), Memorie di un pornografo timido, qui riproposto nella traduzione di Luciano Bianciardi, è considerato il suo capolavoro.

patchen.jpg
 
Conte di Lautréamont [Comte de Lautréamont]

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Conte di Lautréamont fu lo pseudonimo di Isidore Ducasse. Nato a Montevideo [Uruguay] nel 1846 da genitori francesi, nel 1860 raggiunse la Francia dove continuò gli studi liceali, prima a Tarbes e poi a Pau. Dal 1867 fu a Paris (studiò forse ingegneria). Nel 1868 pubblicò anonimo il primo dei Canti di Maldoror (Chants de Maldoror), poema in prosa diviso in sei canti, che l'anno successivo (1869) completò con gli altri cinque in una nuova edizione a sue spese e firmate con lo pseudonimo. Nel 1870 fece uscire, firmati con il suo vero nome, due fascicoli di Poesie (Poésies) composte probabilmente durante e dopo la stesura dei "Canti". Lautréamont morì in circostanze misteriose, a Paris nel 1870.
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Il suo pseudonimo deriva da un romanzo di Sue: l'autore si nascondeva dietro un personaggio inattendibile per definizione. Il titolo stesso della sua opera maggiore è un rebus: Maldoror = mal d'aurore (male d'aurora). Le poesie si presentano come la prefazione di un'opera che sarebbe stata formata, come scrive, dalle più belle pagine di Hugo, Musset, Byron, Baudelaire, «corrette nel senso della speranza»: un'opera che non è mai stata ritrovata.
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Nell'insieme gli scritti di Lautréamont, e specialmente i "Canti", hanno qualcosa di inaccertabile. Essi si sovrappongono coscientemente a altri, così nel titolo come nelle fonti: il romanzo popolare e il romanzo nero inglese, da Walpole a Maturin. Il contenuto recepisce così tutto l'arsenale sadico di lame e sangue. Il linguaggio poetico moltiplica straordinariamente le immagini. L'amico Dazet che faceva da personaggio interlocutorio nella prima stesura dei "Canti" scompare nelle successive stesure, sostituito dalle figure del polipo, dell'orso marino ecc., metonimie del bestiario personale di Lautréamont. Gli animali (uccelli, belve, pesci) sono un riferimento costante nei "Canti", possibili sostituti di immagini umane. L'opera non è solo una trascrizione fluttuante di una esperienza onirica. Dietro le sue pagine è attiva una lucida volontà di strutturazione.
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Nelle "Poesie" il tema della poesia viene ripreso sotto forma di aforismi. A completamento dei "Canti" è una nozione poetica fondata sul farsi stesso della scrittura. E' a queste importanti motivazioni teoriche, oltre che alla prodigiosa violenza della sua immaginazione, che si deve la riscoperta di Lautréamont fatta dai surrealisti: Max Ernst in pittura, Breton nella scrittura.
 
Il surrealismo è un movimento che pratica un’arte figurativa e non astratta. La sua figurazione non è ovviamente naturalistica, anche se ha con il naturalismo un dialogo serrato. E ciò per l’ovvio motivo che vuol trasfigurare la realtà, ma non negarla.

L’approccio al surrealismo è stato diverso da artista ad artista, per le ovvie ragioni delle diversità personali di chi lo ha interpretato. Ma, in sostanza, possiamo suddividere la tecnica surrealista in due grosse categorie: quella degli accostamenti inconsuenti e quella delle deformazioni irreali.

Gli accostamenti inconsueti sono stati spiegati da Max Ernst, pittore e scultore surrealista. Egli, partendo da una frase del poeta Comte de Lautréamont: «bello come l’incontro casuale di una macchina da cucire e di un ombrello su un tavolo operatorio», spiegava che tale bellezza proveniva dall’«accoppiamento di due realtà in apparenza inconciliabili su un piano che in apparenza non è conveniente per esse».
 
Tentare una biografia di Isidore Ducasse, nato a Montevideo in Uruguay nel 1846 da genitori francesi, non è compito facile, soprattutto per le scarse notizie pervenuteci sul suo conto. Si sa che nel 1860 raggiunse la Francia dove continuò gli studi liceali, prima a Tarbes e poi a Pau. Nel 1867 si trasferì a Parigi per studiare, forse, ingegneria.

La sua prima opera pubblicata, un poema in prosa intitolato Canti di Maldoror, è data alle stampe nel 1868, firmata con lo pseudonimo, conte di Lautréamont, che aveva attinto da un romanzo di E. Sue. Anche nel titolo si evince la tendenza al camuffamento di Ducasse: per Maldoror infatti si deve intendere Mal d'aurore (Mal d'aurora). Nei Canti di Maldoror il poeta non adoperò una distinzione di genere ben netta, facendo anche uso di una prosa mista, molto probabilmente sotto l’influenza del romanzo popolare e del romanzo nero inglese.

Nel 1870 Ducasse fece uscire, sotto il suo vero nome, due fascicoli dal titolo Poesie, si tratta di composizioni che ricalcano non solo lo stile dei già citati Canti, ma pure la fantasmagoria immaginativa, l’allucinatorie visioni della realtà, che hanno avuto un forte ascendente su molta produzione poetica susseguente, francese e non, soprattutto in ambito surrealista.

Poco dopo la pubblicazione della raccolta Poesie, Isidore Ducasse morì, in circostanze rimaste tuttore misteriose.
 
Dürer, Albrecht (Norimberga 1471-1528), principale artista tedesco del periodo della Riforma, famosissimo per il repertorio di dipinti, disegni, stampe e scritti teorici sull'arte, una produzione che nel Cinquecento ebbe grande influenza soprattutto sugli artisti tedeschi e dei Paesi Bassi.

Figlio dell'orafo Albrecht il Vecchio, suo primo maestro d'arte, Dürer ricavò dalle esperienze artistiche giovanili la conoscenza dell'arte tedesca del Quattrocento, profondamente influenzata dalla pittura tardogotica fiamminga. Ma nel corso del XVI secolo, gli stretti legami con l'Italia, sviluppatisi attraverso gli scambi commerciali e la diffusione delle idee degli umanisti nell'Europa settentrionale, favorirono l'incontro tra nuove concezioni artistiche e la tradizione conservatrice dell'arte tedesca.

Dürer si propose di fornire ai contemporanei dell'Europa settentrionale un modello con il quale conciliare il loro interesse per i dettagli naturalistici con gli aspetti più teorici dell'arte italiana, rivolta all'antichità classica e caratterizzata da soggetti mitologici e figure idealizzate. Dal 1507 fino alla morte, Dürer raccolse annotazioni e realizzò disegni per il suo trattato più famoso, i Quattro libri sull'umana proporzione (pubblicati postumi nel 1528). Gli artisti contemporanei, più interessati agli aspetti figurativi che a quelli letterari, furono però maggiormente influenzati dalle incisioni e dalle xilografie che dagli scritti di Dürer.
 
Dopo gli insegnamenti impartitigli dal padre, nel 1486 Dürer cominciò l'apprendistato presso il pittore e tipografo Michael Wolgemut. Nel 1490, al termine dell'apprendistato, intraprese il suo primo viaggio. Dürer lavorò quindi a Basilea, importante centro editoriale. Nella città elvetica e poi a Strasburgo, realizzò illustrazioni per numerose opere letterarie, tra cui La nave dei folli (1494) di Sebastian Brant. La sua produzione giovanile dimostra grande padronanza della linea e un'estrema attenzione al dettaglio, come si può notare soprattutto in una serie di Autoritratti realizzati tra il 1484 e il 1493 (il primo, eseguito a punta d'argento, si trova all'Albertina, Vienna).

III. I VIAGGI IN ITALIA E LE OPERE DELLA MATURITÀ
Nel 1494, dopo aver sposato Agnes Frey a Norimberga, Dürer partì per l'Italia. Qui scoprì un mondo nuovo: il Rinascimento gli apparve subito come un movimento totale, in grado di rinnovare sia l'arte sia il pensiero contemporanei. Cercò dunque di coglierne tutti gli aspetti. Nei successivi dieci anni, a Norimberga (1495-1505), eseguì una cospicua quantità di opere che consolidarono la sua fama. Tra queste, il famoso acquerello Zolla erbosa (1503, Albertina) e le xilografie dell'Apocalisse (1498), uno dei temi più amati da Dürer, che rappresentano l'aspetto più tetro e visionario della sua opera. Queste opere mostrano una crescente maestria nella tecnica dell'incisione, la conoscenza delle proporzioni umane basata sugli scritti di Vitruvio e l'estrema abilità a inserire i più piccoli dettagli naturali in rappresentazioni verosimili della realtà. L'Autoritratto (1500, Alte Pinakothek, Monaco), nel quale raffigurò se stesso con le sembianze di Cristo, riassume la sua concezione dell'elevazione dello status dell'artista rispetto a quello del mero artigiano.
 
Donne al bagno
1496

Brema, Kunsthalle
Il disegno era quasi certamente uno studio per un’incisione, probabile pendant degli Uomini al bagno. All’interno di un modesto bagno pubblico sei donne, di età e corporature diverse, adempiono alle cure del corpo, in presenza di due vivaci bambini. Questa composizione dal tema insolito, realizzata a Norimberga di ritorno dal primo soggiorno veneziano, testimonia l’interesse di Dürer per il nudo femminile e per l’anatomia in generale. Gli studi sul corpo umano portati avanti nella bottega dei Bellini e in quella di Andrea Mantegna furono fondamentali modelli per il giovane pittore.


donne_g.jpg
 
Uomini al bagno
1496 c.
xilografia; 39,1 x 28

L’incisione rappresenta il tentativo di Dürer di sperimentare le regole apprese a Venezia in merito alla rappresentazione del nudo maschile. Poiché Jacopo de’ Barbari non gli aveva svelato il suo metodo di costruzione della figura umana, basato su uno schema di proporzioni, l’artista si servì qui delle indicazioni di Vitruvio. Nei personaggi effigiati si è creduto di riconoscere la cerchia dei parenti e degli amici del pittore, la personificazione dei quattro temperamenti, l’incarnazione dei cinque sensi: interpretazioni che naufragano di fronte al numero degli astanti (sei come le Donne al bagno).

uomini_g.jpg
 
I quattro cavalieri
1498
xilografia; 39,3 x 28,3

A un anno dal ritorno da Venezia, Dürer iniziò i quindici disegni preparatori per le xilografie dell’Apocalisse di san Giovanni, libro del quale fu egli stesso editore, che apparve nel 1498 in due versioni, una in latino e l’altra in tedesco. L’artista prese a modello alcune illustrazioni della Bibbia pubblicata da Koberger nel 1493, riducendo tuttavia il numero delle figure e dando loro dimensioni monumentali. Il linguaggio drammatico, concitato, crudamente realistico dell’artista si diffuse in breve tempo in tutti i paesi d’Europa. In questa immagine, che è la quinta della serie, egli dà corporeità alle figure umane e animali con un sistema graduale di tratteggi paralleli e con il ricorso alla profonda incisione dei contorni.


cavalieri.jpg
 
Adorazione dei magi
1504
olio su tavola; 100 x 114
Firenze, Uffizi
La tavola fu commissionata a Dürer da Federico il Saggio, principe elettore di Sassonia, per la Schlosskirche (chiesa del castello) di Wittemberg. La scena si svolge all’interno di uno spazio semplice, incorniciato e delimitato da un’architettura ad archi dalla prospettiva molto raffinata. Nel dipinto si inseriscono poi gli studi di natura, soprattutto nei particolari delle piante e degli animali in primo piano. Abilità e fantasia non comuni emergono nella resa degli abiti, della suppellettile sacra e negli atteggiamenti. Nella fisionomia del giovane re con i riccioli biondi si è voluto scorgere l’autoritratto del pittore.


adoraz_g.jpg
 
Tra il 1505 e il 1507 Dürer tornò in Italia. A Venezia conobbe Giovanni Bellini e ottenne l'importante commissione di dipingere la Festa del Rosario (1506, Galleria Nazionale, Praga), per il Fondaco dei Tedeschi. Dopo il ritorno a Norimberga nel 1507, cominciò un altro periodo di grande produttività, durante il quale compose, tra le altre opere, una pala d'altare (1508-1509, distrutta da un incendio nel 1729) per la chiesa dei domenicani di Francoforte; un'Adorazione della Trinità (1508-1511, Kunsthistorisches Museum, Vienna); ritratti e molte incisioni, che comprendono due versioni della Passione (1511), xilografie per l'Arco di Trionfo per l'imperatore Massimiliano I e una serie di bulini, tra cui Il cavaliere, la morte e il diavolo (1513), San Gerolamo nel suo studio (1514), Melancholia I (1514) e il Rinoceronte (1515).

IV. VIAGGIO NEI PAESI BASSI E ULTIME OPERE
Nel 1520, andando ad Aquisgrana per farsi confermare da Carlo V una rendita annua concessagli dal predecessore Massimiliano I, Dürer visitò le Fiandre dove incontrò altri artisti. Nel 1521 tornò a Norimberga, dove rimase fino alla morte. Come ultimo monumentale lavoro eseguì le due grandi tavole dei Quattro apostoli (1526, Alte Pinakothek, Monaco), originariamente donate alla città di Norimberga.
 
Il martirio dei diecimila
1508
olio su tavola trasferita su tela; 99 x 87
Vienna, Kunsthistorisches Museum
Subito dopo il ritorno dal secondo viaggio in Italia, tappa che segna il raggiungimento della maturità artistica, Dürer dipinge per Federico il Saggio quest’opera. La scelta del tema iconografico, decisamente originale, va spiegata con la passione collezionistica del principe per le reliquie dei martiri, anche per quelle dei diecimila uccisi dall’imperatore Adriano in Bitinia. Nella rappresentazione della violenza degli aguzzini e negli atteggiamenti delle vittime, in ginocchio, giacenti a terra, catapultati dalla rupe, Dürer dimostra di avere una profonda conoscenza del corpo umano e delle sue proporzioni, nonché delle regole prospettiche. Smagliante è la gamma cromatica dell’insieme.

martirio_g.jpg
 
San Girolamo nello studio
1514
incisione su rame; 24,7 x 18,8

Il Padre della Chiesa Girolamo, in quanto traduttore del testo biblico dall’ebraico al latino, era considerato dagli umanisti come un protettore. Dürer lo mostra nella veste di studioso, facendo così dell’immagine una sorta di allegoria della vita contemplativa. Egli dà prova di eccezionali qualità tecniche: riesce con il bulino a rendere perfettamente gli effetti della luce sulle pareti non levigate e a dare sostanza materiale ai legni, al manto dei due animali e alle superfici dei vari oggetti ammassati nella stanza. Inoltre, rappresenta in maniera impeccabile, secondo le più moderne regole prospettiche, uno spazio con diversi gradi di profondità.


girolamo_g.jpg
 
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