”Erano come dei pellerossa”, disse Luigi Ghirri alla moglie Paola quella sera, mentre scaricava con ordine i rullini dalla borsa. Paola se lo ricorda turbato e commosso, lui, fotografo anarchico cristiano che non andava mai a votare, per quel tuffo nelle folle ancora sterminate delle feste dell’Unità. Reggio Emilia, 1983: c’era Enrico Berlinguer sul palco del comizio finale e nessuno immaginava che di lì a dieci mesi non ci sarebbe stato più.
Andò prestissimo per riprendere il pratone deserto, lo sguardo di Ghirri aveva bisogno di spazio. Bandiere rosso papavero sull’erba pisello: i suoi colori. Una millecento di servizio, ovviamente rossa, parcheggiata di sghimbescio, sola, orfana.
I militanti che lentamente arrivano. Aspettano pazienti, decisi, sicuri. E poi quel piccolo uomo, perso nella sproporzione del luogo e nell’enormità del “corpo mistico” del partito convenuto in massa. Un uomo solo, in grigio, un uomo quasi senza gesti posato sulla solida roccia del palco. La bottiglia di minerale nascosta nell'angolino del podio. In queste foto “la solitudine di Berlinguer è estetica prima che etica”. Un comizio fatto di spazio, di corpi, di silenzio, di colori pastello. Dice Paola che Luigi tornò convinto che avrebbe votato, la volta successiva, per quel piccolo uomo e per quegli “indiani delle riserve” del cui imminente estinguersi questa immagine offre, senza retorica, una malinconica involontaria profezia.
-Enrico Berlinguer, visto da Luigi Ghirri, Campo Volo, Reggio Emilia 1983-