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ceck78

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Maroni diserta il vertice e fa muro “I miei già non lo possono vedere se mi blocca sulla Lombardia è finita”.


Glielo avevano detto in tutte salse, all’ultimo “federale”: «Bobo, basta incontri ad Arcore; anche per un fatto estetico, non possiamo sempre andare noi da Berlusconi». Maroni deve averne tenuto conto. E infatti al vertice tra Pdl e Lega (ieri pomeriggio, non ad Arcore ma in via Rovani, residenza milanese del Cavaliere) lui non ci è andato: bastava Calderoli.

È rimasto chiuso nel fortino di via Bellerio, Bobo: «A preparare la campagna elettorale — twitta — più agguerrito che mai». Un gesto plateale, e carico di significati. Che basta a provocare il forte risentimento del Cavaliere, già irritato dal no opposto dai leghisti alla sua candidatura a premier.

Il ruvido forfait di Maroni fa capire l’aria che tira (ormai di minaccia reciproca) nei rapporti tra i due partiti già alleati. E che adesso Berlusconi vorrebbe rimettere insieme per impedire al centrosinistra di vincere in due regioni chiave come la Lombardia e il Veneto. È questo il nocciolo del problema: prevalere anche lì, per Bersani significherebbe probabilmente assicurarsi la maggioranza al Senato, dove invece l’ex premier punta quanto meno al pareggio. Ma serve il contributo determinate della Lega.

Dunque Maroni diserta l’atteso faccia a faccia. Ci manda un luogotente, e fatica a trattenere il sorriso quando, a metà pomeriggio, lo spiega: «Il mio è un gesto di cortesia, Berlusconi ha chiesto di vederci, e io ho incaricato Calderoli di ascoltare le proposte del Pdl in vista di un possibile accordo». Che riguarda innanzitutto la Lombardia. Berlusconi non ha problemi a sostenere il “suo” ex ministro dell’Interno, e si aspetta che alle politiche il Carroccio gli restituisca il favore. Ma ci sono almeno un paio di questioni a complicare le cose. La prima è nota: «Silvio — taglia corto Matteo Salvini, segretario in Lombardia — è un signore che ha tutto il diritto di fare il leader nel suo partito; però rappresenta il vecchio, per noi sarebbe un blocco insopportabile».

Ma dall’incontro di ieri vien fuori la nuova pegiudiziale. Quando i pidiellini (ci sono anche Alfano, Verdini e Formigoni) trovano molto da ridire sul punto cardine della campagna elettorale di Maroni: trattenere in Lombardia, così come in tutte le regioni del Nord — il 75 per cento delle tasse.

Non si può, per motivi elettorali: il Pdl conta di conservare una bella fetta di voti da Roma in giù, voti che rischiano di liquefarsi se quassù il partito di Berlusconi sposasse l’idea di Maroni, sostenendolo nella sua corsa verso il Pirellone.

Lui, il segretario federale, viene subito informato da Calderoli. E da via Bellerio fa partire una freccia, destinata a mettere pesantemente in discussione l’ipotesi dell’alleanza ritrovata. «Si può trattare su tante cose, ma sui principi no; su questa proposta abbiamo raccolto migliaia di firme, non possiamo e non vogliamo cedere di un millimetro».

E ancora: «I miei sono già incazzati di fronte alla prospettiva di un’intesa con il Pdl, se adesso da quel partito arriva anche il no al punto centrale della mia campagna elettorale, le cose si complicano davvero».

Salvini va oltre: «È la componente romana e meridionale del Pdl (tra cui in primis c’è Alfano, ndr.) ad avere problemi sulla nostra proposta, che se attuata farebbe restare in Lombardia 40 miliardi l’anno; se il partito di Berlusconi non è in grado di accettarla, ognuno andrà per la propria strada».

Allarme rosso, venti di rottura. Confermati in serata da Berlusconi, che dà sfogo al risentimento accumulato in questi giorni con gli uomini del Carroccio: «L’alleanza con i leghisti non è obbligatoria, possiamo vincere anche senza di loro».

Un’altra novità è rappresentata dal nuovo corso di Alfano. Il suo tweet serale suona come conferma di ciò che altri pidiellini avanzano come sospetto: neppure il siciliano Angelino, che spesso ha giocato di sponda con Bobo, crede più tanto alla possibilità di un’intesa con la Lega.

Tra gli ottimisti c’è invece Denis Verdini: «Vedrete che alla fine chiuderemo», dice al termine dell’incontro il coordinatore del partito. Ottimista, così almeno riferiscono fonti del Pdl, pure Calderoli, che nella Lega gioca spesso, anche se non sempre, nel ruolo del conciliatore (con Berlusconi).

Era sua, dell’ex ministro alla Semplificazione, la proposta di candidare Tremonti alla premiership, e di ritagliare per il Cavaliere la figura di “capo” della coalizione.

Maroni sarebbe pure d’accordo, dal momento che proprio con l’ex ministro del Tesoro ha stretto un patto politico ed elettorale: «Giulio candidato premier e io governatore? Sarebbe ottimo».

Ma non è aria, son sempre ragioni elettorali a far scartare al Pdl l’idea di un aspirante presidente del Consiglio troppo “nordista”. Questa è l’atmosfera, dopo l’incontro di ieri: incontro ancora interlocutorio, perché alla fine si è rimandato tutto a un nuovo vertice, si spera definitivo, fissato il 4 o il 5 gennaio.

Tardissimo, se si pensa che le liste vanno presentate entro la prima decade del mese. E, in ogni caso, per la Lega l’ora della verità non scatterà prima dell’8 gennaio, quando Maroni ha fissato il consiglio federale.

Ma il discorso sulla Lombardia, almeno quello, per lui sembra chiuso.

Dopo la rissa tra Berlusconi e Albertini — ex pidiellino e ora candidato “montiano” alla presidenza del Pirellone — Bobo si sente più forte. «Fino a due settimane fa — ha confidato ai suoi — l’alternativa in Lombardia era tra me e Albertini, se il Pdl rompe con noi dovrà indicare un altro candidato presidente ». E allora sì che la sconfitta di un centrodestra diviso in tre sarebbe una certezza, nella regione più importante del Paese.
Il muro di Maroni:
 
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