ECONOMIA: EURISPES,CROLLA RISPARMIO FAMIGLIE, -40% IN 5 ANNI
Crolla il risparmio annuo delle famiglie italiane. Tra il 2001 e il 2005 - secondo una ricerca dell'Eurispes - il risparmio complessivo accantonato annualmente
dalle famiglie e' passato da 106 miliardi a 64 con una riduzione del 40%. La diminuzione in termini percentuali sul reddito e' ancora piu' evidente passando dall'8,9% del Pil del 2001 al 4,8% del 2005.
L'Eurispes sottolinea che il motivo principale che ha abbattuto la propensione delle famiglie a risparmiare e' la contrazione del reddito reale (gli aumenti dei prezzi secondo l'Istituto di ricerca non sono stati sufficientemente compensati dagli incrementi salariali), che ha costretto il ceto medio a dedicare la gran parte delle entrate ai consumi per cercare di mantenere inalterato il proprio tenore di vita. Ma la contrazione del risparmio ha avuto anche cause strettamente finanziarie come i crack della Parmalat e di Cirio e la crisi Argentina che hanno bruciato complessivamente 26,5 miliardi di euro. ''Una cifra - afferma l'Eurispes - con la quale si sarebbero potuti finanziare non uno ma cinque ponti sullo stretto di Messina''.
Ad allontanare gli italiani dal risparmio e' stato anche il crollo dei tassi di interesse (il rendimento dei Bot a tre mesi si e' dimezzato tra il 2001 e il 2005 passando dal 4,13% al 2,04%), che ha portato a una riduzione dello stock dei titoli a breve, pur con ampie oscillazioni, dai 26,8 miliardi di euro del 2001 ai 10,9 del 2005.
L'indagine sottolinea come le famiglie, sfiduciate nei confronti della Borsa (il calo dei corsi dei titoli cominciato nel 2000 ha toccato il minimo nel 2002) e poco propense a investire nei Bot (di fronte al calo dei tassi) abbiano deciso di trattenere maggiore liquidita'. Secondo l'Eurispes infatti la liquidita' e' aumentata dal 2001 al 2005 del 31,2% (da 640 miliardi di euro a 839,7). In particolare e' aumentato del 42% lo stock dei biglietti e dei depositi a vista mentre gli altri depositi hanno registrato un +16%.
L'importo dei depositi bancari ''pro capite'' e' molto diverso a seconda dell'area geografica con una media nel Nord Ovest di 9.053 euro, nel Nord Est di 8.378, di 8.543 nel Centro e di 4.848 nel Sud. In Italia in media il deposito bancario pro capite e' di 6.934 euro. L'Eurispes sottolinea come il conto corrente sia stato nella maggior parte dei casi un ''boomerang'' per l'effetto congiunto dei tassi di inflazione e dei bassi
tassi di interesse. ''Ogni anno - afferma l'Istituto di ricerca - sono stati bruciati dai 6,4 ai 9,63 miliardi di euro per un totale di oltre 38 miliardi di euro (38,2). Il calcolo riguarda i depositi a vista senza tenere conto delle spese di intrattenimento del conto. Se si calcolano anche queste infatti - avverte l'Eurispes - la perdita complessiva dei risparmiatori raggiunge nei cinque anni la cifra di 61,8 miliardi di euro''.
Infine l'Eurispes sottolinea come i costi dei servizi bancari siano cresciuti costantemente in questi anni ''aggiungendosi come un'ulteriore tassa sul gia' bistrattato risparmio''. I servizi bancari costano in media in Italia 113 euro l'anno, il prezzo piu' alto dopo la Svizzera e l'Australia.
Ecco una tabella sui risparmi delle famiglie italiane tra il 2001 e il 2005:
2001 2002 2003 2004 2005
Miliardi euro 106,1 74,2 69,0 74,0 64,0
% sul PIl 8,9 4,7 4,1 5,5 4,8
----------------
Liquidita' trattenuta dalle famiglie (biglietti e depositi)
In miliardi di euro
2001 2002 2003 2004 2005
Big. e dep a vista 373,9 392,5 440,7 492,9 530,9
Altri depositi 266,1 281,3 280,4 303,1 308,8
Totale 640,0 673,8 721,1 796,0 839,7.
Le dimensioni dei crack Cirio e Parmalat e dei
danni subiti dai risparmiatori italiani. Nel complesso la perdita secca iniziale è stata di 26,5 miliardi di euro. Se negli anni successivi ai default qualcosa è stato rimborsato ai risparmiatori, l'indennizzo complessivo può essere stimato non superiore al 25%, questo vuol dire che la perdita sarebbe "solo" di 20 miliardi, con i quali si sarebbero potuti finanziare "soltanto" quattro ponti sullo Stretto.
Allo stesso tempo, l'andamento discendente dei tassi di interesse pagati dai Buoni ordinari del Tesoro ha comportato che da rendimenti pari o superiori al
4% nel 2001 (e nel 2000 erano ancora superiori) si è scesi, nell'ultimo anno,a tassi di interesse di poco superiori alla metà (2,04% e 2,15% rispettivamente per i BOT a tre mesi e per quelli ad un anno) mentre l'inflazione tornava a mordere con aumenti dei prezzi dello stesso ordine e anche superiori.
Lo stock di titoli a breve, quasi tutti Buoni Ordinari del Tesoro, detenuto dalle famiglie si è infatti ridotto nel tempo passando dai quasi 27 miliardi del 2001 agli 11 (10,9) miliardi del 2005 con ampie oscillazioni nel percorso.
Nel 2003, in particolare, il crollo di fiducia dei risparmiatori, a causa del default dei bond argentini e della crisi Cirio e Parmalat, ha portato al minimo storico il portafoglio di obbligazioni a breve detenute dalla famiglie italiane (8,1).
Come conseguenza della mancanza di fiducia nei confronti dei titoli azionari e dei titoli a reddito fisso si accresce la preferenza per la liquidità anche presso le famiglie, che trattengono volumi crescenti di valori liquidi, sia aumentando la propria dotazione di contante sia accrescendo il volume dei depositi a vista e quelli facilmente svincolabili.
L'aumento della liquidità trattenuta dalle famiglie è stato pari al 30% (+31,2) dal 2001 al 2005. Rilevante è la crescita dello stock di biglietti e di depositi a vista (+42% in quattro anni) mentre più contenuto ma pur sempre positivo (+16%) l'andamento degli altri depositi, quelli che, non essendo incassabili a vista, offrono rendimenti maggiori.
Ma aver trattenuto quote crescenti dei propri risparmi in forma liquida si è rivelato un boomerang che si è rivoltato contro i risparmiatori a causa dell'effetto congiunto dell'inflazione e dei bassi tassi di interesse.
Mettendo a confronto, anno dopo anno, la perdita di valore dell'euro con i tassi lucrati (si fa per dire) sui depositi di conto corrente e scontando per il valore così calcolato l'ammontare dei depositi delle famiglie, si ottiene la dimensione della perdita subita dai risparmiatori.
Ogni anno sono stati bruciati dai 6,4 ai 9,63 miliardi di euro per un totale,nei cinque anni, di oltre trentotto miliardi di euro (38,2). Il calcolo riguarda solo i depositi a vista e senza tener conto delle spese di intrattenimento del conto, che, in media, assorbono completamente il tasso di interesse.
Introducendo i costi di gestione e facendo i conti con un'ipotesi non lontana dalla realtà di rendimenti vicini o pari a zero, la perdita complessiva dei risparmiatori raggiunge, nei cinque anni, la cifra stratosferica di oltre sessanta miliardi di euro (61,08). E questo tenendo conto solo dei depositi a vista, ma perdite si sono registrate anche per forme di deposito che offrono rendimenti maggiori (ma non sempre superiori all'inflazione) nonché per gli stessi Buoni del Tesoro i cui rendimenti, nel 2002 e nel 2003, sono stati inferiori alla perdita di potere d'acquisto della moneta.
Inoltre, i costi dei servizi bancari si sono accresciuti in maniera costante negli ultimi quattro anni, aggiungendosi come un'ulteriore tassa sul già bistrattato risparmio. L'Italia è uno dei paesi dove i servizi bancari sono tra i più costosi (113 euro): solo la Svizzera e l'Australia hanno banche più care delle nostre con un costo rispettivamente di 137 e 123 euro.
L'elevato costo dei servizi bancari risulta doppiamente punitivo ove si consideri che le spese che il risparmiatore deve sostenere sono pressoché simili sia che si tratti di grandi cifre che di piccoli ammontari: si tratta in definitiva di una imposizione alla rovescia, dove chi più possiede meno paga.