Mobili di ieri, di oggi e oggetti di design

MIKIMOTO

Gioielleria specializzata nelle perle, è stata fondata da Mikimoto Kokichi, il creatore delle prime perle coltivate.

Quando Kokichi introdusse le perle coltivate in Norvegia nel 1897, molti pensavano che fosse un’impossibilità biologica, ma dopo dodici anni di lavoro le sue perle erano indistinguibili da quelle che si trovano in natura.
Mikimoto è sinonimo di eccellenza, dalla selezione dei materiali più pregiati, alla lavorazione artigianale sino all’efficienza del servizio clienti.
Ogni gioiello è il risultato di assoluta dedizione, passione e cura.
Mikimoto combina eleganza senza tempo e design sofisticato e moderno.

Il pezzo più importante di questa gioielleria è la collana dell’Imperatrice.


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Philippe Starck (classe 1949). A soli 31 anni – viene definito il primo star-designer della storia.

Affacciatosi sulle scene nella Francia degli anni ’80, trascrive nei suoi oggetti anche l’esuberanza e l’irrequietezza del clima culturale di quel decennio.
Svolge anche l'attività di architetto progettando numerosi locali a Parigi, New York e a Tokyo tra cui club, caffè, ristoranti e alberghi.

Philippe Starck non aveva mai avuto niente a che fare con il mondo delle due ruote, forse è stato un passo , troppo avanti e troppo visionario rispetto alla realtà del mercato di metà anni ’90.

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APRILIA MOTÓ 6.5, 1995

Negli anni’ 90 Aprilia, la casa motociclistica italiana fondata a Noale, in provincia di Venezia, stava godendo del successo generato dai propri scooter. Proprio in questo periodo Ivano Beggio, a capo dell'azienda sin dal 1968, sogna di dar vita a un’icona eterna del design e decide di ingaggiare il francese Philippe Starck, per creare il corrispettivo della “Vespa” o “Fiat 500”.
Philippe Starck immagina una moto totalmente grigia, in cui telaio, plastiche e cavi sono dello stesso colore.
La moto non sta in strada, il baricentro è troppo basso (per colpa della monumentale marmitta sotto al motore), il telaio flette e ad alta velocità la moto ondeggia. Tutto da rifare, almeno per il capo collaudatore.
Ma Beggio non vuole sentire ragioni: il progetto di Starck non si tocca. E con qualche minima revisione la Motò viene presentata al Motor Show del 1994. “La moto deve essere bella”: quello che allora è un flop, oggi è un oggetto cult.

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«A causa di questa malattia mentale chiamata creatività, sono stato confinato dalla nascita.
Ho sempre considerato la parola “lavoro” secondo la sua vera etimologia, che significa obbligo
e sofferenza, e quindi ho considerato gli edifici e i mobili da ufficio degli strumenti di tortura.
Non vado mai nel mio ufficio. Ho sempre lavorato a casa, nella mia stanza».


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Philippe Starck è altrettanto prolifico nel campo della progettazione d’interni. Citando la biografia di Jonathan Wingfield, Starck è interessato a “creare spazi che generano emozioni potenti. Vuole assicurarsi che, entrando nei suoi edifici, ciascuno scopra quello che sta cercando, e anche di più. ‘Sono luoghi dove andare perché fuori fa freddo, perché si ha fame, perché si ha sete, per divertirsi”.




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Philippe Starck :

“in meno di vent’anni il design non esisterà più. Vivremo in spazi vuoti dove la maggior parte degli oggetti che ci circondano sparirà perché saranno integrati altrove. Il riscaldamento, l’illuminazione e la musica inseriti nelle pareti. Se devo immaginare come saremo penso a esseri nudi circondati dalle comodità necessarie. Diventeremo spiriti, pura intelligenza, e raggiungeremo uno dei nostri obiettivi, diventare Dio. Le parole chiave in questo momento per me sono Dematerializzazione e Bionismo e interessano ogni mio progetto
(la Repubblica, 13 dicembre 2019, Così parlò il profeta Philippe).

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Philippe Starck:

“L’intelligenza artificiale sarà ovunque. E sarà anche l’unico strumento in grado di ristabilizzare il mondo moderno. Il pianeta Terra è come una nave impazzita che brucia da un lato e affonda dall’altro. L’intelligenza artificiale mi sembra necessaria per salvare l’umanità sulla Terra.
Per quanto riguarda il suo impatto sul mondo del Design, di recente ho collaborato con il produttore italiano Kartell e lo specialista di software Autodesk per realizzare la prima sedia interamente progettata dall’intelligenza artificiale. Mi sono posto una domanda semplice: «Come poter supportare il corpo utilizzando il minimo di materiale ed energia?”. Per due anni e mezzo l’intelligenza artificiale ha seguito un processo di deep learning, sperimentando tentativi fino a perfezionarsi. Il risultato finale è un oggetto che sembra una semplice sedia, ma è in realtà molto complesso. L’intelligenza artificiale è riuscita a concepire una sedia molto più efficiente di quanto avrei potuto fare io da solo. Per questo sono totalmente convinto del ruolo positivo della scienza per l’uomo. In ogni opera umana c’è più bene che male, la prova sta nel fatto che siamo ancora vivi. Il progresso è un beneficio immenso e indiscutibile.”


https://forbes.it/2019/11/05/philippe-starck-entro-ventanni-il-design-scomparira/

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Ma noi siamo qui per ricordarlo!:):bow:

FRANCO SCAGLIONE nasce a Firenze il 26 settembre 1916 da padre calabrese e madre emiliana. ...un genio dell'aerodinamica che non ha avuto una vita facile. Uno dei car designer italiani più famosi di sempre. Specialista dell’aerodinamica.

Nel 1948 Franco Scaglione trova lavoro a Bologna come figurinista in una sartoria: nel tempo libero disegna auto e invia i propri lavori a tutte le più importanti carrozzerie del nostro Paese.

Tre anni più tardi trova lavoro alla Pininfarina ma dopo pochi mesi lascia in seguito alla richiesta – non soddisfatta – di poter firmare col proprio nome i progetti da lui realizzati.

Dopo una breve parentesi con Michelotti, Franco Scaglione viene assunto dalla Bertone.
Fino al 1959 realizza per l’atelier piemontese numerosi capolavori come le concept Alfa Romeo BAT, la Giulietta Sprint e la Giulietta Sprint Speciale e le NSU Sport Coupé e Spider (la prima auto di sempre dotata di un motore Wankel).

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Negli anni ’60 Scaglione si mette in proprio e uno dei suoi primi lavori – commissionato da Carlo Abarth per conto del reparto corse Porsche – riguarda alcune modifiche effettuate sulla 356 B per farla gareggiare. Le forme di questo modello ispireranno quelle di una certa 911…

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Il 1963 è l’anno in cui Franco Scaglione progetta per Lamborghini la prima auto di sempre della Casa di Sant’Agata – il prototipo della 350 GTV – ma bisogna aspettare quattro anni per vedere il suo capolavoro: l’Alfa Romeo 33 Stradale.

La crisi di Scaglione inizia in seguito all’incontro con l’imprenditore Frank Reisner, titolare dell’Intermeccanica. All’inizio degli anni ’70 l’ingegnere ungherese con passaporto canadese – dopo aver raggiunto un accordo con Franco per la realizzazione di sette sportive – scappa con tutti i soldi racimolati fino a quel momento. Compresi quelli prestati dal designer toscano.

Franco Scaglione, scosso dall’evento, smette di lavorare: rinuncia al progetto di un autobus commissionato dalla Fiat e si trasferisce in una specie di autoesilio a Suvereto, in provincia di Livorno, facendo perdere le proprie tracce. Nel 1993 scompare dopo malattia.


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toc toc :flower:, ciao Maf :)

(Sperando di non disturbare) una delle automobili più belle di sempre è stata disegnata sempre nel nostro Paese per la Lamborghini: la Diablo.




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Nel 1990, i manager avevano il sogno che quest’auto raggiungesse una velocità massima di almeno 320 km/h. Gli ingegneri trasformarono questo desiderio in realtà con un’accelerazione da 0 a 100 km/h in 4,5 secondi. Il disegno è dello storico professionista Marcello Gandini, torinese, che aveva iniziato la carriera alla Bertone.

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A Bertone erano piaciuti i miei disegni, lì si facevano le cose più azzardate ed era il posto adatto a realizzare ciò che avevo in mente”.


Splendido il modelle SE30, con la sua invitante apertura ad ali di farfalla, e la particolare cura degli interni

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“In fondo ogni meccanismo per diventare ‘macchina’ ha bisogno di una carrozzeria,
cioè di un ‘mobile’ in cui esprimersi, attraverso il quale organizzarsi per divenire
comprensibile ed entrare in rapporto con noi e il nostro paesaggio domestico” (Mario Bellini, 1987).

Citroën Kar-a-sutra, nascita di un'idea.


1972 - Al MoMa di New York (23 maggio – 11 settembre) va in scena la mostra dedicata al design italiano “Italy: the New Domestic Landscape”. Qui, fra le mura del museo, la protagonista dell'esposizione è la Kar-a-sutra dell'architetto Mario Bellini, con cui esordisce una nuova concezione di veicolo, figlia della cultura hippie che sta volgendo al termine e anticipatrice della rivoluzione culturale degli anni '80 e '90.

Tuttavia, l'allusione alla sfera sessuale del titolo è solo provocatoria. Di lì a poco quella stessa scultura sarebbe stata considerata l'antesignana della monovolume, anticipando la prima di serie del segmento: la Renault Espace del 1985.
L'opera d'arte non dispone di volante, cruscotto, pedaliera. La rivoluzione sta piuttosto nelle linee spioventi del frontale, nelle dimensioni e nelle numerose combinazioni degli interni.

Imponente, squadrata, con ampie vetrate e tinta di verde. Realizzata sul telaio della Citroën Ds Maserati, e in collaborazione con Pirelli, la carrozzeria è stata curata da un team di artigiani. Gli interni, invece, sono stati messi a punto nel Centro Cassina, ancora oggi punto di riferimento per il design d'arredamento italiano.

La Kar-a-sutra di Mario Bellini si rivolge al cittadino del mondo, ancor prima che all'automobilista, ed elogia la libertà di movimento e di espressione. Quello della vettura è uno "spazio dove sia possibile entrare, sedersi - sottolinea l'artista milanese - sedersi ancora più comodi, sdraiarsi, dormire, sorridersi, conversare guardandosi, osservare il mondo esterno, goderne il sole, alzarsi in piedi, filmare in movimento, cambiare posto, sedersi di traverso, e giocare a carte, mangiare un panino e bere su un appoggio, consultare una carta, portare bambini, giocarci, portare bagagli e cose, tante cose e meno persone”.

Abitacolo “plastico”
Anche gli interni rompono gli schemi esclamando una nuova flessibilità d'uso. Come? Attraverso un massiccio uso di cuscini 60x60x25 centimetri che, disposti secondo diverse combinazioni, “sono sedili, schienali, braccioli, a formare un insieme imbottito: dalla tradizionale doppia fila di tre poltrone ai 6 posti letto, dal divano avvolgente su tre lati a posizioni vis-a-vis o trasversali al senso di marcia”.

Per "uno spazio umano mobile, destinato a riti umani e non automobilistici”. Quarantotto anni fa Mario Bellini stava forse parlando di auto a guida autonoma?


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STRANGER THINGS: LA POLTRONCINA TUTTA DISCHI CHE BRILLA E CANGIA COME UNA CODA DI SIRENA

Boris Dennler presenta una poltroncina dai tratti amarcord, impreziosita da una trama di tondi disposti come squame di pesce

Nome: Compact Disc Chair; autore: Boris Dennler; anno di creazione: 2022; segni particolari: peso di 43 chilogrammi per una livrea composta da 887 Cd/Dvd.

In breve, sono queste le caratteristiche dell'ultima seduta immaginata dal progettista svizzero di Fribourg, una costruzione scultorea che sfrutta la geometria perfettamente rotonda del disco per realizzare una poltroncina iridescente.
Pensata per dare forma a un'idea concreta della smaterializzazione digitale, infatti, trasforma il classico Cd-rom in un elemento strutturale e decorativo, una placca dai contorni esatti che nella ripetizione risplende in uno sgargiante arcobaleno di colori.


"Ricorrere all'uso di vecchi CD è venuto spontaneo, perché fin dai miei esordi, nel 2004, il mio lavoro è sempre stato incentrato sul riciclo", spiega Dennler, specializzato nel riutilizzo creativo. "Mi ci è voluto molto tempo per trovare il giusto modo per sfruttare questo materiale, per sperimentarne le deformazioni e trovare la temperatura e gli strumenti giusti. Anche capire e gestire i diversi tipi di disco, per poter finalmente vedere applicata questa ricerca a un progetto artistico. La seduta, un oggetto altamente simbolico, è apparsa naturalmente come un'ovvietà". A rendere originale il pezzo, quindi, la rielaborazione della classica sagoma della sedia, impreziosita da una trama di tondi, disposti come squame di pesce, che evoca una cotta di maglia multicolore.


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La moto Harley Davidson EL

Spesso soprannominata “la madre della motocicletta moderna”, l’Harley-Davidson EL totalmente rinnovata in quanto a motore, trasmissione e telaio, è stata da molti punti di vista il prototipo di tutte le Harley-Davidson successive.

All’apice della Depressione del 1931, l’azienda americana decise di stimolare il mercato mettendo a punto una moto innovativa.

Quando, cinque anni più tardi, uscì il modello EL, tale decisione si rivelò la migliore che l’azienda avesse mai preso, e Harley-Davidson divenne di fatto il produttore di motociclette leader del mercato statunitense.

Mentre la sua concorrente principale dell’epoca, l’Indian Motor Company, continuava a utilizzare i vecchi motori a valvole laterali, l’Harley-Davidson diede alla sua EL un più moderno motore a valvole anteriori che, nel lungo periodo, sarebbe diventato uno standard.

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II modello EL fu caratterizzato da decisi cambiamenti stilistici e da un look assolutamente unico: il coperchio del castello dei bilancieri assomigliava alle nocche di un pugno chiuso, da cui il soprannome della moto, Knucklehead.

In linea con la reputazione dell’Harley-Davidson per le innovazioni, la EL fu lanciata sui mercato con poca pubblicità e senza clamori.

La nuova moto era una sorta di prototipo e nei primi anni di vita subì molte altre modifiche.

Oltre che per le valvole, si distingueva dagli altri modelli Harley-Davidson per varie caratteristiche: un serbatoio a forma di U collocato intorno alla batteria, così che l’olio non fosse più all’interno del serbatoio del carburante.

Una forcella frontale tubolare più robusta, invece del precedente modello a trave, un serbatoio del carburante rotondo, liscio è dotato di un tachimetro indicatore della pressione dell’olio, un interruttore d’accensione e amperometro, un miglior sistema di circolazione dell’olio, invece di quello completamente dispersivo del modelli precedenti.

Costruita dal 1936 al 1940 con un motore bicilindrico a V da 1.000 cc che avrebbero dovuto corrispondere a 40 hp, la moto EL abbinava il peso leggero delle moto più piccole a una potenza in grado di competere con quelle da 1.200 cc.

L’esito di questi sbalorditivi progressi tecnici e ingegneristici si potè apprezzare quando Joe Petrali guidò una EL battendo a Daytona il record dei 219 chilometri orari prima, quello dei 294,5 in seguito, e quando Fred Ham percorse 2.937 chilometri in 24 ore.


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La Harley-Davidson Street Glide scintillante di Rohan Izawa Art Design

È l'ultima opera dell'artista giapponese Takahiko Izawa esposta al Tokyo Auto Salon 2022


Il tuner giapponese Takahiko Izawa ha svelato al Tokyo Auto Salon 2022 la sua ultima creazione, una Harley-Davidson Street Glide Flhx completamente scintillante. L'intera moto, fino ai mozzi delle ruote, è impreziosita da puntinature argentate, un particolare effetto decorativo, e motivi floreali. L'artista della prefettura di Nara e il suo team sono molto noti nel mondo della personalizzazione e sono tra i massimi esponenti della cultura custom del Sol Levante.

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La Rohan Izawa Art Design è un'azienda di vernici professionali guidata dal "pittore" Takahiko Izawa e nota per le tecniche di pittura superiori e uniche, nonché per la creazioni di tinte speciali, come la celebre "Metal Paint" e per le sofisticate tecniche di incisione metallica praticate direttamente sulla carrozzeria di auto e moto. Un'arte che deriva da una sapienza antica ereditata e custodita da ogni artigiano di Rohan.


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HARLEY-DAVIDSON STREET GLIDE

Produzione dal 2005

Stessa famiglia:
Electra Glide, Road King, Road Glide

Modelli simili:
BMW R 1200 C
Honda Goldwing
Kawasaki VN 1700
Moto Guzzi California
Suzuki Intruder
Triumph Rocket III
Yamaha XVS 1300 Royal Star

Presentata nell’autunno del 2005, da un'idea di Willy G. Davidson ed evoluta nel tempo nella cilindrata, dal Twin Cam 88 da 1.450 cc fino al Milwaukee Eight 117 da 1.923 cc della più recente Street Glide Cvo, la bagger custom americana è disponibile nel 2022 per il mercato italiano in versione Special.

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La Street Glide fa parte della famiglia delle “Touring”, cioè le motociclette Harley Davidson più grosse e turistiche con borse laterali, sospensioni regolabili e protezioni aerodinamiche, che si differenziano appunto per il carattere prettamente turistico, sia come capacità di carico che di comodità. Street Glide scaturisce appunto dall'esigenza di creare una bagger hot-rod senza rinunciare alle caratteristiche peculiari di comodità e grandezza di una touring.
La Harley-Davidson Street Glide Special è equipaggiata con il motore Milwaukee-Eight 114 dalla mastodontica cilindrata di 1.868 cc capace di sprigionare 93 Cv a 5.250 giri e una coppia massima di 158 Nm a 3.250 giri. Prezzi a partire da 30.900 euro.

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Una curiosità: nelle ultime due stagioni della serie televisiva Sons of Anarchy, il personaggio principale Jackson "Jax" Teller, interpretato dall’attore Charlie Hunnam, guida solitamente una Street Glide nera, ma con motore 103, "abbinandola" ad un Dyna Super Glide Sport custom del 2003.


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Willie G. Davidson: “Harley-Davidson é sinonimo di arte”

Per i grandi appassionati della casa di Milwaukee il mitico Willie G. Davidson non ha bisogno di presentazioni, ma ricordiamo brevemente che ‘Willie G’ é uno dei personaggi chiave della storia di questo marchio: tra i responsabili dell’inconfondibile design delle moto di Milwaukee sin dal 1963, nel 1981 si mise a capo di una cordata di imprenditori per rilevare il marchio – ormai sull’orlo della bancarotta – dal gruppo AMF, salvandolo dal fallimento e poi rilanciandolo fino ai fasti dei giorni nostri.

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Arte ed Harley-Davidson sono sempre andate a braccetto e nel corso degli anni sia le motociclette che il mondo dell’arte hanno rappresentato una grossa parte della mia vita. Sin da piccolo mi piaceva disegnare, e disegnavo sempre moto custom. Quindi, una volta cresciuto, mi cercai una scuola che potesse insegnarmi ad usare questo mio talento, trovandola nell’ Art Center College of Design di Los Angeles, da dove sono usciti nel corso degli anni diversi grossi nomi del design automobilistico. Una volta laureato passai un pò di tempo nell’industria automobilistica, prima di entrare in Harley-Davidson nel 1963. Posso quindi affermare di aver passato diversi anni nel mondo del design, e il mio pensiero é che Harley-Davidson é sinonimo di arte.”



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Nella foto sopra del 1989, Willie G. è "in tenuta da lavoro" come ambasciatore del marchio H-D in uno delle centinaia di raduni Harley organizzati negli Stati Uniti.
Il piccoletto a bordo con lui è il figlio Bill, ora vicepresidente del Museo Harley-Davidson



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La storia delle moto delle Forze della Polizia italiana inizia negli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale,
durante i quali la Stradale era dotata principalmente di moto come le DKW e Harley Davidson.
Data le condizioni poco favorevoli e il loro usuale utilizzo decisamente differente, queste sono state adattate affinché possano
svolgere il servizio soprattutto su strade statali e provinciali.


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La storia delle moto della Polizia italiana segue di pari passo l’evoluzione economica del paese.
Con la ripresa dell’industria italiana, la Polizia Stradale sostituisce i mezzi di cui era in dotazione
con moto di fabbricazione italiana, soprattutto Moto Guzzi, Gilera e Ducati.
In quel periodo, essi
avevano prevalentemente una colorazione rosso amaranto.


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Le moto della Polizia Italiana

In corrispondenza del periodo del boom economico, invece, inizia il dominio della Moto Guzzi, con i modelli 500S e 500GT. Il colore rosso amaranto viene sostituito dal grigioverde, che rimarrà fino alla fine degli anni Sessanta.

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Dagli anni Sessanta ad oggi
Nel 1967 Moto Guzzi consegna due nuovi modelli: il Falcone e la nuova GT.
Nel frattempo, l’evoluzione tecnologica avanza a grandi passi, al punto tale che solo due anni dopo, nel 1969, la casa di Mandello al Lario presenta le famose V7: dopo i primi esemplari di colore grigioverde, nel 1971, in concomitanza con la riforma della Polizia, subentra il bianco-azzurro.

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Infine, tra la fine degli anni Settanta e la fine del secolo si assiste a un rapido susseguirsi di cambiamenti: nel 1977 le nuove Guzzi 850 T3 rimpiazzano le V7; nel 1985 le 850T5 raccolgono il testimone, a loro volta passato alle 850XPA nel 1994.

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Ai giorni nostri, compaiono i primi modelli stranieri, tra i quali le BMW R850 RT.


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MOTO GUZZI

Il 15 marzo 1921 il cavaliere Emanuele Vittorio Parodi, suo figlio Giorgio e l'amico di quest'ultimo Carlo Guzzi fondarono a Genova la "Società Anonima Moto Guzzi", con sede legale nel capoluogo ligure e sede produttiva a Mandello Tonzanico (poi divenuto Mandello del Lario).

Sin da subito, i due amici scelsero un’aquila con ali spiegate come logo della loro azienda. La scelta di questo animale è stata indotta dall’affetto che i due nutrivano per un loro amico aviatore, Giovanni Rodelli, deceduto durante un volo di collaudo nel 1919.
Il primo modello di moto fu la Normale, prodotta nello stesso anno.


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Il 1939, appena prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, Moto Guzzi presenta l'Airone 250, una moto di notevole successo tanto da raggiungere i 29.926 esemplari costruiti. Con la guerra la produzione è quasi totalmente rivolta al mercato militare fornendo diversi modelli al Regio Esercito, come l'Alce, il Trialce e l'Airone militare.

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Nel 1964, muore Carlo Guzzi. La sua morte causò l’ingresso in un’epoca particolarmente negativa, dovuta anche alla difficoltà che stava colpendo il settore delle motociclette.

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In quegli anni si assiste alla diffusione delle automobili che intaccava notevolmente la vendita delle motociclette.
Nel 1967, la crisi si acutizza ancora di più e la società viene venduta alla SEIMM (Società Esercizio Industrie Moto Meccaniche), controllata dalle banche creditrici. Nel 1973 la società vede un altro passaggio e viene accorpata alla marchigiana Benelli fino al 1988 quando viene fusa con la ditta F.lli Benelli, creando la Guzzi-Benelli Moto. La Moto Guzzi, nonostante un apparente assestamento, è destinata a un nuovo cambio. Nel 2000, la Aprilia acquisisce la società fino al 2004, quando la crisi si fa sentire anche per la nuova casa madre. La moto Guzzi viene quindi venduta di nuovo e acquisita, insieme al gruppo Aprilia, dalla Piaggio.


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Star a due ruote

Negli ultimi 15 anni abbiamo assistito a numerose pellicole con protagonista, oltre agli attori, le due ruote. Alcune futuristiche, altre assolutamente di serie, tutte le moto dei film hanno però una caratteristica in comune: fare cose quasi impossibili.
Merito degli stunt che le guidano ma anche di tanta computer grafica.

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Mission Impossible 2 (2000) – La scena in cui la Triumph Speed Triple con gomme over size guidata da Ethan Hunt (Tom Cruise) “sfida” a colpi di trick la Daytona 955 del “cattivone di turno” è passata agli annali per la sua spettacolarità (un po' meno per la sua verosimiglianza).


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Matrix Reloaded (2003)

Trinity, di pelle vestita, a cavallo di uno dei sogni made in Borgo Panigale più riusciti di sempre, la Ducati 996.

Una Ducati sfreccia a tutta velocità, facendo lo slalom tra auto e più di qualche pallottola. La moto è di colore verde, e la scena in questione è una delle più celebri sequenze che il cinema hollywoodiano ci abbia regalato negli ultimi vent’anni: parliamo del celebre inseguimento presente in Matrix Reloaded, la folle corsa che vede Trinity (fuori dal grande schermo l’attrice Carrie Ann Moss) spremere a fondo la bicilindrica di Borgo Panigale. Poco dopo l’uscita del film, per celebrare l’adrenalinica “comparsata” nel secondo capitolo della saga, la casa bolognese lanciò sul mercato una versione speciale della Tamburini, prodotta nel 2004 in una serie limitata di soli 250 esemplari.


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Estetica dell’ingegneria

“Se il design delle superbike Ducati è da sempre estremamente tech-driven, il progetto Superleggera V4 ne fa una summa stilistica."

Andrea Ferraresi, responsabile del design di Ducati. Ducati Head of Design:

"Ducati è l’unica casa motociclistica ad aver vinto il Red Dot Award e il prestigioso compasso d’oro.
Siamo maniaci del design, per questo progettare una Ducati non è come disegnare una qualsiasi altra moto.
Ci sono tratti essenziali che appartengono solo a noi. Progetti come Monster, 916, Diavel e Panigale sono pietre miliari nella storia del design per la loro categoria.
La filosofia di Ducati si costruisce per sottrazione, riconoscendo lo stile più puro nella ricerca approfondita di forme essenziali. Anche l’estetica del colore si basa sul rispetto della natura degli elementi. E nella Superleggera V4 è possibile distinguere con il Rosso Ducati il colore originale dei materiali preziosi che lo compongono: i diversi tipi di carbonio, titanio e alluminio.
Il lavoro del team di design si è sviluppato soprattutto nel far parlare le forme e i materiali. Abbiamo lavorato per creare una danza di linee e profondità tra il rosso Ducati e il carbonio a vista. Superleggera V4 è un progetto sul quale, più che mai, è stato indispensabile valorizzare la bellezza della tecnica. Il nostro lavoro è dunque stato orientato a lasciar parlare l’estetica dell’efficienza funzionale.”



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Kill Bill (2003) – Uma Thurman, in Kill Bill, raggiunge vette di sensualità (e spietatezza) assolute.
Merito non solo della sua spada forgiata da Hattori Hanzo e della sua tutina gialla, ma anche di
una piccola Kawasaki ZZR 250, ovviamente in tinta.

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Beatrix Kiddo (Uma Thurman), dopo aver regolato i conti con la prima delle sue acerrime nemiche,
vola a Tokio per vendicarsi anche di O-Ren Ishii (Lucy Liu) e Sofie Fatale (Julie Dreyfuss): la vediamo
sgasare per le strade della metropoli nipponica in sella a una Kawa ZZR250 tutta gialla, con tanto
di tuta (omaggio al defunto Bruce Lee), scarpe e casco in tinta, senza dimenticare l’indispensabile
katana al fianco. Che stile!


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