ROMA -
«Se penso a quello che c'è ancora da fare e come andrebbe fatto sono io che mi sento progressista». Tre giorni fa Mario Monti ha fatto questo ragionamento. Nelle sale del convento che ha ospitato la riunione con gli esponenti politici che sposano il suo progetto una battuta del Professore ha stupito tutti tanto da essere ricordata.
«Io mi sento progressista»: dunque non sono né voglio essere riconosciuto come moderato, o centrista, o il catalizzatore di un progetto di ricostruzione della Dc. Una battuta che però interseca e rilancia le ragioni per cui ha scelto, in sostanza, di candidarsi alla guida del Paese. Monti parte da un assunto:
sono talmente tante le cose che restano da fare per traghettare l'Italia verso standard di modernità, è talmente ampia la fetta di spesa pubblica che si può ancora tagliare (centinaia di miliardi di euro), il numero di riforme da implementare e introdurre ancora, che occorre proseguire con un metodo di governo nuovo; di cui sente artefice in qualche modo unico.
Il presidente del Consiglio era a Venezia, in visita privata. Ha fatto delle foto con alcuni turisti, passeggiato con la famiglia, tenuto per mano i nipotini, ostentato un minimo di difficoltà nel contatto umano: la gente si avvicina, gli chiede uno scatto, lui lo concede, ma dopo aver avanzato, con un sorriso, questa richiesta: «Solo se mi assicura che ha la fedina penale pulita».
Fra una foto e l'altra non ha trovato il tempo di rispondere a Bersani, né in modo ufficiale né ufficioso, attraverso il suo ufficio stampa. Eppure, sempre nelle stanze del convento del Gianicolo, scavando con gli ospiti presenti, si rintraccia almeno un altro giudizio, che può valere come un replica:
se in Italia si possono ancora tagliare centinaia di miliardi di euro di spesa pubblica, solo per fare un esempio, se «un'operazione radicale di cambiamento dello Stato» è indifferibile, allora «io mi sento alternativo alla sinistra».

In sintesi, prosecuzione del ragionamento: non solo
«io mi sento progressista», ma soprattutto
«loro mi appaiono come conservatori».
Le battute possono raccontare più di quel che sembra e in questo caso davanti ai suoi interlocutori Monti ha in qualche modo fissato un perimetro di azione politica: lo ha detto del resto anche nella recente conferenza stampa sulle liste, due giorni fa, in Senato.
«Io voglio rompere gli schemi,
voglio riforme che siano contro una forma arcaica di sindacalismo,
contro forme di lobby e corporazioni» che in qualche modo ingessano il Paese.
È un modo di pensare che in fondo proviene dall'esperienza europea: il dossier sul Mercato Unico che l'ex commissario europeo ha consegnato qualche anno fa al presidente della Commissione europea Barroso, per esempio, è rimasto in sede comunitaria
come traccia di riforme possibili, innovative, in qualche modo rivoluzionarie; difficili o lente da realizzare, certamente molto profonde nel numero di interessi, anche corporativi, che toccherebbero.
In Italia l'ambizione è quella di replicare quel modello, o quantomeno di concorrere a tenerlo in vita:
nello staff di Monti nessuno fa mistero dei dubbi del Professore sulla capacità innovatrice del Pd di Bersani;
«non ci sembra che siano stati sottoscritti, nel loro programma, grandi impegni di rigore», si ascolta per esempio in queste ore. Ma non sono riflessioni che introducono una dialettica di scontro:
Monti si sentirà alternativo, diverso, ma è consapevole che con Bersani dovrà realizzarsi una forma di dialogo costruttivo; o almeno è questo che spera, dichiarandosi d'accordo con le parole pronunciate qualche giorno fa da Enrico Letta, che nel rapporto fra il suo partito e il progetto del Professore vede una relazione di sana concorrenza.
Il 12 gennaio, per esempio, Bersani e Monti potrebbero trovarsi fianco a fianco ad Orvieto, ad un convegno organizzato dai liberal del Pd, come Enrico Morando.
Di certo quello di ieri, da parte di Bersani, è stato un attacco: quell'invito a distinguere i ruoli istituzionale e politico, a chiarire il perimetro europeo della lista Monti. Eppure il capo del governo dimissionario ha scelto di non replicare: a tempo debito darà delle risposte, ma non vuole alimentare l'immagine di un conflitto, tantomeno mediatico, né con il segretario del Pd né con il Cavaliere.
«Ridicola», per usare un solo aggettivo, è invece la risposta che si rintraccia alle accuse di Berlusconi: l'idea di essere artefice o pedina protagonista di un complotto internazionale a danno dell'ex premier incontra commenti liquidatori e poco altro.
Del resto ci sono mille altre cose da fare: molti degli uomini dello staff del presidente hanno in questi giorni accettato una migrazione negli uffici di Italia Futura, nel quartiere Prati.
È in corso una sorta di integrazione fra team ed esperienze diverse, che in queste ore sta cercando di modulare in modo definitivo l'agenda della campagna elettorale del presidente del Consiglio.
Oggi potrebbero essere definiti i loghi e i simboli delle liste che si richiameranno a Monti, che ieri era certamente in contatto con gli uffici di via Properzio. Una decisione sembra profilarsi, dando credito a una voce: alla Camera, nella lista del Professore, non vi sarà alcun politico. Si punterà tutto sulla società civile, mentre per la lista del Senato una regola di riferimento potrebbe essere il limite dei tre mandati parlamentari.