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Gaudì incanta Roma


Da oggi fino a fine febbraio al Chiostro del Bramante circa 120 opere del grande maestro spagnolo mai uscite dal Paese.


Il genio di Antoni Gaudì sbarca a Roma. Alcuni suoi lavori e la feconda cultura del suo tempo sono in mostra dal 20 novembre al Chiostro del Bramante.

Gaudì e il Modernismo catalano, offre oltre 120 opere tra arredi, dipinti, sculture, disegni, manifesti, ceramiche, gioielli, fino ad oggi mai uscite dalla Spagna. La mostra si inserisce nel progetto avviato anni fa dal Chiostro del Bramante, con la rassegna Il Liberty in Italia, dedicato alla valorizzazione di complessi movimenti artistici, non solo pittorici, che dopo quella su Gaudì vedrà, in primavera, un'esposizione incentrata sul Decò.

L'obiettivo quindi oltrepassa il singolo artista, in questo caso il grande architetto catalano capace di influenzare con la straordinaria e introversa personalità intere generazioni di artisti, dai surrealisti ai decostruttivisti, per arrivare a cogliere il vasto respiro di un'epoca ricostruito attraverso opere e suggestioni.

Nella Barcellona di fine '800, che ricostruisce i suoi quartieri e monumenti sotto lo slogan cap i casal (la capitale di tutti i catalani), protagonista un ceto medio che non si ferma di fronte a grandi sacrifici, l'idea di modernità è insieme cosmopolita e autoctona. Così gli architetti, partendo da modelli storicisti ricreano il gotico, non indenne comunque da molti elementi provenienti da altre culture. In questo contesto si inserisce l'opera di Antoni Gaudì, anche lui catturato agli inizi della sua attività da influenze esotica, come nella casa del carrer de les Carolines (1883-1885), per orientarsi poi verso nuove ricerche di tecniche costruttive approdando agli stilemi gotici che però oltrepassa con ardite soluzioni.

Al Chiostro del Bramante saranno esposti quasi tutti gli esempi 'mobili' che realizzò per le case e i palazzi più famosi (Casa Vicenc, Casa Calvet, Casa Milà), sedie, cancelli in ferro battuto, tavoli, poltrone. Ma ci saranno anche il grande modello in gesso del primo progetto (1910) della facciata della Sagrada Familia e diversi oggetti in ferro battuto.
 
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Ci sono alcuni personaggi che riescono ad ignorare le leggi della storia e a sovvertire i loro postulati. Per Antoni Gaudì, così come per il suo alter-ego viennese Hundertwasser, il detto secondo il quale nessuno è profeta in patria non sembra avere nessun significato, dato che la sua vita artistica e privata è legata indissolubilmente alla città di Barcellona, della quale è uno dei figli più illustri e amati.

Nato un secolo e mezzo fa, ebbe la fortuna di vivere il periodo più fulgido della storia moderna della città, durante gli anni nei quali il governo cittadino mise in opera il grande progetto di rinnovamento urbanistico conosciuto come Eixampla. Un periodo paragonabile soltanto alla gloria raggiunta nel Medio Evo, quando la municipalità controllava il bacino occidentale del Mediterraneo. E proprio da quell'epoca il Maestro trasse ispirazione per alcune delle sue grandi realizzazioni.

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Un itinerario di grande fascino ci porta alla ricerca delle testimonianze del genio di Gaudì, che si è espresso nella realizzazione di grandi palazzi delle famiglie nobiliari, in particolare per la famiglia Guell alla quale fu molto legato fin dai suoi esordi.


Il nostro giro inizia da Plaça Reial, alle spalle delle Ramblas: qui si possono ammirare i lampioni in pietra e ghisa che il giovane Gaudì realizzò nel 1878, dopo aver vinto il concorso indetto per l'arredo urbano della piazza dal Comune, che profuse in quegli anni grandi risorse per la città. Antoni approfittò della situazione e assieme ad altri architetti, il principale dei quali fu Domenech, si inserì nella corrente modernista che si andava affermando in tutta Europa.


Percorrendo la Rambla de les flors e voltando a sinistra in Plaça del Teatre ci si trova davanti Palazzo Guell, residenza del grande magnate Eusebi Guell. Si può visitare per ammirare lo spettacolare interno dove in uno spazio ristretto convivono gli stili più disparati, dal gotico all'egizio, dall'arabo al rococò, con il salone principale che si eleva in altezza fino al terzo piano dell'edificio ed è sormontato da una doppia cupola. Come in tutte le dimore private da lui progettate, Gaudì curò personalmente anche l'arredamento interno, dai quadri appesi alle pareti alle sedie, fino alla serie di camini che ornano il tetto, tutti diversi tra loro e realizzati con i materiali più disparati.

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L'itinerario può poi deviare verso i grandi viali ottocenteschi dove si possono ammirare la Casa Vicens su Carrer de les Carolines: suggestioni arabeggianti sembrano dominare la scena insieme alla decorazione esterna costituita da pietre, mattoni e ceramiche decorate.

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Commissionata nel 1883 da un fabbricante di Ceramiche casa Vicens formula l’essenza dello stile di Gaudì che pur gotico è islamico e mediterraneo. Il gotico era per Gaudì uno stile sublime, ma incompleto. Il suo compito quindi non fu quello di copiarlo, ma di continuarlo. Infatti l’architetto era alla ricerca di un gotico innovativo, pieno di luce collegato strutturalmente alle cattedrali Catalane che facesse uso dei colori (come i Mori e i Greci) metà marittimo e metà continentale.

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Casa Vicens, costruzione più esuberante e esotica di ogni cosa contemporanea in realtà all’interno racchiuse il primo esperimento di Gaudì sull’uso della volta catalana o russillon in cui ottenne forme ad arco sostenendo su mensole strati sovrapposti di mattoni. La volta ricorrerà più volte nell’architettura gaudiana fino a raggiungere la forma più delicata e perfezionata nella Scuola della Sagrada Familia.


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la casa, costruita intorno ad una serra, in blocchi di pietra irregolare, risente molto dell’influenza dello stile Moresco soprattutto nelle decorazioni: gli infiniti azulejos (piastrelline del rivestimento decorativo), le inferiate a forma di palme e il fumoir islamizzante richiamano chiaramente questo stile.
Interessanti anche da notare le inferiate a motivo floreale che proteggono le finestre, le quali intramezzate da sinuosi elementi in ferro battuto sembrano strizzare l’occhio ad un art-Noveau di futura espansione negli anni ’90.
 
E poi Casa Calvet, che rappresenta la sua realizzazione più marcatamente segnata dall'influenza modernista con influenze barocche.

Eretta tra il 1889 e il 1900, fu eletto miglior palazzo dal Comune di Barcellona nell’anno 1900.
Di ispirazione Barocca la casa, ma soprattutto la facciata fu concepita con un prospetto settecentesco, mentre la facciata retrostante appare più razionale e basata sulla semplicità e sulla praticità.

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L’interno presenta un grande e vasto atrio dove ogni mobile e ogni elemento è concepito come scultura: qui Gaudì’ fa i primi esperimenti sull’uso delle aggregazioni di ossa, articolazioni, fossili come elementi di decorazione che poi riprenderà ampiamente in Casa Battlò 4 anni dopo.

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Sul grande Passeig de Gracia si affacciano Casa Battlò, conosciuta come la casa delle ossa per via della sua facciata con i balconi che sembrano scheletri animali, e Casa Milà, da tutti chiamata la Pedrera a causa della sua facciata in pietra apparentemente grezza. In realtà racchiude un interno complesso con due cortili, uno circolare e l'altro ovale, dai quali si dipartono rampe di scale che conducono ad ambienti alveolari, come in un gigantesco alveare.

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Josep Battlò ricco commerciante di stoffe, voleva rimodernare la sua dimora tanto che chiese al comune il permesso di abbatterla e di costruirne una nuova. La concessione però non gli venne data, così Gaudì incaricato della ristrutturazione si trovò a lavorare su un edificio del 1887 edificato su un lotto stretto e lungo e su una pianta rettangolare.
Nonostante queste limitazioni Gaudì raccolse con entusiasmo la sfida di realizzare un edificio completamente diverso dal precedente ottenendo davvero un effetto sorprendente.

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Particolare attenzione la si deve porre sulle decorazioni che ricoprono la facciata leggermente ondulata dove mancano spigoli e linee rette.

Rivestita di un mosaico di una pasta vitrea la quale è sua volta ornato da dischi multicolori di diverso spessore e diametro (però dello stesso materiale di fondo) da, con l’incidenza della luce solare un particolarissimo effetto di luminosità e brillantezza.

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La parte bassa della facciata invece riprende i già citati “motivi ossei” di Casa Calvet che in questo caso, a differenza dell’esperimento precedente, invadono tutta la struttura facendo sembrare l’edificio un grande e enorme fossile. Lo scheletro esposto, le ossa unite da cartilagine di pietra, balconi con un profilo di teschio, richiamano anche il motivo del tetto che assume le sembianze del dorso squamoso di un antico rettile primordiale. Il tutto culmina con una torretta che in cima porta il segno distintivo di Gaudì: la croce a quattro bracci smaltati inserita in tutte le sue opere fin dalla realizzazione del collegio delle Teresiane.
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L’interno. L’appartamento a cui Gaudì dedica particolare attenzione non ha più la tradizionale divisione in singole stanze, ma gli interni si fondono l’uno nell’altro… come nell’esterno sono assenti linee rette o spigoli e il tutto sembra quasi la “struttura di una cellula organica”

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Verso la periferia della città si trova una delle realizzazioni più scenografiche e insieme complesse di Gaudì : il Park Guell. È qui che trova realizzazione una delle idee ricorrenti più ossessive del Mestro: il ritorno all'origine. Tutte le costruzioni del parco sembrano uscire dal terreno in seguito ad un fenomeno di sconvolgimento naturale, che l'artista definì evidenza tellurica, come se un terremoto avesse provocato una sollevazione del terreno e creato dal nulla le costruzioni presenti.

Il consiglio è di lasciare per ultima la visita alla Sagrada Familia, l'incompiuta cattedrale che porta dentro sé tanti segreti e misteri, con le sue facciate così differenti l'una dall'altra e piena di simbologie apparentemente incomprensibili. Un'esperienza fantastica, ma sconsigliata a chi soffre di vertigini, è la salita su una delle torri da dove si può vedere completamente l'interno del cantiere, del quale bisogna dire che lo stesso Gaudì aveva previsto la "necessaria" incompiutezza in quanto progettato come tempio espiatorio che trova la sua ragion d'essere nel tendere al riscatto della colpa più che nell'ottenerlo.

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Petrarca, riportati alla luce i resti


Specialisti in palentologia tenteranno di ricostruire il volto e il corpo del poeta sepolto nel 1380. L'ispezione ha rivelato che le ossa sono fragili ma integre.


ARQUA' (PADOVA) - I resti del poeta Francesco Petrarca sono tornati alla luce. Il pesante coperchio dell'arca sepolcrale nel piazzale accanto al Duomo è stato sollevato da una gru rivelando le osse del poeta sepolto ad Arquà (oggi Arquà Petrarca) dal 1380, sei anni dopo la morte. Responsabile dell' attuale ricognizione è il prof. Vito Terribile Wiel Marin, uno dei maggiori specialisti al mondo di paleontologia.

I resti del poeta erano stati traslati per l'ultima volta nel 1943 quando vennero nascoste, per il pericolo di bombardamenti, nei sotterranei del Palazzo Ducale. Poi tornarono ad Arquà a guerra conclusa. La cassa, costruita nel 1946, è sfondata e il legno appare marcito. "Le ossa sono fragili ma integre - ha spiegato il prof. Terribile - Sono un femore, un osso iliaco, una rotula e un perone. Il braccio destro non si vede in quanto sappiamo che è stato rubato nel 1630". A rubarlo fu un frate che per questo venne condannato all'esilio perpetuo da Venezia.

La parte superiore del corpo appare sproporzionatamente corta perché manca la testa, ridotta in frammenti nella ricognizione del secolo scorso. Lo scopo della ricerca, sponsorizzata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, è verificare lo stato di conservazione delle ossa e ridare un volto al poeta. "Dovremo - conclude Terribile - da domani ricominciare a lavorare da qui quando non ci sarà più tanta gente come oggi, prelevando uno per uno ogni singolo resto".
 
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Era ’l giorno ch’al sol si scoloraro

Era ’l giorno ch’al sol si scoloraro
per la pietà del suo Fattore i rai,
quando i’ fui preso, e non me ne guardai,
che i be’ vostr’occhi, Donna, mi legaro.

Tempo non mi parea da far riparo
contr’a’ colpi d’Amor; però n’andai
secur, senza sospetto: onde i mei guai
nel comune dolor s’incominciaro.

Trovommi Amor del tutto disarmato,
ed aperta la via per gli occhi al core,
che di lacrime son fatti uscio e varco.

Però, al mio parer, non li fu onore
ferir me di saetta in quello stato,
ed a voi armata non mostrar pur l’arco.
 
Quando fra l’altre donne ad ora ad ora



Quando fra l’altre donne ad ora ad ora
Amor vien nel bel viso di costei,
quanto ciascuna è men bella di lei
tanto cresce ’l desio che m’innamora.


I’ benedico il loco e ’l tempo e l’ora
che sì alto miraron gli occhi mei,
e dico: - Anima, assai ringraziar dêi,
che fosti a tanto onor degnata allora:

da lei ti vèn l’amoroso pensero,
che, mentre ’l segui, al sommo ben t’invia,
poco prezando quel ch’ogni uom desia;


da lei vien l’animosa leggiadria
ch’al ciel ti scorge per destro sentero;
sì ch’i’ vo già de la speranza altèro. -
 
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Nacque ad Arezzo nel 1304 da Ser Petracco, un notaio fiorentino che faceva parte del gruppo dei Bianchi, esiliato come Dante nel 1302 in seguito alla vittoria dei Neri, e da Eletta Canigiani.

Nel 1312 il padre si trasferì ad Avignone (lavorava presso la corte Pontificia) e collocò moglie e figli a Carpentras, dove Francesco Petrarca cominciò a studiare guidato da Convenevole da Prato.

Seguì, insieme al fratello Gherardo gli studi giuridici (iniziati a Montpellier nel 1316 e conclusi a Bologna tra il 1320 e il 1326). Tornato a Avignone dopo la morte del padre, frequentò il mondo elegante della città. Qui, il 6 aprile 1327, nella chiesa di Santa Chiara, vide per la prima volta la donna che amò per tutta la vita e a cui si ispira nelle sue opere poetiche in italiano: Laura, identificata tradizionalmente con una Laura di Noves, sposa del marchese Ugo di Sade.
 
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Allegati

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Erano i capei d’oro a l’aura sparsi,
che ’n mille dolci nodi gli avolgea,
e ’l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;
e ’l viso di pietosi color farsi,
non so se vero o falso, mi parea:
i’che l’esca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di subito arsi?
Non era l’andar suo cosa mortale,
ma d’angelica forma; e le parole
sonavan altro che pur voce humana.
Uno spirto celeste, un vivo sole
Fu quel ch’i’ vidi: et se non fosse or tale,
piaga per allentar d’arco non sana.
 
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