Tv, cellulari, radio e banda larga mobile: l’economia può ripartire dalle frequenze
STEFANO CARLI
C’è fermento nell’aria, anzi, nell’etere. Dalla Francia, alla Gran Bretagna e all’Italia le Autorità che governano l’utilizzo delle radio frequenze sono in fibrillazione. Tra nuove tecnologie, nuove piattaforme e la progressiva digitalizzazione dei segnali che trasportano dati, voci, musica, video, news ed eventi di ogni tipo, è in corso un gigantesco lavoro di risistemazione.
Due mesi fa la Francia ha bandito la gara per l’assegnazione delle frequenze WiMax. Un mese dopo, all’inizio dello scorso mese di marzo, sempre il Consiglio Superiore dell’Audiovisivo, l’Authority francese, ha chiuso la fase dei test sul Dvbh, la tecnologia che sta dietro la tv mobile, l’arrivo del segnale televisivo sui telefonini, e ha annunciato di aver iniziato a lavorare al piano di assegnazione delle frquenze.
In Gran Bretagna la Ofcom ha aperto all’inizio della scorsa settimana una consultazione, che si chiuderà senza proroghe entro il prossimo 9 giugno, per sondare le aspettative degli operatori sull’utilizzo di una porzione di frequenze conosciuta con il nome di Banda L e su cui potrebbero passare tanto il WiMax quanto lo stesso Dvbh o perfino l’Umts, nel caso ci fosse bisogno di ulteriori canali.
In Italia martedì scorso l’Agcom guidata da Corrado Calabrò ha in sostanza dato il benestare alle iniziative di Mediaset e Telecom Italia da una parte e della Tre di Vincenzo Novari dall’altra sul Dvbh.
Ma il Dvbh e la tv mobile non esauriscono gli impegni dell’Autorità e del ministero delle Comunicazioni.
Lo spettro radio è una risorsa che per troppo tempo non è stata gestita. Il risultato è che avere un quadro chiaro di che cosa, e soprattutto di chi, lo utilizza non è affatto semplice.
In Gran Bretagna, dove l’attenzione al valore patrimoniale dell’etere ha una tradizione ben maggiore della nostra (è stato infatti il primo paese a mettere all’asta le licenze dell’Umts) un complesso studio pubblicato quattro anni fa ha stabilito chi usa l’etere di Sua Maestà: per ogni blocco di frequenze, la quota percentuale assegnata alle tv o ai cellulari, alla Difesa o ai servizi radar. In Italia avere un’immagine così dettagliata è per ora impossibile. Corrado Calabrò ha avviato un mese fa il ‘censimento delle frequenze’, ma già solo avere il quadro di come le frequenze siano suddivise tra le 150 emittenti tv e le circa 700 stazioni radiofoniche sarà un’impresa ardua.
Ci sono però delle assegnazioni che non debbono attendere il catasto radioelettrico. Sono i 5 mhz liberati dal vecchio sistema analogico dei telefonini Tacs, e anche il blocco dei 15 mhz nella banda dell’Umts (intorno ai 2.100 mhz) restituiti da Ipse: e se con lo spezzone di 5 mhz dell’ex Tacs si può fare poco, su queste ultime frequenze si tratta di decidere se metterle all’asta per far entrare un nuovo operatore o in che altro modo utilizzarle. E prima o poi si dovrà decidere che cosa fare delle pregiate frequenze tv che gli attuali detentori, Rai e Mediaset in testa, dovranno restituire quando saranno spenti tutti i vecchi ripetitori analogici.
Fin qui l’Authority, che stabilisce le regole di utilizzo, ma una parte altrettanto rilevante spetta al ministero delle Comunicazioni, che è invece molto più indietro. Anzi, i suoi ritardi tengono bloccati interi settori. Come quello della radio digitale. Il Dab aspetta da oltre un anno che il ministero pubblichi il bando per l’assegnazione delle frequenze della Banda L alle emittenti che ne faranno richiesta.
Analoga la situazione per quanto riguarda il WiMax. Si sa che dovrà viaggiare su frequenze poste nella banda tra 3.200 e 3.600. Ci sono quindi ben 400 mhz a disposizione. Sono frequenze oggi gestite dal ministero della Difesa, che è pronto a liberarle, dietro il pagamento di un indennizzo. Ma nulla succede perché il ministero non ha ancora deliberato il ‘cambio di destinazione d’uso’: una formalità burocratica. Che però intanto tiene gli investimenti sul WiMax chiusi nei cassetti.
Sorte analoga per un altro blocco di una ventina di mhz nella banda di frequenza 1.800: anche qui sono i militari che devono spostarsi. Ma è il solito circolo vizioso: i militari non si spostano senza soldi; i soldi non arrivano se non si decide la destinazione e si mettono le frequenze all’asta.
Altri nodi stanno per venire al pettine. Che cosa succederebbe se domani arrivassero al ministero e all’Authority domande di avvio di test per il Dmb o per l’IpDab, su quali frequenze verrebbero autorizzati? Sono possibili allo stato solo ipotesi. E si indicano le stesse frequenze del Dab, la radio digitale, perché di fatto queste due piattaforme sono sviluppi che partono proprio dalla tecnologia Dab. Ma oggi non avrebbero spazio per decollare. Perché il Dab, che è stato collocato (ma ancora senza assegnazione) nella cosiddetta Banda L, sopra i 1.400 mhz, potrebbe invece più utilmente andare in Banda Terza (tra 174 e 230 mhz): un blocco di frequenze che sono migliori e più efficienti, perché le frequenze più sono basse e più ampio hanno il loro raggio di azione e necessitano di antenne più piccole e di un minor numero di trasmettitori. Ma la Banda Terza è oggi inutilizzabile per colpa di Rai 1, che trasmette le sue immagini in un canale che non è esattamente quello assegnatole. E’ sempre stato così, non si sa perché. Fatto sta che spostare la rete ammiraglia della Rai non è cosa facile.
Un puzzle, certo, ma il groviglio di tecnologie e di competenze non giustifica i ritardi. Che costano doppiamente: in termini di sviluppi economici bloccati in settori ad alta crescita e di mancate entrate per le casse dello Stato (che ne hanno un disperato bisogno). Una frequenza tv, in pratica un blocco di 8 mhz, costa oggi tra i 100 e i 120 milioni di euro. Un blocco di 5 mhz di frequenze per la telefonia cellulare ai tempi dell'asta Umts è stato pagato dagli operatori mobili 1,2 miliardi di euro. Anche dimezzando il valore di questo picco raggiunto in piena bolla della New Economy, si potrebbe scendere tra i 500 e i 700 milioni.
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