Gary Bielfeldt
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da Finanza&Mercati del 30-10-2003
La Consob ha il potere (e quindi il dovere) di controllare la veridicità del prospetto informativo e a nulla valgono eventuali avvertenze per autoesentarsi dalle responsabilità. Sono queste, in sintesi, le ragioni addotte dalla seconda sezione civile della Corte d’Appello di Milano nella sentenza di condanna (n. 2841/03) della Consob per l’omessa vigilanza in relazione al crac Cultrera. Le motivazioni della decisione, appena depositate, formulano alcuni principi destinati a segnare profondamente le relazioni tra investitori e autorità di vigilanza.
Nella vicenda, risalente al 1983, furono coinvolti 7mila investitori, che sottoscrissero titoli atipici per l’acquisto, tramite mandato fiduciario all’Ilf di Vincenzo Cultrera, di quote dell’Hotel villaggio Santa Teresa di Gallura. La Consob, all’epoca presieduta da Bruno Pazzi, aveva vagliato e autorizzato la pubblicazione del prospetto informativo, poi rivelatosi non veritiero. L’operazione finì malissimo: in due anni tutte le società coinvolte fallirono o furono poste in liquidazione. Gli strascichi giudiziari hanno però avuto vita lunga e solo la scorsa settimana 898 risparmiatori, patrocinati dagli avvocati Remo Danovi e Guido Bartalini, hanno ottenuto la condanna in solido della Consob e del Tesoro al risarcimento di 6,3 milioni, l’equivalente in euro delle somme in lire versate 20 anni fa. Secondo i giudici milanesi, la Consob ha il potere di accertare «le evidenti falsità dei dati comunicatori dai promotori delle offerte di pubblica sottoscrizione e di assumere iniziative di ripristino della verità delle comunicazioni e di impedimento al corso ulteriore dell’operazione stessa». Inoltre, la Corte ha riconosciuto la «nullità delle clausole con le quali la Consob aveva ritenuto in sede di pubblicazione del prospetto, di autoesentarsi dalle responsabilità derivanti dall’inosservanza degli obblighi di legge e, tra questi, di quello relativo al controllo di veridicità dei dati esposti nel prospetto stesso». Insomma, una cosa è l’avvertenza che «l’adempimento di pubblicazione del prospetto non comporta alcun giudizio della Consob sull’opportunità dell’investimento proposto», come si legge sempre in cima ai documenti. Altro è il volersi lavare le mani da ogni responsabilità sulla «valutazione di completezza e di esattezza dell’informazione fornita, cioè di veridicità, (...) al fine di consentire ai risparmiatore una valutazione corretta e ponderata». Da questi principi discende un diritto dei risparmiatori «alla veridicità delle informazioni contenute nel prospetto, desumibile dalla funzione di vigilanza della Consob». Il corollario di questa affermazione è che a carico della Consob è configurabile una responsabilità extracontrattuale per violazione di un «diritto soggettivo alla trasparenza», ovvero, nella fattispecie, per omessa vigilanza. Argomentazioni in grado di pesare come macigni in altre eventuali vertenze sui più recenti scandali finanziari.
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Gli faranno finire i soldi a forza di risarcimenti?
La Consob ha il potere (e quindi il dovere) di controllare la veridicità del prospetto informativo e a nulla valgono eventuali avvertenze per autoesentarsi dalle responsabilità. Sono queste, in sintesi, le ragioni addotte dalla seconda sezione civile della Corte d’Appello di Milano nella sentenza di condanna (n. 2841/03) della Consob per l’omessa vigilanza in relazione al crac Cultrera. Le motivazioni della decisione, appena depositate, formulano alcuni principi destinati a segnare profondamente le relazioni tra investitori e autorità di vigilanza.
Nella vicenda, risalente al 1983, furono coinvolti 7mila investitori, che sottoscrissero titoli atipici per l’acquisto, tramite mandato fiduciario all’Ilf di Vincenzo Cultrera, di quote dell’Hotel villaggio Santa Teresa di Gallura. La Consob, all’epoca presieduta da Bruno Pazzi, aveva vagliato e autorizzato la pubblicazione del prospetto informativo, poi rivelatosi non veritiero. L’operazione finì malissimo: in due anni tutte le società coinvolte fallirono o furono poste in liquidazione. Gli strascichi giudiziari hanno però avuto vita lunga e solo la scorsa settimana 898 risparmiatori, patrocinati dagli avvocati Remo Danovi e Guido Bartalini, hanno ottenuto la condanna in solido della Consob e del Tesoro al risarcimento di 6,3 milioni, l’equivalente in euro delle somme in lire versate 20 anni fa. Secondo i giudici milanesi, la Consob ha il potere di accertare «le evidenti falsità dei dati comunicatori dai promotori delle offerte di pubblica sottoscrizione e di assumere iniziative di ripristino della verità delle comunicazioni e di impedimento al corso ulteriore dell’operazione stessa». Inoltre, la Corte ha riconosciuto la «nullità delle clausole con le quali la Consob aveva ritenuto in sede di pubblicazione del prospetto, di autoesentarsi dalle responsabilità derivanti dall’inosservanza degli obblighi di legge e, tra questi, di quello relativo al controllo di veridicità dei dati esposti nel prospetto stesso». Insomma, una cosa è l’avvertenza che «l’adempimento di pubblicazione del prospetto non comporta alcun giudizio della Consob sull’opportunità dell’investimento proposto», come si legge sempre in cima ai documenti. Altro è il volersi lavare le mani da ogni responsabilità sulla «valutazione di completezza e di esattezza dell’informazione fornita, cioè di veridicità, (...) al fine di consentire ai risparmiatore una valutazione corretta e ponderata». Da questi principi discende un diritto dei risparmiatori «alla veridicità delle informazioni contenute nel prospetto, desumibile dalla funzione di vigilanza della Consob». Il corollario di questa affermazione è che a carico della Consob è configurabile una responsabilità extracontrattuale per violazione di un «diritto soggettivo alla trasparenza», ovvero, nella fattispecie, per omessa vigilanza. Argomentazioni in grado di pesare come macigni in altre eventuali vertenze sui più recenti scandali finanziari.
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Gli faranno finire i soldi a forza di risarcimenti?