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Dalle sabbie canadesi torna a sgorgare petrolio
di Redazione del 01-11-2005
da Finanza&Mercati del 01-11-2005
[Nr. 214 pagina 19]
Negli anni Settanta, durante la crisi petrolifera, il Canada era stato definito l’Arabia Saudita del Nord America. Poi, negli anni Ottanta, il crollo dei prezzi del greggio ha fatto precipitare l’interesse. Da allora le riserve sono state quasi ignorate per gli eccessivi costi di estrazione. Trasformare il bitume delle sabbie oleose canadesi in petrolio costa infatti circa 20 dollari al barile: troppi quando i prezzi erano tra 20 e 30 dollari. Oggi, con il greggio a quota 60 dollari, lo scenario è ben diverso. I principali produttori di petrolio da bitume della regione sono Suncor, il consorzio Syncrude controllato da Canadian Oil Sands Trust e Athabasca, i cui azionisti principali sono Shell Canada, Chevron Canada e Western Oil Sands. Gli analisti ritengono che Suncor sia il gruppo su cui scommettere. Il titolo è schizzato nell’ultimo anno raggiungendo il picco di 62 dollari il mese scorso. In questi giorni le azioni hanno oscillato, subendo l’inversione generale degli energetici; ma Suncor controlla riserve per 11 miliardi di barili, abbastanza per durare qualche decennio. Va detto che, in un contesto in cui le aziende petrolifere cercano in tutti i modi di incrementare la loro capacità estrattiva, Suncor ha piani ambiziosi: passare dagli attuali 260mila barili al giorno a 350mila barili entro il 2008, sino a 500mila tra il 2010 e il 2012 (circa il doppio della capacità attuale). Se la compagnia riuscirà a centrare il target, avrà a disposizione parecchia cassa. In ogni caso, al momento la platea internazionale è molto interessata alle sabbie oleose. Basti dire che Total sta comprando la Deer Creek Energy Ltd per 1 miliardo di dollari. BP, che negli anni Novanta cedette i suoi possedimenti di sabbie alla Canadian Natural Resources, ora non ha una presenza nella regione. Ciò alimenta le speculazioni su un possibile interesse per Suncor. Certo, la società ha una capitalizzazione di 22 miliardi di dollari: ma ci vuole altro per scoraggiare i giganti dell’oil.