operai

[...]Per secoli la differenza del tenore di vita fra i ricchi e i poveri della terra è stato di tre a uno, nel Novecento siamo passati a dieci a uno per arrivare nel 1960 a trenta a uno e ora a centoventicinque a uno, con punte incredibili come il rapporto fra Svizzera e Mozambico, passato in due secoli dal cinque a oltre cinquecento a uno. Ogni tanto si riunisce il club degli otto paesi più industrializzati del mondo che stanno fra gli altri come picchi inaccessibili. Ma dentro questi superprivilegiati si riproducono diversità non meno incredibili, sacche di povertà così povera da non poterla nemmeno censire [...]
[...]
Ma il globalismo di cui si parla nei paesi ricchi come di uno sviluppo universale va in realtà diviso prima fra i ricchi e i poveri del mondo, poi fra i ricchi e i poveri dei paesi avanzati perché anche in questi l’aumento della produzione del trenta per cento negli ultimi quindici anni non ha migliorato i salari dei lavoratori rimasti fermi o diminuiti. [...]
(Giorgio Bocca)
 
[... attualmente nel mondo un miliardo di lavoratori ha paghe inferiori a un dollaro al giorno e negli otto paesi più ricchi centosessanta milioni di lavoratori non superano le duemila lire al giorno. Per contro il numero dei miliardari è salito nel mondo del tre per cento...]

(G.Bocca, 2001)
 
Queste iniziative cadono in un momento particolarmente fervido di lotte di realtà locali e delle Unioni per ottenere migliori condizioni di lavoro e soprattutto forti riduzioni dell'orano; nel 1834 le Trade Union esistenti mettono a punto una serie di agitazioni per ottenere il Ten Hours Bill (la giornata lavorativa di 10 ore) per tutti i lavoratori. In questa battaglia si distinsero particolarmente operai come T. Skim-dore, e intellettuali come Frances Wright e Robert Dale Owen. Sempre in quell'anno, per iniziativa di Doherty e Owen, viene fondata la «Grand Consolidated Society for Naturai Regeneration», che si pro_pone l'obiettivo molto ambizioso all'epoca di ottenere la giornata lavo_rative di otto ore.
 
Robert Owen, filantropo, socialista, riformatore e precursore di nuovi rapporti umani nella società industriale, nacque il 14 maggio 1771 a Newtown, nel Galles, e, come avveniva allora, cominciò a lavorare a dieci anni come apprendista, raggiungendo, a 19 anni, la carica di direttore di un cotonificio con 500 dipendenti; con una storia che sembra uscita dalle pagine di Dickens, Owen riuscì a diventare socio dell'impresa e anche socio e direttore di un altro cotonificio a New Lanark, il paese nel quale sperimentò in particolare le sue riforme.

Era normale, a quel tempo, che più del 20 % della mano d'opera impiegata nelle fabbriche fosse costituita da bambini anche di cinque o sei anni: nei quartieri poveri coesistevano fogne all'aria aperta, malattie, alcolismo, prostituzione; i datori di lavoro sfruttavano senza pietà i lavoratori e i proprietari di case e i bottegai rapinavano i magri e sudati salari.

La situazione destò l'indignazione e la reazione di Owen che cominciò a bonificare i quartieri poveri di New Lanark, diffondendo pulizia ed igiene nelle strade, aprendo negozi che vendevano merci di buona qualità a basso prezzo e, soprattutto, aprendo scuole, convinto, come era, che soltanto elevando le condizioni dell'infanzia si sarebbe potuto migliorare la società.

Owen tentò di far passare, nel 1815, una legge che regolamentasse il lavoro dei ragazzi; visto l'insuccesso, si mise a propagandare e ad attuare i concetti di "socialismo" e di "cooperazione", creando, a proprie spese, a New Lanark e anche in America, delle nuove comunità, con una popolazione da 500 a 3000 abitanti, essenzialmente agricole, ma in grado di lavorare industrialmente i propri prodotti, razionali e autosufficienti: avrebbero dovuto diventare le cellule dio una grande nuova società che Owen descrisse in molte sue opere e in alcuni giornali da lui fondati.

Anche se in queste "new towns" perse quasi tutto il suo patrimonio, Owen può oggi essere considerato, fra l'altro, un precursore dell'utilizzazione razionale del territorio e dell'igiene urbana, anche dal punto di vista della salvaguardia dell'ambiente. Sotto lo stimolo di Owen le cooperative, specialmente di consumo, si moltiplicarono in Gran Bretagna, soprattutto a partire dal 1844.

Owen continuò a sostenere le sue idee riformatrici e pedagogiche con articoli e conferenze, fino alla morte avvenuta il 17 novembre 1858.
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Progetto di Robert Owen per una comunità. Robert Owen (1771-1858) è uno degli iniziatori del movimento cooperativistico e sindacale. Dirigente industriale a New Lanark (Scozia) combattè il conservatorismo e la protervia delle classi dominanti inglesi cercando di migliorare la condizione delle classi lavoratrici attraverso l’aumento dei salari, il divieto del lavoro minorile, l’istituzione di servizi sociali, l’apertura di scuole. Attorno al 1830 si trasferì negli Stati Uniti, dove fondò il villaggio cooperativo di New Harmony, dal quale originarono moltissime esperienze di tipo comunitario-cooperativistico, alcune delle quali durarono fino ai primi decenni del ‘900.

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Gruppo di abitanti di una comunità americana (Oneida, circa 1863). Quasi tutti i villaggi comunistico-cooperativi avevano fra i princìpi ispiratori l’emancipazione delle donne, che all’epoca non avevano praticamente diritti civili. In tali comunità si pensava allo steso modo di Stuart-Mill, che affermava “Io credo che il principio regolatore dei rapporti sociali esistenti fra i due sessi -la subordinazione legale di un sesso all’altro- sia di per sé errato e costituisca oggi uno dei principali ostacoli al progresso umano, e che dovrebbe essere sostituito con un princìpio di perfetta uguaglianza, senza potere o previlegio da parte di un sesso, né incapacità da parte dell’altro”. (La schiavitù delle donne, cap. 1)
 
Negli anni 1836-1844, le lotte dei lavoratori acquistano un carattere più lucido e più organizzato; il movimento della classe ope_raia, chiamato Cartismo, dalla petizione presentata in Parlamento dalla «London Working Men's» con i famosi sei punti per la Carta del Po_polo, si pone con molta energia il problema della riduzione dell'orario di lavoro. Non solo uno dei sei punti è esplicitamente l'orario ridotto a 10 ore, ma nel 1839 i Cartisti lanciano la proposta del «mese sacro», un mese di riposo generale per tutti i lavoratori, che ovviamente viene fer_mamente respinta dalla controparte e dalle autorità. In generale, si può affermare che nel quinquennio 1835-1840 i lavoratori impostano una serie ininterrotta di lotte per i loro diritti, tra cui primeggia il problema della riduzione d'orano, non solo m Inghilterra, ma in altri paesi euro_pei, e particolarmente negli Stati Uniti, dove la rivoluzione industriale, benché iniziata in ritardo rispetto alla Gran Bretagna, sta procedendo a passi da gigante.
 
Scritto da watson


Owen continuò a sostenere le sue idee riformatrici e pedagogiche con articoli e conferenze, fino alla morte avvenuta il 17 novembre 1858.
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purtroppo in povertà...:(
 
Malgrado il declino del Cartismo dopo il 1844, il movimento ope_raio inglese segnò la sua più grande vittoria quando, nel 1847, la cate_goria dei cotonieri ottenne il riconoscimento della giornata lavorativa di 10 ore con un «Bill» dell'8 giugno di quell'anno che stabiliva un'ora_rio ridotto a 11 ore fino al primo maggio del 1848, e successivamente di dieci ore in maniera definitiva. Il Parlamento inglese con il «Factory Act» del 1850 estese questo orario a tutte le fabbriche. Questa legge può essere considerata come il punto di approdo delle lotte ventennali dei lavoratori inglesi.


In linea generale, si può dire che negli anni che vanno del 1880 al 1914, le autorità dei vari paesi, di fronte al crescere delle lotte operaie per la riduzione dell'orario di lavoro, attuano una politica di conces_sioni più o meno moderate, a seconda del loro grado di sviluppo politi_co ed economico; in Francia, la giornata lavorativa cala verso il 1880 da 14 a 11 ore; nel 1886 in Italia viene finalmente varata una legge sul la_voro minorile; in Germania nel 1883 Bismarck fa approvare una serie di leggi per le assicurazioni sociali senza peraltro affrontare il proble_ma dell'orario di lavoro; poco tempo dopo, come si è detto, il cancel_liere prussiano tenta di spezzare la solidità dell'organizzazione sinda_cale e politica dei lavoratori tedeschi con una serie di provvedimenti repressivi, il cui fallimento sostanziale porterà alla fine del suo potere.
 
Engels, Friedrich

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Filosofo e uomo politico tedesco (Barmen 1820-Londra 1895). Figlio di un agiato imprenditore tessile, si dedicò inizialmente al commercio e diede la sua adesione alle idee della sinistra hegeliana.
Nel 1842 si trasferì a Manchester come impiegato di una ditta commerciale e ebbe modo di osservare le condizioni di estrema indigenza della classe operaia nel periodo culminante della rivoluzione industriale. Frutto degli studi e delle esperienze fatte durante questo primo soggiorno inglese fu il libro Die Lage der arbeitenden Klasse in England (1845; La condizione della classe lavoratrice in Inghilterra).

Ritornato sul continente nel 1844, conobbe a Parigi, durante il viaggio di ritorno in Germania, Karl Marx, col quale si legò in un profondo vincolo di amicizia, che sarebbe durato tutta la vita.

Dopo gli anni 1845-47 vissuti a Bruxelles e a Parigi, Engels, che era entrato nel frattempo in rapporto con un'organizzazione clandestina di lavoratori tedeschi, la Lega dei comunisti, redasse insieme a Marx il celebre Manifest der Kommunistischen Partei (Manifesto del Partito Comunista), che vide la luce nel 1848.

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La rivoluzione del 1848 ricondusse E. in patria: qui egli assunse, insieme con Marx, la direzione della Nuova Gazzetta Renana di Colonia. Dopo il fallimento della rivoluzione, riparò, attraverso la Svizzera, in Gran Bretagna, dove si stabilì definitivamente, vivendo dapprima a Manchester e poi, dal 1870 fino alla morte, a Londra.

Nel 1864 fondò, assieme a Marx, l'Associazione Internazionale degli Operai (la I Internazionale), poi disciolta nel 1872. Dopo la morte di Marx, nel 1883, Engels continuò a essere il consigliere e il dirigente dei movimenti socialisti europei, provvedendo contemporaneamente alla pubblicazione del II e del III libro del Kapital (Capitale) lasciati inediti da Marx, in collaborazione con il quale Engels aveva scritto anche Die heilige Familie (1845; La sacra famiglia), pubblicata postuma, e Die deutsche Ideologie (L'ideologia tedesca), pubblicata pure postuma. Tra gli altri suoi scritti: Anti-Dühring (1878), Der Ursprung der Familie, des Privateigentums und des Staates (1884; L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato), un saggio su Feuerbach (1888) e la Dialektik der Natur (postuma, 1925; Dialettica della natura).
 
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:eek:

Edizione Berlusconi
 

Allegati

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Difficile è scindere la produzione di Engels da quella di Marx; si può tuttavia notare all'inizio una maggiore influenza di Engels sul piano dell'economia politica. La sua influenza sul piano strettamente filosofico rimase invece sempre inferiore. È possibile riscontrare in lui un'accentuazione dei temi naturalistici e scientifici e un avvicinamento alle posizioni evoluzionistiche. L'importanza di Engels è tuttavia fondamentale e per molti aspetti superiore a quella di Marx, per ci ò che concerne l'organizzazione di un movimento operaio e per la sistemazione in un complesso organico delle dottrine filosofiche e politiche di Marx. Con Engels si può dire nasca il marxismo e da lui derivino tutte le aporie la cui soluzione ha travagliato il pensiero marxista successivo. A lui si deve l'elaborazione delle cosiddette leggi della dialettica: la legge della conversione della qualità in quantità, secondo la quale i cambiamenti rivoluzionari avvengono improvvisamente, dopo un periodo di lento progresso; la legge della compenetrazione degli opposti, che è l'affermazione dell'esistenza nella realtà di contraddizioni obiettive; la legge della negazione della negazione, per cui il condizionamento storico-economico della classe dominante viene negato dalla coscienza del bisogno propria della classe proletaria, in modo tale che una nuova e più alta realtà viene prodotta. Nell'interpretazione della dialettica hegeliana Engels, più di Marx, ne accentua il valore naturalistico: egli identifica natura e materia, ma intende la natura non come negazione dell'idea, bensì come unica realtà. La lotta delle classi e il divenire storico-sociale dell'umanità risultano a questo modo inquadrati in una visione del divenire dialettico dell'intero universo naturale; visione che rappresenta forse il contributo più peculiare del pensiero di Engels alla dottrina marxista.

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"I filosofi hanno finora soltanto interpretato il mondo in diversi modi; ora si tratta di trasformarlo"(cfr. Marx,11^ Tesi su Feuerbach). Con questa celebre affermazione – incisa pure sulla sua tomba – Marx intende rivendicare che quello che conta non è tanto la sola teoria quanto l’azione, e l’azione rivoluzionaria(praxis). L’uomo risolve i suoi problemi non solo con la speculazione quanto con una azione criticamente illuminata e diretta. Insomma, la teoria deve servire alla pratica. Marx ha cercato di realizzare una interpretazione del mondo e dell’uomo che sia, contemporaneamente, impegno di trasformazione e attività rivoluzionaria.

Alla base della teoria di Marx e della sua adesione al comunismo (esplicita dal 1848 col Manifesto del partito comunista; si noti che Marx usò in genere i termini di comunismo e di socialismo in modo equivalente, anche se dal 1848 in poi preferirà le espressioni comunisti e comunismo) vi è una critica radicale della società e dello Stato moderno. Nel mondo attuale l’uomo è costretto a vivere come due vite, diviso tra gli interessi particolari e privati e quelli comuni. I tratti essenziali della civiltà moderna sono l’individualismo e l’atomismo, nel senso che il singolo è separato ed anche escluso dalla comunità. E siccome lo Stato legalizza tale situazione, riconoscendo quali diritti il liberismo economico e la proprietà privata, esso non è altro che la proiezione politica di una società strutturalmente asociale. Marx ritiene che l’unico modo di realizzare una comunità solidale sia l’eliminazione delle disuguaglianze reali tra gli uomini, e in particolare il principio stesso di ogni disuguaglianza, cioè la proprietà privata (come già diceva Rousseau) dei mezzi di produzione. Per Marx sarà proprio la classe priva di ogni proprietà, cioè il proletariato, che è destinata a eseguire la condanna storica della civiltà egoistica e proprietaria e a realizzare la democrazia comunistica.
 
L’economia borghese viene accusata da Marx di considerare il sistema capitalistico come il modo naturale, immutabile e razionale di produrre e distribuire la ricchezza mentre è soltanto uno dei tanti modi possibili. Il lavoratore, nella società capitalistica, vive in una situazione di alienazione perché la proprietà privata lo ha trasformato in uno strumento di un processo impersonale di produzione che lo rende schiavo, senza alcun riguardo ai suoi bisogni. Il proprietario della fabbrica (capitalista) utilizza il lavoro di una certa categoria di persone (salariati) per accrescere la propria ricchezza secondo una dinamica che Marx descrive in termini di sfruttamento e di logica del profitto. La disalienazione dell’uomo dipenderà allora dal superamento della proprietà privata e dall’avvento del comunismo.

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Come si può arrivare a ciò ? L’unico modo di abbattere l’alienazione sarà la rivoluzione. Come poterlo fare? Per rispondere a questa domanda, Marx comincia col dire che l’uomo si distingue dall’animale in quanto produce i propri mezzi di sussistenza, ossia lavora. Il lavoro è creatore di civiltà e cultura ed è ciò che rende l’uomo tale. In ogni società vi sono le forze produttive ed i rapporti di produzione. Le forze produttive sono gli uomini che producono ed anche il modo come producono ed i mezzi di cui si servono per produrre (ad es. : salariati; industria; azienda e macchinari). I rapporti di produzione o di proprietà sono invece le relazioni che si formano tra gli uomini nei processi di produzione e che, in concreto, consistono nel possesso o meno dei mezzi di produzione (ad es. capitalisti e proletari). Ora, le forze produttive e i rapporti di produzione costituiscono la struttura della società, che è definita dal modo di produrre e distribuire ricchezza, ossia dall’economia. Quindi l’economia è la struttura o la base della società, sopra cui vi sono molteplici sovrastrutture (diritto, politica, arte, religione, filosofia ecc.), che sono espressioni dipendenti dalla struttura economica. In altri termini, è la struttura economica che determina le leggi di uno Stato, le forme artistiche, le religioni, le filosofie e non viceversa. Ecco il materialismo storico : le forze motrici della storia sono di natura materiale, cioè socio-economica e non spirituale o astratta.
 
Una volta qui dentro si faceva Cultura. :(
 
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