La verità scientifica si caratterizza per la sua esattezza e il rigore delle sue previsioni. Ma queste ammirabili qualità sono conquistate dalla scienza sperimentale a patto di mantenersi su un piano di problemi secondari, lasciando intatte le questioni ultime e decisive. Di questa rinuncia fa la sua virtù essenziale e non sarà necessario sottolineare che già solo per questo merita applausi. Però la scienza sperimentale è solo un'esigua parte della mente e dell'organismo umani. Dove essa si arresta non si ferma l'uomo. Se il fisico blocca la mano con la quale disegna i fatti lì dove il suo metodo termina, l'uomo che c'è dietro ogni fisico prolunga, che lo voglia o no, la linea iniziata e la porta a termine, così come automaticamente il nostro sguardo nel vedere il pezzo rotto dell'arco completa l'aerea curva monca.
La missione della fisica è verificare di ogni fatto che si produce il suo principio, cioè il fatto antecedente che lo ha originato. Però questo principio possiede a sua volta un principio anteriore e così sucessivamente fino ad un primo principio originario. Il fisico rinuncia a cercare questo principio primo dell'universo, e fa molto bene. Però ripeto che l'uomo nel quale ogni fisico vive non rinuncia e, volontariamente o contro il suo arbitrio, la sua anima si leva verso questa prima e enigmatica causa. È naturale che sia così. Vivere è di certo, trattare con il mondo, dirigersi versi di esso, agirvi, occuparsene. Perciò all'uomo è materialmente impossibile, per una ragione psicologica, rinunciare a possedere una nozione completa del mondo, un'idea integrale dell'universo. Delicata o rozza, con il nostro consenso o senza, si incorpora nello spirito di ognuno questa fisionomia transcientifica del mondo e viene a governare la nostra esistenza con maggior efficacia della verità scientifica. Il secolo passato ha voluto violentemente frenare la mente umana lì dove l'esattezza finisce. Questa violenza, questo volgere le spalle ai problemi ultimi, è stato chiamato "agnosticismo". Ecco ciò che non è giustificato nè plausibile. Il fatto che la scienza sperimentale sia incapace di risolvere a suo modo queste questioni fondamentali, non giustifica che, facendo di fronte ad esso un grazioso gesto, come di volpe davanti ad uve molto alte, le chiami "miti" e ci inviti ad abbandonarle. Come si può vivere sordi alle ultime, drammatiche domande? Da dove viene il mondo, e dove va? Qual è la potenza che definisce il cosmo? Qual è il senso essenziale della vita? Non possiamo rimanere confinati in una zona di temi intermedi, secondari. Abbiamo bisogno di una prospettiva integra, con un primo e un ultimo piano, non di un paesaggio mutilato, non di un orizzonte privato della palpitazione incitatrice delle ultime lontananze. Senza punti cardinali, i nostri passi mancherebbero di orientamento. Non è un pretesto sufficiente per questa insensibilità verso le questioni ultime dichiarare che non si è trovata la maniera di risolverle. Ragione in più per sentire nel profondo del nostro essere la loro pressione e la loro ferita! A chi mai ha soddisfatto la fame sapere che non potrà mangiare? Anche se irrisolvibili questi interrogativi continueranno ad alzarsi patetici nella curca faccia notturna e a presentarci i loro ghigni di stelle -le stelle, secondo Heine, sono inquieti pensieri d'oro della notte. Il Nord e il Sud ci orientano, senza bisogno di essere città accessibili, per le quali si possa prendere un biglietto della ferrovia.
Con questo voglio dire che non ci è concesso di rinunciare a una presa di posizione di fronte ai temi ultimi: che lo vogliamo o no, in un modo o nell'altro, si incorporano in noi. La "verità scientifica" è una verità esatta, ma incompleta e penultima, che si integra forzatamente in un altro tipo di verità ultima e completa, sebbene inesatta, che non sarebbe sconveniente chiamare "mito". La verità scientifica galleggia, dunque, nella mitologia e la scienza stessa, come totalità, è un mito, l'ammirabile mito europeo.