P/E - azioni americane care?

  • Ecco la 60° Edizione del settimanale "Le opportunità di Borsa" dedicato ai consulenti finanziari ed esperti di borsa.

    Questa settimana abbiamo assistito a nuovi record assoluti in Europa e a Wall Street. Il tutto, dopo una ottava che ha visto il susseguirsi di riunioni di banche centrali. Lunedì la Bank of Japan (BoJ) ha alzato i tassi per la prima volta dal 2007, mettendo fine all’era del costo del denaro negativo e al controllo della curva dei rendimenti. Mercoledì la Federal Reserve (Fed) ha confermato i tassi nel range 5,25%-5,50%, mentre i “dots”, le proiezioni dei funzionari sul costo del denaro, indicano sempre tre tagli nel corso del 2024. Il Fomc ha anche discusso in merito ad un possibile rallentamento del ritmo di riduzione del portafoglio titoli. Ieri la Bank of England (BoE) ha lasciato i tassi di interesse invariati al 5,25%. Per continuare a leggere visita il link

storm

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Leggo che il rapporto P/E è circa a 45 rispetto a una media che fino agli anni '90 viaggiava a circa 16 (su La Repubblica di oggi).

Vorrei capirne di più visto che il rapporto P/E da solo non credo basti e dovrebbe essere rapportato ai tassi vigenti.
45 potrebbe essere basso e 16 alto se confrontato con il tasso di interesse.
Per capirci i tassi all'1,75% rappresentano una specie di rendimento medio del sistema pari a circa 57 (100/1,75) rispetto al quale anche un P/E di 45 è a sconto.

Mentre 16 potrebbe essere caro se i tassi fossero al 7%, visto che il rendimento medio del sistema sarebbe in tal caso pari a circa 14 (100/7).

Sarebbe perciò utile esaminare nella sua evoluzione storica il rapporto P/E moltiplicato per il tasso di interesse (o qualche indicatore del genere).

Qualcuno ha dati in tal senso??
 
tempo fa ho letto su MF una tabella in cui venivano indicati i corretti valori di P/E in base al tasso di sconto.
Adesso la cerco sperando di non avere cestinato il giornale.
Ciao
 
Le storielle del P/E mi sembrano tutte fantasie suggestive.

Pochi anni fa mi sembra che FIAT avesse un P/E basso attorno a 10 o 15.
Adesso FIAT non ha più E e chi avesse comprato ai tempi per il P/E basso?
Non era/è forse meglio comprare adesso con un P/E che tende all'infinito?
 
Ricordo Alitalia nel 1998 con un p/e di 6 sul MF e una quotazione di oltre i 3 euro..

adesso quota 0,7

:eek:


....Stock Valuation Model (modello di valutazione dei corsi azionari) della Fed, il quale pargona l'indice S&P 500 al suo valore normale, rappresentato dalle aspettative di consenso sui profitti a 52 settimane divise per il rendimento dei titoli del Tesoro a 10 anni...


dove si può vedere il rendimento del T-bond decennale?
 
Scritto da Mr. Pollo
Ricordo Alitalia nel 1998 con un p/e di 6 sul MF e una quotazione di oltre i 3 euro..

adesso quota 0,7

:eek:

...Stock Valuation Model (modello di valutazione dei corsi azionari) della Fed, il quale pargona l'indice S&P 500 al suo valore normale, rappresentato dalle aspettative di consenso sui profitti a 52 settimane divise per il rendimento dei titoli del Tesoro a 10 anni...
dove si può vedere il rendimento del T-bond decennale?
____________
interessanti i post e molto qualificanti gli interventi, bravi!
per vedere il rendimento del T-bond decennale cerca in :
DAY by DAY NEWS ANALISI MACRO MERCATI

http://www.google.it/search?q=rendimento+del+T-bond+decennale&hl=it&btnG=Cerca+con+Google&lr=lang_it

ciao
 

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Il problema degli utili delle aziende statunitensi (con particolare riferimento allo S&P, nel quale sono presenti numerose società tecnologiche), è, effettivamente rilevante.

Per la valutazione di un investimento non può che farsi riferimento a due elementi fondamentali: il rischio e il rendimento.

E' notorio che i tassi di interesse influiscono sulle valutazione azionarie. Un aumento del tasso di sconto (che, ovviamente, si riverbera sui rendimenti obbligazionari) determina una diminuzione dell'appeal speculativo in azioni. Ciò, perchè:

- i flussi di cassa futuri vengono attualizzati (con il discount cash flow elementi della formula per il fattore di sconto sono il tasso risk free ed il premio al rischio) ad un tasso maggiore e, quindi, la valutazione dell'azienda diminuisce;

- la spesa correlata all'indebitamento aumenta e si determina, pertanto, una progressiva rigidità di bilancio con conseguenze sulla spesa per investimenti e sviluppo;

- aumenta l'interesse verso le emissioni obbligazionarie che sottraggono denaro dagli strumenti finanziari più volatili e rischiosi.

Guardando il passato, però, ci si accorge che l'aumento dei tassi di interessi ha coinciso con l'aumento dei corsi azionari.

Questo può far ritenere, erroneamente, che l'aumento dei tassi possa influire positivamente sulle borse. In realtà, l'aumento dei tassi è solo un corollario della fase economica espansiva(o un aspetto rilevante della politica valutaria). In tale contesto, la domanda cresce, così come i prezzi, così come l'inflazione, e, pertanto, le autorità monetarie adottano politiche anticongiunturali per scongiurare il pericolo inflattivo, nel passato determinato anche da crisi energetiche ed altri fattori legati a particolari momenti storici.

Le borse, quindi, non salgono per effetto dell'aumento dei tassi, ma salgono anticipando o seguendo una positiva fase economica.

Arriviamo, conseguentemente, alle variabili (direttamente connesse con la fase economica) che influiscono direttamente sugli indici (e, ovviamente, sulle singole aziende):

- gli utili e il rendimento azionario;
- i tassi di interesse e il rendimento obbligazionario.
- il rapporto tra i rendimenti di cui sopra.

Il p/e è un indicatore di semplice lettura ma, proprio in quanto semplice, grezzo. Se io compro a 20 un'azienda che fa 1 di utile, vuol dire (secondo tale rapporto) che occorrono 20 anni a utili costanti prima che io possa ritornare dell'investimento fatto. Sostanzialmente, senza tener conto di altri fattori (peraltro, rilevantissimi, ma ora secondari), il mio investimento renderà, a tasso semplice, il 5% annuo.

Se in quel momento, il rendimento (che abbiamo visto è influenzato dal tasso di sconto che a sua volta è fissato per motivazioni di politica economica e valutaria) delle obbligazioni a 10 anni (termine comunemente adottato) è dell'8%, l'investimento azionario non compensa più adeguatamente il rischio.

Aumento dei corsi azionari, diminuzione degli utili, aumento dei tassi, influiscono negativamente sui mercati. Il contrario, ovviamente, viceversa.

Le fasi economiche, in quanto fasi, sono cicliche. La fase espansiva, abbiamo visto, determina aumento della produttività, dei consumi, dei prezzi, degli utili, dei corsi azionari, dei tassi. Quando il tasso di produttività, il tasso di impiego del personale, di investimenti ecc. e così i prezzi, i consumi, hanno raggiunto livelli non più sostenibili (senza lo stravolgimento o il ripensamento del ciclio produttivo) e determinato la necessità di aumenti dei tassi di interesse tali da rendere non più conveniente (secondo il rapporto illustrato sopra) l'investimento azionario, l'economia entra in una fase depressiva, gli utili peggiorano e il denaro esce dai mercati azionari. Successivamente inizierà la discesa dei tassi di interesse.

Affinchè il denaro torni stabilmente nei mercati, occorrerà ristabilire - quantomeno - l'equilibrio rendimento azionario/rendimento obbligazionario.

Una premessa un po' troppo lunga, quindi rinvio ad altro momento l'analisi della situazione utili negli Stati Uniti ed in Italia con l'esame del rapporto di cui sopra, con riferimento anche alla distinzione tra reported earnings ed operating earnings.
 
http://bonds.yahoo.com/

1053.91 S&P500

in base alla tecnica dello Stock Valuation Model lo S&P risulta sottovalutato del 7,2% e sconta già un rialzo di 0,50 del bond.

il 21 settembre tale sottovalutazione in base a tale paramentro ha toccato quota -15% così come nel crollo del 98 mentre nel 2000 ha toccato quota +65%.
A gennaio 2002 +15% e adesso -7,2%

ciao
 
I p/e degli indici e dei singoli titoli non possono essere comparati per stabilire l'attendibilità del p/e.

Un azione con p/e alto è sempre pericolosa. Un azienda con un p/e basso non è sempre allettante. Innanzitutto occorre fare riferimento alla media del settore di appartenenza e poi può avere un p/e basso perchè l'azienda non ha prospettive, è troppo indebitata, ha un management scadente. Anche nella borsa italiana ci sono aziende che hanno un p/e basso e non valgono una cicca...a quel punto, chiaramente, ma come sempre, bisogna valutare molti altri aspetti.

I p/e pubblicati dai giornali, inoltre, sono spesso sbagliati e si riferiscono al passato. Se nel 2001 un'azienda fa 50 di utili mentre si prevede (per la fase economica, per la crisi del settore o della stessa azienda) che nel 2002/2003 farà 25 e 30 che senso avrà guardare il p/e del giornale riferito al 2001?

Fiat, che è stata citata, è stato un caso clamoroso. Per il 2002/2003 si prevedeva un p/e mostruoso (nell'ordine di 97) o, addirittura, un risultato di esercizio negativo. Come poteva riternersi più profittevole di Volkswagen che aveva un p/e di 6?

Volk è andata da 33 a 60, Fiat lasciamo perdere...
 
Mr. Pollo, la sottovalutazione che indichi, secondo me, non c'è.

In Italia, si fa sempre riferimento, calcolando il p/e all'utile netto. L'utile netto ha vantaggi e svantaggi. E' un dato certo, e questo è positivo, ma è chiaramente condizionato dalla parte straordinaria, che in molti casi viene manipolata proprio per aggiustare l'utile netto.

Occorre, quindi, fare riferimento alla progressione, negli anni, sia dell'utile netto sia dell'utile operativo.

Negli Stati Uniti viene considerato, per il modello che hai citato, l'utile operativo, operating earnings, che, però, nel tempo, ha determinato parecchie distorsioni nella valutazione delle aziende e degl indici.

Le aziende, infatti, tendevano a ricomprendere nella parte non caratteristica, costi che in realtà erano propri della realtà aziendale e che influivano pesantemente (soprattutto nella fase bolla della new economy in cui ci si indebitava e si acquistavano aziende a tutti i costi) sull'utile netto, cioè sulla parte che poi avrebbe inciso sul capitale sociale.

Aziende, quindi, in cattive condizioni, potevano far apparire di essere in buono stato, e questo con la complicità della comunità finanziaria, che, spesso, privilegiava il dato sull'operativo operativo, tanto poi nessuno sarebbe andato a vedere il bilancio depositato alla Sec.

Per il 2002/2003 abbiamo questa situazione relativa allo S&P:

- utili operativi 2002: minimo 44,30 - massimo 51.41;

- utili operativi 2003: minimo 54,00 - massimo 60,35.

Tenuto conto che i tassi a 10 anni sono a 5,12, si ha:

- valutazione S&P ad utili stimati 2002: minimo 865, 23/max 1004,10;

- valutazione S&P ad utili stimati 2003: minimo 1054,68/max 1178,71.

C'è però una complicazione. Nel corso degli anni gli utili netti sono stati una media del 90/94% degli utili operativi. Fare una valutazione dello S&P con gli utili operativi poteva avere un'approssimazione relativa, quindi, visto che tra utili operativi e utili netti vi era uno sconto di massimo 10%.

Nel 2001 gli utili operativi sono stati 38,85 e gli utili netti 24,69!

Tale differenza (originata dalle politiche societarie sopra esposte), pari al 37%, non consente più di affidarsi unicamente agli utili operativi.

Tenuto conto che i recenti scandali e i write off operati dalle aziende (anche Telecom in italia ha opportunamente provveduto a ripulire il bilancio), consentiranno di ridurre lo scarto di cui sopra, ci si può limitare ad abbattere il valore che deriverebbe applicando il metodo Fed del 10%.

Pertanto:

- valore S&P ad utili stimati 2002: 778,70/903,69;
- valore "" "" "" 2003: 949,21/1060,84


Questi valori, peraltro, sono compatibili con l'esame del rapporto (se interessa ho i dati) tra prodotto nazionale lordo e indici azionari, rapporto che nell'ultimo decennio è stato alterato da una repentina crescita dei corsi azionari.
 
Scritto da roundmidnight
Per il 2002/2003 abbiamo questa situazione relativa allo S&P:

- utili operativi 2002: minimo 44,30 - massimo 51.41;

- utili operativi 2003: minimo 54,00 - massimo 60,35.

Tenuto conto che i tassi a 10 anni sono a 5,12, si ha:

- valutazione S&P ad utili stimati 2002: minimo 865, 23/max 1004,10;

- valutazione S&P ad utili stimati 2003: minimo 1054,68/max 1178,71.



in base a quale parametro metti in relazione il range "valutazione S&P" con gli utili e le quotazioni del T-Bond?

Ciao e complimenti per l'intervento
;)
 
Il P/E deve essere visto prospetticamente perche' basta raddoppiare gli utili per dimezzare il P/E...guarderei con attenzione il cash flow e il prezzo/vendite...e perche' no anche il rapporto prezzo/mezzi propri.
Alex.
 
...discussione interessante....complimenti! ;)
 
Mentre per i titoli italiani è possibile stimare personalmente l'eps e determinare il p/e del Mib30, per i titoli americani occorre necessariamente fare riferimento alle stime di terzi.

Dette stime prevedono che gli utili 2002 aumenteranno in un range compreso tra il 14,03% e il 32,33% (un aumento degli utili almeno nel minimo della forchetta è compatibile con l'aumento previsto del GDP nel corrente anno).

Il calcolo è questo: 44,30/5,12 = S&P 865,23 (è una sorta di formula inversa: quanto devo pagare quello strumento finanziario che ad un tasso del 5,12% mi rende 44,30?).

Nel caso del massimo della forchetta 2002: 51,41/5,12 = 1004,10.

In Italia calcoliamo il p/e sulla base degli utili netti.

Quindi, occorre stimare l'utile netto 2002 rapportando all'utile operativo stimato per il 2002.

Per la stima degli utili netti 2002/2003 sarebbe preferibile aspettare il dato definitivo relativo al primo trimestre 2002.

Nell'ipotesi peggiore, cioè che gli utili netti aumentassero allo stesso tasso di crescita degli utili operativi (e non vennisse, pertanto, ripristinato l'equilibrio precedente), si avrebbe:

- utili netti 2002 min. 28,15 p/e 38,68;

- utili netti 2002 max 32,67 p/e 33,33;

- utili netti 2003 min. 34,32 p/e 31,73;

- utili netti 2003 max 38,35 p/e 28,39.

Ricordo che secondo una mia elaborazione nei mesi scorsi il nostro Mib30 ha avuto p/e di circa 18/20.
 
Tempo fa pubblicai un articolo di Salomon Smith Barney che ritengo interessante:

SUMMARY
* As we see it, many people mistakenly believe that the market P/E is too high relative to history.
* Low inflation is one buoy to higher P/E's and we would also remind investors that median multiples are not outlandish.
* The valuation dichotomy within the S&P 500 becomes very apparent when looking at the P/E's of the ten major sectors and by breaking the S&P 500 into quintiles.
* ISM new orders was at its highest level since 1994 and was the third month in a row above 50.
* We can see the grounds for a continued market rally led by the Industrials, Financials and Consumer Discretionary sectors.

Il seguito qui, se vi potesse interessare:
http://space.tin.it/economia/gmasetti/archivio_wall_street/wally_007.htm

Un altro articolo, sempre in tema, potrebbe esser questo:

"Focus on Earnings Not Interest Rates"

Il seguito qui:
http://space.tin.it/economia/gmasetti/archivio_wall_street/wally_015.htm

Buon weekend a tutti... io vado verso la pioggia di Venezia... :(
 
Scritto da roundmidnight
Il calcolo è questo: 44,30/5,12 = S&P 865,23 (è una sorta di formula inversa: quanto devo pagare quello strumento finanziario che ad un tasso del 5,12% mi rende 44,30?).

44,30 cos'è?

Scritto da roundmidnight


- utili netti 2002 min. 28,15 p/e 38,68;

- utili netti 2002 max 32,67 p/e 33,33;

- utili netti 2003 min. 34,32 p/e 31,73;

- utili netti 2003 max 38,35 p/e 28,39.

Ricordo che secondo una mia elaborazione nei mesi scorsi il nostro Mib30 ha avuto p/e di circa 18/20.

e 28,15...32,67..

utili di un indice??
Mi potresti spiegare meglio?
Ho una idea ma mi piacerebbe chiarire meglio il significato.
Ciao
 
Che sia iniziata la ripresa non lo discuto, anzi fui uno dei primi a dirlo. Quello che si sottovaluta è che per trovare utili come quelli registrati a fine 2001 bisogna tornare al 1993...

Pur essendo in una fase di ripresa, la borsa non decolla perchè occorre che gli utili tornino, con la gradualità che è necessaria, a livelli decenti.

Ciò determina trading range ed alta volatilità. Se si pensa che il massimo della forchetta utili 2003 (ancora tutti da dimostrare) porta ad una valutazione dello S&P a 1178, si comprende che nessuno vuole mettersi al rialzo con prezzi di carico ingiustificati. A quel punto meglio sfruttare il trading range.
 
Tralasciando il concetto di divisore di un indice, 44,30 è l'utile operativo medio stimato dei titoli componenti lo S&P.

E' meglio fare un esempio con il Mib30.

Nel Mib30 i titoli compaiono solo con le azioni ordinarie (facendo un inciso, il numero delle azioni è ovviamente variabile in relazione ad aumenti di capitale, esercizio di obbligazioni convertibili ecc.). Occorre quindi fare uno sforzo in più.

Di ciascuna azione dobbiamo prendere l'utile netto complessivo e dividerlo per tutte le azioni in circolazione, ordinarie e non. A quel punto avremo l'utile per azione o eps, earning per share.

Tenuto conto della struttura dell'indice andremo a moltiplicare l'utile per azione per il numero di azioni che compaiono nel paniere Mib30. A quel punto abbiamo l'utile complessivo di quella azione limitato però al paniere.

Analogo procedimento andrà seguito per tutte le azioni, comprese quelle con risultato negativo. Naturalmente, si determinerà una somma algebrica, nella quale i risultati delle aziende in perdita influiranno negativamente.

Moltiplicando la quotazione di ogni titolo per il numero delle azioni di ciascun titolo comprese nel paniere, avremo la capitalizzazione Mib30.

Dividendo la capitalizzazione complessiva per la somma algebrica trovata prima, avremo il p/e dell'indice.

A quel punto sarà semplice trovare il rendimento azionario (yeld) e fare la comparazione con quello obbligazionario.

p.s.: riproduzione libera però almeno citate, non dico l'autore, ma almeno FOL...
 
Scritto da storm
Leggo che il rapporto P/E è circa a 45 rispetto a una media che fino agli anni '90 viaggiava a circa 16 (su La Repubblica di oggi).

Vorrei capirne di più visto che il rapporto P/E da solo non credo basti e dovrebbe essere rapportato ai tassi vigenti.
45 potrebbe essere basso e 16 alto se confrontato con il tasso di interesse.
Per capirci i tassi all'1,75% rappresentano una specie di rendimento medio del sistema pari a circa 57 (100/1,75) rispetto al quale anche un P/E di 45 è a sconto.

Mentre 16 potrebbe essere caro se i tassi fossero al 7%, visto che il rendimento medio del sistema sarebbe in tal caso pari a circa 14 (100/7).

Sarebbe perciò utile esaminare nella sua evoluzione storica il rapporto P/E moltiplicato per il tasso di interesse (o qualche indicatore del genere).

Qualcuno ha dati in tal senso??

tira via tutti i titoli tecnologici

e la valutazione del mercato è corretta...
 
tira via wolly e vedrai ke la valutazione viene ankora meglio :D :D :D
 
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