Paradisi fiscali: il rientro dei capitali dalla Svizzera

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L’Agenzia delle entrate stima sino a oltre 300 miliardi di euro i patrimoni detenuti «in ombra» all’estero riconducibili a contribuenti italiani. Nel mondo, l’ex capo economista di McKinsey James Henry ha stimato nel 2012 i capitali offshore in 21 mila miliardi di dollari di soli depositi, più altri 10 in beni vari. Secondo l’Ocse, l’Europa perde ogni anno circa 1.000 miliardi di euro di entrate dai beni dei suoi contribuenti nei cosiddetti paradisi fiscali. Per questo il G8 di tre settimane fa ha dato una stretta generale, varando un decalogo che invita perentoriamente i paesi rifugio alla cooperazione e allo scambio di informazioni. Americani, tedeschi e francesi hanno usato i servizi per corrompere funzionari infedeli di grandi banche svizzere e mettere le mani sui dati dei propri contribuenti.

In Europa negli ultimi tre anni si è rincorso vanamente lo schema di accordi Rubik di cooperazione fiscale con la Svizzera. Non ha funzionato, l’aliquota di regolarizzazione era altissima e si chiedeva alle banche depositarie di funzionare da sostituto d’imposta. Alla fine l’Ue ha messo il proprio cappello su un’iniziativa diversa.

Lo schema è quello statunitense del Fatca (Foreign account tax compliance act), che dovrebbe entrare in vigore con diversi passaggi a partire dal 1° gennaio 2014. Tutti gli intermediari finanziari che operano nei paesi firmatari degli accordi Fatca saranno tenuti a segnalare la presenza tra i propri clienti di contribuenti Usa. Difficile immaginare ci si riesca con Turks Caicos o le Cayman, ma il mirino è puntato intanto verso Lussemburgo e Austria, dove in materia resta aperto un problema politico rilevante fra conservatori e sinistra. E la Svizzera, naturalmente, che come Italia ci interessa più direttamente.

Ma esiste nell’ordinamento la possibilità di un’emersione volontaria diversa dal normale ravvedimento operoso? La risposta è sì, esiste. Ovviamente è più facile se il patrimonio in ombra all’estero viene da un’eredità, visto che le sanzioni amministrative e penali si estinguono alla morte dell’autore delle violazioni e gli eredi rispondono limitatamente alle imposte non versate solo se ancora suscettibili di accertamento.

La cosa è più complicata dove invece sussistano responsabilità dirette per l’omessa compilazione del quadro Rw, sezione II e III della propria dichiarazione. Ma anche in quel caso nell’ordinamento attuale già esiste la possibilità di sanzioni pecuniarie ridotte, assolutamente interessanti per chi vuole spontaneamente emergere alla legalità. L’articolo 5 del decreto legge 167 del 28 giugno 1990, che viene aggiornato ogni anno in sede di legge europea, prevede aliquote da un minimo del 5 per cento per ogni anno fino al 2008, e nel disegno di legge europea per il 2013 l’aliquota diventa dal 3 per cento annuo fino a un massimo del 15 (con raddoppio previsto per i paesi che non escano da black list).

Direte voi a questo punto: come fare, se per caso uno fosse interessato, ma non si fida? Qui viene un altro aspetto interessante. Il contribuente dovrebbe munirsi di un professionista svizzero, se quello è il suo porto franco, che raccolga e detenga presso di sé tutte le informazioni su caratteristiche e storia del patrimonio, si tratti di conti gestiti fiduciari, gestioni patrimoniali, partecipazioni, polizze, immobili, metalli preziosi, trust o altro, anche attraverso società esterovestite. A quel punto il difensore o professionista italiano incaricato dal contribuente contatta l’Ucifi, l’Ufficio centrale per il contrasto agli illeciti fiscali internazionali, attraverso la sua sede centrale a Milano o attraverso l’ufficio provinciale di competenza dell’Agenzia delle entrate, e gli presenta una memoria. La memoria resta su base anonima e l’amministrazione fiscale la valuta per esprimersi sull’entità del prelievo fiscale e sanzionatorio. I dati del contribuente restano anonimi finché egli stesso non decida di accettare la proposta di emersione alla legalità formulata dall’amministrazione. Se aderisce, avviene la piena disclosure ma il patrimonio può anche restare dov’è, soggetto a imposta e legalizzato ma non sottoposto a reimpatrio coatto.

Il contribuente potrà così verificare la sua posizione anonimamente. Se emerge, potrà dedurre eventuali perdite subite dal patrimonio in questi anni di crisi. Potrà accedere ad agevolazioni sanzionatorie fino al 50 per cento del minimo applicabile, come dispone la legge. E potrà comunque gestire all’estero il patrimonio regolarizzato compilando il quadro Rw. Piuttosto che avere capitali all’estero senza poterne utilizzare, meglio accontentare lo Stato e vivere nella legalità.

Paradisi fiscali: il rientro dei capitali dalla Svizzera - Panorama

Non ero a conoscenza del fatto che fosse possibile fare rientrare capitali dalla Svizzera anche dopo lo scudo fiscale di 3monti, con delle sanzioni pecuniarie ridotte per l’omessa compilazione del quadro Rw.

Fatto salvo che i capitali siano leciti e dimostrabili, es. residente all'estero iscritto AIRE che dopo il rientro il Italia non ha mai dichiarato i soldi detenuti in conto cifrato svizzero.

Ma questa procedura di cui si parla è realmente percorribile, e, nel caso, a quanto ammonterebbe questa sanzione ridotta di cui si parla nell'articolo ?
 
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