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PATENTE A PUNTI – Già al collasso la situazione sulla perdita e recupero punti. Difetti e rimedi
Non solo inutili e costosi. Ora i corsi di recupero dei punti sulla patente rischiano addirittura di saltare. Il motivo? La Motorizzazione non ha più soldi per garantire l’operatività del CED, Centro elaborazione dati, che gestisce tutte le informazioni relative ai punti sulle patenti. C’è, quindi, il reale pericolo che questo cervellone elettronico si spenga. Definitivamente. Un disastro. Infatti, è a questo centro informatico che le forze dell’ordine comunicano le penalità da togliere sulle patenti; è sempre da qui che vengono inviati a casa degli automobilisti i certificati che indicano il punteggio perso, senza i quali nessuno può iscriversi a un corso di recupero. Infine, è sempre il CED che rimette i 6 punti sulle patenti appena riceve dagli uffici provinciali della Motorizzazione l’attestato di partecipazione ai corsi. Se si ferma il «cuore» di tutto il sistema che regola i meccanismi della patente a punti, sarà il caos. Tanto peggio, tanto meglio? Assolutamente no. Perché nel frattempo, vigili, poliziotti e carabinieri continueranno a togliere punti veri sulla patente degli automobilisti. E, quando si tireranno i conti, molti si accorgeranno, purtroppo, di dover rifare gli esami di teoria e di guida per poter ritornare a guidare la propria macchina. Ma al collasso non è solo il Centro elaborazione dati. Nell’indigenza è tutta la rete provinciale della Motorizzazione che ogni anno produce circa 2.100.000 patenti, 3.400.000 carte di circolazione, 980 mila revisioni di veicoli, 650.000 collaudi e omologazioni; inoltre, invia a domicilio 7.225.000 tagliandi per la conferma della validità della patente, per i cambi di residenza, per l’aggiornamento dei passaggi di proprietà. Non solo. La Motorizzazione vigila anche sulle officine che eseguono le revisioni e ora deve pure verificare tutto il complesso meccanismo della patente a punti. E domani dovrà addirittura esaminare 2.400.000 studenti che parteciperanno ai corsi per ottenere il patentino obbligatorio per poter guidare un motorino. Tutta questa attività rischia di bloccarsi. Questo scenario apocalittico è stato disegnato in una interrogazione sottoscritta da alcuni parlamentari al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. Primo firmatario, Franco Raffaldini, deputato DS, che avverte: «Alla Motorizzazione manca persino la carta, perché i fornitori si rifiutano di consegnarla. Prima vogliono dallo Stato il saldo delle fatture arretrate. A breve potrebbero tagliare i fili della luce e del telefono». I numeri. Che cosa c’è scritto di così disarmante in quella interrogazione? Le cifre, innanzitutto. Alla Motorizzazione sono stati tolti 43 milioni di euro, cioè una parte dei suoi introiti; poi è stato tagliato il 10 per cento sugli stanziamenti del 2002 e, infine, c’è stata anche una riduzione degli stanziamenti del 2003: in quest’ultimo caso, su un fabbisogno di 173 milioni di euro, ne sono stati consegnati solo 36. La conseguenza? «Questi tagli e riduzioni - sostiene Raffaldini - hanno comportato l’impossibilità di fare fronte alle spese di funzionamento degli uffici periferici e del Centro elaborazione dati (Ced) con conseguenze negative sulla sua operatività». Che cosa servirebbe per garantire il ritorno alla normalità alla Motorizzazione e per potenziare il CED dal momento che dal luglio scorso deve gestire tutte le informazioni sulla patente a punti? Secondo il parlamentare dei DS, oltre ai tradizionali stanziamenti, servirebbero per il Centro elaborazione dati almeno 12 milioni in più all’anno dal 2004 e fino al 2006. Poi è necessaria l’estinzione di 43 milioni di euro di debiti accumulati dai centri periferici della Motorizzazione. Infine c’è bisogno di 9 milioni di euro all’anno per assumere nuovo personale e 2,5 milioni di euro per il 2004 destinati alla formazione dei dipendenti. Potenziare. Un quadro troppo allarmistico quello esposto da Raffaldini che, stando all’opposizione, ha tutto l’interesse a mettere il governo in cattiva luce? Purtroppo no. Ecco, infatti, la risposta del vice ministro alle Infrastrutture e ai trasporti, Mario Tassone: «I nuovi compiti assegnati al Dipartimento (ovvero alla Motorizzazione, ndr) necessiterebbero sia di un potenziamento delle capacità operative del Centro elaborazione dati in termini di realizzazione e gestione di nuovi specifici applicativi sia di potenziamento sostanziale in termini di risorse umane e finanziarie per rendere più incisiva l’azione di questi uffici, in particolare del centro nord, che attualmente a causa di carenza di operatori specializzati e della costante riduzione dei fondi per spese di funzionamento sono al limite della paralisi operativa. Risulta in tutta evidenza la gravità della situazione ancor più con riferimento ai nuovi compiti assegnati all’Amministrazione [...].» Inoltre, prosegue Tassone, «qualora l’Amministrazione, a causa della carenza di risorse, non potesse attendere ai nuovi compiti esporrebbe lo Stato ad un grave danno di immagine attesa l’importanza che l’argomento riveste anche a livello europeo e renderebbe l’azione intrapresa con i provvedimenti legislativi adottati inefficace». Capito? Al di là del burocratese, alcuni fatti emergono evidenti: siamo alla paralisi operativa della Motorizzazione e se la normativa sulla patente a punti non potesse essere applicata perché mancano i soldi, non solo rischieremmo di fare una figuraccia in Europa, ma la patente a punti non sarebbe più un deterrente per chi non rispetta le regole del Codice della Strada. Un vero peccato. L’introduzione della patente a punti, infatti, è stata un fattore positivo perché nel giro di pochi mesi ha fatto crollare il numero di incidenti, morti e feriti del 22 per cento. Certo, nessuna riforma è subito perfetta, e infatti alcune norme potrebbero essere migliorate, introducendo persino penalità più severe per i comportamenti pericolosi. Ma nessuno ha mai dubitato della bontà di questa rivoluzione che ha cambiato le abitudini di milioni di automobilisti, camionisti e motociclisti. Un invito a riflettere. La nostra critica è puntata sui corsi di recupero perché così come sono stati pensati, sono inutili. Infatti, basta la semplice presenza alle lezioni per recuperare sei punti persi. Non è richiesta, insomma, la comprensione della gravità delle infrazioni commesse. Corsi inutili, costosi (si possono spendere, in media, dai 150 ai 300 euro) e fino a oggi addirittura corsi fantasma: nonostante le 88.000 comunicazioni di perdita di punti inviate dalla Motorizzazione nelle case degli automobilisti, per quanto è noto, nessuna lezione è stata ancora iniziata nelle migliaia di autoscuole sparse sulla penisola. Attenzione. Ma c’è dell’altro che preoccupa: la vigilanza sul regolare svolgimento dei corsi di recupero nelle autoscuole. Un compito che spetta alle amministrazioni provinciali. Devono controllare, cioè, che gli automobilisti iscritti al corso siano davvero presenti “in aula”. Potrebbe, infatti, succedere che qualche operatore venda il certificato di presenza dietro un lauto compenso. Non c’è da meravigliarsi: in Italia, per i soldi, si sono vendute patenti, si è chiuso un occhio sulle visite mediche e addirittura due occhi sulle revisioni. Per questo, chi vigilerà sulla serietà dei corsi di recupero dovrà essere una persona investita di compiti o funzioni di polizia giudiziaria. In parole povere, sarà un agente delle forze dell’ordine. Lo sostiene espressamente Francesco Nuzzo, sostituto Procuratore generale presso la Corte d’appello di Brescia, e membro della commissione giuridica dell’ACI. «L’importanza dei corsi di recupero - avverte il magistrato, - impone un rigore nei controlli non solo nei confronti dei titolari delle autoscuole, ma anche di coloro che frequentano i corsi. Questi ultimi, addirittura, possono essere identificati in modo da conoscere se effettivamente si tratti proprio degli interessati iscritti al corso. L’obiettivo da raggiungere, infatti, è quello di evitare frodi in un settore particolarmente delicato come è quello delle patenti». Tutto chiaro. Ma le province sono attrezzate per questi compiti di vigilanza? Assolutamente no. I risultati della nostra inchiesta presso alcune amministrazioni provinciali (vedi riquadro) sono allarmanti. Alcune non conoscono la normativa, altre non dispongono di agenti di polizia giudiziaria, altre aspettano ancora delucidazioni dalla Motorizzazione ormai a cinque mesi di distanza dall’introduzione della patente a punti. Insomma, la confusione regna sovrana in chi dovrebbe far rispettare la legge. LA NOSTRA PROPOSTA Per evitare che i corsi per il recupero dei punti sulla patente risultino superflui, costosi e possano addirittura dare adito a comportamenti poco trasparenti, l’ACI ha avanzato una proposta che noi sosteniamo. Nessuna lezione in aula, ma una punizione alternativa: un periodo, cioè, da trascorrere nei pronto soccorso degli ospedali o come volontari sulle autoambulanze o, ancora, come assistenti domiciliari dei grandi infortunati in incidenti stradali. In modo tale che gli automobilisti meno disciplinati si rendano conto, di persona, degli effetti devastanti che possono derivare dall’inosservanza delle regole del Codice della strada. Meglio questa esperienza di vita di tante inutili ore passate a far finta di seguire un corso teorico di educazione stradale. Tu cosa ne pensi? Scrivi a: Posta Auto oggi c.p. 1000, 20185 Milano. Oppure manda una mail: autooggi@mondadori.it
PATENTE A PUNTI – Già al collasso la situazione sulla perdita e recupero punti. Difetti e rimedi
Non solo inutili e costosi. Ora i corsi di recupero dei punti sulla patente rischiano addirittura di saltare. Il motivo? La Motorizzazione non ha più soldi per garantire l’operatività del CED, Centro elaborazione dati, che gestisce tutte le informazioni relative ai punti sulle patenti. C’è, quindi, il reale pericolo che questo cervellone elettronico si spenga. Definitivamente. Un disastro. Infatti, è a questo centro informatico che le forze dell’ordine comunicano le penalità da togliere sulle patenti; è sempre da qui che vengono inviati a casa degli automobilisti i certificati che indicano il punteggio perso, senza i quali nessuno può iscriversi a un corso di recupero. Infine, è sempre il CED che rimette i 6 punti sulle patenti appena riceve dagli uffici provinciali della Motorizzazione l’attestato di partecipazione ai corsi. Se si ferma il «cuore» di tutto il sistema che regola i meccanismi della patente a punti, sarà il caos. Tanto peggio, tanto meglio? Assolutamente no. Perché nel frattempo, vigili, poliziotti e carabinieri continueranno a togliere punti veri sulla patente degli automobilisti. E, quando si tireranno i conti, molti si accorgeranno, purtroppo, di dover rifare gli esami di teoria e di guida per poter ritornare a guidare la propria macchina. Ma al collasso non è solo il Centro elaborazione dati. Nell’indigenza è tutta la rete provinciale della Motorizzazione che ogni anno produce circa 2.100.000 patenti, 3.400.000 carte di circolazione, 980 mila revisioni di veicoli, 650.000 collaudi e omologazioni; inoltre, invia a domicilio 7.225.000 tagliandi per la conferma della validità della patente, per i cambi di residenza, per l’aggiornamento dei passaggi di proprietà. Non solo. La Motorizzazione vigila anche sulle officine che eseguono le revisioni e ora deve pure verificare tutto il complesso meccanismo della patente a punti. E domani dovrà addirittura esaminare 2.400.000 studenti che parteciperanno ai corsi per ottenere il patentino obbligatorio per poter guidare un motorino. Tutta questa attività rischia di bloccarsi. Questo scenario apocalittico è stato disegnato in una interrogazione sottoscritta da alcuni parlamentari al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. Primo firmatario, Franco Raffaldini, deputato DS, che avverte: «Alla Motorizzazione manca persino la carta, perché i fornitori si rifiutano di consegnarla. Prima vogliono dallo Stato il saldo delle fatture arretrate. A breve potrebbero tagliare i fili della luce e del telefono». I numeri. Che cosa c’è scritto di così disarmante in quella interrogazione? Le cifre, innanzitutto. Alla Motorizzazione sono stati tolti 43 milioni di euro, cioè una parte dei suoi introiti; poi è stato tagliato il 10 per cento sugli stanziamenti del 2002 e, infine, c’è stata anche una riduzione degli stanziamenti del 2003: in quest’ultimo caso, su un fabbisogno di 173 milioni di euro, ne sono stati consegnati solo 36. La conseguenza? «Questi tagli e riduzioni - sostiene Raffaldini - hanno comportato l’impossibilità di fare fronte alle spese di funzionamento degli uffici periferici e del Centro elaborazione dati (Ced) con conseguenze negative sulla sua operatività». Che cosa servirebbe per garantire il ritorno alla normalità alla Motorizzazione e per potenziare il CED dal momento che dal luglio scorso deve gestire tutte le informazioni sulla patente a punti? Secondo il parlamentare dei DS, oltre ai tradizionali stanziamenti, servirebbero per il Centro elaborazione dati almeno 12 milioni in più all’anno dal 2004 e fino al 2006. Poi è necessaria l’estinzione di 43 milioni di euro di debiti accumulati dai centri periferici della Motorizzazione. Infine c’è bisogno di 9 milioni di euro all’anno per assumere nuovo personale e 2,5 milioni di euro per il 2004 destinati alla formazione dei dipendenti. Potenziare. Un quadro troppo allarmistico quello esposto da Raffaldini che, stando all’opposizione, ha tutto l’interesse a mettere il governo in cattiva luce? Purtroppo no. Ecco, infatti, la risposta del vice ministro alle Infrastrutture e ai trasporti, Mario Tassone: «I nuovi compiti assegnati al Dipartimento (ovvero alla Motorizzazione, ndr) necessiterebbero sia di un potenziamento delle capacità operative del Centro elaborazione dati in termini di realizzazione e gestione di nuovi specifici applicativi sia di potenziamento sostanziale in termini di risorse umane e finanziarie per rendere più incisiva l’azione di questi uffici, in particolare del centro nord, che attualmente a causa di carenza di operatori specializzati e della costante riduzione dei fondi per spese di funzionamento sono al limite della paralisi operativa. Risulta in tutta evidenza la gravità della situazione ancor più con riferimento ai nuovi compiti assegnati all’Amministrazione [...].» Inoltre, prosegue Tassone, «qualora l’Amministrazione, a causa della carenza di risorse, non potesse attendere ai nuovi compiti esporrebbe lo Stato ad un grave danno di immagine attesa l’importanza che l’argomento riveste anche a livello europeo e renderebbe l’azione intrapresa con i provvedimenti legislativi adottati inefficace». Capito? Al di là del burocratese, alcuni fatti emergono evidenti: siamo alla paralisi operativa della Motorizzazione e se la normativa sulla patente a punti non potesse essere applicata perché mancano i soldi, non solo rischieremmo di fare una figuraccia in Europa, ma la patente a punti non sarebbe più un deterrente per chi non rispetta le regole del Codice della Strada. Un vero peccato. L’introduzione della patente a punti, infatti, è stata un fattore positivo perché nel giro di pochi mesi ha fatto crollare il numero di incidenti, morti e feriti del 22 per cento. Certo, nessuna riforma è subito perfetta, e infatti alcune norme potrebbero essere migliorate, introducendo persino penalità più severe per i comportamenti pericolosi. Ma nessuno ha mai dubitato della bontà di questa rivoluzione che ha cambiato le abitudini di milioni di automobilisti, camionisti e motociclisti. Un invito a riflettere. La nostra critica è puntata sui corsi di recupero perché così come sono stati pensati, sono inutili. Infatti, basta la semplice presenza alle lezioni per recuperare sei punti persi. Non è richiesta, insomma, la comprensione della gravità delle infrazioni commesse. Corsi inutili, costosi (si possono spendere, in media, dai 150 ai 300 euro) e fino a oggi addirittura corsi fantasma: nonostante le 88.000 comunicazioni di perdita di punti inviate dalla Motorizzazione nelle case degli automobilisti, per quanto è noto, nessuna lezione è stata ancora iniziata nelle migliaia di autoscuole sparse sulla penisola. Attenzione. Ma c’è dell’altro che preoccupa: la vigilanza sul regolare svolgimento dei corsi di recupero nelle autoscuole. Un compito che spetta alle amministrazioni provinciali. Devono controllare, cioè, che gli automobilisti iscritti al corso siano davvero presenti “in aula”. Potrebbe, infatti, succedere che qualche operatore venda il certificato di presenza dietro un lauto compenso. Non c’è da meravigliarsi: in Italia, per i soldi, si sono vendute patenti, si è chiuso un occhio sulle visite mediche e addirittura due occhi sulle revisioni. Per questo, chi vigilerà sulla serietà dei corsi di recupero dovrà essere una persona investita di compiti o funzioni di polizia giudiziaria. In parole povere, sarà un agente delle forze dell’ordine. Lo sostiene espressamente Francesco Nuzzo, sostituto Procuratore generale presso la Corte d’appello di Brescia, e membro della commissione giuridica dell’ACI. «L’importanza dei corsi di recupero - avverte il magistrato, - impone un rigore nei controlli non solo nei confronti dei titolari delle autoscuole, ma anche di coloro che frequentano i corsi. Questi ultimi, addirittura, possono essere identificati in modo da conoscere se effettivamente si tratti proprio degli interessati iscritti al corso. L’obiettivo da raggiungere, infatti, è quello di evitare frodi in un settore particolarmente delicato come è quello delle patenti». Tutto chiaro. Ma le province sono attrezzate per questi compiti di vigilanza? Assolutamente no. I risultati della nostra inchiesta presso alcune amministrazioni provinciali (vedi riquadro) sono allarmanti. Alcune non conoscono la normativa, altre non dispongono di agenti di polizia giudiziaria, altre aspettano ancora delucidazioni dalla Motorizzazione ormai a cinque mesi di distanza dall’introduzione della patente a punti. Insomma, la confusione regna sovrana in chi dovrebbe far rispettare la legge. LA NOSTRA PROPOSTA Per evitare che i corsi per il recupero dei punti sulla patente risultino superflui, costosi e possano addirittura dare adito a comportamenti poco trasparenti, l’ACI ha avanzato una proposta che noi sosteniamo. Nessuna lezione in aula, ma una punizione alternativa: un periodo, cioè, da trascorrere nei pronto soccorso degli ospedali o come volontari sulle autoambulanze o, ancora, come assistenti domiciliari dei grandi infortunati in incidenti stradali. In modo tale che gli automobilisti meno disciplinati si rendano conto, di persona, degli effetti devastanti che possono derivare dall’inosservanza delle regole del Codice della strada. Meglio questa esperienza di vita di tante inutili ore passate a far finta di seguire un corso teorico di educazione stradale. Tu cosa ne pensi? Scrivi a: Posta Auto oggi c.p. 1000, 20185 Milano. Oppure manda una mail: autooggi@mondadori.it