Perchè BENIGNI da fastidio....

  • Callable Equity Protection 100 di Societe Generale – capitale protetto a scadenza e premio lordo di richiamo dell’1% mensile (12% su base annua)

    Da Société Générale un tris di Callable Equity Protection 100 con premio di richiamo dell’1% mensile e protezione del 100% a scadenza. Per questa emissione SG ha deciso di puntare su un meccanismo detto “Callable”, innovativo per il mondo dei certificati, che prevede che il possibile richiamo anticipato non sia legato ad una determinata barriera, ma possa avvenire in un qualsiasi mese a discrezione dell’emittente. I possibili sottostanti sono Enel (ISIN certificato XS2395029114), ENI (ISIN certificato XS2395029205) e Intesa Sanpaolo (ISIN certificato XS2395029387)
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Il geniale, l’aristotelico (sì, proprio aristotelico nell’ispirazione ideale) Roberto Benigni, che celebra non solo la bellezza ma canta addirittura la superiore dignità etica della politica, ha creato scompiglio. Dopo anni di distruzione pianificata della bellezza della politica (anche Tornatore ne aveva parlato in un suo film che incorniciava la dolce memoria della militanza lontana), è imperdonabile che proprio un comico rivendichi una così elevata concezione della nobiltà dell’agire politico.

E se Galli della Loggia sul Corriere reprime il suo disappunto (si limita a un punto esclamativo) innanzi a un simile inaudito spettacolo (che fa della Carta «oggetto delle divagazioni di un comico»), Maurizio Belpietro non si trattiene. E, in un editoriale di Libero, colpisce duro il «Robertaccio che prendeva in braccio Berlinguer» e ora pretende di parlare di politica e Costituzione. Suscita uno scandalo immenso un artista che non attraversa a nuoto lo stretto di Messina o che non ci sta a far da comprimario nello stupido coro del conformismo antipolitico. E allora l’insofferente Belpietro, cioè lo stesso sedicente apostolo del mercato che denuncia il puzzo sovietizzante impresso nella nozione di lavoro scolpito nella Carta, scatta subito per rimproverare a Benigni di essere «il milionario».
E il libero mercato, e l’incontro tra domanda e offerta, che tanto stanno a cuore del liberale Belpietro? Al solito, questi articoli di fede vanno subito mandati alla malora quando premiano un artista che nelle sue idee osa rimanere ancora legato al lavoro. Il fatto è che Benigni non si accoda a quell’astioso ronzio che a reti unificate predica senza tregua contro la politica. In un tempo di ricchi sfondati che comprano giornali per dire basta ai politici o di frenetici capitalisti che creano partiti e liste personali per tentare la scalata al governo, di davvero dissacrante (per smascherare il potere vero, non quello di comodo), non c’è altro che recuperare la celebrazione aristotelica del primato della politica.

Il prodotto più grande della politica italiana novecentesca, di quell’incontro storico eccezionale che spinse tutti (Palmiro, Alcide, Nenni, come si esprime Benigni) a dare il meglio sul piano della progettazione culturale, è senza dubbio la Costituzione repubblicana. Un capolavoro. Con un tocco di sublime acutezza, Benigni ha reso con trasparenza, e forse meglio di molti interpreti professionali, il senso del principio di solidarietà che la pervade nel profondo.
La doverosità dell’essere solidali, ha suggerito il comico con un autentico lampo di rischiaramento concettuale, equivale a istituzionalizzare una passione. È come se il principio psicologico di Hume della simpatia, intesa come passione del soggetto che lo porta a prestare cura anche al disagio degli altri, venisse riconosciuto per legge e proposto come pilastro della pubblica città.

Quando Benigni ha rammentato la distinzione tra lavoro (nozione allargata che comprende più figure, attività e soggetti) e lavoratore (nozione più ristretta e con una venatura classista) ha mostrato di saperne molto di più, sul fondamento materiale della Repubblica, di tanti suoi seriosi censori che suppongono che chi maneggia metafore non possa poi veicolare pensieri. Fanno finta di avere la puzza sotto il naso dinanzi all’affronto di un comico che con parole e segni poetici si azzarda a parlare di Costituzione. In realtà provoca rabbia il fatto che, combinando con una straordinaria efficacia immagini e retorica, concetti e metafore, senso e significato, Benigni abbia colto, e trasmesso plasticamente a un vasto pubblico, la grandezza ideale persistente della Carta del ’48.
C’è una forte componente della politica italiana, che Belpietro rappresenta senza infingimenti, che il progetto di società tracciato nella Costituzione lo avversa alla radice e non esita per questo a svelare «la menzogna della Repubblica fondata sul lavoro». Lavoro, solidarietà, eguaglianza, diritti sono parole che ancora destano resistenze e il comico che, con i suoi peculiari simboli e con le sue specifiche immagini, invece riesce a farne dei concetti concreti e a dare loro una sostanza vitale merita l’irrisione. Benigni procura un senso di fastidio a Belpietro o Della Loggia non già perché abbia ridotto le cose serie a barzelletta, come scrive Libero. «Robertaccio» fa arrabbiare perché ha disvelato la fecondità valoriale inesauribile di quell’antico compromesso firmato nel 1947 da Palmiro, Alcide e Nenni (e altri ancora).
 
Il geniale, l’aristotelico (sì, proprio aristotelico nell’ispirazione ideale) Roberto Benigni, che celebra non solo la bellezza ma canta addirittura la superiore dignità etica della politica, ha creato scompiglio. Dopo anni di distruzione pianificata della bellezza della politica (anche Tornatore ne aveva parlato in un suo film che incorniciava la dolce memoria della militanza lontana), è imperdonabile che proprio un comico rivendichi una così elevata concezione della nobiltà dell’agire politico.

E se Galli della Loggia sul Corriere reprime il suo disappunto (si limita a un punto esclamativo) innanzi a un simile inaudito spettacolo (che fa della Carta «oggetto delle divagazioni di un comico»), Maurizio Belpietro non si trattiene. E, in un editoriale di Libero, colpisce duro il «Robertaccio che prendeva in braccio Berlinguer» e ora pretende di parlare di politica e Costituzione. Suscita uno scandalo immenso un artista che non attraversa a nuoto lo stretto di Messina o che non ci sta a far da comprimario nello stupido coro del conformismo antipolitico. E allora l’insofferente Belpietro, cioè lo stesso sedicente apostolo del mercato che denuncia il puzzo sovietizzante impresso nella nozione di lavoro scolpito nella Carta, scatta subito per rimproverare a Benigni di essere «il milionario».
E il libero mercato, e l’incontro tra domanda e offerta, che tanto stanno a cuore del liberale Belpietro? Al solito, questi articoli di fede vanno subito mandati alla malora quando premiano un artista che nelle sue idee osa rimanere ancora legato al lavoro. Il fatto è che Benigni non si accoda a quell’astioso ronzio che a reti unificate predica senza tregua contro la politica. In un tempo di ricchi sfondati che comprano giornali per dire basta ai politici o di frenetici capitalisti che creano partiti e liste personali per tentare la scalata al governo, di davvero dissacrante (per smascherare il potere vero, non quello di comodo), non c’è altro che recuperare la celebrazione aristotelica del primato della politica.

Il prodotto più grande della politica italiana novecentesca, di quell’incontro storico eccezionale che spinse tutti (Palmiro, Alcide, Nenni, come si esprime Benigni) a dare il meglio sul piano della progettazione culturale, è senza dubbio la Costituzione repubblicana. Un capolavoro. Con un tocco di sublime acutezza, Benigni ha reso con trasparenza, e forse meglio di molti interpreti professionali, il senso del principio di solidarietà che la pervade nel profondo.
La doverosità dell’essere solidali, ha suggerito il comico con un autentico lampo di rischiaramento concettuale, equivale a istituzionalizzare una passione. È come se il principio psicologico di Hume della simpatia, intesa come passione del soggetto che lo porta a prestare cura anche al disagio degli altri, venisse riconosciuto per legge e proposto come pilastro della pubblica città.

Quando Benigni ha rammentato la distinzione tra lavoro (nozione allargata che comprende più figure, attività e soggetti) e lavoratore (nozione più ristretta e con una venatura classista) ha mostrato di saperne molto di più, sul fondamento materiale della Repubblica, di tanti suoi seriosi censori che suppongono che chi maneggia metafore non possa poi veicolare pensieri. Fanno finta di avere la puzza sotto il naso dinanzi all’affronto di un comico che con parole e segni poetici si azzarda a parlare di Costituzione. In realtà provoca rabbia il fatto che, combinando con una straordinaria efficacia immagini e retorica, concetti e metafore, senso e significato, Benigni abbia colto, e trasmesso plasticamente a un vasto pubblico, la grandezza ideale persistente della Carta del ’48.
C’è una forte componente della politica italiana, che Belpietro rappresenta senza infingimenti, che il progetto di società tracciato nella Costituzione lo avversa alla radice e non esita per questo a svelare «la menzogna della Repubblica fondata sul lavoro». Lavoro, solidarietà, eguaglianza, diritti sono parole che ancora destano resistenze e il comico che, con i suoi peculiari simboli e con le sue specifiche immagini, invece riesce a farne dei concetti concreti e a dare loro una sostanza vitale merita l’irrisione. Benigni procura un senso di fastidio a Belpietro o Della Loggia non già perché abbia ridotto le cose serie a barzelletta, come scrive Libero. «Robertaccio» fa arrabbiare perché ha disvelato la fecondità valoriale inesauribile di quell’antico compromesso firmato nel 1947 da Palmiro, Alcide e Nenni (e altri ancora).
E' un comico di sinistra e le sue metafore ambigue a me personalmente non fanno più ridere e quando lo vedo in TV cambio canale .Quando la RAI dice che in 5milioni hanno visto Benigni,questo dato mi conforta in quanto altri 45milioni non lo hanno visto.Non mi fa più ridere neppure la Littizzetto che è la sorella di Benigni e quando la vedo in TV cambio canale. Beppe Grillo invece è un grandissimo comico satirico il più grande di tutti i tempi.Ha creato sì un movimento politico,ma la sua intelligenza di grande artista non è ambigua è esposta a se stesso.Vittorio Gassman era un grandissimo comico che non creerebbe scompiglio in Campidoglio e mai penserebbe di prendere in braccio un "Berlinguer".
 
Il geniale, l’aristotelico (sì, proprio aristotelico nell’ispirazione ideale) Roberto Benigni, che celebra non solo la bellezza ma canta addirittura la superiore dignità etica della politica, ha creato scompiglio. Dopo anni di distruzione pianificata della bellezza della politica (anche Tornatore ne aveva parlato in un suo film che incorniciava la dolce memoria della militanza lontana), è imperdonabile che proprio un comico rivendichi una così elevata concezione della nobiltà dell’agire politico.

E se Galli della Loggia sul Corriere reprime il suo disappunto (si limita a un punto esclamativo) innanzi a un simile inaudito spettacolo (che fa della Carta «oggetto delle divagazioni di un comico»), Maurizio Belpietro non si trattiene. E, in un editoriale di Libero, colpisce duro il «Robertaccio che prendeva in braccio Berlinguer» e ora pretende di parlare di politica e Costituzione. Suscita uno scandalo immenso un artista che non attraversa a nuoto lo stretto di Messina o che non ci sta a far da comprimario nello stupido coro del conformismo antipolitico. E allora l’insofferente Belpietro, cioè lo stesso sedicente apostolo del mercato che denuncia il puzzo sovietizzante impresso nella nozione di lavoro scolpito nella Carta, scatta subito per rimproverare a Benigni di essere «il milionario».
E il libero mercato, e l’incontro tra domanda e offerta, che tanto stanno a cuore del liberale Belpietro? Al solito, questi articoli di fede vanno subito mandati alla malora quando premiano un artista che nelle sue idee osa rimanere ancora legato al lavoro. Il fatto è che Benigni non si accoda a quell’astioso ronzio che a reti unificate predica senza tregua contro la politica. In un tempo di ricchi sfondati che comprano giornali per dire basta ai politici o di frenetici capitalisti che creano partiti e liste personali per tentare la scalata al governo, di davvero dissacrante (per smascherare il potere vero, non quello di comodo), non c’è altro che recuperare la celebrazione aristotelica del primato della politica.

Il prodotto più grande della politica italiana novecentesca, di quell’incontro storico eccezionale che spinse tutti (Palmiro, Alcide, Nenni, come si esprime Benigni) a dare il meglio sul piano della progettazione culturale, è senza dubbio la Costituzione repubblicana. Un capolavoro. Con un tocco di sublime acutezza, Benigni ha reso con trasparenza, e forse meglio di molti interpreti professionali, il senso del principio di solidarietà che la pervade nel profondo.
La doverosità dell’essere solidali, ha suggerito il comico con un autentico lampo di rischiaramento concettuale, equivale a istituzionalizzare una passione. È come se il principio psicologico di Hume della simpatia, intesa come passione del soggetto che lo porta a prestare cura anche al disagio degli altri, venisse riconosciuto per legge e proposto come pilastro della pubblica città.

Quando Benigni ha rammentato la distinzione tra lavoro (nozione allargata che comprende più figure, attività e soggetti) e lavoratore (nozione più ristretta e con una venatura classista) ha mostrato di saperne molto di più, sul fondamento materiale della Repubblica, di tanti suoi seriosi censori che suppongono che chi maneggia metafore non possa poi veicolare pensieri. Fanno finta di avere la puzza sotto il naso dinanzi all’affronto di un comico che con parole e segni poetici si azzarda a parlare di Costituzione. In realtà provoca rabbia il fatto che, combinando con una straordinaria efficacia immagini e retorica, concetti e metafore, senso e significato, Benigni abbia colto, e trasmesso plasticamente a un vasto pubblico, la grandezza ideale persistente della Carta del ’48.
C’è una forte componente della politica italiana, che Belpietro rappresenta senza infingimenti, che il progetto di società tracciato nella Costituzione lo avversa alla radice e non esita per questo a svelare «la menzogna della Repubblica fondata sul lavoro». Lavoro, solidarietà, eguaglianza, diritti sono parole che ancora destano resistenze e il comico che, con i suoi peculiari simboli e con le sue specifiche immagini, invece riesce a farne dei concetti concreti e a dare loro una sostanza vitale merita l’irrisione. Benigni procura un senso di fastidio a Belpietro o Della Loggia non già perché abbia ridotto le cose serie a barzelletta, come scrive Libero. «Robertaccio» fa arrabbiare perché ha disvelato la fecondità valoriale inesauribile di quell’antico compromesso firmato nel 1947 da Palmiro, Alcide e Nenni (e altri ancora).

Come succede quasi sempre ci sono persone che,
ottenebrate dal pregiudizio di parte, si permettono di
criticare qualcosa che, a loro stesso dire, si sono ben
guardate di vedere, e questo da già la misura della
obiettività del giudizio stesso.
Personalmente, avendo visto la trasmissione ritengo
che per un popolo cresciuto a grandi fratelli e isole
dei famosi, solo cresciuto ma non diventato
sufficientemente adulto e per questo votato ad
un qualunquismo sterile, una ripassata di certi principi
fondamentali non possa aver fatto che bene. Benigni
mi ha riportato alla memoria un mio vecchio prof
di diritto che , malgrado
la materia fredda e a volte noiosissima, con la sua
passione e la sua creativa
dialettica riusciva, quasi ipnotizzandoci,
a trattenere la nostra attenzione anche per
due ore di fila. Benigni non è stato da meno.

P.S. Per la cronaca gli spettatori sono stati
12,6 milioni (e non 5milioni) per uno share del 44%.
 
Non mi da fastidio....non mi piace.

Benigni piace ai sinistri e sta sulle balle ai destri perchè rivendica sempre implicitamente una superiorità morale di diritto e praticamente ereditaria per chi è di sinistra e lo fa con lo sberleffo, diretto sempre a senso unico.

Grillo colpisce a tutto tondo ed è pragmatico, non rivendica superiorità di diritto come fa la sinistra ma parla di regole comportamentali da implementare partendo dal basso.
 
Come succede quasi sempre ci sono persone che,
ottenebrate dal pregiudizio di parte, si permettono di
criticare qualcosa che, a loro stesso dire, si sono ben
guardate di vedere, e questo da già la misura della
obiettività del giudizio stesso.
Personalmente, avendo visto la trasmissione ritengo
che per un popolo cresciuto a grandi fratelli e isole
dei famosi, solo cresciuto ma non diventato
sufficientemente adulto e per questo votato ad
un qualunquismo sterile, una ripassata di certi principi
fondamentali non possa aver fatto che bene. Benigni
mi ha riportato alla memoria un mio vecchio prof
di diritto che , malgrado
la materia fredda e a volte noiosissima, con la sua
passione e la sua creativa
dialettica riusciva, quasi ipnotizzandoci,
a trattenere la nostra attenzione anche per
due ore di fila. Benigni non è stato da meno.

P.S. Per la cronaca gli spettatori sono stati
12,6 milioni (e non 5milioni) per uno share del 44%.


benigni lo conosco da quando apparve in tv da arbore nel programma l'altra domenica e poi in un altro programma sempre rai di cui non ricordo il nome.personalmente non mi è mai piaciuto, ne mi ha mai fatto ridere, ho trovato patetico anche il suo (tentare) di recitare la divina commedia. ma Gassman era qualcuno?
non parlo x pregiudizio o mancanza di obbiettività, o perchè sono di destra.detesto la politica e i patetici schieramenti che la rappresentano e detesto anche coloro che hanno una tessera di partito, questi si incapaci di qualsiasi giudizio critico.

riguardo lo share , la novità ha il suo peso, passa benigni tutti i giorni e vedi come la percentuale crolla.

trovo altresì patetico farsi un nick nuovo x aprire due 3d uguali in due sezioni diverse.
 
Benigni nella presentazione del suo programma ha detto:
Gli autori della Costituzione ci hanno illuminato la strada della felicità con regole semplici semplici, i dodici principi fondamentali» che «tanti Stati hanno copiato». La Costituzione è un'opera che «è ancora viva, come la cupola del Brunelleschi», ha detto ancora Benigni. Insomma, secondo il Premio Oscar, come Dante ha scritto la Divina Commedia così i nostri padri costituenti – e non Honoré de Balzac, il creatore del ciclo la ‘Comédie humaine’, il grande reazionario che tanto piaceva a Karl Marx – hanno scritto l’Umana Commedia. Benigni è effettivamente un comico coi controfiocchi: paragonare gli estensori della nostra Magna Carta a Dante e a Brunelleschi significa avere un’immaginazione focosa e sconfinata fatta apposta per commuovere.
 
Diceva Ennio Flaiano che in Italia ci sono due specie di fascismo: il fascismo e l’antifascismo. La trasmissione di Roberto Benigni ne è la più convincente riprova. I «dodici principi fondamentali» che «tanti Stati hanno copiato» riportano alla mente refrain antichi, vanterie provincialotte delle quali oggi siamo portati a vergognarci e sulle quali il Tempo ha disteso il suo velo pietoso. Sulla ‘Critica Fascista’ del 15 novembre 1927-VI, si poteva leggere: «Lo Stato corporativo rappresenta forse la più degna e completa affermazione del Fascismo dinanzi al mondo. Il richiamo più severo che da settanta anni sia stato fatto alla Nazione italiana per metterla di fronte ai propri bisogni e alle proprie responsabilità; il tentativo più audace del mondo moderno di interpretare organicamente il complesso sociale. Soltanto attraverso lo Stato corporativo noi possiamo affermare di aver superato il liberalismo, di aver integrata e trasformata la democrazia, di aver distrutto i miti e raccolto le verità del socialismo. Chi dubita o è scettico dinanzi all’esperimento corporativo deve essere considerato un disfattista del Fascismo».
 
E qualcosa non va, qualcosa manca ....

L'UCCELLETTO

Proprio ho sperato che volasse via,
e non cantasse sempre davanti a casa mia;
gli ho battuto le mani dal limitare
quando non l'ho potuto più sopportare.
Mio in parte il torto dev'essere stato.
L'uccelletto non era stonato.
E qualcosa non va, qualcosa manca
In chi vuol far tacere uno che canta

Robert Frost

Un uccelletto canta, qualcuno non lo sopporta e lo scaccia.
Questo è l'episodio che ci viene raccontato nella prima parte della poesia. Ma l'aneddoto,
reale o inventato, serve al poeta soltanto per arrivare alla riflessione di carattere generale che
è espressa negli ultimi versi.. far tacere uno che canta, uno cioè che fa sentire con libertà
e disinteresse la sua voce (può essere qualsiasi uomo, può essere proprio un poeta), è una colpa,
è il segno che ci manca qualcosa (la curiosità? la comprensione? la tolleranza?).
 
Perché Benigni dà fastidio?

Perché Benigni dà fastidio?
Perché ci "sbatte" in faccia una realtà che non
vorremmo vedere:

Un comico a spiegare la Costituzione,
un' altro comico per far la rivoluzione.


Che ci vuole di più per capire a che passi stiamo :) :'(
 
Non mi da fastidio....non mi piace.

Benigni piace ai sinistri e sta sulle balle ai destri perchè rivendica sempre implicitamente una superiorità morale di diritto e praticamente ereditaria per chi è di sinistra e lo fa con lo sberleffo, diretto sempre a senso unico.

Grillo colpisce a tutto tondo ed è pragmatico, non rivendica superiorità di diritto come fa la sinistra ma parla di regole comportamentali da implementare partendo dal basso.
Come non quotare? OK!
Ciao
Nero
 
......

Benigni piace ai sinistri e sta sulle balle ai destri perchè rivendica sempre implicitamente una superiorità morale di diritto e praticamente ereditaria per chi è di sinistra e lo fa con lo sberleffo, diretto sempre a senso unico.

.......
Immagino che avrai notato che non è assolutamente l'unico
a pensarla così; anzi, a me sembra sia una costante.
 
Non mi da fastidio....non mi piace.

Benigni piace ai sinistri e sta sulle balle ai destri perchè rivendica sempre implicitamente una superiorità morale di diritto e praticamente ereditaria per chi è di sinistra e lo fa con lo sberleffo, diretto sempre a senso unico.

Grillo colpisce a tutto tondo ed è pragmatico, non rivendica superiorità di diritto come fa la sinistra ma parla di regole comportamentali da implementare partendo dal basso.

Io non ho pregiudiziali rispetto alla comicità, che venga da destra o da sinistra non importa, basta che riescano a strapparmi un sorriso.
Anche per questo oggi vedrò la trasmissione di Giletti.
 
Immagino che avrai notato che non è assolutamente l'unico
a pensarla così; anzi, a me sembra sia una costante.
Vero...vero, io trovo però che spesso la comicità di sinistra abbia un atteggiamento altezzoso quasi aristocratico per cui se non li apprezzi è solo perchè sei un rozzo senza spessore.
 
Io non ho pregiudiziali rispetto alla comicità, che venga da destra o da sinistra non importa, basta che riescano a strapparmi un sorriso.
Anche per questo oggi vedrò la trasmissione di Giletti.
Oh se fa ridere, fa ridere....:D OK!
 
Benigni nella presentazione del suo programma ha detto:
Gli autori della Costituzione ci hanno illuminato la strada della felicità con regole semplici semplici, i dodici principi fondamentali» che «tanti Stati hanno copiato». La Costituzione è un'opera che «è ancora viva, come la cupola del Brunelleschi», ha detto ancora Benigni. Insomma, secondo il Premio Oscar, come Dante ha scritto la Divina Commedia così i nostri padri costituenti – e non Honoré de Balzac, il creatore del ciclo la ‘Comédie humaine’, il grande reazionario che tanto piaceva a Karl Marx – hanno scritto l’Umana Commedia. Benigni è effettivamente un comico coi controfiocchi: paragonare gli estensori della nostra Magna Carta a Dante e a Brunelleschi significa avere un’immaginazione focosa e sconfinata fatta apposta per commuovere.

sarebbe dovuto andare in parlamento a fare quel discorso di 2 ore invece di farlo agli italiani.
cmq la costituzione diventa carta straccia quando è soggetta a interpretazione da parte di giudici.

qualcuno inizia ad aver paura che gli italiani possano reagire in malo modo davanti lo schifo di tutta classe politica italiana, e al disastro monti, e cercano di ripararsi sotto l'ombrello costituzionale mandando in tv un comico (di parte) a fargli dire quanto sia meraviglioso il capolavoro scritto dai padri fondatori, personalità altissime, robe che tutto il mondo ci invidia.Ma chi? Adreotti? Ma non era mafioso?Scalfaro? quello del"io non ci stò" della prima repubblica?Togliatti?Quello che ha lasciato morire i prigionieri italiani nei gulag sovietici di stalin?Ma fatemi il piacere.
 
sarebbe dovuto andare in parlamento a fare quel discorso di 2 ore invece di farlo agli italiani.
cmq la costituzione diventa carta straccia quando è soggetta a interpretazione da parte di giudici.

qualcuno inizia ad aver paura che gli italiani possano reagire in malo modo davanti lo schifo di tutta classe politica italiana, e al disastro monti, e cercano di ripararsi sotto l'ombrello costituzionale mandando in tv un comico (di parte) a fargli dire quanto sia meraviglioso il capolavoro scritto dai padri fondatori, personalità altissime, robe che tutto il mondo ci invidia.Ma chi? Adreotti? Ma non era mafioso?Scalfaro? quello del"io non ci stò" della prima repubblica?Togliatti?Quello che ha lasciato morire i prigionieri italiani nei gulag sovietici di stalin?Ma fatemi il piacere.

In realtà a scrivere la Costituzione furono degli omini verdi... :)
 
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