Positivismo

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DEFINIZIONE

Il termine positivismo designa un movimento filosofico che ebbe larga diffusione nell'Europa dell'Ottocento, influenzando il pensiero filosofico e quello scientifico, storico e letterario. Esso fonda la conoscenza sui fatti reali e deriva la certezza esclusivamente dall'osservazione propria alle scienze sperimentali.
Le origini del positivismo sono da ricercarsi nell'illuminismo inglese e francese: dal primo dedurrà le matrici empiristica e utilitaristica, dal secondo il principio che il progresso di tutta la conoscenza dipende dal progresso della scienza positiva. Il pensiero positivista trovò un ambiente favorevole al suo sviluppo a partire dal 1830: progresso delle scienze naturali, prime applicazioni tecniche delle scoperte scientifiche e loro riflessioni in campi sociali ed economici.

DOVE e QUANDO

Ambiente favorevole allo sviluppo del positivismo fu quello formatosi a partire dal 1830 con il progresso delle scienze naturali, le prime applicazioni tecniche delle scoperte scientifiche e la nuova importanza assunta dal lavoro.
Il maggiore rappresentante del positivismo fu il francese A. Comte, ma il positivismo si diffuse anche in Inghilterra, soprattutto per merito di John Stuart Mill, impegnato a sottrarre la scienza morale alle sue consuete incertezze per stabilire invece per essa un fermo complesso di regole. Il maggiore esponente in Inghilterra fu Charles Darwin, ma una certa importanza ebbe anche Herbert Spencer.
In Germania il positivismo si colloca in una posizione più propriamente definita «materialismo»: deriva dal positivismo franco-inglese e dal forte progresso compiuto dalle scienze naturali e dalla biologia.
In Italia seguaci del positivismo furono Carlo Cattaneo e Roberto Ardigò, il quale concepì la filosofia come disciplina dell'organizzazione dei dati scientifici e operò un'originale riforma delle dottrine evoluzionistiche dello Spencer.

CARATTERISTICHE

Reazione agli esiti irrazionalistici del romanticismo e la riconnessione con alcune istanze della riflessione illuministica.
Fiducia nella ragione, nella scienza e concezione deterministica dell'agire umano.
Estensione del metodo sperimentale a campi in passato di pertinenza della morale o della metafisica.
Fondazione di nuove discipline, come la sociologia o il rinnovamento metodologico di varie discipline aventi per oggetto l'uomo, quali medicina, fisiologia, biologia e psicologia.
Nozioni quali evoluzione, lotta per la sopravvivenza ed ereditarietà o presupposti culturali quali il determinismo, il metodo sperimentale e la dipendenza dei comportamenti umani dalle condizioni ambientali.
Assunzione della razionalità scientifica a unico paradigma, criterio e modello del sapere.
Il sapere scientifico, dicono i positivisti, si basa sui fatti e non su intuizioni irrazionali e arbitrarie o su idee vaghe e confuse metafisiche. La nuova scienza non vuole scoprire il "perché" dell'esistenza di un comportamento, ma più concretamente il "come" e quali ne siano le leggi di funzionamento.
Il positivismo considera l'uomo e lo spirito come fenomeni da studiare con lo stesso distacco e obiettività con cui sono osservati i fenomeni fisici e chimici. Il tema principale del positivismo è il progresso: la convinzione cioè che lo sviluppo dell'umanità proceda secondo uno schema implicante il raggiungimento di gradi di conoscenza scientifica e di benessere socioeconomico via via più elevati. Di conseguenza, le estetiche e le poetiche direttamente connesse con esso privilegiarono gli aspetti sociali del fenomeno artistico e individuarono come essenziale al poeta e all'artista l'impegno sociale (con inevitabile riduzione del diritto all'espressione individuale).
L'uso del termine "positivo" rivela un'ideologia o un programma d'azione economica, sociale, politica che vede nella scienza e nella tecnica il fondamento dei suoi ideali e lo strumento per realizzarli (ogni conoscenza riguardante questioni di fatto è basata, quindi, sui dati "positivi" dell'esperienza). La sua fede assoluta e quasi mistica nella scienza lo fa diventare, in certi casi, come la metafisica (infatti considera la scienza come unica conoscenza valida e efficace).
 
L'età del positivismo copre il periodo che va dai moti del 1830 fino alla fine dell'ottocento: un'insolita situazione di pace, l'espansione coloniale in Africa e Asia, il processo di industrializzazione e di organizzazione scientifica e tecnica della società, conducono a un eccezionale sviluppo economico e a un profondo mutamento sociale. E' il trionfo della borghesia.



Il positivismo

La concezione positivista diventa la visione del mondo delle classi colte e borghesi, di cui riflette la mentalità e le speranze, il pragmatismo e la fiducia nella possibilità della scienza di nazionalizzare la realtà. Nato in Francia nella prima metà dell'ottocento con Auguste Comte, il positivismo si diffonde rapidamente in tutta Europa; l'eterogeneità delle sue dottrine si spiega con la continuità che in ogni nazione lo lega alla tradizione filosofica precedente: il razionalismo in Francia, l'empirismo in Inghilterra, il materialismo in Germania. La scienza diventa il linguaggio comune per la cultura, il nuovo fattore di unità della società occidentale. La filosofia perde il proprio primato: sono le scienze particolari, ormai, a influenzarla e non più viceversa, come è evidente nell'influsso delle teorie biologiche sulla concezione dell'uomo.
Il positivismo si propone quale principio di interpretazione di tutta la realtà e come garanzia scientifica di un sicuro progresso dell'umanità, concepito però spesso attraverso schemi che ne nascondono i conflitti e le contraddizioni. Oggetto privilegiato di studio è l'uomo: nasce una nuova scienza, la scienza dei fenomeni sociali - o sociologia.
La Francia attraversa un periodo di conflittualità sociale e di instabilità politica che culmina nella "rivoluzione di febbraio" del 1848: qui, più che altrove, si afferma la concezione ottimistica della scienza come fattore di stabilità e l'illusione - di derivazione platonica - di un governo guidato da scienziati e filosofi. La scienza sostituisce addirittura le religioni storiche e si propone quale nuova religione dell'umanità.
Il positivismo viene introdotto in Inghilterra da John Stuart Mill, e riceve un impulso straordinario dalle teorie evoluzionistiche di Darwin e Spencer. All'assolutismo politico di Comte si oppone tuttavia la tradizione liberale inglese, contraria ad ogni intervento dello Stato e propugnatrice dei diritti dell'individuo.
Anche in Germania il processo di industrializzazione è in rapido sviluppo, grazie alla cultura scientifica della borghesia tedesca, esclusa peraltro dalla gestione effettiva dello Stato. Gli intellettuali discutono sulla possibilità di ridurre l'ordine meccanico dell'universo a un unico principio materiale: è la disputa sud materialismo. Ernst Haeckel (1834-1919), nell'opera Gli enigmi del mondo (del 1895, venduta in più di 400.000 copie), sostiene un monismo panteistico, contrapponendosi al fisiologo Emil Du Bois-Reymond (1818-96), che, nei Sette enigmi del mondo (1880), reputa come sola affermazione legittima da parte dell'uomo una dichiarazione di ignoranza sui misteri dell'universo.
In Italia il positivismo è l'area culturale comune in cui si muovono scienziati, medici, psicologi, giuristi, sociologi. Il rappresentante più importante è Roberto Ardigò (1828-1920); il suo positivismo, vicino a quello di Spencer, se ne distingue in un punto essenziale: contro l'agnosticismo del filosofo inglese, Ardigò considera il dominio della religione solo un limite contingente della conoscenza dell'uomo (l'Ignoto).
 
Il Positivismo.
Il Positivismo è uno dei principali movimenti filosofici e culturali che sviluppatosi in Francia nella prima metà dell'ottocento, si impone soprattutto da un punto di vista intellettuale e sociale a livello europeo e mondiale nella seconda metà del secolo.
Al termine positivo i filosofi di questa corrente attribuivano due significati fondamentali: positivo viene inteso ciò che si presenta come reale, effettivo e sperimentale contrapponendosi così ai sistemi ipotetico-astratti, chimerici; ma il sapere positivo deve avere in se soprattutto doti pratiche, efficaci per la società e non solo peculiarità teorico-cognitive.
La scienza è per i Positivisti l'unica conoscenza possibile, il metodo scientifico viene esteso a tutti i campi della speculazione filosofica compresi quelli riguardanti la società e l'uomo, la sociologia (fisica sociale per A.Comte) si configura come disciplina prediletta.
A questo proposito è importante sottolineare la genesi storica del Positivismo ottocentesco, la sua prossimità e i suoi rapporti con l'Illuminismo e Romanticismo.
Il pensiero positivo è nella prima metà dell'ottocento strettamente congiunto ai principi illuministici e si propone innanzitutto come superamento della profonda crisi della società europea, successivamente si fa interprete del clima di entusiastica fiducia nelle possibilità dell'uomo e nelle potenzialità della scienza e della tecnica.
C'è quindi una comune visione del mondo proteso nello sforzo collettivo di un progressivo aumento delle conoscenze da porsi al servizio della società, di una realtà guidata soprattutto dalla ragione e dalla scienza, lontana da ogni sapere metafisico, non verificabile.
Illuminismo e Positivismo si differenziano però per il modo di intendere il compito della filosofia nei riguardi del sapere scientifico. Se per gli Illuministi la ricerca sperimentale voleva proporsi come il superamento delle antiche teorie religiose e/o metafisiche, per i Positivisti i riferimenti scientifici diventavano certezze assolute, come esclusivi erano per il movimento Romantico il sentimento e l'arte.
E così come i Romantici e gli Idealisti tendevano ad attribuire a poesia e filosofia significati sempre validi, i Positivisti esaltano la scienza come unica ed effettiva guida della vita dell'uomo (Romanticismo della scienza). Può essere giustificato, come si è parlato di civiltà Illuministica, pensare al Positivismo come forma mentis di tutta un età, i cui principi si estendono dalla storiografia alla psicologia.
Atmosfera positivistica anche per ciò che concerne, ad esempio,alcune correnti letterarie come realismo e il verismo (richiamo esplicito al fatto) o per i nuovi metodi pedagogici basati su un nuovo concetto di scuola laica e lo studio scientifico dei problemi educativi.
Tra il pensiero dei principali protagonisti del Positivismo vi sono però alcune profonde e diverse interpretazioni. Comte, dai più indicato come il fondatore della nuova scuola filosofica, pone l'accento sugli aspetti sistematici, pratici, sociali e dinamici del sapere in ogni suo ambito, evidenzia la possibilità di ordinare in una scienza positiva, assolutistica, le conoscenze.
Come egli stesso afferma nel suo Discorso sullo spirito positivo:
"la rivoluzione fondamentale che caratterizza la virilità della nostra intelligenza, consiste nel sostituire dappertutto all'innaccessibile determinazione delle cause propriamente dette, la semplice ricerca delle leggi, cioè delle relazioni costanti che esistono tra i fenomeni osservati" e nella sua intensa volontà di unificare tutto il sapere sperimentale è stato osservato come sia possibile intravedere una "latente" vocazione metafisica.



Autori:
Anna Maria CINCO
Maria FILI'
Giuseppina LUNETTA
 
Nel decennio che seguì la morte di Hegel il pensiero europeo si caratterizzò, prevalentemente, secondo la corrente del "Positivismo". Come si è detto, le basi storico-sociali del successo di questa corrente vanno ricercate nel fatto che il quadro europeo, aldilà dello scontro in Crimea (1854) e della guerra-lampo tra Prussia e Francia (1870), appare caratterizzato dalla pace e dall'espansione coloniale in Africa e Asia.

Già con le conferenze berlinesi di Schelling nel 1841 si comincia a parlare di "filosofia positiva", cioè fondata sull'esperienza, contro ogni apriorismo e astratto razionalismo, ma Schelling ebbe scarso successo perché era andato a ripescare il concetto di esperienza nella religione e nei miti. In ogni caso la "filosofia positiva" aveva soprattutto di mira la critica della filosofia hegeliana, considerata "negativa" in quanto, colla sua presunta oggettività e totalità, tendeva a negare l'individualità, la diversità, l'unicità e irripetibilità di taluni fenomeni ed esperienze. Il termine "positivo" appare per la prima volta nel Catechismo degli industriali (1822) di Saint-Simon, anche se è con C. che entra nella terminologia filosofica europea. Alla dialettica hegeliana si contestava soprattutto l'idea che ogni cosa potesse trasformarsi nel suo contrario, nonché la pretesa di conoscere le cose per via speculativa, metafisica, senza addentrarsi nelle loro intrinseche peculiarità.

Il movimento filosofico-culturale del Positivismo nasce in Francia nella prima metà dell'Ottocento e s'impone, a livello europeo e mondiale, nella seconda metà di questo secolo. In Francia il Positivismo non lotta contro l'eredità hegeliana, ma contro quella cartesiana e illuministica. In Germania, oltre allo Schelling che ricevette un esplicito mandato da parte del re Federico Guglielmo IV di soppiantare l'hegelismo, va ricordata anche l'opera filosofico-giuridica di F.J. Stahl, che divenne il portavoce filosofico della monarchia prussiana del 1840. L'anti-hegelismo borghese in Germania, nella veste positivistica, viene espresso anche dalla sociologia di L. von Stein e di M. Weber, benché questi sia poco incline al compromesso della borghesia con gli junkers. In Germania tuttavia l'anti-hegelismo borghese più significativo si presenta sempre sotto forma di "speculazione filosofica" più che in quella sociologica (come in Francia, Inghilterra e USA): si pensi alla riscoperta di Kant nel Neo-criticismo e Storicismo, all'approfondimento dei temi esistenzialistico-fenomenologici in Heidegger, Husserl, ecc, nonché alla corrente irrazionalistica di Nietzsche e Schopenhauer.

Ciò che soprattutto dell'hegelismo non si sopportava, in Germania, era l'idea che in nome della dialettica si potesse considerare superato un determinato sistema politico. Il positivismo fu appunto il tentativo d'impedire un uso rivoluzionario della dialettica. Ovviamente in Francia la questione si poneva in termini più politici che filosofici: qui cioè il positivismo si poneva come compito il tentativo d'impedire che le istituzioni politiche create dalla borghesia rivoluzionaria potessero essere usate dalle masse contro la stessa borghesia. Ovvero, mentre in Francia il positivismo viene usato dalla media e grande borghesia contro la piccola e contro il proletariato; in Germania invece viene usato dal blocco conservatore della grande borghesia e degli junkers, che insieme governavano la nazione.

Il Positivismo in pratica sostiene: 1) la scienza è l'unica conoscenza possibile; il metodo scientifico è l'unico valido; il ricorso a cause/principi inaccessibili al metodo scientifico non dà origine a conoscenza; 2) il metodo scientifico va esteso a tutti i campi che riguardano l'uomo e la società: la creazione più significativa del positivismo è la sociologia; 3) il progresso scientifico viene considerato come determinante in prima e ultima istanza il superamento delle crisi capitalistiche.

Il Positivismo è la risposta ideologica che la borghesia dà alle contraddizioni del proprio sistema nella fase della libera concorrenza: essa cerca di superare l'ottimismo della precedente metafisica idealistica, che era stato contraddetto dalle crisi del sistema, con un nuovo ottimismo, fondato sulla scienza, sulla tecnologia, l'industrializzazione, il capitalismo monopolistico, il colonialismo e l'imperialismo. Il Positivismo non nega i conflitti sociali, ma li relativizza considerandoli parte integrante del sistema. La fiducia che si cerca di alimentare è appunto quella nelle possibilità del progresso scientifico-industriale: il tentativo, in effetti, riuscì, almeno sino alla I G.M., poiché l'espansione mondiale del capitalismo sembrava supplire ai difetti intrinseci del suo modo di produzione.

Il Positivismo quindi sul piano politico è contrario sia al conservatorismo anti-borghese che al rivoluzionarismo socialista e propende per un riformismo graduale nell'ambito del capitalismo monopolistico. Sul piano culturale esso accetta dell'Illuminismo la fiducia nella ragione e nel sapere scientifico, la visione laica/immanentistica della vita, ma rifiuta la carica rivoluzionaria, la forte polemica con il passato aristocratico/feudale. La borghesia dell'Illuminismo era progressista perché in ascesa; la borghesia del Positivismo è progressista solo per quel tanto che contribuisce allo sviluppo tecnico-scientifico e industriale ma è radicalmente anti-rivoluzionaria.

Inoltre la filosofia illuministica lottava contro teologia e metafisica mirando a diventare scientifica (critica) in quanto "filosofia" (non per nulla il problema gnoseologico era centrale); viceversa la filosofia positivistica acquista la sua dignità scientifica solo in quanto accetta di trasformarsi in "scienza" (ad es. in sociologia): in questo senso essa è una risposta alla sfida del materialismo storico-dialettico. In tale assoluta, feticistica valorizzazione della scienza sta il dogma del Positivismo, in cui difficilmente gli illuministi si sarebbero trovati d'accordo. Gli illuministi valorizzavano la scienza in un rapporto dialettico con la filosofia; i positivisti superano ogni discorso filosofico tradizionale in un discorso meramente scientifico (di qui il nesso positivismo/pragmatismo/utilitarismo, che tanta fortuna avrà in USA e Inghilterra).

Naturalmente non si può negare (questa è una delle tesi più originali dell'Abbagnano) che l'atteggiamento così unilateralmente ottimistico dei positivisti nei riguardi della scienza risenta di influssi idealistici non confessi, Cioè a dire, pur nella diversità degli oggetti d'indagine e degli strumenti di ricerca, la filosofia borghese sarebbe rimasta "idealistica" anche nella sua versione positivistica (Abbagnano parla di "romanticismo della scienza": il "romanticismo" è per lui il perimetro in cui si muovono tutte le filosofie dell'Ottocento, con i loro concetti di "totalità processuale necessaria", "sviluppo necessario", "divenire ascendente", ecc.) Tuttavia Abbagnano non arriva a concludere che la filosofia borghese è sempre idealistica in quanto impossibilitata a diventare materialistica, in senso storico-dialettico, ma conclude dicendo che la vera filosofia anti-idealistica è solo quella che tiene conto della singolarità o irriducibilità dell'individuo, cioè l'esistenzialismo. Col che però egli non supera il limite idealistico della filosofia borghese: lo trasferisce soltanto dal mondo oggettivo a quello soggettivo.

Il Positivismo ha influenzato tutta la moderna pedagogia (in Italia la Montessori), le correnti letterarie del Realismo (Francia) e del Verismo (Italia). Abbagnano divide il Positivismo in "sociale" (Saint-Simon, Comte e Mill) e "evoluzionistico" (Spencer, materialisti tedeschi, Ardigò e Cattaneo), mentre Darwin farebbe da spartiacque.
 
CARATTERI GENERALI DEL POSITIVISMO

Se, in senso stretto, con il termine Positivismo si è soliti designare la teoria di Auguste Comte e della sua scuola, in senso ampio, il termine viene impiegato per indicare quella corrente di pensiero sviluppatasi in particolare nella seconda metà del 1800 e caratterizzata dalla posizione privilegiata attribuita alle scienze naturali, considerate l’unica fonte legittima della conoscenza ed il modello a cui tutte le scienze devono ispirarsi per essere considerate degne di tale nome. Il termine positivo comparve per la prima volta nel Catechismo degli industriali (1822) di Saint Simon, ma fu divulgato e approfondito da Comte, che lo applicò alla propria dottrina, consacrandone l’uso nella terminologia filosofica. Tale termine viene assunto in due significati fondamentali:
1) positivo è anzitutto ciò che è reale, effettivo, sperimentale, in opposizione a ciò che è astratto, chimerico, metafisico;
2) positivo è anche ciò che appare fecondo, pratico, efficace, in opposizione a ciò che inutile ed ozioso.

Il Positivismo ha finito per rappresentare la forma mentis di tutta un’epoca. Senza riferimento all’atmosfera positivistica, non si comprenderebbero decisivi fenomeni letterari come il Realismo, il Naturalismo e il Verismo, e non si intenderebbe il mutato modo di praticare la critica storica e letteraria, o i nuovi indirizzi pedagogici, incentrati sul programma di una scuola laica e di uno studio scientifico dei problemi educativi. Nonostante questa profonda incidenza culturale, il Positivismo è alla fine parso a molti come un nuovo dogmatismo, avente la pretesa di racchiudere l’uomo negli schemi riduttivi della sola scienza; è anzi apparso come una nuova metafisica della scienza. Tutto ciò porterà ad una massiccia reazione antipositivistica, che caratterizzerà la filosofia della fine dell’Ottocento e degli inizi del Novecento. Controffensiva a cui ha contribuito l’espansione stessa delle scienze, che si sono sviluppate in direzioni contrastanti dal quadro epistemologico presupposto dal Positivismo.

Il Positivismo ebbe i suoi rappresentanti più noti in Francia con Comte; in Inghilterra con Stuart Mill e Spencer; in Germania con Moleschott e Haeckel ; in Italia con Ardigò.
In ogni caso, esistono nel Positivismo dei tratti comuni che si possono così schematizzare:
1) è rivendicato il primato della scienza: conosciamo solo quello che ci fanno conoscere le scienze, e l’unico metodo di conoscenza è quello delle scienze naturali;
2) il metodo delle scienze naturali (reperimento delle leggi causali e loro controllo sui fatti) vale anche per lo studio della società;
3) per questo la sociologia (scienza dei fatti naturali come sono i rapporti umani e sociali) è un frutto del programma filosofico positivistico;
4) la scienza viene esaltata come l’unico mezzo in grado di risolvere tutti i problemi umani e sociali che, fino ad allora, avevano tormentato l’umanità;
5) di conseguenza l’era del Positivismo è un’era pervasa da un ottimismo generale, che scaturisce dalla certezza di un progresso inarrestabile verso condizioni di benessere generalizzato in una società pacifica e pervasa da umana solidarietà;
6) la positività della scienza conduce la mentalità positivistica a combattere le concezioni idealistiche e spiritualistiche della realtà: concezioni che i Positivisti bollavano come metafisiche;
7) la filosofia ha la funzione di riunire e coordinare i risultati delle singole scienze, in modo da realizzare una conoscenza unificata e generalissima; in ogni caso, essa si costituisce come studio delle "generalità scientifiche".
 
Nei primi decenni dell’800 si verificò, in particolar modo in Francia un vigoroso sviluppo delle scienze. L’entusiasmo per il progresso scientifico, nel cuore della stagione positivista fu enorme. L’invenzione della fotografia aveva messo in discussione le arti figurative e la pittura si volse a usare la fotografia come strumento di rilevazione del vero. L’interesse per il mezzo fotografico venne impiegato anche da poeti realisti (esempio il Verga), come rilevatore di documenti umani. Le indagini astronomiche e fisiche di questo periodo, risposero con l’obbiettivo di estendere il modello newtoniano di spiegazione dei fenomeni celesti, in base alla legge di gravitazione e alle forze di attrazione e repulsione, anche ai fenomeni della fisica terrestre, giungendo ad una formulazione in termini matematici delle leggi che presiedono a tutti i fenomeni naturali. Si aprono nuovi campi di indagine, come la teoria del calore e della sua propagazione (J.Fourier), la termodinamica, l’elettrodinamica con la scoperta della pila da parte dell’italiano Alessandro Volta, l’elettrodinamica con il concetto di corrente e quantità elaborato da A. Ampere.
 

Allegati

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Auguste COMTE
(1798-1857)



Comte nasce a Montpellier, in Francia.

Studia alla Scuola Politecnica di Parigi, e già a quattordici anni si propone di rinnovare il metodo di tutte le scienze sulle ali dell'entusiasmo diffuso dalla Rivoluzione francese.

Nel 1826 ha una violanta crisi nervosa che lo porta in manicomio ma dalla quale si riprende prontamente.

Il clima di ostilità che incontra il suo Corso di filosofia positiva gli impedisce di ottenere la cattedra di matematica alla Scuola Politecnica.

Vive il resto della vita in povertà, mantenendosi grazie all'aiuto economico di amici e discepoli.

In seguito alla morte avvenuta nel 1846 dell'amata Clotilde de Vaux, Comte si dedica al progetto di una nuova religione, un culto dell'Umanità e della Scienza, che vede proprio Clotilde come musa ispiratrice.

Opere principali: Corso di filosofia positiva (1830-1842); Calendario positivista (1849); Sistema di politica positiva (1851); Catechismo positivista (1852).

***

1. Il positivismo

Comte è il padre riconosciuto del positivismo, colui che si dedicò più di ogni altro alla definizione di un nuovo sistema di pensiero che partisse dalle basi certe della fisica e del metodo sperimentale.

Con il termine positivo si designa tutto ciò che è concreto, reale, sperimentabile, in contrapposizione a ciò che è astratto e metafisico, ma anche ciò che è utile al miglioramento materiale dell'uomo, in contrapposizione a ciò che appare inutile, infecondo, ozioso.

Per Compte e i positivisti la vera scienza è quella che ha basi certe e concrete, che indaga la natura cercandone le leggi sulla base di dati sperimentati.
In sostanza si tratta di fondare una nuova scienza sulle basi del reale funzionamento della natura e non fondata sulle sterili teorie metafisiche (più concretezza e meno astrazione).

Alcuni tratti essenziali:

1. La scienza è l'unico metodo per raggiungere una vera conoscenza, e in particolare le scienze naturali (fisica, chimica, biologia, astronomia);

2. Lo studio della sociologia come indagine scientifica dei rapporti naturali che vincolano gli uomini, la nascita della sociologia come scienza si fa risalire proprio a Comte;

3. L'ottimismo legato alla fiducia nella scienza, vista come disciplina che può risolvere qualsiasi problema dell'uomo. La scienza tende ad aumentare il benessere degli uomini, l'idea è che l'approcio scientifico porti a un progresso generale e costante delle qualità di vita;

4. La filosofia ha il compito di organizzare e coordinari i risultati delle singole scienze.

2. La legge dei tre stati

Per Comte il modo in cui gli uomini si accostano alla conoscenza sono essenzialmente tre:

1. Il primo stato è quello teologico, è lo stato dell'uomo che spiega l'inconoscibile attribuendo le cause di tutto a divinità superiori, è il periodo dell'infanzia dell'umanità;

2. Il secondo è lo stato metafisico, è lo stato dell'uomo che rifiuta la spiegazione divina e cerca nell'essenza dei fenomeni la spiegazione a tutto (per esempio, il fuoco brucia perché possiede l'essenza del calore, la virtù calorifica), è il periodo dell'adolescenza dell'uomo;

3. Il terzo stato è quello positivo, è lo stato dell'uomo moderno che spiega i fenomeni studiando le leggi derivanti dai fatti, dalla sperimentazione empirica, è la fase della maturità dell'uomo.

Le tre categorie sono applicabili allo sviluppo delle singole branche scientifiche, alle diverse fasi storiche dell'umanità e persino alla vita dei singoli.

3. L'enciclopedia delle scienze

Comte afferma che le varie discipline scientifiche a lui contemporanee stanno per entrare o sono entrate nella fase positiva (la fisica con Newton, l'astronomia con Galileo, la chimica con Lavoisier, ecc.), tuttavia, in generale, la scienza non ha ancora aderito pienamente al positivismo.

Alcune discipline umanistiche infatti, non sono ancora giunte nella loro fase positiva o non potranno mai raggiungerla (come ad esempio la psicologia, con buona pace del Freud che verrà), e questo crea un disequilibrio nell'avanzamento generale della conoscienza.

L'idea è che il pensiero positivo si sia affermato prima nelle scienze più semplici e facilmente sperimentabili, quali la matematica, la fisica, l'astronomia e la biologia, e che le scienze il qui oggetto di studio è più complesso abbiano maggiori difficoltà a procedere sulla strada del terzo stato.

Ad ogni modo, per permettere alla scienza di progredire con metodo e organicamente, è necessario allora definire quali siano i compiti che ciascuna scienza deve avere all'interno del movimento scientifico: per fare ciò è necessario determinare il grado di precisione e di analisi di ciascuna scienza al fine di determinare una gerarchia tra le diverse discipline.
L'organizazzione enciclopedica delle scienze permetterà allora di porre al vertice della piramide le scienze naturali, ovvero la fisica, la chimica e la biologia, e destinare a compiti di analisi e di controllo altre discipline come, ad esempio, la filosofia, la quale avra la funzione di far da collante e rendere uniforme il cammino delle singole scienze.

4. La nascita della sociologia

Comte è il padre riconosciuto della sociologia, con lui si fa avanti l'idea che il complesso delle relazioni umane sia regolato da leggi scientificamente determinabili.

Per Comte la sociologia è un dovere ma anche una necessità urgente, infatti solo studiando scientificamente i problemi legati alla convivenza degli uomini è possibile risolvere una volta per tutte le crisi che ancora tormentano le società e le nazioni.
Per Comte, attraverso uno studio analitico e rigorosmanete scientifico della società è possibile risanare qualsiasi problema sociale e risolvere positivamente ogni questione politica.

Comte divide la sociologia in statica sociale e dinamica sociale.

La statica sociale si occupa di studiare le istituzioni sociali per ciò che sono in un determinato momento storico, al fine di trovare le connessioni che rendono possibile l'equilibrio sociale.

La dinamica sociale si occupa di definire le leggi del progresso sociale, ovvero i modi in cui le società si evolvono e i motivi di tale evoluzione.

Per Comte, come già accennato, le società tendono ad un continuo progresso scientifico e morale, migliorandosi continuamente.

Nella fase teologica dell'umanità il sistema sociale era il Feudalesimo, in cui pochi sognori locali proteggevano e controllavano le grandi masse contadine, nella fase metafisica, che Comte associa al periodo delle rivoluzioni, l'uomo comprende di poter definire da sé le leggi alle quali aderire, nella terza fase, quella positiva, è il sistema industriale a garantire la diffusione del benessere a quante più persone possibili.

5. La nuova Chiesa positivista

Nell'ultimo periodo della sua vita, Comte credette di poter diffondere ed affermare una vera e propria religione positivista.

Assoggettarsi infatti alle sole leggi tecnico-scientifiche non avrebbe permesso all'umanità di sentire il positivismo come legge morale e vincolante, la passione per la scienza avrebbe dovuto penetrare negli uomini seguendo la strada dell'emotività.

Al centro del suo culto, composto da una triade, Comte mise l'umanità, il Grande Essere, ovvero l'insieme di tutti gli uomini passati, presenti e futuri, seguivano il Grande Feticcio, la terra, e il Grande Mezzo, lo spazio.

Nuovi riti e nuove liturgie, un nuovo calendario, un nuovo angelo custode, la donna (Clotilde de Vaux idealizzata) e l'imperativo dell'altruismo, la nuova morale universale, vivere per gli altri e per il bene comune, una nuova religione razionale che avrebbe dovuto risolvere qualsiasi problema.
 

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Comte: fede positivista e religione dell'umanità
di Franco Di Giorgio

Non è facile trovare nel panorama culturale odierno chi si interessi del pensiero e dell'opera di Auguste Comte (1798-1857), quasi fosse esaurita l'attualità di un filosofo che innegabilmente esercitò una grande influenza, seppur indiretta, sulla mentalità della borghesia ottocentesca. Tuttavia a noi sembra che la parabola descritta dal pensiero di Comte sia oggi estremamente attuale, in quanto in esso ritroviamo il nucleo teoretico più sistematico e logico su cui si basano alcune soluzioni date al problema umano nella società contemporanea. Occorre per questo però porre attenzione all'intero procedere sistematico del fondatore della filosofia positiva, dall'intuizione giovanile (1822) della «legge dei tre stadi» fino alla progettazione della «religione dell'umanità», che non può essere ridotta come fanno alcuni interpreti a mero frutto di pazzia senile, dal momento che in essa trova compimento coerente la stessa intuizione iniziale.

Lo scopo peculiare del pensiero di Comte è infatti la costruzione di un nuovo e stabile ordine sociale, giudicato indispensabile da chi aveva come lui vissuto le convulsioni della Francia post-rivoluzionaria, i grandi sconvolgimenti sociali e culturali che dal dominio napoleonico al regno di Luigi Filippo ponevano le basi della rivoluzione industriale. Non si può definire infatti originale l'idea iniziale della «legge dei tre stadi», che in effetti Comte deriva dal suo maestro Saint-Simon, o più semplicemente dall'Illuminismo che fortemente ancora permeava la cultura francese del primo Ottocento: l'idea appunto che la scienza rappresenti la forma di sapere superiore e definitivo cui l'umanità deve giungere, abbandonando via via l'ingenuità e la superstizione primitiva. Piuttosto superficiale, o addirittura deformante, si rivela anzi la stessa concezione comtiana della scienza, identificata sulla base del modello meccanicistico con un corpus definitivo di conoscenze, con un sapere comunque finalizzato ad una utilizzazione pratica.

È appunto nella operatività del progetto che si focalizza l'intenzione del filosofo, trasformatosi, certo anche a seguito di un grave esaurimento nervoso, in Pontefice della «religione positiva», progettista maniaco di un nuovo culto per una nuova Chiesa.



Le tre tappe del pensiero di Comte

La nostra analisi percorrerà, senza pretesa di essere esauriente, le tre tappe che Comte propone come necessarie per la realizzazione di una nuova società in cui l'uomo si realizzi pienamente:

l'eliminazione del senso religioso
l'instaurazione di una nuova religione con la conseguente riduzione del cattolicesimo;
la imposizione di un «dispotismo spirituale», naturale premessa per l'instaurazione a livello politico di un regime totalitario.
1. L'eliminazione del senso religioso

Con la «legge dei tre stadi» Comte vuole dare una spiegazione allo svolgersi della storia. La successione che egli immagina dello sviluppo storico è contraddistinta da tre fasi: stadio teologico, stadio metafisico e stadio positivo. Nei primi due l'umanità non ha fatto altro che ricercare la natura intima degli esseri, le cause prime e finali dei fenomeni naturali, attribuendo la funzione originaria ad agenti soprannaturali. Nello stadio positivo la ragione umana, riconosciuta l'impossibilità di giungere a conoscenze assolute, abbandona queste ricerche, rinuncia ad indagare sull'origine e sul destino dell'universo e mira a scoprire le leggi effettive dei fenomeni. In questo stadio la ragione - come dice Comte stesso - non si chiede più il «perché» delle cose, «non si interroga più sulle cause dei fenomeni, ma lavora a determinare le leggi secondo le quali si producono questi fenomeni» (Corso di filosofia positiva, 1830-1842).

L'esito di questo percorso è l'agnosticismo, contraddistinto dal fatto che si ritiene il problema di Dio insolubile, che si considera impossibile pronunciarsi tanto per l'esistenza quanto per la non esistenza di Dio e che si crede vietata ogni soluzione del problema delle origini e dei fini dell'uomo e del mondo.

A ben vedere questa posizione proclama una negazione del problema di Dio molto più radicale rispetto all'ateismo tradizionale. Infatti, al pari di Marx, si vuole eliminare alla «radice» lo stesso porsi del senso religioso, proclamando superata l'attenzione alle domande che riguardano il destino e le origini dell'uomo e del mondo. Lo stesso Comte confessa di aver voluto non evitare, ma superare l'ateismo, considerandolo una «emanazione insufficiente, poiché tende a prolungare indefinitamente lo stato metafisico, ricercando senza posa nuove soluzioni dei problemi teorici invece di eliminare, come radicalmente vane, tutte le ricerche accessibili» (Sistema di politica positiva, 1851-1854). «Il vero spirito positivo consiste soprattutto nel sostituire sempre lo studio delle leggi invariabili dei fenomeni a quelle delle loro cause propriamente dette, prime o finali, in una parola la determinazione del come a quella del perché» (Ibidem). La forma assunta dall'ateismo, dunque, secondo Comte, non è capace di estirpare alla radice il senso religioso, in quanto conserva «i termini del problema di Dio, le abitudini di pensare e i modi di ragionare del credente» e quindi si inoltra in una via da cui è possibile ricadere di nuovo nell'ansia religiosa (cfr. H. De Lubac, Il dramma dell'umanesimo ateo, Morcelliana 1978, pp. 124-130).

A questa eliminazione del senso religioso Comte arriva facendo proprio un concetto di ragione, inteso come «misura di tutte le cose» e come tale negatore della stessa categoria della possibilità. La ragione viene fatta coincidere con il modo di procedere delle scienze. Essa dunque implica le categorie della sperimentabilità e verificabilità pratica. Tutto ciò che non può essere sperimentato e verificato secondo i criteri scientifici, non esiste, non è possibile che sia. C'è in Comte un fiducioso ottimismo circa le possibilità della scienza e quindi della ragione di poter risolvere ogni umano problema senza Dio.

Un ottimismo, così dogmaticamente affermato, che non riesce più a percepire il limite dell'uomo e quindi anche delle sue costruzioni scientifiche. La scienza, anzi, viene a prendere il posto di Dio, nel suo tentativo di risolvere ogni tipo di problema umano. Anche l'idea di progresso viene affermata sulla base di questo atteggiamento ottimista nelle possibilità della ragione umana. Un progresso inesauribile avrebbe dominato la scena storica universale. In questo orizzonte l'uomo stesso diventa misura di tutte le cose, nonché criterio ultimo dell'esistenza della realtà.

Una volta eliminata la dimensione delle domande ultime assolute non rimane che ridurre tutto al «relativo», al «contingente». Il relativismo conduce a sua volta ad una «sottomissione all'oggetto», ad una forma cioè di «feticismo», che Comte stesso recupera dallo stadio teologico, preferendolo al politeismo e al monoteismo e paragonandolo all'epoca positiva. In altre parole l'uomo nelle sue domande ultime e nelle sue esigenze scompare per lasciare il posto al trionfo dell'oggetto, delle cose, verso cui si sente sempre più asservito. È l'epoca del capitalismo, che da un trionfo dell'oggetto si nutre e da cui trae alimento per proporsi in maniera definitiva (cfr. H. De Lubac, op. cit., pp. 113-124).

2. La riduzione del cattolicesimo e la «nuova religione»

Comte non si limita ad escludere Dio, ma tenta anche di sostituirlo in modo da eliminarlo totalmente dalla scena del mondo. «Si distrugge infatti solo quello che si sostituisce... Seguendo questa massima, tanto ben detta che pensata, bisogna dunque sostituire il cattolicesimo con una vera religione, sotto pena di veder prolungare indefinitamente la sua ignobile caducità» (Corrispondenza inedita). Il positivismo deve sostituirsi al cristianesimo e rendersi capace di soddisfare tutti quei bisogni della natura umana che non trovano risposta nella posizione ateistica della vita. E questa sostituzione avviene ponendo al posto di Dio l'«Umanità». È questa la vera divinità, il «Grande Essere Provvidenziale», il «nuovo Essere supremo», capace di soddisfare il bisogno di adorazione presente nel cuore di ogni natura umana. Essa costituisce «il solo vero grande Essere, di cui noi siamo consciamente i membri necessari» (Sistema di politica positiva).

Il dio adorato dai positivisti è un «Essere relativo», che «ha una potenza limitata, benché sempre superiore alle nostre forze, individuali o collettive», mentre i teologi e i metafisici - secondo Comte - adorano «un Dio assoluto, il cui potere è senza limiti». Per questa ragione i secondi devono considerarsi dei «veri schiavi», in quanto «sottomessi ai capricci di una potenza impenetrabile», mentre soltanto nei primi l'uomo può diventare veramente libero, in quanto questi «sono subordinati a leggi immutabili e conosciute, che ci liberano da ogni impero personale» (Lettere a Henri Dix Hutton). In questo modo l'«Umanità» prende il posto dell'«antico Dio». «In essa - dice Comte noi viviamo, ci muoviamo e siamo». Essa è «il centro delle nostre affezioni» (Appello ai conservatori, 1855).

L'«Umanità», di cui parla Comte, comprende molti individui di tutte le generazioni, ma non li ritiene tutti, in quanto essa è «l'insieme continuo di esseri convergenti». I «parassiti» ed i «criminali» ne sono esclusi perché «non trasmisero ai successori nessun equivalente di ciò che ricevettero dai loro predecessori». Ne fanno dunque parte soltanto quegli uomini «che hanno cooperato alla grande opera umana, quelli che si prolungano in noi, che sono da noi continuati, quelli di cui noi siamo i veri debitori» (Sistema di politica positiva).

E non a caso Comte si rifiuta di considerare la figura di Cristo tra i benefattori dell'Umanità. Quest'ultimo viene infatti considerato un «avventuriero religioso», un «ciarlatano», un «falso fondatore» che nulla ha apportato al progresso umano. Il suo nome non viene fatto comparire assieme a quelli che hanno contribuito all'edificazione dell'«Umanità», come Confucio, Mosè, Maometto, ecc. (cfr. Catechismo positivista, 1852).

In realtà ciò che a Comte fa problema è la supposta divinità di Gesù Cristo; un uomo che si dice Dio rompe con una religione che ha eliminato il Dio-Mistero per sostituirlo con il Dio-Uomo, con l'umanità che si divinizza. Ma a pensarci, Comte, in questa sua eliminazione, riconosce al cristianesimo una forza davvero originale rispetto alle altre religioni. Rifiutando la figura di Cristo, egli sancisce quella profonda differenza che c'è tra la religione nata dalla presenza, morte e resurrezione di Gesù Cristo e quelle i cui fondatori rispondono ai nomi di Confucio, Mosè, Maometto, Buddha. Infatti la pretesa di Cristo di definirsi e chiamarsi Dio non può essere accettata da chi ha chiuso la ragione, con la «legge dei tre stadi», al senso religioso.

Il cristianesimo viene così condannato, non solo per la sua pretesa origine divina, ma in modo particolare per il suo carattere «immorale» ed «antisociale». Il cristianesimo, infatti, secondo Comte, predica un rapporto «personale» (da intendersi come sinonimo di «individuale») con Dio, a scapito del rapporto «sociale», del rapporto con gli altri uomini. Il grande torto del cristianesimo consiste dunque nell'avere «consacrata la personalità con un'esistenza che, legando ciascuno direttamente ad una potenza infinita, l'isolava profondamente dall'Umanità» (Catechismo positivista). Da ciò consegue che ogni influsso sociale viene dal credente rigettato per un tipo di esistenza anarchico. «L'uomo che si crede in rapporto diretto con un Essere assoluto, non può essere che un fermento di disgregazione sociale. Egli è sollevato da uno "slancio astratto" che contrasta incessantemente "l'ordine collettivo" e disconosce tutte le solidarietà, incapace di riconoscerle nel tempo e nello spazio» (H. De Lubac, op. cit., p. 150).

Da queste considerazioni deriva anche l'accusa al cristianesimo di essere egoista, di aver sviluppato nell'individuo «un'abitudine continua di calcoli personali», che lo ha condotto nel tempo a modificare le tendenze della natura umana, dandole «un eccesso di circospezione, di previdenza, e finalmente di egoismo, che la sua organizzazione fondamentale non esigeva». L'«appello continuo ed esorbitante allo spirito di puro egoismo» ha fatto sì che la morale cristiana tendesse «ad atrofizzare, per difetto di esercizio proprio, la parte più nobile del nostro organismo morale» (Discorso sullo spirito positivo).

Evidentemente Comte della religione cristiana propone una forte riduzione, quando ne limita i principi ai due aspetti: morale e sociale. Pensare al cristianesimo come ad un ordinamento morale e sociale, significa in sostanza ridurlo ad elementi naturali, il cui controllo è possibile da parte della ragione. Comunque anche questa operazione riduttiva del cristianesimo è direttamente conseguente all'eliminazione del senso religioso. Una volta eliminato dalla realtà il senso del mistero per limitare lo sguardo alle leggi dei fenomeni, tutto ciò che risulta insignificante e senza senso viene accantonato. In questa prospettiva ciò che all'uomo importa è stabilire la forma migliore di collaborazione con gli altri uomini, sia a livello sociale che etico. Tutto ciò che contribuisce a dare una risposta a questa esigenza di socialità viene accettato e rivalutato, a scapito invece di quello che sembra contrastare questo spirito di «comunione».

Se il cristianesimo, compresa la stessa figura di Gesù, è oggetto delle più feroci critiche, un destino diverso tocca invece la figura di san Paolo, che - secondo il capostipite del positivismo - viene considerato il fondatore del cattolicesimo. È stato san Paolo a sminuire il carattere immorale ed antisociale del cristianesimo e a giungere alla formulazione del dogma e alla costituzione dell'attuale sistema cattolico, che Comte guarda con profonda ammirazione e che poi non esiterà a far proprio, dopo averlo svuotato del suo contenuto originario ed essenziale, nell'elaborazione della sua «religione dell'Umanità». Se san Paolo finisce per porsi sotto la sequela di Gesù Cristo è perché questo gli permette di evitare «quell'obbligo, sempre odioso ad un uomo retto, di farsi adorare» (Sistema di politica positiva). Secondo Comte, con l'istituzione nel suo seno di un sacerdozio, il cattolicesimo ha limitato fortemente quell'«anarchia evangelica», allora imperante. Il sacerdozio, infatti, ha ristretto i miracoli, ha soprattutto limitato le rivelazioni, concentrando il potere «sul capo visibile della Chiesa, divenuto così l'interprete permanente dei precetti divini» (Sistema di politica positiva). Così facendo il cattolicesimo non ha fatto altro che rafforzare il legame sociale, cosa pregevole per il Nostro.

Inoltre in questo processo di umanizzazione del cristianesimo si innestano, secondo Comte, il culto dei santi e quello della Vergine, che hanno contribuito in modo determinante all'estinzione del «culto di Dio». Anche il dogma dell'incarnazione viene recuperato ed interpretato come il tentativo di eliminare qualsiasi distinzione tra l'uomo e Dio. Lo stesso dogma trinitario in sostanza ha permesso all'uomo di riconoscere la sua «divinità», cosicché il cattolicesimo viene ad essere una premessa necessaria per l'instaurarsi della «religione dell'Umanità» (cfr. H. De Lubac, op. cit, pp. 158-159).

Sulla base di queste considerazioni è possibile spiegare anche il tentativo di Comte di cercare una alleanza con la Chiesa cattolica ed in special modo con l'ordine gesuita, ritenuto l'autentico capo spirituale del cattolicesimo. Resta comunque certo che nell'intento del maggior rappresentante del positivismo questa alleanza doveva avere un carattere puramente provvisorio; infatti una volta che «la religione dell'Umanità» fosse stata riconosciuta ed accolta positivamente dalle masse, lo stesso cattolicesimo avrebbe dovuto abbandonare le sue «pretese cristiane» per confluire nella religione positiva. Si comprende allora che ciò che Comte propone alla Chiesa cattolica non è altro che rinnegare il suo fondamento, cioè Gesù Cristo, per ridursi esclusivamente ad un fatto morale e sociale (cfr. H. De Lubac, op. cit., pp. 165-168).

3. Il nuovo dispotismo spirituale e politico

La «religione dell'Umanità» diventa nelle intenzioni dell'Autore la vera religione positiva, l'unica capace di prendere il posto del cattolicesimo. Al pari della religione cattolica, il positivismo avrà il suo culto, i suoi dogmi, le sue cerimonie, le sue «consacrazioni» o «sacramenti sociali» con cui santificare «tutte le fasi attuali della vita privata, connettendole sistematicamente alla vita pubblica» (Catechismo positivista). I mesi prenderanno i nomi significativi della religione positiva e i giorni della settimana saranno consacrati ognuno ad una delle sette scienze. Verranno costruiti templi laici (istituti scientifici) e un papa positivo eserciterà la sua autorità su coloro che si occuperanno dello sviluppo delle industrie e dell'utilizzazione pratica delle scoperte. Nella società positiva la donna diventerà la custode e la fonte della vita sentimentale dell'Umanità.

L'Umanità sarà il «Grande Essere», lo spazio il «Grand'Ambiente» e la terra il «Gran Feticcio»: in ciò consisterà la trinità della religione positiva. Questi brevi accenni sono sufficienti a dare un'idea della legislazione religiosa positivista, che non è nelle nostre intenzioni descrivere nel dettaglio. A noi interessa invece rilevare quella forma di «dispotismo spirituale» che consegue da questa costruzione religiosa positivista e che conduce al totalitarismo. Infatti nella società retta dal positivismo i sacerdoti dovranno un'obbedienza assoluta al «Gran Sacerdote», «organo supremo dell'Umanità», sia nell'azione, sia nel pensiero che nel cuore. «La fede, cioè la disposizione a credere spontaneamente, senza previa dimostrazione, ai dogmi proclamati da un'autorità competente, è una verità fondamentale, base immutabile e necessaria dell'ordine sociale...» (Sistema di politica positiva). Sulla base di questa sequela i sacerdoti positivisti si costituiranno come classe intellettuale, incaricata di pensare per tutti gli altri uomini: è ciò che De Lubac definisce «dispotismo spirituale»: la «diffidenza per l'intelligenza» di cui è permeato tradisce tra l'altro il carattere caricaturale dell'idea comtiana della scienza, ridotta a nuovo dogma.

Con l'istituzione della «religione dell'Umanità», l'uomo non ha più bisogno di prostrarsi dinanzi a Dio, al mistero che sottende tutta la realtà, ma dovrà sottomettere se stesso ad altri uomini e a cose puramente umane. In questi termini Comte si rivolge ai suoi adepti: «Impadronitevi del mondo sociale, poiché esso vi appartiene, non già sulla base di qualche diritto, ma secondo un dovere evidente, fondato sulla vostra attitudine esclusiva a ben dirigerlo, sia come consiglieri speculativi, sia come comandanti attivi. Non bisogna dissimulare che i servitori dell'Umanità oggi finiscono per eliminare radicalmente i servitori di Dio da ogni posto direttivo degli affari pubblici, come incapaci di prenderne un sufficiente interesse e di comprenderli realmente...» (Lettere inedite a C. Blignieres).

Dio e l'Umanità, secondo Comte, non possono essere conciliati. Si deve scegliere o per l'uno o per l'altro. Qualsiasi tentativo di sintesi nasconde un'incapacità a capire le ragioni di fondo che sostengono i due «regimi». Comunque la scelta di Dio appartiene ormai ad uno stadio superato dalla evoluzione storica, allo stadio teologico. Non resta allora che fare la scelta per l'Umanità, per lo stadio positivo, ricacciando Dio e le sue pretese assolute.

La venerazione dell'Umanità comporta però la necessità di ordinare la società secondo una distribuzione gerarchica, in cui c'è la classe speculativa (composta dal capo religioso positivista e dalla sua casta sacerdotale) che ha la funzione di comandare sull'intera società, seguita dalla classe attiva cui appartengono i banchieri, i quali a loro volta esercitano il potere sul resto dell'Umanità proletaria.

In questo ordinamento tutte le forze discordanti saranno escluse, senza però usare alcuna forma di violenza o di forza, ma cercando di «disciplinare la volontà» dell'individuo. A riguardo Comte si proclama contro ogni forma di democrazia, così come respinge ogni ansia rivoluzionaria, proponendosi come «la sola difesa sistematica dell'ordine contro le sovversioni comuniste o socialiste» (Corrispondenza inedita).
 

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Il termine realismo è quanto mai generico e comprende un atteggiamento comune a molte manifestazioni d’arte.

Genericamente indica un riferimento preciso e inequivocabile dell’arte con la realtà concreta, visibile e conoscibile del mondo e in questo senso comprende espressioni che vanno dalla ritrattistica romana dell’età imperiale alle rappresentazioni religiose e fantastiche del Medioevo, dalla minuziosità descrittiva della pittura fiamminga alla cruda verità naturale del Caravaggio, dall’adesione rigorosa al dato percettivo degli impressionisti sino a giungere alla Pop art del Novecento.

Specificamente, tuttavia, il termine è usato per indicare un movimento del primo Ottocento che in contrapposizione al sentimentalismo tardoromantico e attento ad una nuova esigenza di corrispondenza con le mutate condizioni sociali, economiche e politiche del tempo che vede l’affermarsi della borghesia capitalista, la diffusione del proletariato urbano, la nascita delle lotte di classe e il diffondersi delle istanze democratiche, si volge a trattare temi e soggetti tratti dalla realtà quotidiana, prevalentemente contemporanea. Per i pittori realisti né la natura né le immagini di vita possono avere una qualsiasi idealizzazione come avveniva nel periodo precedente del Romanticismo, al massimo si può (a volte si deve) attribuire loro un valore simbolico o politico.

Tra i maggiori rappresentanti del realismo ottocentesco vi sono soprattutto i francesi Corot, Daumier, Millet, Courbet. Fuori dalla Francia figura di rilievo è l’italiano Fattori.
 
Il realismo nell'arte


Nell’ambito della produzione artistica, in special modo pittorica, Il Realismo sorse in Francia intorno al 1848 a opera
del pittore G. Courbet con l'intento di rivendicare, in opposizione
all'idealismo dei classici e dei romantici, il valore della
realtà oggettiva come tema artistico, accentuando i rapporti con le scienze positive. L'ispirazione umanitaria e sociale
di Courbet e di Millet ebbe larghissimo seguito in tutta Europa (il belga C. Meunier, i tedeschi A. Menzel, H. Thoma, gli italiani
G.Segantini, G. Pelizza da Volpedo).



… l’arte o il talento, secondo me, non dovrebbero essere per un artista che il mezzo di applicare le sue facoltà personali alle idee e alle cose dell’epoca in cui vive. In particolare, l’arte della pittura può consistere soltanto nella rappresentazione delle cose che l’artista può vedere e toccare. Ogni epoca può essere rappresentata solo dai propri artisti, voglio dire dagli artisti che in questa epoca sono vissuti. Ritengo gli artisti di un’epoca assolutamente incompetenti a rappresentare le cose di un secolo passato o futuro e cioè a dipingere il passato e l’avvenire. E’ in questo senso che io nego la pittura di avvenimenti storici applicata al passato. La pittura storica è essenzialmente contemporanea. Ogni epoca deve avere i suoi artisti che la esprimono e la rappresentano per i posteri. Un’epoca, che non ha saputo esprimersi per mezzo dei suoi artisti, non ha il diritto di essere espressa dagli artisti che vengono dopo. Sarebbe falsificare la storia.

Gustave Courbet, in “Courrier du Dimanche”, 25 dicembre 1861
 
Gustave Courbet (1819-1877) è il pittore francese che per primo usò il realismo pittorico in funzione polemica nei confronti della società del tempo. La sua attività di artista iniziò intorno al 1840 a Parigi con opere di ispirazione romantica. La svolta realista avvenne intorno al 1848 anno in cui, con la rivoluzione di febbraio, la Francia proclamò la seconda repubblica. Da quel momento Courbet iniziò a realizzare quadri di grandi dimensioni con figure monumentali ma che rappresentavano persone comuni prese in situazioni del tutto ordinarie. Capolavoro di questo periodo è il «Funerale a Ornans». In questa tela il funerale viene presentato con una fedeltà fotografica tale da rendere la scena, sul piano estetico, decisamente brutta.
 

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anch'io sono positivista,
marxianamente positivista

Viva Marx

:D:
 
Mi ricordo una dedica a Marie Curie. Diceva: "Alla più positiva delle positiviste". Gran donna.

Masca
 
Sempre di questo periodo è la tela raffigurante «Gli spaccapietre», anch’essa di taglio fotografico e monumentale.

Sintetizzano il pensiero di Courbet sull’arte queste sue affermazioni: "Ho studiato l’arte degli antichi e quella dei moderni. Non ho voluto né imitare gli uni, né copiare gli altri. Ho voluto essere capace di rappresentare i costumi, le idee, l’aspetto della mia epoca secondo il mio modo di vedere; fare dell’arte viva, questo è il mio scopo".
 

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La sua pittura suscitò notevole scandalo tanto che le sue opere furono sempre rifiutate dai Salon. Egli, polemicamente, nel 1855 le espose in una capanna precaria che chiamò «Il padiglione del realismo».

Del 1855 è un’altra delle sue tele più famose: «L’atelier». Del 1857 è il quadro «Le fanciulle in riva alla Senna» in cui due ragazze di vita vengono ritratte in una posa di stanca rilassatezza, in riva al fiume, protette dall’ombra bassa di un albero.

Nel 1870 il pittore partecipò all’esperienza della Comune di Parigi e per questo motivo, nel 1873, fu arrestato e condannato a sei mesi di prigione. Si rifugiò in Svizzera dove morì del 1877.
 

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Le ragazze in riva alla Senna» è un altro quadro che ben esemplifica la carica innovativa della pittura di Courbet rispetto all’arte borghese del tempo. Le due ragazze che Courbet ritrae sono due donne comuni, dall’aspetto ordinario e anche un po’ volgare nelle loro pose indolenti, colte in una posa non proprio consona alla condizione signorile. Nelle due donne non vi sono quindi valori estetici che potevano essere apprezzati, ma anche il quadro ha nella sua composizione una mancanza assoluta di criteri compositivi affascinanti. Non vi è un punto focale preciso né una linea d’orizzonte; l’inquadratura è bassa e non riesce a cogliere una ariosità adeguata: l’immagine è quasi soffocata dal fogliame dell’albero. In realtà il quadro, come tutta l’opera di Courbet, non chiede di essere giudicato semplicemente come fatto estetico, ma di essere compreso soprattutto come atteggiamento nuovo nei confronti della realtà e dell’uso della pittura.
 

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. Con il Enterrement à Ornans (Salone del 1850-51, Louvre), oggetto, allo stesso tempo, di scandalo e di successo, nasce la leggenda di Courbet. Insieme di ritratti (hanno posato gli abitanti di Ornans, dal sindaco al becchino) l'Enterrement sbalordisce sia per il suo verismo sia per le dimensioni. Un episodio banale è trattato con la stessa cura e la stessa attenzione psicologica del Sacre de Napolèon di David. Le reazioni sono violente: «È mai possibile dipingere gente così orrenda?», si chiedono i borghesi in un disegno di Daumier. «Feroce accesso di misantropia», «ignobili caricature che ispirano disgusto e sono solo fonte di risate», questi sono i giudizi della critica. «Per essere realista, non occorre tanto fare il vero. Occorre invece fare il brutto», verseggia de Banville. In ciò risiede il controsenso che l'opera di Courbet continua a suscitare. In effetti, l'Enterrement è una pagina di umanità in cui Courbet, con un'attenzione scrupolosa unita alla simpatia per un «paese», mostra come un villaggio re agisce di fronte alla morte. «È forse colpa del pittore, si chiede Champfleury, se gli interessi materiali, gli egoismi sordidi, le meschinità di provincia [...] graffiano il volto, spengono questi occhi, corrugano le fronti?» Ma Courbet non ha dimenticato né l'emozione né la vera afflizione, e la sua commedia umana è complessa quanto quella di Balzac. La lezione satirica e il giudizio morale passano in secondo piano; di fatto, la realtà è magnificata e diventa verità generale, grazie all'ampiezza della trattazione, alla scienza dell'assembramento disordinato degli astanti, al lirismo del colore. Ormai Courbet è consacrato dalla critica capo dei realisti, a fianco di Champfleury. Le provocazioni del personaggio, i discorsi tenuti alla birreria Andler, luogo di riunione del cenacolo, spiegano la celebrità chiassosa che sarà propria della scuola. Ma le etichette vanno accettate solo con prudenza. Quando Courbet, all'Esposizione internazionale del 1855, deciderà arditamente di organizzare una presentazione separata delle sue opere, egli stesso spiegherà nella prefazione del suo catalogo: «La qualifica di realista mi è stata imposta così come agli artisti del 1830 venne imposta quella di romantici [...] Essere in grado di tradurre i costumi, le idee, gli aspetti del mio tempo, secondo la mia valutazione, [...] in una parola fare arte viva, ecco il mio scopo». Del resto, Courbet vede prima di pensare. Casseurs de pierres (Salone del 1850-51, dipinto andato distrutto a Dresda durante l'ultima guerra), opera socialista secondo Proudhon, è nato, prima di tutto, da un incontro, da una visione di miseria su una strada: «Senza volerlo, semplicemente dipingendo ciò che ho visto, ho sollevato ciò che chiamano la questione sociale». Courbet sarà definito «occhio» da Ingres. Les demoiselles de village (Salone del 1852, New York, Metropolitan Museum) rappresentano senz'altro un soggetto sociale, l'elemosina fatta dalle sorelle del pittore a una pastorella, ma, per l'artista, l'essenziale era costituito da un problema pittorico, quello di inserire dei personaggi in un luogo. Allo stesso modo, il quadro delle Bagnanti (Montpellier), che si dice sia stato preso a scudisciate da Napoleone III al Salone del 1853, è quasi staccato dal soggetto. Quanto di più accademico di un nudo in un paesaggio? «Nulla sarebbe la volgarità delle forme, ma la volgarità e l'inutilità del pensiero sono abominevoli», annota Delacroix nel suo Diario, associandosi a Ingres e annunciando Baudelaire in un'alleanza paradossale ma comprensibile contro una pittura così disinteressata e «antisovrannaturalista». Nello stesso tempo, sotto l'influenza di Proudhon e come sospinto dalla propria reputazione, Courbet si convince di essere un pittore socialista e partecipa alla stesura di Du principe de l'art et de sa destination sociale (1865) che propone una nuova lettura della sua opera. Così, la nudità deformata delle Bagnanti diventa un monito contro i pericoli della vita oziosa e debilitante della borghesia, mentre Les demoiselles des bords de la Seine (Salone del 1857, Petit Palais) rappresentano l'immagine dell'universo triste del lusso. L'Atelier du peintre «allegoria reale, interno del mio studio che ha determinato sette anni della mia vita artistica» (Esposizione del 1855, Louvre) è un'ambiziosa sintesi dell'ideologia di Courbet. Il relativo insuccesso deriva dal fatto che la trascrizione simbolica è ancora confusa e, soprattutto, troppo sensibile alle «porzioni», come quella della donna nuda che osserva Courbet mentre questi dipinge. Le retour de la confèrence (Salone del 1863, quadro distrutto), pesante satira che mostra alcuni preti euforici dopo un buon pranzo, è troppo picaresco per essere realista. La volontà di satira ne impedisce la riuscita. Paradossalmente, Courbet trionfa con i dipinti senza «problemi». La femme au perroquet (New York, Metropolitan Museum) suggerisce, secondo Castagnary, il paragone con Tiziano, mentre le sue conturbanti donne addormentate riescono a sedurre l'ambasciatore di Turchia, Khalil Bey, acquirente del Bain turc di Ingres. Le grandi composizioni, quali il Combat des cerfs e La remise des chevreuils (1861 e 1866 rispettivamente, Louvre) o L'hallali du cerf (1867, Besançon), gli valgono un deciso successo popolare. In esse, egli dà prova di tutta la sua conoscenza della natura e degli animali, confermata dai soggiorni nelle foreste germaniche, con una verve e una facilità talvolta fin troppo disinvolte. Il Courbet pittore di successo merita la Legion d'onore, ma il Courbet socialista olimpico non esita a rifiutarla. La guerra del 1870 e gli avvenimenti della Comune sconvolgeranno la vita di Courbet. Presidente della commissione nominata dagli artisti per vigilare sulla conservazione dei musei e delle ricchezze artistiche, egli svolge le funzioni di un sovrintendente alle Belle Arti. Si mette in mostra con la petizione del 14 settembre 1870 che richiede la rimozione della colonna Vendôme, «monumento privo di ogni valore artistico e tendente a perpetuare, con il suo significato, le idee di guerra e di conquista respinte dal sentimento di una nazione repubblicana», ed è presente, il 16 maggio 1871, al suo abbattimento. Dopo il crollo della Comune, Courbet «il rivoluzionario» viene arrestato e deferito al Consiglio di guerra: viene condannato a sei mesi di carcere. Il seguito della sua vita è dominato dalla preoccupazione per i suoi debiti. Viene anche respinto al Salone del 1873. Quando l'Assemblea approva il progetto di ricostruzione della colonna Vendôme, Gustave Courbet è ormai obbligato a recarsi in esilio in Svizzera. La vendita giudiziaria del 1877 lo prostra definitivamente: muore il 31 dicembre dello stesso anno. «Non compatiamolo [...], egli è passato attraverso le grandi correnti [...] , ha sentito battere, come colpi di cannone, il cuore di un popolo e ha terminato nel cuore della natura, in mezzo agli alberi» dirà, quale orazione funebre, Jules Vallés.
 
Jean-François Millet nato a Gruchy (1814) - morto a Barbizon (1875) fu un pittore di genere e paesaggista francese, conosciuto soprattutto per i suoi quadri di vita rurale. Di origine contadina, studiò arte prima a Cherbourg e poi a Parigi con Paul Delaroche. La produzione giovanile comprende ritratti, scene mitologiche e dipinti di genere. Nel 1849 Millet si trasferì a Barbizon, presso la foresta di Fontainebleau, dove si erano riuniti gli artisti della scuola di Barbizon. Fu allora che cominciò a dipingere i suoi quadri più famosi, che ritraggono contadini al lavoro nei campi: Le spigolatrici (1857), L'Angelus (1858-1859), entrambi conservati al musée d'Orsay di Parigi, Il seminatore (1850, Museum of Fine Arts, Boston). Inizialmente criticata per il carattere sociale e troppo solenne dei soggetti, a partire dal 1860 la sua opera si orientò verso paesaggi e composizioni più ariose (La primavera, 1873, Musée d'Orsay), che gli valsero fama internazionale.
 

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Jean-François Millet (1814-1875) è considerato un altro interprete importante del realismo francese del secondo Ottocento. La sua attività giovanile, iniziata nell’ambito del romanticismo, conserva una intonazione lirica che manca, in genere, agli altri interpreti del realismo, quali ad esempio Courbet. I soggetti dei suoi quadri sono quasi sempre contadini che vengono presentati con una intonazione poetica molto evidente. Nei quadri di Millet è assente, quindi, qualsiasi intento provocatorio o di polemica sociale. Le sue prime tele di contenuto agreste risalgono al 1848, lo stesso anno della svolta realista di Courbet, e anno della rivoluzione di febbraio che portò all’istituzione in Francia della seconda repubblica. Dal 1863 si dedicò principalmente alla pittura di paesaggio finendo la sua attività con quadri che preannunciano già lo spirito della successiva pittura simbolista.
 

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