Comte: fede positivista e religione dell'umanità
di Franco Di Giorgio
Non è facile trovare nel panorama culturale odierno chi si interessi del pensiero e dell'opera di Auguste Comte (1798-1857), quasi fosse esaurita l'attualità di un filosofo che innegabilmente esercitò una grande influenza, seppur indiretta, sulla mentalità della borghesia ottocentesca. Tuttavia a noi sembra che la parabola descritta dal pensiero di Comte sia oggi estremamente attuale, in quanto in esso ritroviamo il nucleo teoretico più sistematico e logico su cui si basano alcune soluzioni date al problema umano nella società contemporanea. Occorre per questo però porre attenzione all'intero procedere sistematico del fondatore della filosofia positiva, dall'intuizione giovanile (1822) della «legge dei tre stadi» fino alla progettazione della «religione dell'umanità», che non può essere ridotta come fanno alcuni interpreti a mero frutto di pazzia senile, dal momento che in essa trova compimento coerente la stessa intuizione iniziale.
Lo scopo peculiare del pensiero di Comte è infatti la costruzione di un nuovo e stabile ordine sociale, giudicato indispensabile da chi aveva come lui vissuto le convulsioni della Francia post-rivoluzionaria, i grandi sconvolgimenti sociali e culturali che dal dominio napoleonico al regno di Luigi Filippo ponevano le basi della rivoluzione industriale. Non si può definire infatti originale l'idea iniziale della «legge dei tre stadi», che in effetti Comte deriva dal suo maestro Saint-Simon, o più semplicemente dall'Illuminismo che fortemente ancora permeava la cultura francese del primo Ottocento: l'idea appunto che la scienza rappresenti la forma di sapere superiore e definitivo cui l'umanità deve giungere, abbandonando via via l'ingenuità e la superstizione primitiva. Piuttosto superficiale, o addirittura deformante, si rivela anzi la stessa concezione comtiana della scienza, identificata sulla base del modello meccanicistico con un corpus definitivo di conoscenze, con un sapere comunque finalizzato ad una utilizzazione pratica.
È appunto nella operatività del progetto che si focalizza l'intenzione del filosofo, trasformatosi, certo anche a seguito di un grave esaurimento nervoso, in Pontefice della «religione positiva», progettista maniaco di un nuovo culto per una nuova Chiesa.
Le tre tappe del pensiero di Comte
La nostra analisi percorrerà, senza pretesa di essere esauriente, le tre tappe che Comte propone come necessarie per la realizzazione di una nuova società in cui l'uomo si realizzi pienamente:
l'eliminazione del senso religioso
l'instaurazione di una nuova religione con la conseguente riduzione del cattolicesimo;
la imposizione di un «dispotismo spirituale», naturale premessa per l'instaurazione a livello politico di un regime totalitario.
1. L'eliminazione del senso religioso
Con la «legge dei tre stadi» Comte vuole dare una spiegazione allo svolgersi della storia. La successione che egli immagina dello sviluppo storico è contraddistinta da tre fasi: stadio teologico, stadio metafisico e stadio positivo. Nei primi due l'umanità non ha fatto altro che ricercare la natura intima degli esseri, le cause prime e finali dei fenomeni naturali, attribuendo la funzione originaria ad agenti soprannaturali. Nello stadio positivo la ragione umana, riconosciuta l'impossibilità di giungere a conoscenze assolute, abbandona queste ricerche, rinuncia ad indagare sull'origine e sul destino dell'universo e mira a scoprire le leggi effettive dei fenomeni. In questo stadio la ragione - come dice Comte stesso - non si chiede più il «perché» delle cose, «non si interroga più sulle cause dei fenomeni, ma lavora a determinare le leggi secondo le quali si producono questi fenomeni» (Corso di filosofia positiva, 1830-1842).
L'esito di questo percorso è l'agnosticismo, contraddistinto dal fatto che si ritiene il problema di Dio insolubile, che si considera impossibile pronunciarsi tanto per l'esistenza quanto per la non esistenza di Dio e che si crede vietata ogni soluzione del problema delle origini e dei fini dell'uomo e del mondo.
A ben vedere questa posizione proclama una negazione del problema di Dio molto più radicale rispetto all'ateismo tradizionale. Infatti, al pari di Marx, si vuole eliminare alla «radice» lo stesso porsi del senso religioso, proclamando superata l'attenzione alle domande che riguardano il destino e le origini dell'uomo e del mondo. Lo stesso Comte confessa di aver voluto non evitare, ma superare l'ateismo, considerandolo una «emanazione insufficiente, poiché tende a prolungare indefinitamente lo stato metafisico, ricercando senza posa nuove soluzioni dei problemi teorici invece di eliminare, come radicalmente vane, tutte le ricerche accessibili» (Sistema di politica positiva, 1851-1854). «Il vero spirito positivo consiste soprattutto nel sostituire sempre lo studio delle leggi invariabili dei fenomeni a quelle delle loro cause propriamente dette, prime o finali, in una parola la determinazione del come a quella del perché» (Ibidem). La forma assunta dall'ateismo, dunque, secondo Comte, non è capace di estirpare alla radice il senso religioso, in quanto conserva «i termini del problema di Dio, le abitudini di pensare e i modi di ragionare del credente» e quindi si inoltra in una via da cui è possibile ricadere di nuovo nell'ansia religiosa (cfr. H. De Lubac, Il dramma dell'umanesimo ateo, Morcelliana 1978, pp. 124-130).
A questa eliminazione del senso religioso Comte arriva facendo proprio un concetto di ragione, inteso come «misura di tutte le cose» e come tale negatore della stessa categoria della possibilità. La ragione viene fatta coincidere con il modo di procedere delle scienze. Essa dunque implica le categorie della sperimentabilità e verificabilità pratica. Tutto ciò che non può essere sperimentato e verificato secondo i criteri scientifici, non esiste, non è possibile che sia. C'è in Comte un fiducioso ottimismo circa le possibilità della scienza e quindi della ragione di poter risolvere ogni umano problema senza Dio.
Un ottimismo, così dogmaticamente affermato, che non riesce più a percepire il limite dell'uomo e quindi anche delle sue costruzioni scientifiche. La scienza, anzi, viene a prendere il posto di Dio, nel suo tentativo di risolvere ogni tipo di problema umano. Anche l'idea di progresso viene affermata sulla base di questo atteggiamento ottimista nelle possibilità della ragione umana. Un progresso inesauribile avrebbe dominato la scena storica universale. In questo orizzonte l'uomo stesso diventa misura di tutte le cose, nonché criterio ultimo dell'esistenza della realtà.
Una volta eliminata la dimensione delle domande ultime assolute non rimane che ridurre tutto al «relativo», al «contingente». Il relativismo conduce a sua volta ad una «sottomissione all'oggetto», ad una forma cioè di «feticismo», che Comte stesso recupera dallo stadio teologico, preferendolo al politeismo e al monoteismo e paragonandolo all'epoca positiva. In altre parole l'uomo nelle sue domande ultime e nelle sue esigenze scompare per lasciare il posto al trionfo dell'oggetto, delle cose, verso cui si sente sempre più asservito. È l'epoca del capitalismo, che da un trionfo dell'oggetto si nutre e da cui trae alimento per proporsi in maniera definitiva (cfr. H. De Lubac, op. cit., pp. 113-124).
2. La riduzione del cattolicesimo e la «nuova religione»
Comte non si limita ad escludere Dio, ma tenta anche di sostituirlo in modo da eliminarlo totalmente dalla scena del mondo. «Si distrugge infatti solo quello che si sostituisce... Seguendo questa massima, tanto ben detta che pensata, bisogna dunque sostituire il cattolicesimo con una vera religione, sotto pena di veder prolungare indefinitamente la sua ignobile caducità» (Corrispondenza inedita). Il positivismo deve sostituirsi al cristianesimo e rendersi capace di soddisfare tutti quei bisogni della natura umana che non trovano risposta nella posizione ateistica della vita. E questa sostituzione avviene ponendo al posto di Dio l'«Umanità». È questa la vera divinità, il «Grande Essere Provvidenziale», il «nuovo Essere supremo», capace di soddisfare il bisogno di adorazione presente nel cuore di ogni natura umana. Essa costituisce «il solo vero grande Essere, di cui noi siamo consciamente i membri necessari» (Sistema di politica positiva).
Il dio adorato dai positivisti è un «Essere relativo», che «ha una potenza limitata, benché sempre superiore alle nostre forze, individuali o collettive», mentre i teologi e i metafisici - secondo Comte - adorano «un Dio assoluto, il cui potere è senza limiti». Per questa ragione i secondi devono considerarsi dei «veri schiavi», in quanto «sottomessi ai capricci di una potenza impenetrabile», mentre soltanto nei primi l'uomo può diventare veramente libero, in quanto questi «sono subordinati a leggi immutabili e conosciute, che ci liberano da ogni impero personale» (Lettere a Henri Dix Hutton). In questo modo l'«Umanità» prende il posto dell'«antico Dio». «In essa - dice Comte noi viviamo, ci muoviamo e siamo». Essa è «il centro delle nostre affezioni» (Appello ai conservatori, 1855).
L'«Umanità», di cui parla Comte, comprende molti individui di tutte le generazioni, ma non li ritiene tutti, in quanto essa è «l'insieme continuo di esseri convergenti». I «parassiti» ed i «criminali» ne sono esclusi perché «non trasmisero ai successori nessun equivalente di ciò che ricevettero dai loro predecessori». Ne fanno dunque parte soltanto quegli uomini «che hanno cooperato alla grande opera umana, quelli che si prolungano in noi, che sono da noi continuati, quelli di cui noi siamo i veri debitori» (Sistema di politica positiva).
E non a caso Comte si rifiuta di considerare la figura di Cristo tra i benefattori dell'Umanità. Quest'ultimo viene infatti considerato un «avventuriero religioso», un «ciarlatano», un «falso fondatore» che nulla ha apportato al progresso umano. Il suo nome non viene fatto comparire assieme a quelli che hanno contribuito all'edificazione dell'«Umanità», come Confucio, Mosè, Maometto, ecc. (cfr. Catechismo positivista, 1852).
In realtà ciò che a Comte fa problema è la supposta divinità di Gesù Cristo; un uomo che si dice Dio rompe con una religione che ha eliminato il Dio-Mistero per sostituirlo con il Dio-Uomo, con l'umanità che si divinizza. Ma a pensarci, Comte, in questa sua eliminazione, riconosce al cristianesimo una forza davvero originale rispetto alle altre religioni. Rifiutando la figura di Cristo, egli sancisce quella profonda differenza che c'è tra la religione nata dalla presenza, morte e resurrezione di Gesù Cristo e quelle i cui fondatori rispondono ai nomi di Confucio, Mosè, Maometto, Buddha. Infatti la pretesa di Cristo di definirsi e chiamarsi Dio non può essere accettata da chi ha chiuso la ragione, con la «legge dei tre stadi», al senso religioso.
Il cristianesimo viene così condannato, non solo per la sua pretesa origine divina, ma in modo particolare per il suo carattere «immorale» ed «antisociale». Il cristianesimo, infatti, secondo Comte, predica un rapporto «personale» (da intendersi come sinonimo di «individuale») con Dio, a scapito del rapporto «sociale», del rapporto con gli altri uomini. Il grande torto del cristianesimo consiste dunque nell'avere «consacrata la personalità con un'esistenza che, legando ciascuno direttamente ad una potenza infinita, l'isolava profondamente dall'Umanità» (Catechismo positivista). Da ciò consegue che ogni influsso sociale viene dal credente rigettato per un tipo di esistenza anarchico. «L'uomo che si crede in rapporto diretto con un Essere assoluto, non può essere che un fermento di disgregazione sociale. Egli è sollevato da uno "slancio astratto" che contrasta incessantemente "l'ordine collettivo" e disconosce tutte le solidarietà, incapace di riconoscerle nel tempo e nello spazio» (H. De Lubac, op. cit., p. 150).
Da queste considerazioni deriva anche l'accusa al cristianesimo di essere egoista, di aver sviluppato nell'individuo «un'abitudine continua di calcoli personali», che lo ha condotto nel tempo a modificare le tendenze della natura umana, dandole «un eccesso di circospezione, di previdenza, e finalmente di egoismo, che la sua organizzazione fondamentale non esigeva». L'«appello continuo ed esorbitante allo spirito di puro egoismo» ha fatto sì che la morale cristiana tendesse «ad atrofizzare, per difetto di esercizio proprio, la parte più nobile del nostro organismo morale» (Discorso sullo spirito positivo).
Evidentemente Comte della religione cristiana propone una forte riduzione, quando ne limita i principi ai due aspetti: morale e sociale. Pensare al cristianesimo come ad un ordinamento morale e sociale, significa in sostanza ridurlo ad elementi naturali, il cui controllo è possibile da parte della ragione. Comunque anche questa operazione riduttiva del cristianesimo è direttamente conseguente all'eliminazione del senso religioso. Una volta eliminato dalla realtà il senso del mistero per limitare lo sguardo alle leggi dei fenomeni, tutto ciò che risulta insignificante e senza senso viene accantonato. In questa prospettiva ciò che all'uomo importa è stabilire la forma migliore di collaborazione con gli altri uomini, sia a livello sociale che etico. Tutto ciò che contribuisce a dare una risposta a questa esigenza di socialità viene accettato e rivalutato, a scapito invece di quello che sembra contrastare questo spirito di «comunione».
Se il cristianesimo, compresa la stessa figura di Gesù, è oggetto delle più feroci critiche, un destino diverso tocca invece la figura di san Paolo, che - secondo il capostipite del positivismo - viene considerato il fondatore del cattolicesimo. È stato san Paolo a sminuire il carattere immorale ed antisociale del cristianesimo e a giungere alla formulazione del dogma e alla costituzione dell'attuale sistema cattolico, che Comte guarda con profonda ammirazione e che poi non esiterà a far proprio, dopo averlo svuotato del suo contenuto originario ed essenziale, nell'elaborazione della sua «religione dell'Umanità». Se san Paolo finisce per porsi sotto la sequela di Gesù Cristo è perché questo gli permette di evitare «quell'obbligo, sempre odioso ad un uomo retto, di farsi adorare» (Sistema di politica positiva). Secondo Comte, con l'istituzione nel suo seno di un sacerdozio, il cattolicesimo ha limitato fortemente quell'«anarchia evangelica», allora imperante. Il sacerdozio, infatti, ha ristretto i miracoli, ha soprattutto limitato le rivelazioni, concentrando il potere «sul capo visibile della Chiesa, divenuto così l'interprete permanente dei precetti divini» (Sistema di politica positiva). Così facendo il cattolicesimo non ha fatto altro che rafforzare il legame sociale, cosa pregevole per il Nostro.
Inoltre in questo processo di umanizzazione del cristianesimo si innestano, secondo Comte, il culto dei santi e quello della Vergine, che hanno contribuito in modo determinante all'estinzione del «culto di Dio». Anche il dogma dell'incarnazione viene recuperato ed interpretato come il tentativo di eliminare qualsiasi distinzione tra l'uomo e Dio. Lo stesso dogma trinitario in sostanza ha permesso all'uomo di riconoscere la sua «divinità», cosicché il cattolicesimo viene ad essere una premessa necessaria per l'instaurarsi della «religione dell'Umanità» (cfr. H. De Lubac, op. cit, pp. 158-159).
Sulla base di queste considerazioni è possibile spiegare anche il tentativo di Comte di cercare una alleanza con la Chiesa cattolica ed in special modo con l'ordine gesuita, ritenuto l'autentico capo spirituale del cattolicesimo. Resta comunque certo che nell'intento del maggior rappresentante del positivismo questa alleanza doveva avere un carattere puramente provvisorio; infatti una volta che «la religione dell'Umanità» fosse stata riconosciuta ed accolta positivamente dalle masse, lo stesso cattolicesimo avrebbe dovuto abbandonare le sue «pretese cristiane» per confluire nella religione positiva. Si comprende allora che ciò che Comte propone alla Chiesa cattolica non è altro che rinnegare il suo fondamento, cioè Gesù Cristo, per ridursi esclusivamente ad un fatto morale e sociale (cfr. H. De Lubac, op. cit., pp. 165-168).
3. Il nuovo dispotismo spirituale e politico
La «religione dell'Umanità» diventa nelle intenzioni dell'Autore la vera religione positiva, l'unica capace di prendere il posto del cattolicesimo. Al pari della religione cattolica, il positivismo avrà il suo culto, i suoi dogmi, le sue cerimonie, le sue «consacrazioni» o «sacramenti sociali» con cui santificare «tutte le fasi attuali della vita privata, connettendole sistematicamente alla vita pubblica» (Catechismo positivista). I mesi prenderanno i nomi significativi della religione positiva e i giorni della settimana saranno consacrati ognuno ad una delle sette scienze. Verranno costruiti templi laici (istituti scientifici) e un papa positivo eserciterà la sua autorità su coloro che si occuperanno dello sviluppo delle industrie e dell'utilizzazione pratica delle scoperte. Nella società positiva la donna diventerà la custode e la fonte della vita sentimentale dell'Umanità.
L'Umanità sarà il «Grande Essere», lo spazio il «Grand'Ambiente» e la terra il «Gran Feticcio»: in ciò consisterà la trinità della religione positiva. Questi brevi accenni sono sufficienti a dare un'idea della legislazione religiosa positivista, che non è nelle nostre intenzioni descrivere nel dettaglio. A noi interessa invece rilevare quella forma di «dispotismo spirituale» che consegue da questa costruzione religiosa positivista e che conduce al totalitarismo. Infatti nella società retta dal positivismo i sacerdoti dovranno un'obbedienza assoluta al «Gran Sacerdote», «organo supremo dell'Umanità», sia nell'azione, sia nel pensiero che nel cuore. «La fede, cioè la disposizione a credere spontaneamente, senza previa dimostrazione, ai dogmi proclamati da un'autorità competente, è una verità fondamentale, base immutabile e necessaria dell'ordine sociale...» (Sistema di politica positiva). Sulla base di questa sequela i sacerdoti positivisti si costituiranno come classe intellettuale, incaricata di pensare per tutti gli altri uomini: è ciò che De Lubac definisce «dispotismo spirituale»: la «diffidenza per l'intelligenza» di cui è permeato tradisce tra l'altro il carattere caricaturale dell'idea comtiana della scienza, ridotta a nuovo dogma.
Con l'istituzione della «religione dell'Umanità», l'uomo non ha più bisogno di prostrarsi dinanzi a Dio, al mistero che sottende tutta la realtà, ma dovrà sottomettere se stesso ad altri uomini e a cose puramente umane. In questi termini Comte si rivolge ai suoi adepti: «Impadronitevi del mondo sociale, poiché esso vi appartiene, non già sulla base di qualche diritto, ma secondo un dovere evidente, fondato sulla vostra attitudine esclusiva a ben dirigerlo, sia come consiglieri speculativi, sia come comandanti attivi. Non bisogna dissimulare che i servitori dell'Umanità oggi finiscono per eliminare radicalmente i servitori di Dio da ogni posto direttivo degli affari pubblici, come incapaci di prenderne un sufficiente interesse e di comprenderli realmente...» (Lettere inedite a C. Blignieres).
Dio e l'Umanità, secondo Comte, non possono essere conciliati. Si deve scegliere o per l'uno o per l'altro. Qualsiasi tentativo di sintesi nasconde un'incapacità a capire le ragioni di fondo che sostengono i due «regimi». Comunque la scelta di Dio appartiene ormai ad uno stadio superato dalla evoluzione storica, allo stadio teologico. Non resta allora che fare la scelta per l'Umanità, per lo stadio positivo, ricacciando Dio e le sue pretese assolute.
La venerazione dell'Umanità comporta però la necessità di ordinare la società secondo una distribuzione gerarchica, in cui c'è la classe speculativa (composta dal capo religioso positivista e dalla sua casta sacerdotale) che ha la funzione di comandare sull'intera società, seguita dalla classe attiva cui appartengono i banchieri, i quali a loro volta esercitano il potere sul resto dell'Umanità proletaria.
In questo ordinamento tutte le forze discordanti saranno escluse, senza però usare alcuna forma di violenza o di forza, ma cercando di «disciplinare la volontà» dell'individuo. A riguardo Comte si proclama contro ogni forma di democrazia, così come respinge ogni ansia rivoluzionaria, proponendosi come «la sola difesa sistematica dell'ordine contro le sovversioni comuniste o socialiste» (Corrispondenza inedita).