Sono, fiscalmente, dividendi "esteri" quelli pagati da emittenti non residenti, anche se i titoli azionari sono quotati nella Borsa italiana.
Gli intermediari che intervengono nella riscossione dei dividendi esteri devono applicare una ritenuta del 12,5% (chiaramente, se i percettori sono persone fisiche). Questa ritenuta è a titolo di acconto: tali proventi devono essere sempre riportati in dichiarazione dei redditi.

La ritenuta italiana del 12,5% indicata nella certificazione inviata dagli intermediari viene calcolata sul dividendo erogato al netto dell' imposta trattenuta all' estero, a favore del paese di provenienza (la base imponibile viene per questo definita "netto frontiera").
Pertanto, tutte le banche e gli altri intermediari applicano la ritenuta sul "netto frontiera" e indicano nelle certificazioni rilasciate alla clientela non il lordo distribuito ma l' importo pagato dalle controparti estere, da accreditare alla clientela dopo l’applicazione della ritenuta italiana.

Da qualche tempo, le istruzioni al Mod. Unico delle persone fisiche riportano la precisazione che "per utili prodotti all' estero si intendono quelli distribuiti o comunque provenienti da società o enti residenti all' estero"; è, pertanto, sorta la necessità per la clientela di segnalare nella dichiarazione il reddito percepito, il dividendo estero, al lordo di ogni ritenuta, compresa quella estera.

Ricordiamo, ad esempio, che la ritenuta fiscale francese normalmente applicata sui dividendi corrisposti a non residenti è del 25%, quella tedesca è del 26,375%.
Per l’ imposta subita all' estero, le istruzioni ministeriali alle dichiarazioni dei redditi stabiliscono che, in presenza di Convenzioni contro le doppie imposizioni, la percentuale in eccesso rispetto all' aliquota convenzionale può essere chiesta a rimborso allo Stato estero, mentre l' imposta estera che effettivamente rimane a carico può essere considerata quale credito di imposta - come se fosse stata anticipata allo Stato italiano - elencando gli importi in una specifica distinta compilata dal contribuente, da tenere a disposizione per eventuali richieste dell' Amministrazione finanziaria.

(Ad esempio, data una ritenuta estera del 25%, poichè in generale le convenzioni prevedono che lo Stato della fonte può pretendere fino al 15% del dividendo, il 10% in eccesso può essere chiesto a rimborso mentre il 15% pagato allo stato estero può essere utilizzato quale credito di imposta).
Il contribuente, con l’ indicazione nella dichiarazione del solo "netto frontiera", rinuncia allo scomputo delle imposte pagate all' estero, e in realtà penalizza se stesso, riversando così all' Erario più del dovuto.

La faccenda, di per sé più favorevole all' Erario, è sicuramente senza alcun rischio di sanzioni amministrative per il contribuente.

In pratica, la via "semplificata", quella che consente di evitare di indicare le imposte estere, comporta una perdita di reddito netto corrispondente alla differenza tra l' imposta estera e lo stesso importo moltiplicato per l' aliquota marginale del contribuente; se è vero che aumenta l' imponibile in virtù della dichiarazione al lordo estero, e pertanto consegue una maggiore tassazione, il maggiore importo pagato alle autorità estere viene totalmente recuperato mediante:
per una parte, il meccanismo del credito di imposta;
per l' altra, l' accredito da parte dell' Erario estero.
Inoltre, il riporto lordo in dichiarazione è conveniente anche se non si instaura il rimborso (spesso difficoltoso) presso l' Amministrazione fiscale straniera della ritenuta trattenuta in misura eccedente rispetto alla previsione delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi.
