Proxima b, la “Terra gemella” più vicina possibile

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Trovate tracce di un possibile pianeta simile al nostro in orbita in zona abitabile attorno a Proxima Centauri, la stella più vicina al Sistema solare, ad appena 4.2 anni luce da noi. La scoperta, annunciata oggi in conferenza stampa internazionale dall’ESO, è pubblicata su Nature
di Marco Malaspina


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Rappresentazione artistica della superficie del pianeta Proxima b in orbita attorno alla nana rossa Proxima Centauri, la stella più vicina al Sistema solare. In alto a destra rispetto a quest’ultima, s’intravede anche la stella doppia Alpha Centauri AB. Crediti: ESO/M. Kornmesser

Non è un pianeta qualunque. Quello descritto oggi per la prima volta sulle pagine di Nature è un mondo del quale ci ricorderemo a lungo. Grande – o meglio piccolo – circa quanto la Terra, Proxima b, questo il suo nome, ha infatti due caratteristiche che danno alla sua scoperta una portata storica. Anzitutto, ma qui è in buona compagnia, non si può escludere che possa ospitare la vita. Ma a renderlo unico è che orbita attorno alla stella più vicina che esista al nostro Sole: la modesta nana rossa Proxima Centauri, ad “appena” 4.2 anni luce da noi.

«Molti esopianeti sono stati scoperti e molti altri verranno scoperti in futuro, ma cercare quello che potenzialmente è l’analogo della Terra a noi più vicino, e riuscirci, è stata per noi tutti l’esperienza di una vita», è la dichiarazione altisonante – com’è comprensibile che sia – dello scienziato alla guida del team che ha trovato Proxima b, Guillem Anglada-Escudé, della Queen Mary University di Londra.

E il fatto che sia un ricercatore spagnolo in forze presso un’università del Regno Unito ci porta a una terza particolarità di questa scoperta che – soprattutto di questi tempi – vale la pena menzionare: Proxima b è un pianeta “europeo”. Nel senso che ad “avvistarlo” per primi non sono stati i telescopi spaziali della NASA bensì quelli terrestri, situati sulle Ande cilene, dell’ESO, lo European Southern Observatory, un’organizzazione intergovernativa tutta europea che comprende fra i suoi membri di maggior rilievo anche l’Italia.

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Ecco come funziona il metodo di rilevazione d’un pianeta basato sulla misura della variazione della velocità radiale (slide presentata durante la conferenza stampa ESO)

Non è un pianeta qualunque, dicevamo: se confermato – ma su questo, ora spiegheremo perché, ci sono ben pochi dubbi – e soprattutto se risulterà davvero abitabile, Proxima b, proprio per la sua imbattibile prossimità, avrà buone chance di monopolizzare per anni, o forse sarebbe più corretto dire per millenni, l’attenzione (e le risorse) di ogni programma per la ricerca d’una seconda Terra. Ma tutto ciò è ancora alquanto prematuro. Basti pensare che Proxima b non è ancora stato nemmeno visto. Non direttamente – anche se con il diluvio di rappresentazioni artistiche che ci inonderà in queste ore sarà difficile ricordarsi e convincersi che non esiste, a oggi, neppure un singolo pixel che lo ritragga, figuriamoci una foto. Ma nemmeno indirettamente: a differenza di quanto accade con il metodo dei transiti, quello utilizzato dal satellite Kepler, che dei pianeti ci mostra quanto meno “l’ombra”, l’esistenza e le caratteristiche di Proxima b sono state per ora dedotte quasi esclusivamente dalle perturbazioni sulla velocità della sua stella madre – Proxima Centauri, appunto – introdotte dall’influenza gravitazionale reciproca fra quest’ultima e il pianeta. Ovvero, con il metodo delle velocità radiali. Ci sono – è vero – anche curve fotometriche, relative a variazioni periodiche della luminosità della stella, correlate con il segnale doppler della variazione di velocità radiale (ecco il perché del ‘quasi’ di poc’anzi), ma non c’è alcuna prova che siano legate a un eventuale transito del pianeta sul disco della stella. Dunque, prima di procedere oltre, è opportuno distinguere tra le informazioni ragionevolmente certe – per quanto la certezza assoluta non appartenga al dominio della scienza – e quelle che invece al momento non lo sono. Partiamo da queste ultime.
Cosa non sappiamo

Non sappiamo alcunché circa la sua atmosfera. Non solo non sappiamo da quali gas è formata, ma neppure possiamo dire se ne possiede una o meno. A voler vedere il bicchiere mezzo vuoto, c’è da ricordare che l’assenza di un’atmosfera è resa abbastanza probabile dall’estrema prossimità del pianeta alla stella madre. In ogni caso, gli scienziati non sono al momento nemmeno in grado di quantificare la probabilità che un’atmosfera ci sia o non ci sia, ha dichiarato oggi in conferenza stampa uno dei coautori della scoperta, Ansgar Reiners, dell’Istituto di astrofisica di Gottinga, in Germania.

Allo stesso modo, non c’è alcuna certezza sulla presenza o meno di acqua, né in superficie né al di sotto. La buona notizia, però, sottolineata più volte dagli scienziati, è che questa temporanea – speriamo – ignoranza non ci consente d’escludere che possegga entrambe: acqua e atmosfera. Non solo: le condizioni termiche ipotizzate per il pianeta (tenendo conto della distanza dalla stella e della temperatura relativamente mite di quest’ultima, meno di 2800 gradi) sembrerebbero compatibili con la presenza d’acqua allo stato liquido.

Ancora, pur avendo una stima circa la sua massa minima, non possiamo dire altrettanto su quella massima. Dunque, stando ai dati, potrebbe anche non essere un “piccolo pianeta roccioso”. Però, ha spiegato Anglada-Escudé, per quanto sia vero che non abbiamo indizi sulla massa massima, l’esperienza con i pianeti rocciosi individuati da Kepler induce a ritenere che si tratti d’un pianeta comunque piccolo.

Infine, ma a questo punto dovrebbe essere scontato, nessuno è in grado d’affermare se lassù ci sia o meno la vita.

Cosa sappiamo

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La posizione di Proxima Centauri (la “casa” di Proxima b) nei cieli australi. In primo piano, il telescopio da 3.6 metri dell’ESO, dov’è installato HARPS, lo strumento che ha scoperto il pianeta. Crediti: Y. Beletsky (LCO)/ESO/ESA/NASA/M. Zamani

Sappiamo che c’è. Va detto che, almeno formalmente, Proxima b non è collocato nella classe dei pianeti confermati, ma è ancora in quella dei candidati – come ben si evince anche dal titolo dello studio pubblicato oggi su Nature che illustra la scoperta: “A terrestrial planet candidate in a temperate orbit around Proxima Centauri”. E i falsi positivi sono numerosi, seppure in quantità minore per quanto riguarda i piccoli pianeti rocciosi come dovrebbe essere Proxima b. D’altronde, basti ricordare che un candidato di massa terrestre appena qualche settimana luce più distante di questo – a 4.3 anni luce da noi – era stato rilevato nel 2012, anch’esso con il metodo delle variazioni di velocità radiale, in orbita attorno ad Alpha Centauri B. Denominato Alpha Centauri Bb, anche nel suo caso la scoperta venne pubblicata su Nature, ma successive analisi hanno messo pesantemente in dubbio che esista davvero.

Però il caso di Proxima b è diverso. Tanto che – scherzando, d’accordo, ma fino a un certo punto – Anglada-Escudé ha puntualizzato che quel ‘candidate’ che troviamo nel titolo dell’articolo su Nature si riferisce soprattutto all’aggettivo ‘terrestrial’, più che al sostantivo ‘planet’. E aggiungendo che la probabilità che si tratti d’un falso positivo è stimata attorno a uno su dieci milioni. Il perché di tanta sicurezza sta anzitutto in un numero: 1.4 m/s. Di tanto varia la velocità di Proxima Centauri per effetto dell’interazione gravitazionale con Proxima b. Misurato dallo spettrografo HARPS (vero protagonista della scoperta, installato sul telescopio da 3.6 metri dell’ESO in Cile), è un valore alquanto elevato, che mette sostanzialmente al riparo da rischi di smentite. A questo vanno aggiunte le conferme ottenute dalle misure fotometriche, come detto prima, e in generale la lunga durata e la progressione senza sorprese della campagna osservativa. «Ho continuato a verificare la consistenza del segnale ogni singolo giorno, durante le 60 notti della campagna osservativa Pale Red Dot», ricorda Anglada-Escudé a proposito degli ultimi, concitati, mesi di raccolta dati. «I primi 10 erano promettenti, i primi 20 erano in linea con quanto ci attendevamo, e dopo 30 giorni il risultato era praticamente definitivo, così ci siamo messi a scrivere l’articolo».

Ne conosciamo la massa minima, stimata attorno a 1.27 volte quella della Terra. Sappiamo quanto dura un suo anno: 11 giorni e 4 ore terrestri, questo il periodo di rivoluzione. E abbiamo una stima abbastanza precisa di quanto sia lontano da Proxima Centauri, la stella attorno alla quale orbita: circa 7.5 milioni di km, ovvero il 5 percento della distanza fra la Terra e il Sole. Pochissimo. Così poco da rendere probabili, nonostante la debolezza della stella rispetto al Sole, alcune caratteristiche non proprio a favore dell’abitabilità. Quali? La rotazione sincrona, per esempio, con la conseguenza che Proxima b potrebbe mostrare sempre la stessa faccia alla sua stella, e dunque avere un emisfero perennemente illuminato e l’altro perennemente al buio. Ancora, l’intensità delle tempeste stellari. O l’induzione magnetica della stella sul pianeta, vale a dire la densità del suo flusso magnetico. Ma la più minacciosa parrebbe essere la radiazione stellare che investe il pianeta, soprattutto in banda ultravioletta e X: quest’ultima, in particolare, si ritiene sia 400 volte più intensa di quella che investe la Terra.

Tutte avversità, osservano però Anglada-Escudé e colleghi, alle quali un’atmosfera come si deve potrebbe far fronte. Inoltre, sappiamo anche che le nane rosse hanno durata lunghissima. Proxima Centauri esisterà centinaia, se non migliaia, di volte più a lungo del Sole. E questa longevità è un fattore cruciale a favore dello sviluppo d’eventuali forme di vita.

Di Proxima b sappiamo infine, ed è la sua caratteristica più importante, quanto dista da noi. Pochissimo, in termini astronomici: 4.22 anni luce. Per un pianeta extrasolare – escludendo improbabili pianeti orfani – meno di così è impossibile, visto che Proxima centauri è la stella più vicina al Sole. Per dire, se mai qualcuno lassù fosse oggi intento ad ascoltare un nostro giornale radio, sentirebbe quello del 3 giugno 2012 – governo Monti, ricordate? Insomma, sarebbe quasi un nostro contemporaneo. Pochissimo in termini astronomici, dunque, ma comunque un’enormità per noi viaggiatori umani: 40 mila miliardi di km.

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La “firma” del pianeta nelle variazioni di velocità radiale della sua stella madre. Crediti: ESO/G. Anglada-Escudé

Cosa ci attende

Il primo obiettivo, si spera a breve termine, è capire se Proxima b possiede un’atmosfera. Per riuscirci, l’osservazione di un transito sarebbe l’ideale: ci permetterebbe non solo di confermare al di là d’ogni ragionevole dubbio che Proxima b esiste, ma anche – appunto – di verificare la presenza di un’atmosfera e di analizzarne la composizione chimica. Purtroppo, però, per osservare un transito non bastano né la pazienza certosina del team guidato da Anglada-Escudé né la tecnologia più avanzata possibile: occorre anche trovarsi nella posizione giusta. E su questo c’è assai poco da fare.

Ecco dunque che potrebbe tornare quanto mai a proposito il progetto Starshot, del quale abbiamo parlato qualche mese fa su INAF-TV e che, in modo piuttosto irrituale per una conferenza stampa scientifica, ha trovato ospitalità anche nella presentazione dell’ESO. Ultimo fra gli speaker è infatti intervenuto, in qualità di chairman della Breakthrough Prize Foundation, Pete Worden, fino all’anno scorso direttore del NASA AMES Research Center. E ha spiegato che, fra i 20-25 anni necessari per la realizzazione delle micronavicelle spaziali – sponsorizzate da personaggi del calibro di Yuri Milner, Mark Zuckerberg e lo stesso Stephen Hawking – e gli altri 20-25 richiesti per coprire a velocità relativistiche la distanza che ci separa dal sistema di Alpha Centauri, dove si trova Proxima b, fra il 2060 e la fine del secolo potremmo cominciare a ricevere immagini ravvicinate del nostro vicino di casa.

Un’attesa troppo lunga per ricevere solo immagini, dite? Be’, consolatevi: se volessimo andarci di persona, e prima o poi lo vorremo, pur con tutto l’ottimismo possibile, anche i più giovani fra noi difficilmente assisteranno alla colonizzazione di Proxima b. I conti sono presto fatti. Prendiamo Solar Probe, un telescopio solare da mezza tonnellata il cui lancio è in programma per il 2018. Si prevede che toccherà punte di oltre 200 km/s, vale a dire 720 mila km/h, abbattendo così ogni record di velocità per oggetti costruiti dall’uomo. Ebbene, se anche riuscissimo a realizzare una navicella in grado di raggiungere la velocità di Solar Probe e capace di portare esseri umani a bordo, per arrivare su Proxima b impiegheremmo oltre 6 mila anni. Come dire, per essere là adesso saremmo dovuti partire nel V millennio a.C., in epoca neolitica, quando i nostri antenati conoscevano a malapena strumenti come l’aratro o la ruota. Insomma, prima di metterci in viaggio, meglio assicurarci che ne valga davvero la pena.

http://www.media.inaf.it/2016/08/24/proxima-centauri-pianeta-vicino/
 
Acqua o roccia? Proxima b e le sue ambiguità

Ricercatori del CNRS francese e della Cornell University hanno realizzato una serie di simulazioni per ricostruire la struttura interna di Proxima b basandosi su modelli che permettono di calcolare il raggio del pianeta e la posizione dei differenti strati di materia. I risultati forniscono valori compresi tra 0,94-1,40 raggi terrestri, indicando che il pianeta potrebbe trovarsi a metà strada tra un corpo celeste più massiccio di Mercurio e un mondo dotato di un singolo grande oceano d’acqua
di Corrado Ruscica


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parametri fisici di Proxima b nel sistema di Alpha Centauri. Crediti: AFP

Uno studio recente, guidato da un gruppo di ricercatori del Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) francese e della Cornell University, tenta di ricostruire la struttura interna di Proxima Centauri b (Proxima b in breve) assumendo che il pianeta appartenga alla classe dei corpi celesti densi e solidi, cioè oggetti rocciosi con possibile presenza di acqua, in modo da derivare il corrispondente raggio. Per far questo, i ricercatori hanno utilizzato un modello della struttura interna che permette di calcolare il raggio del pianeta, assieme alla posizione dei differenti strati di materia, nell’ipotesi in cui la sua massa e composizione fisica globale siano noti. In assenza di informazioni dettagliate che riguardano la stella ospite, per vincolare la composizione fisica di Proxima b, gli scienziati hanno basato il loro modello sui parametri relativi al Sistema solare. Le simulazioni, che si limitano al caso di pianeti solidi senza atmosfere massive, suggeriscono che il raggio di Proxima b ha valori compresi tra 0,94-1,40 raggi terrestri. Il valore minimo è stato ottenuto considerando un oggetto con massa pari a 1,10 volte quella della Terra e con il 65 percento della frazione della massa concentrata nel nucleo, dunque simile a Mercurio, mentre il valore più alto è stato derivato considerando il caso di un oggetto di 1,46 masse terrestri con il 50 percento della massa presente sotto forma d’acqua, che ne farebbe così un pianeta dotato di un singolo grande oceano. Lo studio sarà pubblicato su The Astrophysical Journal Letters.

Nella corsa alla scoperta di nuovi e strani mondi, è forte il bisogno di trovare pianeti extrasolari che abbiano delle similitudini con la Terra. Oggi, avendo trovato il corpo celeste di tipo terrestre più vicino possibile – in orbita attorno alla nana rossa Proxima Centauri, ad appena 4,2 anni luce, e alla giusta distanza per permettere l’eventuale presenza di acqua allo stato liquido sulla sua superficie – le speranze sono così grandi che è inevitabile sentir parlare di una “seconda terra” proprio nel nostro vicinato galattico. Tuttavia, spesso dimentichiamo che, sebbene l’oggetto si trovi nel posto giusto – la cosiddetta “zona abitabile” – e abbia la giusta massa, è anche vero che molto probabilmente non è così simile al nostro pianeta. E anche se dovesse possedere davvero un enorme oceano d’acqua, Proxima b risulterebbe comunque un mondo alieno molto strano.

La realtà è che, al momento, non abbiamo informazioni sufficienti su Proxima b. Sappiamo che un anno terrestre equivale sul pianeta a poco più di 11 giorni, che la sua orbita si trova nella zona abitabile e conosciamo approssimativamente la sua massa (1,3 masse terrestri). Non sappiamo se il pianeta possieda, o meno, un’atmosfera e non è nota la sua dimensione fisica. La mancanza di quest’ultimo parametro non permette di calcolare la densità media, perciò esiste una notevole ambiguità circa la sua composizione fisica. In generale, è possibile stimare la dimensione degli esopianeti misurando la quantità di luce che essi bloccano quando passano davanti alla propria stella. Nel caso di Proxima b non è però stato osservato alcun transito. Gli autori dello studio del CNRS e della Cornell, guidato da Bastien Brugger, hanno dunque provato a eseguire una serie di simulazioni ipotizzando, per l’appunto, un oggetto di 1,3 masse terrestri, per vedere quale forma può assumere il pianeta. I risultati hanno fornito valori compresi tra 0,94 e 1,40 volte il raggio terrestre (che ha un valore medio di 6.371 Km).

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L’immagine raffigura la composizione di Proxima b nei due casi estremi. A sinistra, assumendo il 94 percento del diametro terrestre, il pianeta sarebbe dominato da un nucleo metallico e da un piccolo mantello roccioso. A destra, assumendo un diametro pari a 140 percento quello terrestre, Proxima b apparirebbe come un mondo alieno ricoperto da un singolo grande oceano d’acqua. Tra i due casi estremi, Proxima b apparirebbe come un pianeta simile alla Terra (a centro). Crediti: CNRS

Assumendo che il corpo celeste abbia la dimensione fisica più piccola ammessa per la sua massa, cioè un raggio di 5.990 km, i modelli di formazione planetaria predicono un nucleo metallico che contribuisce al 65 percento della massa del pianeta. Gli strati più esterni sarebbero formati da un mantello roccioso, senza comunque escludere del tutto la presenza di acqua, seppure in percentuale irrisoria rispetto alla massa totale del pianeta (come sulla Terra, del resto, dove non supera lo 0,05 percento). In questo scenario, Proxima b sarebbe un mondo roccioso, sterile e secco che ricorda una sorta di Mercurio più massiccio. Ma si tratta di una possibilità. I ricercatori hanno poi considerato l’altro caso estremo. Che succede se la dimensione fisica del pianeta è quella massima, cioè con un raggio pari a 8.920 Km? In questo caso, Proxima b diventerebbe un corpo celeste grande il 40 percento più della Terra. In questo interessante scenario, il pianeta potrebbe essere molto meno denso, dunque meno roccioso e metallico rispetto all’altro caso estremo. In altre parole, la massa del pianeta si suddividerebbe a metà tra materiale roccioso, distribuito verso il centro, e acqua: Proxima b potrebbe risultare, quindi, una sorta di “mondo d’acqua”, nel senso più stretto del termine: caratterizzato cioè da un singolo oceano di acqua liquida che avvolge l’intero pianeta e profondo, secondo gli autori, circa 200 Km.

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La figura illustra il diagramma massa-raggio per valori differenti relativi alla composizione fisica del pianeta che vanno dal 100 percento di roccia (curva rossa) al 100 percento di acqua (curva blu). Le aree verticali di colore grigio chiaro e scuro corrispondono, rispettivamente, all’intervallo dei valori delle masse stimate per Proxima b (1,10-1,46 masse terrestri) e all’intervallo dei possibili valori dei raggi calcolati dal modello descritto nel presente studio. Crediti: B. Brugger et al. 2016/ApJ

Tra questi due scenari, da un lato un mondo denso, arido e roccioso e dall’altro un mondo d’acqua, c’è la tanto attesa “seconda terra”: un pianeta con un piccolo nucleo metallico, un mantello roccioso e un abbondante acqua sotto forma di un grande oceano sulla sua superficie. È il mondo alieno che vediamo rappresentato nelle versioni artistiche di Proxima b, ma dobbiamo ricordare che si tratta – appunto – di versioni artistiche, relative per di più a uno soltanto di un elevato numero di scenari possibili.

Le conclusioni che emergono da questo studio indicano, piuttosto, che molto probabilmente Proxima b non è un pianeta simile alla Terra. A ogni modo, anche se questo intervallo di raggi permette ancora altre diverse composizioni fisiche della struttura interna del pianeta, esso fornisce preziosi indizi poiché permette di caratterizzare molti aspetti di Proxima b, come le condizioni iniziali della formazione del sistema o l’eventuale quantità di acqua attualmente presente sul pianeta. Inoltre, i risultati del presente studio potranno aiutare gli astronomi a scartare ulteriori misure del raggio del pianeta che possono risultare incompatibili per un corpo celeste di natura solida.

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