Questi li voto.

  • Ecco la 60° Edizione del settimanale "Le opportunità di Borsa" dedicato ai consulenti finanziari ed esperti di borsa.

    Questa settimana abbiamo assistito a nuovi record assoluti in Europa e a Wall Street. Il tutto, dopo una ottava che ha visto il susseguirsi di riunioni di banche centrali. Lunedì la Bank of Japan (BoJ) ha alzato i tassi per la prima volta dal 2007, mettendo fine all’era del costo del denaro negativo e al controllo della curva dei rendimenti. Mercoledì la Federal Reserve (Fed) ha confermato i tassi nel range 5,25%-5,50%, mentre i “dots”, le proiezioni dei funzionari sul costo del denaro, indicano sempre tre tagli nel corso del 2024. Il Fomc ha anche discusso in merito ad un possibile rallentamento del ritmo di riduzione del portafoglio titoli. Ieri la Bank of England (BoE) ha lasciato i tassi di interesse invariati al 5,25%. Per continuare a leggere visita il link

Nuovi partiti, Oscar Giannino: “Ecco il ‘Fare’, piccola pattuglia di rompi********” – Video Il Fatto Quotidiano TV


Nei "rompicòglioni" mi identifico in pieno,sono uno di loro.

Forse li voto.


Colmano un vuoto storico,i "rompicòglionisti" mancavano nel variegato e multiforme panorama politico nostrano.

Ewwiva!!!!!!
c'è di molto meglio

i digiunatoristi, i dietiani

gaicchetti si lamenta: con tutto quel che ho digiunato, neppure un posto nel listino bloccato

giacinto detto marco, in cambio del digiuno vuole una lista di star: se la belen e la canalis rifiutano ancora di presentarsi con lui, ha detto che più di tè alla cannella lui non beve
 
Supramonti caz.zo. Se voti Giannino non ti posso più mandare a fare in cu-lo.
Interista, gucciniano e pure Giannino????????????
 
d'altra parte, da piddino ultras a giannino il passo è breve :D

chiarezza di idee, eh?
 
Nuovi partiti, Oscar Giannino: “Ecco il ‘Fare’, piccola pattuglia di rompi********” – Video Il Fatto Quotidiano TV


Nei "rompicòglioni" mi identifico in pieno,sono uno di loro.

Forse li voto.


Colmano un vuoto storico,i "rompicòglionisti" mancavano nel variegato e multiforme panorama politico nostrano.

Ewwiva!!!!!!

Non ce la faccio ad essere cattolico cristiano e perdonargli il peccato originale. Tutti quelli che son stato nell'entourage del nano quando conveniva e mollarlo quando non serviva più mi puzzan di marcio, non so che farci
 
Ci manca solo che al senato voti M5S e ti sei convertito pienamente alla lotta anti-casta...

:rotfl:



oscargianninonozze.jpg



giannino1.jpg
 
però ha una moglie sindaco, e anche discreta

qualche qualità nascosta, la deve avere
 

Vediamo chi mette in lista...

Se ripresenta vecchi castaioli hai ragione tu :)

Però se mette gente nuova allora può essere votato da chi proprio non sopporta il M5S. In tal caso meglio votare FiD che astenersi o votare per la vecchia feccia politica...
 
non arrivano in parlamento

ma diciamoci la verità,
in quale altro Paese al Mondo sarebbe possibile un candidato e un partito come quelli di Stop al Declino?

siamo unici e inimitabili,
andiamone orgogliosi.
 
Oscar Giannino

Mi avete messo in un brutto guaio. Ascoltando Marco, ovviamente sovverto tutto l’ordine delle cose che avevo intenzione di dirvi, ve ne dico in realtà solo tre perché qui non parlo da giornalista, non parlo da economista. Andiamo al nocciolo della sostanza, l’economia del dono. Per arrivarci, però, devo fare due premesse, una personale ed una che riguarda il mondo.

Quella personale serve a capire quello che oggi penso oggi sull’economia del dono. Ognuno è figlio della propria storia, delle proprie trasformazioni, dell’iterazione con migliaia di persone, del rapporto che ha avuto con la propria famiglia, con gli studi che ha fatto, con la casualità degli insegnanti che ha avuto, con i quartieri in cui è cresciuto, con il paese in cui ha avuto la fortuna o sfortuna di nascere.

Io sono cresciuto in una cultura e con un cuore ed una testa che erano molto diversi da quelli che ho adesso. Ad un certo punto sono cambiato perché mi sono accadute alcune cose.

Vivevo in un quartiere operaio di Torino, di fronte alla Fiat Mirafiori, in condizioni molto limitate di risorse e attraverso i libri mi ero costruito sino a metà della mia vita una cultura che era completamente antagonista e avversa rispetto alle scelte di mia madre.

Io sono cresciuto con una fortissima dose di rabbia addosso, con un sentimento molto negativo che mi ha portato ad andarmene di casa prestissimo quando avevo sedici anni, che mi ha portato a rompere tutti i miei rapporti familiari, che mi aveva portato a respingere mia madre perché di lei non mi convinceva la fede che mi appariva troppo popolare, troppo spontanea, troppo sincera, troppo presente in ogni giorno della sua vita e che io identificavo per reazione rabbiosa come la fede degli sconfitti, dei rassegnati, dei fatalisti. La vecchia idea per cui il Cristianesimo è la religione dei cristiani, mentre invece l’Illuminismo, il volontarismo, l’individualismo, la forza di ciò che portiamo nella testa, è ciò che ci fa spezzare le catene e attraverso l’atto di volontà ci fa uscire dalla sopportazione in questa terra in vista di un’altra. Io non credevo affatto nella religione dell’amore, credevo che fosse la rabbia la vera molla che mi avrebbe consentito di rompere con questo mondo, quello di mia madre, che mi sembrava così piegato su se stesso, che mi sembrava accettare con un eccesso di entusiasmo dei limiti in cui non mi trovavo.

Ho continuato a costruire questa cultura fino alla prima laurea in legge, fino alla seconda laurea in economia, lavorando e mantenendomi, cambiando città, accettando borse di studio, andando a lavorare in politica. E’ andato avanti molti anni questo mio modo di vedere. In sintesi era una visione per cui quello che contava, ad esempio per la laurea in legge, era la legge penale, la legge pubblica non il diritto privato e commerciale perché quello che contava era la forza etica dell’ordinamento, lo Stato che raddrizza le schiene. In economia ero fortemente Keynesiano perché anche in quella visione è lo Stato che interviene quando le cose vanno male e ci mette il denaro del contribuente per sostenere la domanda.

Ad un certo punto della mia vita ho dovuto fare i conti con un’esperienza di vita, che per ciò che mi riguarda non è ancora finita, che si chiama “cancro”. In questo mondo avanzato si ha la percezione che la malattia e la sofferenza non ci siano più, siano ablate, che l’esperienza della morte non esista più perché a casa non si muore più. Mi è capitato quindi di ammalarmi a metà della mia vita e di vedermela da solo perché non avevo più rapporti con la mia famiglia, perche facevo una vita di intenso lavoro e di studio la notte e ho deciso di affrontare il male per i fatti miei. Questa malattia, soggetta a frequenti ricadute portandomi a trascorrere lunghi periodi in ospedale, mi ha profondamente interrogato su tutto quello che avevo fino a quel momento pensato e mi ha messo di fronte ad una realtà, quella della sofferenza e della malattia, soprattutto quella terminale (mi hanno dato tre volte per spacciato perché ho avuto delle brutte ricadute) che non avevo mai affrontato e , pur continuando a lavorare tenacemente, mi sono dovuto porre il problema di cosa fare per non uscire di testa. Pian piano mi sono trasformato da paziente in paziente un po’ particolare, un paziente volontario, non solo perché mi sono reso disponibile a sperimentazione per farmaci e principi attivi non ancora entrati nel protocollo diagnostico ordinario (così ho potuto contribuire a far entrare nel prontuario farmaceutico ben dodici nuovi farmaci per terminali che così possono avere una vita protratta; c’è anche una piccola targhetta all’Università di Birmingham di cui sono molto fiero perché se non rimanesse altro della mia vita lì il mio nome per aver alleviato le sofferenze di qualche migliaio di ammalati di cancro c’è già), anche perché ho iniziato a fare il volontario verso i giovani ammalati terminali che non hanno speranza. E’ questa esperienza che ha iniziato a cambiare la mia modalità di stare con le flebo appese, con i miei farmaci più o meno pesanti in ospedale, perché mi sono messo in condizione di poter aiutare gli altri che muoiono. Così ho imparato in un percorso a ritroso a smontare pezzo per pezzo tutto quello che mi ero costruito in testa nella mia cultura accademica, universitaria, nella mia vita pubblica e politica perché tutto mi è apparso in una luce molto, molto diversa ed è la luce di chi abbraccia più o meno inconsapevolmente la religione dell’amore. Io non rinnego la mia precedente cultura che comunque mi ha dato la forza di lavorare e studiare senza un soldo in tasca. Ma la negazione di quella cultura fa parte del percorso per abbracciare la religione dell’amore.

Ora mia madre è molto anziana e malata e sono io che l’assisto e le sono profondamente grato di avermi trasmesso quei valori che un tempo rifiutavo. Questo percorso mi ha fatto veramente capire che cosa vuol dire l’economia del dono.
Ma prima di arrivare alla sintesi di che cosa sia l’economia del dono fatemi fare una seconda premessa, che ha a che vedere con il mondo e a come il mondo sta incredibilmente cambiando in questi ultimi tre anni e si sta trasformando in un qualcosa che rimarrà con noi nei prossimi tre, quattro decenni, almeno per quanto gli economisti siano in grado di prevedere economicamente il suo sviluppo.

Con il fallimento della banca di investimento Lehman Brothers, avvenuto il 15 Settembre 2008, si innesta a livello mondiale una crisi finanziaria, derivante da una crisi di solvibilità tra banche, che in poche settimane si trasforma in una crisi dell’economia reale, cioè si abbatte sul motore della grande crescita mondiale ed in modo imprevedibile e pauroso inizia a far decrescere in termini di valori e volumi il commercio mondiale.

Non dimenticherò mai l’ultima settimana di Aprile e le prime due settimane di Maggio del 2009. Erano settimane in cui economisti e opinionisti come me si vedevano tutte le sere in televisione a tentare di rassicurarvi, a dirvi che non valeva la pena di perdere la fiducia, che non dovevate ritirare il denaro dalle banche, che tutto si sarebbe messo a posto, che nessuna banca in Italia stava fallendo.

Nella realtà in quelle tre memorabili settimane io ed i miei ex-compagni di Master negli Stati Uniti, persone provenienti da tutto il mondo e che hanno fatto delle splendide carriere di banchieri e di funzionari di altissimo livello in grandi banche centrali, con le quali sono rimasto in contatto e condivido modelli interpretativi dei mercati, ci sentivamo molto ma di fatto non sapevamo come interpretare i macro fenomeni che stavano avvenendo nell’economia mondiale.

In quel momento il commercio mondiale era in decremento rispetto a Settembre 2008 del 63-65% in valori e in volumi. A quella velocità di decremento stavamo precipitando in un mondo in cui sarebbero saltate migliaia di banche e a quel punto le conseguenze sarebbero state terribili.

Invece, nelle tre settimane successive, le ultime due di Maggio e la prima di Giugno 2009, avvenne qualcosa che ha dell’incredibile: improvvisamente da una serie di indicatori economici, si vide che il commercio ricominciava a salire con grande energia e forza, tanto che nel giro dei due trimestri successivi il commercio mondiale era tornato ai livelli pre-settembre 2008, riguadagnando tutto ciò che aveva perso.

Ma cosa era successo? In un periodo di tempo che in termini economici è pressoché nullo, la Cina aveva fatto la differenza. Ecco il nuovo mondo che si affaccia. La Cina, ammessa al commercio mondiale nel 2001, ha esteso il motore della crescita mondiale a tutto il pianeta (a parte qualche centinaio di milioni di sventurati che abitano nella striscia sub sahariana africana). Non c’è precedente nella storia del nostro pianeta di un mercato globalizzato ed unito come quello che esiste dal 2001. La Cina viveva attraverso un grosso surplus di esportazioni nel paese a più alta intensità di assorbimento di beni di consumo, gli Stati Uniti d’America, dove reinvestiva tutto il surplus di risorse finanziarie realizzato con il suo attivo della bilancia commerciale, alimentando così il debito dello Stato, delle imprese e delle famiglie americane.

La Cina, rendendosi conto che per molti anni i consumi americani non potranno tornare ad essere quelli pre-2008, perché nel frattempo gli USA dovranno ripianare i debiti delle famiglie, delle banche e dell’enorme debito pubblico americano, si è posta il problema di come poter crescere al ritmo del 10% annuo, ritmo di crescita degli ultimi dieci anni, se non è più possibile ricorrere all’export verso l’America. Il problema fondamentale per la Cina è che se il tasso di crescita annuo è inferiore al 10%, essa non riesce più a reggere i ritmi di urbanizzazione creati e deve incominciare a prevedere un ritorno dei cinesi nelle campagne, scenario senz’altro non voluto dal Governo centrale. E allora?

Nel giro di tre settimane la Cina ha fatto qualcosa di epocale: ha bussato alla porta di tutti i governi del Pacifico, qualunque fosse il loro colore politico, Vietnam, Corea del Sud, Taiwan, Indonesia, Giappone, tutti paesi partner degli USA e del mondo occidentale verso il quale esportavano i loro manufatti, e li ha convinti a dirottare le loro esportazioni verso il mercato interno cinese. Infatti la Cina non potendo più crescere con le esportazioni ha scelto di crescere aumentando i consumi interni, finanziandoli con l’eccesso di risorse finanziarie e valutarie accumulate in questi anni. La Cina è infatti è il paese al mondo che detiene più riserve valutarie.

In sostanza il discorso della Cina era ben chiaro:”Noi non siamo in grado di produrre tanto da soddisfare la domanda interna del mercato, voi, paesi asiatici, potete produrre anche per noi; facciamo un affare: noi non esporteremo più verso i paesi occidentali e acquisteremo tutto ciò che voi destinavate all’export verso quei paesi: così continueremo a crescere, perché se attendiamo i paesi Occidentali non verremo più fuori dalla crisi mondiale”.

Questa strategia nell’arco di tre settimane ha iniziato a funzionare, cambiando così le coordinate del nuovo mondo.

In Italia siamo abituati a parlare di crisi: i disoccupati all’8,5%, la disoccupazione giovanile al 25-28%, in ben 10 province italiane la disoccupazione giovanile superiore al 45%, due milioni di persone tra chi ha veramente perso il lavoro e chi è in Cassa Integrazione da così tanto tempo da disperare di essere riassorbiti al lavoro. Queste cifre ci fanno vedere una crisi molto profonda e ci fanno pensare che tutto il mondo stia sprofondando in questa crisi. Ma non è affatto così.

A livello mondiale, dal punto di vista economico, siamo entrati in una grande epoca d’oro: nove paesi asiatici, tra cui la Cina a fare da capofila, Indonesia, Filippine, Taiwan, India, Vietnam, Corea del Sud, Tailandia, Malaysia, sono diventati il motore della crescita mondiale.

Nel 2001 gli USA producevano il 24% della produzione mondiale, seguiva il Giappone con il 16%, poi la Cina con il 7%, poi la Germania con il 6%, poi l’Italia con il 4.5%.

Nel 2010 la Cina produce il 23% della produzione mondiale, seguono gli USA con il 15%, poi il Giappone con l’8%, poi la Germania con il 7%, poi l’Italia con oltre il 5%.

L’Italia ha solo lo 0.8% della popolazione mondiale, ma detiene oltre il 5% della produzione mondiale. Noi siamo convinti di essere in crisi ma è solo perché cresciamo molto poco.

Ma quei nove paesi asiatici hanno ottime possibilità di accrescere la produzione industriale pro-capite annua del +5% per i prossimi 30-40 anni.

Nel 2010 la produzione mondiale è stata di 78.000 miliardi di dollari, e le previsioni degli economisti dicono che a questi tassi di crescita dei nove giganti della crescita mondiale, nel 2040 arriveremo a 340.000 miliardi di dollari (il quadruplo in 30 anni). Alcuni di questi paesi sono caratterizzati dalla ricchezza di Materie Prime, altri da una strepitosa espansione della forza lavoro a basso costo, ma con sufficiente capacità di generare risparmio interno per fare investimenti.

Quindi, ricapitolando, a detta di tutti i maggiori economisti mondiali, la crescita economica del mondo si trova in quell’area. Il mondo avanzato potrà beneficiarne solo se sarà in grado a più alto valore aggiunto e con le tecnologie più avanzate esportare lì. Ed in questo la Germania e già leader. Mentre noi siamo ripiegati sulla crisi della Fiat, le case automobilistiche tedesche stanno facendo profitti stellari e sono indietro nei ritmi di consegna (da sola la Volkswagen ha conquistato il 14% del mercato cinese). Il mercato cinese è il primo mercato mondiale dell’auto: 18 milioni di auto vendute nel 2010. A questi ritmi nel 2020 la Germania deterrà il 40% di quel mercato. Perciò tra i paesi avanzati c’è chi ha capito il nuovo assetto mondiale e vi si sta rapidamente adeguando.

Però, attenzione: a questi nove paesi asiatici, se ne aggiungono altri due, Brasile e Russia, sui quali è d’obbligo essere un po’ più prudenti, non perché non abbiano ingenti Materie Prime, e non perché non abbiano una bilancia demografica molto favorevole (il che significa una prospettiva di avere diversi decenni in cui sul totale della popolazione il numero di giovani sul totale delle classi lavorative è molto elevato e quindi di avere un forte bacino che accresce la produttività a basso costo della manodopera). Ma sono paesi soggetti a fortissima instabilità politica. Qual è il fattore che rende gli economisti più dubbiosi sulla crescita di questi paesi che pure hanno un’enorme potenzialità di crescita? E’ ciò che ci ricordava Marco. Sono paesi caratterizzati da una distribuzione del reddito e del patrimonio totalmente inaccettabile e che, a differenza dei modelli di sviluppo economico degli altri paesi che, al crescere dello sviluppo vedono diminuire la forbice del reddito disponibile, cioè la distanza tra chi ha poco e chi ha tanto, in questi paesi sembra che la forbice si allarghi.

Questa tendenza alla redistribuzione del reddito, abbastanza normale nei modelli economici di crescita di una nazione, è avvenuta anche in Italia.

Noi siamo soliti lamentarci delle sperequazioni presenti nel nostro paese tra chi ha molto e chi ha poco. Nell’ambito del G20, cioè delle 20 nazioni più sviluppate al mondo, se si fanno delle estrapolazioni (dati delle banche centrali) relative allo stock patrimoniale, cioè del totale della ricchezza delle famiglie (conti correnti,titoli mobiliari, immobili), e si fa una graduatoria per vedere qual è la ricchezza mediana degli adulti dai 25 anni in su (la mediana è, sulla distribuzione di una serie ordinale, quello che sta in mezzo; perciò se una persona ha 191 Euro e 9 persone hanno 1 Euro a testa, la mediana è 1,001).

Nel nostro paese, che si lamenta così tanto e che invece dovrebbe riprendere quello che sono state capaci di fare le due-tre generazioni che ci hanno preceduto, gli adulti hanno avuto nel 2010 una ricchezza mediana di 118.000 dollari pro-capite, secondi al mondo solo dopo l’Australia con 121.000 dollari. Però se andiamo a vedere qual è la percentuale di adulti che è sopra i 100.000 dollari di patrimonio è, in Italia, il 55% e nessun altro paese avanzato al mondo ha una distribuzione di questo tipo; ad esempio, in Germania e Francia è rispettivamente il 37% e il 39%, negli USA è il 27%. Se poi andiamo a vedere chi ha meno di 10.000 dollari in Italia è solo il 3%, in Francia è il 23%, in Germania è il 27%, negli USA è il 36%.

Questa convergenza verso un ragionevole benessere è avvenuto in pochi decenni grazie agli sforzi della generazione del 2° dopo-guerra, generazione che non aveva capitale umano accumulato, non aveva un gran numero di laureati, non aveva capitale fisico, le infrastrutture e le aziende erano distrutte, eppure in quei 15 anni tra il 1945 ed il 1960, quella generazione è riuscita a accelerare il corso della storia. In 150 anni di storia d’Italia, il reddito disponibile degli italiani è aumentato dell’850%; ma di quell’850% in 150 anni, solo in quei 15 anni è stato fatto il +550%.

In quel periodo ci fu lo sprigionarsi di una quantità di risorse straordinario e queste risorse non avevano a che fare con i fondamenti di chi crede che la crescita si faccia solo con una grande quantità di capitale finanziario da investire che in Italia non c’era, con capitale umano già formato, con capitale fisico già accumulato, con stabilimenti già funzionanti.

Cosa è avvenuto in quei quindici anni, in Italia e negli altri paesi avanzati, e che non sta avvenendo in Brasile come in Russia?

C’è un altro principio fondamentale della crescita che vale qualunque sia il modello politico, culturale, sociale e la fede religiosa prevalente ed è il capitale immateriale (in inglese intangibles: in un’impresa sono il marchio, i brevetti depositati, il frutto dell’applicazione intellettuale di chi lavora in un’azienda, ecc..). Quando si tratta di un paese, di un sistema sociale e di una comunità il capitale immateriale si chiama capitale sociale. Il capitale sociale è ciò che dovrebbe contare di più nella visione dell’economia dei paesi avanzati.

Ed arrivo così all’economia del dono. I miei studenti di solito sono convinti che il banchiere, per definizione, non abbia nulla a che vedere con l’economia del dono, perché sono convinti che essa sia quella di San Martino. San Martino è quel santo che di fronte al povero che ha freddo scende da cavallo e con la sua spada divide in due il mantello per coprire chi ha freddo. Questa figura, come viene tradizionalmente presentata, trasmette l’idea, sbagliata, che l’economia del dono sia qualcosa che ha a che vedere esclusivamente con la soddisfazione di un bisogno che può essere: umanitario, se non si è credenti, che può essere radicato nella fede religiosa, se credete e siete convinti che il fondamento del figlio di Dio fatto uomo sia la religione dell’amore estesa a tutti; ed ancora che questa economia del dono abbia a che vedere esclusivamente o con la soddisfazione di una convinzione o di un istinto di auto soddisfazione del vostro cuore e di riscaldamento del cuore altrui.

Io mi guardo bene dal dire che non è così: questa è una delle ragioni fondamentali per cui, anche seconde me, vale la pena di trascorrere una parte della nostra vita su questa terra. Ma il problema è che l’economia del dono non è solo questo, non è per niente solo questo, non è affatto solo questo, perché il mio compito è quello di dover mettere in un angolo le convinzioni umanitarie, filosofiche o religiose dei miei interlocutori, siano essi i miei studenti o banchieri e finanzieri, di cui critico, risultati alla mano, i loro bilanci e il modo in cui conducono questo difficilissimo compito che si chiama tecnica dello sconto.

Lo sconto è ciò che nella vita di ognuno di noi, quasi ogni minuto, si applica nel fare qualunque scelta. Lo sconto è l’applicazione ad una unità temporale limitata, può essere più limitata, meno limitata, lunghissima, di una quantità di risorse limitate. E’, in altre parole, la decisione su che tipo di ritorno deve dare nell’unità di tempo prescelta uno quantità di risorse impiegate; il ritorno può essere di qualunque tipo, economico, finanziario, di estensione di una base occupazionale, di aumento del benessere per se stessi e per la propria famiglia, di un aumento della qualità della vita, ecc.. Lo sconto è una tecnica confutazionale numerica che istintivamente si aziona e che spinge, ad esempio, a decidere se dire sì o no all’utilizzo questa sera del tempo con i vostri figli; quindi non è legato esclusivamente al ritorno monetario.

I banchieri, che devono aumentare le risorse monetarie depositate dalla gente investendole in impieghi fruttiferi, devono decidere chi è meritevole di credito e chi non lo è.

Le tecniche tradizionali che si insegnano nelle Università e che gli intermediari finanziari praticano quotidianamente nella realtà, pretendono che il meritevole di credito debba dare delle garanzie reali. Se avete dovuto contrarre un mutuo per comperare una casa, che è uno degli impieghi che fanno l’85% delle famiglie italiane, vi si è chiesto per garantire le rate del mutuo quali erano i vostri beni al sole, cosa potevate dare in cambio. Chi non ha garanzie reali, secondo la vecchia tecnica dello sconto, non è considerato ammissibile al credito perché non è in grado di generare con sufficiente certezza agli occhi del prestatore il ritorno.

L'economia del dono è, invece, una forma economica basata sul valore d’uso e di utilità degli oggetti e delle azioni, cioè sulla capacità di un bene o di un servizio di soddisfare un dato fabbisogno. L’economia del dono si contrappone all’economia tradizionalmente intesa, definita economia di mercato o economia mercantile, la quale si basa invece sul valore di scambio o valore commerciale.

L’etica dell’intelligenza collettiva consiste appunto nel riconoscere alle persone l’insieme delle loro qualità umane e fare in modo che essi possano condividerle con altri per farne beneficiare la comunità. Quindi mette l’individuo al servizio della comunità e al tempo stesso la comunità al servizio dell’individuo, poiché ogni individuo può fare appello alle risorse intellettuali e all’insieme delle qualità umane della comunità. Un determinato prodotto tecnologico da solo non costituisce innovazione: essa nasce quando lo strumento si qualifica come risposta ai bisogni di una società, diventando motore di uno sviluppo che a sua volta genera usi e nuove pratiche. L'economia del dono non funziona in base allo scambio monetario, ma è fondata sulla coltivazione delle relazioni tra persone.

Per impedire che centinaia di milioni di persone (siamo a 6 miliardi ed arriveremo ad 8 miliardi nel giro di un ventennio) restino escluse da ciò che avviene nei paesi che stanno avanzando a ritmi di crescita così elevati, e anche per dare una risposta alle sacche di povertà e di malessere che ci sono nel nostro paese e in tanti altri paesi anche più avanzati di noi, a cominciare dagli USA, è necessario cambiare il modo di pensare ed iniziare a capire, a predicare, ad insegnare nelle Università, ad applicare nei bilanci bancari nella scelta del merito di credito, l’economia del dono, che non è solo riscaldare il cuore proprio e degli altri, che non è solo il comandamento dell’amore, dal quale comunque non si può prescindere per far andare meglio il mondo.

Per convincere chi il cuore non ce l’ha, anche nel mero interesse economico di estendere il perimetro delle attività economiche generatrici di occupazione, lavoro, reddito, risparmio, consumo, investimento futuro, l’economia del dono è conveniente ed è la via da perseguire in quei paesi, nel nostro mondo avanzato, dove lo Stato non ha più risorse per dare risposta a tutti quelli che stanno male. Nel nostro paese siamo arrivati al 53% della spesa pubblica sul PIL, eppure io sono felice di fare il volontario negli ospedali per i malati terminali, perché moltissimi di loro non hanno una famiglia che li assista, e quanti malati, quanti anziani, quanti disabili sono soli.

Le prospettive non potranno venire da una risposta dello stato, lo sappiamo tutti. La risposta deve venire da un’autorganizzazione sociale, dal volontariato laico e cattolico. Questo è il mondo in cui anche nei paesi più avanzati bisogna scommettere.

Vedete, quando sento parlare persone così straordinarie come Marco, inevitabilmente rifaccio il conto della mia vita, di chi ha imparato, e non esita a testimoniarlo sempre in pubblico, che in passato ha sbagliato molto nei confronti della religione dell’amore e ha sputato molto sangue, molte terapie, per imparare da persone che mi stavano a cuore e che ora non ci sono più, che c’era qualcosa che rendeva questa vita più degna di essere vissuta che non fosse la scelta di fare il banchiere per cui avevo studiato. Ho imparato questo sulla mia pelle e vorrei in qualche misura trasmetterlo, anche se con molto meno successo e capacità di persone come Marco, anche in piccolo al malato che assisto, all’Università, agli studenti a cui insegno o cambiando la modalità con cui si spiega alla gente come vale la pena di investire il denaro e criticando tutti quelli che lo fanno diversamente, perché questo poi è un paese pieno di banchieri sedicenti cattolici, ma poi quando vedo i loro bilanci e come impiegano le loro risorse sento di dover star zitto per non giudicare gli altri.

In piccolo questo è il contributo che posso dare io per quel che mi resta su questa vita terrena.

La fiducia nel capitale sociale che si costruisce dal basso e tutto l’aiuto di cui siamo capaci per gente come Marco, è l’unico mezzo affinché tutto il mondo, anche quello di Marco, possa crescere in modo equilibrato perché la crescita equilibrata dei paesi in via di sviluppo è l’unica possibilità anche per i paesi avanzati come il nostro. Questo è diventato il mio modo di credere in un’economia centrata sull’uomo perché l’uomo nella sua dignità, nel senso che sa dare alle scelte che fa, e ai rapporti che sa intrattenere, dimostra la più grande capacità di saper radicare ricchezza, anche quella di chi la riduce esclusivamente a mezzo monetario. Il mezzo monetario è un segno convenzionale di fiducia, senza fiducia la moneta degrada e va in crisi. Ecco perché il capitale sociale significa costruire fiducia. Anch’io oggi dico che ci vuole una grande capacità d’amore per farlo. Si può credere o non credere ma la dignità dell’uomo è quella che consente altrimenti all’economia di non essere una triste e a volte turpe scienza.

Vedete, bisogna guardarsi intorno, scoprire che intorno a noi, anche nel nostro paese, e tanto più in paesi lontani, c’è gente che ha bisogno di un utilizzo meno stupido del tanto che abbiamo e che solo perché ci siamo accecati ci sembra così poco.

Esperienze, prove come quelle di Marco e di tanti altri, fanno nel nostro paese, e fuori dal nostro paese sono il patrimonio di valore profondo a cui questo paese deve continuare a guardare senza considerarlo come un qualcosa che ha a che vedere esclusivamente con la soddisfazione di bisogni umanitari. Il capitale sociale è una grande pre-condizione dello sviluppo. È stato così nel nostro paese, è stato così dovunque, è una grande legge dell’avanzamento perché questa grande legge dell’avanzamento si identifica nel fatto che prima di un ritorno monetario c’è la dignità dell’uomo e della donna, c’è la dignità di un lavoro che consenta a tutti di poter conseguire un futuro migliore per se stessi e per i propri figli. Questo l’Italia l’ha sperimentato in pochi decenni, l’ingresso nella dignità della vita umana, se ci pensiamo. Fatta l’unità d’Italia, ancora per più di cinquant’anni dopo l’unità, questo era un paese dove in vastissime parti la dignità della vita e del lavoro non c’era, e se l’abbiamo realizzata in pochi decenni nel nostro paese perché disperare?

Ecco questa è la mia profonda fede, è una fede nell’uomo e nei suoi valori che sono intramontabili.
 
Nuovi partiti, Oscar Giannino: “Ecco il ‘Fare’, piccola pattuglia di rompi********” – Video Il Fatto Quotidiano TV


Nei "rompicòglioni" mi identifico in pieno,sono uno di loro.

Forse li voto.


Colmano un vuoto storico,i "rompicòglionisti" mancavano nel variegato e multiforme panorama politico nostrano.

Ewwiva!!!!!!



i rompicollioni?

ma se è pieno zeppo in parlamento, e ce ne uno che è veramente grosso ma proprio grosso grosso..... capace di romperli a 60 milioni di italiani tutto da solo :D
 
Grillo no, Zilvio no, Gigi no, o'professore no, Giannetto no..... ma chi cavolo devo votare? :confused:
 
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