ordet
L'Immenso era Lei...
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Stare troppo a mollo fa male
Mi risvegliai su una squallida spiaggia del litorale romano sulla quale ero andato a smaltire i postumi della sbornia della notte prima, era una mattina di agosto e a casa faceva troppo caldo per riprendere i sensi. Mi trovavo al lido di Focene, la dove la sabbia è disseminata di bastoncini di cotton fiock e l’odore della mondezza si mescola alla salsedine esalata da un mare schiumoso e pieno di rifiuti solidi. Davvero un bel posto dove andare a morire.
Non erano trascorse molte ore dall’alba, il silenzio era rotto dai pianti dei bambini che tentavano di sfuggire alla mano della mamma che li afferrava severamente per portarli al sole, perché stare troppo tempo a mollo fa male. Me ne stavo a corpo morto su un asciugamano striminzito che ormai era umido del mio sudore e il sole dispettoso mi forzava le palpebre per svegliarmi a tutti i costi e farmi smettere di dormire.
Mi girai di schiena per riparami almeno gli occhi, davanti a me c’era la tipica famigliola della domenica, il padre stravaccato su una sdraia, nascosto dietro al corriere dello sport, la mamma che dopo mesi di dieta sfoggiava un due pezzi di tre estati fa, intenta nel preparare i panini con l’olio, la figlia adolescente imbronciata con i bermuda che diceva che non poteva fare il bagno perché sta male, la nonna era stata quasi seppellita al sole per asciugare i reumatismi dal nipotino maledetto che ogni volta che mi passava davanti mi faceva mangiare due chili di sabbia.
Mi stavo assopendo tra il rumore delle onde, l’hit parade di una radiolina portatile, e il decollo degli aerei ininterrotto dall’aeroporto di Fiumicino, ad un tratto un bambino abbronzantissimo uscì dal mare urlando di eccitazione come quando uno trova un tesoro o una cosa misteriosa da mostrare agli altri ma per quanto potesse agitarsi nessuno gli prestava attenzione. Mi sento chiamare:
<Signore! Signore!!>, spalanco a malapena le mie pupille completamente dilatate, vedo il bambino e gli domando: <Ciao bambino cosa c’e’?> e lui <Guarda, una lisca!>.
Ero stupito, non riuscivo a capire perché tra tanta gente avesse scelto di portare proprio a me quella carcassa putrescente e per togliermi ogni dubbio gli chiesi: <Perché vuoi farmela vedere?> e il bambino, sempre più serio mi rispose: <Perché fa schifo!>.
Invece di prenderlo subito come una specie di insulto, mi sono perso fra le sue grandi sopraciglia ripensando a quando da bimbo mi vestivo da Arlecchino e volevo fuggire via per girare il mondo, con una scatola di latta nella quale nascondevo reperti e segreti che solo per me avevano un valore inestimabile. Probabilmente voleva rendermi partecipe di quel suo piccolo tesoro sconosciuto, qualcosa di prezioso che i grandi non potevano più percepire, evidentemente non so cosa gli aveva fatto credere che io potevo ancora vedere e interagire con quel suo mondo ingenuo e spontaneo. Quella sua proposta mi fece arrossire, fui così felice che restammo insieme ad esaminare il suo ritrovamento, e provammo ad inventarne la storia. Un pesciolino rosso che saltò fuori dall’acquario, si lasciò trascinare dalla corrente del fiume fino raggiungere il mare e dopo aver nuotato per tutti gli oceani era venuto a morire su quella spiaggia.
Quell’atmosfera fu rotta dal rimprovero di sua madre, che nel frattempo era venuta a cercarlo, lo afferrò per una mano e lo trascinò via, scusandosi per il disturbo che secondo lei aveva potuto arrecarmi il piccolo…O forse, temeva soltanto che anche il suo pesciolino era fuggito via per conoscere i sette mari.
Si era fatto tardi e sulla sabbia restarono soltanto la lisca di pesce, due mozziconi di sigarette e qualche goccia di mare.
Mi risvegliai su una squallida spiaggia del litorale romano sulla quale ero andato a smaltire i postumi della sbornia della notte prima, era una mattina di agosto e a casa faceva troppo caldo per riprendere i sensi. Mi trovavo al lido di Focene, la dove la sabbia è disseminata di bastoncini di cotton fiock e l’odore della mondezza si mescola alla salsedine esalata da un mare schiumoso e pieno di rifiuti solidi. Davvero un bel posto dove andare a morire.
Non erano trascorse molte ore dall’alba, il silenzio era rotto dai pianti dei bambini che tentavano di sfuggire alla mano della mamma che li afferrava severamente per portarli al sole, perché stare troppo tempo a mollo fa male. Me ne stavo a corpo morto su un asciugamano striminzito che ormai era umido del mio sudore e il sole dispettoso mi forzava le palpebre per svegliarmi a tutti i costi e farmi smettere di dormire.
Mi girai di schiena per riparami almeno gli occhi, davanti a me c’era la tipica famigliola della domenica, il padre stravaccato su una sdraia, nascosto dietro al corriere dello sport, la mamma che dopo mesi di dieta sfoggiava un due pezzi di tre estati fa, intenta nel preparare i panini con l’olio, la figlia adolescente imbronciata con i bermuda che diceva che non poteva fare il bagno perché sta male, la nonna era stata quasi seppellita al sole per asciugare i reumatismi dal nipotino maledetto che ogni volta che mi passava davanti mi faceva mangiare due chili di sabbia.
Mi stavo assopendo tra il rumore delle onde, l’hit parade di una radiolina portatile, e il decollo degli aerei ininterrotto dall’aeroporto di Fiumicino, ad un tratto un bambino abbronzantissimo uscì dal mare urlando di eccitazione come quando uno trova un tesoro o una cosa misteriosa da mostrare agli altri ma per quanto potesse agitarsi nessuno gli prestava attenzione. Mi sento chiamare:
<Signore! Signore!!>, spalanco a malapena le mie pupille completamente dilatate, vedo il bambino e gli domando: <Ciao bambino cosa c’e’?> e lui <Guarda, una lisca!>.
Ero stupito, non riuscivo a capire perché tra tanta gente avesse scelto di portare proprio a me quella carcassa putrescente e per togliermi ogni dubbio gli chiesi: <Perché vuoi farmela vedere?> e il bambino, sempre più serio mi rispose: <Perché fa schifo!>.
Invece di prenderlo subito come una specie di insulto, mi sono perso fra le sue grandi sopraciglia ripensando a quando da bimbo mi vestivo da Arlecchino e volevo fuggire via per girare il mondo, con una scatola di latta nella quale nascondevo reperti e segreti che solo per me avevano un valore inestimabile. Probabilmente voleva rendermi partecipe di quel suo piccolo tesoro sconosciuto, qualcosa di prezioso che i grandi non potevano più percepire, evidentemente non so cosa gli aveva fatto credere che io potevo ancora vedere e interagire con quel suo mondo ingenuo e spontaneo. Quella sua proposta mi fece arrossire, fui così felice che restammo insieme ad esaminare il suo ritrovamento, e provammo ad inventarne la storia. Un pesciolino rosso che saltò fuori dall’acquario, si lasciò trascinare dalla corrente del fiume fino raggiungere il mare e dopo aver nuotato per tutti gli oceani era venuto a morire su quella spiaggia.
Quell’atmosfera fu rotta dal rimprovero di sua madre, che nel frattempo era venuta a cercarlo, lo afferrò per una mano e lo trascinò via, scusandosi per il disturbo che secondo lei aveva potuto arrecarmi il piccolo…O forse, temeva soltanto che anche il suo pesciolino era fuggito via per conoscere i sette mari.
Si era fatto tardi e sulla sabbia restarono soltanto la lisca di pesce, due mozziconi di sigarette e qualche goccia di mare.