...
Nel 1991 le famiglie italiane avevano debiti per il 29,9 per cento del loro reddito, nel 2002 questa percentuale è salita al 35,3
Gli italiani s’indebitano di più (ma non è per forza un male)
NICOLA DE BLASIO
Il credito al consumo ha avuto un autentico boom in Italia negli ultimi 10 anni. Se nel 1991 le famiglie italiane erano indebitate per il 29,9 per cento del loro reddito, nel 2002 la soglia è salita al 35,3 per cento, con una crescita di 17,1 punti. Questo significa che a fronte di un reddito medio di 40.000 euro l’anno, una famiglia tipo italiana è indebitata per circa 13.000 euro. Una cifra che può sembrare alta, ma che invece è molto lontana dai livelli del Giappone, dove le famiglie sono indebitate per il 139 per cento del loro reddito disponibile, o della Gran Bretagna (128) o Stati Uniti (112). E nei primi sei mesi del 2003 il credito al consumo ha visto un’ulteriore crescita del 15,8 per cento.
Cosa spinge gli italiani a chiedere prestiti? I motivi sono essenzialmente tre: la crisi economica che da alcuni anni ha ridotto i redditi personali, portando il risparmio delle famiglie a scendere da 104 miliardi di euro nel 2001 a 77 nel 2002; i tassi di interesse molto più bassi del passato, grazie all’introduzione dell’euro; una maggior facilità ad avere credito rispetto agli anni 80 e 90.
Per le banche e le società finanziarie questa forte propensione all’indebitamento da parte delle famiglie è una manna dal cielo, perché in un periodo di vacche magre sul fronte della raccolta e degli investimenti finanziari, gli impieghi (i prestiti) sono una fonte di ricavi eccezionale. "Quando la propensione agli investimenti scende, è chiaro che le banche si rivolgono ad altri strumenti che possano sostituire la raccolta. Il credito è uno strumento molto importante per le banche per fare reddito" dice Edoardo Giorgetti, direttore marketing e strategia di Banca Fineco.
Il business è portato avanti dalle banche e dalle società finanziarie. Queste ultime fanno la parte del leone con circa il 70 per cento dell’intero mercato. Le banche hanno tassi di interesse più contenuti, ma una minor elasticità nell’erogare il credito; le seconde con tassi più alti e con maggior aggressività nel proporsi. "Per chi ha bisogno di soldi, conviene sempre andare in banca, dove i tassi sono decisamente migliori" dice Mauro Novelli, segretario organizzativo dell’Adusbef, una delle associazioni di difesa degli utenti finanziari.
Nonostante la forte crescita degli ultimi anni, le prospettive per il mercato del credito al consumo restano buone. "Rispetto al passato la richiesta di credito non è più vissuta come un disagio, un’ammissione di povertà o di debolezza. Quindici anni fa pochi compravano un auto a rate, oggi quasi nessuna la compra in contanti" dice Maurizio Liuti, responsabile relazione esterne di Crif, principale Credit Bureau del sistema creditizio. "Fino a 10 anni fa, l’unico prestito abbastanza strutturato al credito era il mutuo casa. Oggi il 50 per cento degli acquisti di auto o di arredamento sono finanziati da prestiti. Ed essendo cambiato l’approccio degli italiani al credito al consumo, questo diventa oggi un elemento di ripresa dei consumi interni e quindi di ripresa economica, visto che i consumi sono in calo" aggiunge Liuti.
"Il boom del credito al consumo continuerà anche nei prossimi 2/3 anni almeno" dice " dice Jean Yves Bruna, amministratore delegato di Fiditalia. "In Italia è in atto un’evoluzione culturale importante. La crescita del credito al consumo è alta ma potrebbe essere molto più alta. Il legislatore non deve demonizzare il credito al consumo perché ne deriverebbe un intralcio alla stessa crescita economica".
http://www.repubblica.it/supplementi/af/2004/04/05/rapportobanche/054kele.html
Il ricorso a strumenti complessi ha consentito di far fronte a nuovi compiti ma ora si cerca di tenere sotto controllo il rischio indebitamento
Enti locali, una rivoluzione nella finanza
ROSARIA AMATO
Le riforme hanno ampliato i compiti degli enti locali territoriali, che si sono però trovati con mezzi economici minori, soprattutto per via della costante diminuzione dei trasferimenti statali: il risultato è un sempre maggiore indebitamento. A fine 2003, secondo dati forniti nel corso di un’audizione davanti alla commissione Bilancio del Senato dal direttore generale del Tesoro Domenico Siniscalco, il debito delle amministrazioni locali ammontava a 98. 992 milioni di euro. «Il debito degli enti territoriali — osservava Siniscalco nel corso della stessa audizione — mostra una dinamica crescente, che è il frutto di un processo di decentramento e di conferimento di una più ampia autonomia gestionale, la quale trova il suo naturale corrispettivo in una maggiore responsabilità degli amministratori».
E’ rispetto a queste nuove esigenze che, dal ‘96 a oggi, da quando cioè il quadro normativo lo ha permesso, gli enti locali hanno utilizzato un ventaglio sempre maggiore di strumenti finanziari: emissioni obbligazionarie (boc, bor, ecc), cartolarizzazioni, strumenti derivati. Il tutto, a fianco dei tradizionali mutui, che non vengono concessi però soltanto dalla Cassa Depositi e Prestiti (che nel frattempo è stata trasformata in una società per azioni) ma anche da una serie di istituti bancari specializzati.
Enti dunque più attivi nella gestione del proprio debito, ma anche più esposti a rischi, che non sempre gli amministratori locali sono in grado di valutare. «Gli enti locali, a differenza delle aziende — ammette Francesco Pratesi, responsabile marketing derivati BNP Paribas — non hanno avuto la possibilità di sviluppare competenze in questi settori, e quindi si sono dovuti appoggiare alle banche per il ruolo di consulenza. Tuttavia, anche per i derivati, che gli enti locali hanno cominciato a utilizzare nel ‘99, con un boom nel 2002 (al momento se ne fa uso in quasi tutti i capoluoghi di provincia) gli amministratori locali stanno acquisendo una maggiore autonomia valutativa: piano piano, l’utilizzo delle banche dovrebbe limitarsi sempre più alla fornitura del prodotto, non anche alla consulenza».
Forse adesso gli enti locali sono in grado di gestire meglio gli strumenti finanziari innovativi, ma sull’uso che se n’è fatto finora la Corte dei Conti ha espresso recentemente forti perplessità. In un’audizione alla Commissione Bilancio del Senato del 25 marzo il presidente della Corte, Francesco Staderini ha rilevato che «il ricorso ai prodotti derivati se in generale è stato funzionale alla copertura del rischio di cambio o di interesse, ha assolto spesso ad altre finalità, legate anche all’esigenza di disporre di liquidità a breve, tramite operazioni esposte al movimento avverso dei tassi, con esiti preoccupanti per la futura tenuta degli equilibri di bilancio».
Le banche protagoniste della gestione finanziaria più recente degli enti locali rivendicano però un ruolo responsabile nella consulenza e nella gestione del debito delle amministrazioni locali: «Noi diamo innanzitutto la nostra consulenza — spiega Elia Colabraro, amministratore delegato di Banca Opi (gruppo SanpaoloImi) — una volta consultata la consistenza del bilancio, suggeriamo la strada da battere. Ogni ente ha una storia a sé, l’importante è creare rapporti di fiducia reciproca. In linea di massima, ci siamo però astenuti dal perfezionare operazioni in derivati, perché si era in attesa della normativa (che adesso è stata pubblicata) e per evitare che gli enti venissero gravati da oneri futuri ai quali avrebbero potuto non essere in grado di far fronte. Quando verrà pubblicata la circolare ministeriale, ci muoveremo comunque con maggiore tranquillità anche in questo settore. Anche quello dei Boc e dei Bor è un filone operativo che sta crescendo in maniera consistente, agli enti pubblici conviene perché c’è una norma che prevede lo storno a loro favore della metà dell’imposta sostitutiva sugli interessi, che è del 12, 50 per cento. In questo momento l’esposizione degli enti locali per le emissioni obbligazionarie è di 14, 2 miliardi di euro, e le prospettive sono per una sensibile crescita».
La prudenza è comunque sempre necessaria quando si lavora accanto agli enti locali, riconosce anche l’amministratore delegato di Dexia Crediop Gérard Bayol: «In Francia non esiste la possibilità di commercializzare in derivati per gli enti locali, ma il caso dell’Italia mi sembra positivo, in fondo ogni tipo di prodotto presenta un rischio. Anche i mutui a tasso fisso possono diventare un errore quando il tasso è alto e poi nel tempo si modificano le condizioni di mercato. Comunque noi abbiamo sempre evitato i derivati di tipo puramente speculativo. Dal ‘96 a oggi c’è stata una rivoluzione nella finanza degli enti locali: questo è un vantaggio, ma poi nessuno ha la palla di cristallo, la volatilità del mercato non si può controllare e se la prevedibile risalita dei tassi non fosse graduale ma brusca, ci potrebbero essere delle difficoltà a farvi fronte».
http://www.repubblica.it/supplementi/af/2004/04/05/rapportobanche/055kirco.html
abi
Impieghi in calo per l’incertezza del ciclo economico
I nuovi dati dovrebbero essere divulgati a breve, ma non dovrebbero esserci grosse novità. Stando all’ultimo bollettino mensile dell'Abi sull'evoluzione dei mercati finanziari emergono segnali di preoccupazione, in linea con quelli espressi da Bankitalia.
La dinamica degli impieghi a febbraio, infatti, segnala un calo in termini assoluti rispetto a gennaio di circa 5 miliardi a quota 1.026 miliardi, registrando ancora un tasso di crescita annuo che però si assottiglia e passa dal 5,3% di gennaio al 4,38% di febbraio. Diverse le ragioni del calo dei finanziamenti bancari che scontano innanzitutto l'incerto ciclo economico, nonché la contrazione della domanda di impieghi da parte della Pubblica Amministrazione (3,8% su febbraio 2003) e di altre istituzioni finanziarie (12%).
Positiva, invece, l'evoluzione del settore privato, imprese e famiglie, con un progresso del 7,7%, un valore, sottolinea, l'Abi che è "superiore di quasi un punto e mezzo percentuale rispetto a quanto segnato a gennaio 2003" e maggiore dell'attuale "crescita del Pil nominale in Italia e all'andamento degli investimenti".
Livelli che, malgrado la flessione, consentono all'Italia di avere impieghi con incrementi (+5,9% a gennaio, sulla base degli ultimi dati) più ampi della media dei paesi dell'area euro (+5,1%). Quanto ai tassi, a febbraio si registra un rialzo a quota 4,77%, 5 punti base rispetto al mese precedente.
Anche la raccolta evidenzia a febbraio segnali di rallentamento a quota 934 miliardi (5 miliardi su gennaio), pur conservando un incremento annuo dell'7,41% contro l'8,27% di gennaio. In termini assoluti, rileva ancora il rapporto Abi, i flussi netti della raccolta si attestano a oltre 64,5 miliardi negli ultimi 12 mesi. (a.f.)
http://www.repubblica.it/supplementi/af/2004/04/05/rapportobanche/055kappella.html