Rapporto Bankitalia

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beh immaginavo che Bankit avrebbe scritto le cose che hai riportato, lòa penso anche io così sulla situazione italiana
 
lovercraft ha scritto:

:clap: :clap: :clap:

Torna la domandaccia: ma se in un anno ottimo per la crescita economica mondiale, grazie al debito pubblico che cresce di quasi 3,5 punti % e con il deficit/pil al 4% riusciamo a conseguire una crescita zero, cosa faremo quando la congiuntura internazionale sarà sfavorevole ?

:)
 
i98mark ha scritto:
:clap: :clap: :clap:

Torna la domandaccia: ma se in un anno ottimo per la crescita economica mondiale, grazie al debito pubblico che cresce di quasi 3,5 punti % e con il deficit/pil al 4% riusciamo a conseguire una crescita zero, cosa faremo quando la congiuntura internazionale sarà sfavorevole ?

:)

Appunto.
Stiamo affogando e' inutile purtroppo minimizzare.
Non e' l'ottimismo che manca alla gente, mancano i soldi, la stasi dei consumi che ormai persiste da alcuni anni e' eloquente.
La perdita poi di competitivita' con consegente calo delle quote del nostro export fa' poi il resto.
Ormai anche gli studentelli al primo anno di economia hanno capito che le strade maestre per ridare un minimo di crescita alla nostra economia sono solo due.
La prima sarebbe tornare alle belle svalutazioni monetarie del passato, naturalmente con tutto quello che ne consegue : uscita dall'euro e probabilmente incrinamento dei rapporti commerciali europei.
La seconda strada e' molto piu' virtuosa ma fatta di lacrime e sangue per rendere piu' competitivo il nostro paese.
Naturalmente a chi si e' enormemente arricchito con il passaggio dalla lira all'euro dovrebbe essere chiesto "con gentile fermezza" non di congelare i propri listini o tariffari ai valori attuali, ma di decurtarli decisamente fino a riportarli perlomeno a quanto erano prima della conversione.
Metodi persuasivi esistono, basterebbe avere la volonta' di attuarli.
 
per me non è nemmeno farsi "ridare" gli illeciti arrichhimenti dell'Euro.....ci vuole di più :wall: :wall: :wall: :wall: :wall: :wall: :wall: :wall: :wall:
e purtroppo sono troppi gli attori coinvolti che dovrebbero cambiare registro..
 
Attenti, il lavoro debole ha almeno due facce
Il problema non sta tanto nell'esistenza di un'area di lavoro precario, quanto nella difficoltà di uscirne con la maturità professionale, accedendo all'area del lavoro protetto; e l'inaccessibilità di quest'ultima è conseguenza proprio dell'eccesso di rigidità della protezione. Sarebbe utile che le statistiche incominciassero anche a distinguere tra i due tipi di lavoratori coinvolti nel fenomeno del precariato, di cui proprio pochi giorni fa abbiamo discusso su queste pagine (Corriere del 14 marzo). Un problema è quello del lavoratore precario professionalmente forte, che ha soltanto la sfortuna di collocarsi in settori del mercato dove i posti di lavoro stabili, per vari motivi di natura istituzionale o sindacale, si bandiscono col contagocce: così nelle università, negli ospedali, nelle case editrici, in generale in tutto il settore pubblico; un problema di natura molto diversa è quello del lavoratore precario debole, che riesce a trovare un’occupazione soltanto sotto-standard perché è meno produttivo della media della sua categoria. La distinzione tra i due casi è molto importante, perché le rispettive possibili cure sono diverse; e se non si coglie la differenza si rischia di fare disastri. È dunque auspicabile che in futuro la Banca d'Italia e l'Istat facciano il possibile per rendere i due aspetti del lavoro precario meglio visibili, quantificabili e individuabili nella mappa del tessuto produttivo nazionale.
Il lavoratore precario professionalmente debole è solitamente occupato in settori, o margini del tessuto aziendale, caratterizzati da alta elasticità della domanda: cioè in zone dove a un aumento anche modesto del costo del lavoro corrisponde una riduzione rilevante della domanda. Qui, se l'intervento consiste nell'imporre uno standard di trattamento più costoso per l'azienda (e anche la stabilità costituisce un costo assai rilevante, a parità di retribuzione), esso può determinare la soppressione del posto di lavoro. Lo sanno bene - per esempio - i sindacati che nei call center sono costretti ad andare con i piedi di piombo nel rivendicare la regolarizzazione di migliaia di false collaborazioni autonome, per evitare il rischio di far perdere il posto a migliaia di giovani.
Nelle ultime settimane l'Unione col suo programma elettorale e la Cgil con le tesi approvate dal suo ultimo congresso hanno indicato come obiettivo generale di politica del lavoro la parificazione del costo dei cosiddetti lavori atipici rispetto a quello del lavoro regolare. Faranno bene anch'esse ad andare con i piedi di piombo su questo terreno, se non vogliono mietere vittime tra i precari. È questo un terreno sul quale l'uguaglianza non si garantisce con un tratto di penna del legislatore, ma va costruita nel vivo del tessuto produttivo con l'intelligenza delle analisi e con l'efficienza dei servizi di educazione, informazione, orientamento professionale, formazione mirata e assistenza alla mobilità geografica: i soli mezzi utili per neutralizzare l'handicap di cui soffre il lavoro debole.

Pietro Ichino




Bankitalia avverte: meno occupazione, più debito Il Bollettino economico: Italia ferma, indebitamento pubblico in salita dopo undici anni
ROMA - L’economia si è fermata. E la priorità non è più contrastare il rallentamento della crescita ma addirittura uscire dal ristagno. È un quadro tutto in ombra, senza luci, quello abbozzato dalla Banca d’Italia nel consueto bollettino di primavera. Un quadro che fa giustizia anche dell’ultimo, il più resistente elemento positivo della situazione, motivo d’orgoglio del governo Berlusconi, e cioè l’aumento dei posti di lavoro. L’occupazione a tempo pieno, per la prima volta dopo dieci anni, diminuisce. In realtà il numero dei lavoratori sale lievemente ma solo grazie all’espansione del part time . Tanto che l’indice misurato sulle unità standard (quelle a tempo pieno) di lavoro è diminuito dello 0,4%. E poi ci sono i giovani: per i nuovi assunti la metà dei lavori disponibili sono a termine e comunque tra i 15 e i 29 anni uno su quattro è precario. Sulla finanza pubblica le cifre sono ancora più amare: il debito pubblico nel 2005 è salito di 2,6 punti rispetto al Pil, più di quanto aveva previsto il ministero dell’Economia, al 106,4%. Un incremento del rapporto non si vedeva dal 1994. L’economia «è in affanno», aveva detto due settimane fa al congresso del Forex il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi. Ieri l’analisi congiunturale dell’Ufficio studi di Palazzo Koch ha fornito i dati e le spiegazioni di tale difficoltà. Che parte da lontano ma che è peggiorata negli ultimi anni. Il bollettino non fa riferimenti specifici all’azione di governo. Anzi cerca di evitarli e utilizza quasi sempre, con poche eccezioni, come parametro temporale della sua analisi il decennio. Ma certo i grafici e le cifre indicano come negli ultimi anni si sia riusciti a fare ben poco per contrastare o frenare la tendenza negativa. Pur in un quadro congiunturale favorevole. Tanto per fare un esempio il male strutturale principale dell’economia italiana, la progressiva caduta della competitività, causata dal ristagno della produttività, ha subito un crollo verticale del 30% dal 2001 al 2004 contro deterioramenti più ridotti di Germania (6%) e Francia (13%). Ma non basta: il rallentamento dell’interscambio si è riversato sulla bilancia dei pagamenti annullando praticamente l’avanzo commerciale.
I conti pubblici preoccupano non poco gli economisti della Banca d’Italia che temono il rischio di un insuccesso delle misure di contenimento della spesa, necessarie per rispettare gli impegni presi il 14 marzo scorso con l’Unione europea. Il fatto è che per realizzare l’obiettivo bisognerebbe porre un tetto dell’1% all’aumento della spesa primaria corrente (nel 2005 è salita del 4%). E ciò vuol dire che in termini reali «essa dovrebbe segnare una flessione intorno ad un punto percentuale». Impresa quasi impossibile se si guarda all’esperienza del passato nonché ai dati storici custoditi nell’Ufficio studi di via Nazionale. Non è mai successo infatti che il governo riuscisse a tagliare così tanto la spesa complessiva: il massimo sforzo fu fatto negli anni dal ’93 al ’97 quando la spesa nella media salì dello 0,5% l’anno. Senza contare la necessità di «incidere in maniera permanente sui comportamenti degli enti pubblici». In particolare «occorrono regole di bilancio e meccanismi di finanziamento che rendano le amministrazioni decentrate pienamente partecipi dell’azione di riequilibrio dei conti pubblici».
È essenziale «ricondurre rapidamente i conti pubblici su un sentiero coerente con la stabile riduzione del rapporto tra debito e Pil anche in vista del fine più generale di trarre l’economia italiana dal ristagno». Lo sviluppo economico del paese nel corso dell’ultimo decennio «ha rallentato sino ad arrestarsi indipendentemente dallo svolgersi del ciclo mondiale». A fermarlo ripete la Banca d’Italia «sono stati i nodi strutturali che bloccano il sistema produttivo».
E la ripresa? Per il 2006 le previsioni indicano, conferma il bollettino, un incremento di poco superiore all’1%. Un risultato che presuppone un ritorno, già nel trimestre in corso, a ritmi di sviluppo vicini all’1,5% in ragione d’anno. In ogni caso tali segnali, dicono gli economisti di Palazzo Koch, «non delineano ancora un superamento del divario di crescita» di cui l’economia italiana soffre non solo rispetto agli Usa o alle economie emergenti dell’Asia, ma anche rispetto agli stessi paesi dell’area dell’euro pure attardati nel confronto internazionale. Per questo, insiste la Banca d’Italia, «occorrono azioni di lunga lena» volte a modificare incisivamente la struttura produttiva e l’ambiente regolamentare e di mercato in cui essa opera.
Stefania Tamburello






Impiego I giovani?
I dati sull’occupazione sono uno dei passaggi del Bollettino economico. Secondo Bankitalia il numero delle persone occupate è aumentato nel 2005 dello 0,2%, ma il lavoro complessivo, calcolato in unità standard a tempo pieno, è calato dello 0,4% soprattutto a causa dell'aumento dei part time. Rilevante il dato sugli occupati per condizione professionale dal quale emerge che tra i nuovi occupati tra i 15 e i 29 anni uno su due (il 49,8%) ha un contratto a termine. In aumento rispetto al 46,4% di un anno prima.
La precarizzazione del mercato del lavoro emerge anche dal dato sul totale degli occupati: il 40,5% dei nuovi assunti ha un contratto a termine invece che a tempo indeterminato (38,6% nel 2004).




Polemica Visco-Maroni sull’occupazione. «È in calo». «No, i posti sono aumentati» Tremonti: ma contano solo i numeri europei Rutelli: dopo quei dati non c’è spazio per la propaganda
ROMA - Era scontato che finisse così. Anche con tutto il rispetto per il nuovo Governatore Mario Draghi, l’autorevolezza e l’indipendenza dell’Istituto, riportate a galla da un accordo bipartisan sul vertice, il nuovo Bollettino della Banca d’Italia sullo stato dell’economia a tre settimane dalle elezioni diventa terreno di feroce scontro politico tra i due poli. Con l’opposizione che accusa il governo delle peggiori scelleratezze nella gestione dei conti pubblici, e il ministro dell’Economia che mostra indifferenza, sostenendo che per lui «i dati che contano veramente sono solo quelli di Eurostat».

SIGILLO DI GARANZIA - «Tutti i numeri sono rilevanti, ma quelli decisivi sono quelli europei», ha spiegato Giulio Tremonti. Gli stessi numeri, insomma, sui quali si è basata solo pochi giorni fa la Commissione Ue per promuovere l’ultima Finanziaria del governo Berlusconi. «Per me, per tutti i governi europei, la politica è basata sui dati Eurostat» ha aggiunto ieri il ministro. «Gli uffici studi dicono cose interessanti, ma la politica si fa sui dati europei...» ha sottolineato, sarcasticamente, Tremonti. Apparentemente ancora poco convinto che questo debba essere il ruolo di Bankitalia. Del resto anche ad Antonio Fazio il ministro rinfacciava le stesse cose, però con toni ben più aspri. «Un conto è rispondere agli uffici studi, un altro ai cittadini. Un conto è governare un Paese, un altro è giocare con un computer» gli disse in tv dopo aver ascoltato le valutazioni di Bankitalia sulla riforma delle pensioni.


FIDUCIA - Chi si fida invece ciecamente delle valutazioni di Via Nazionale sembra essere il centrosinistra, almeno per adesso. L’intero schieramento dell’Unione è stato lesto, ieri, a rilanciare in chiave critica nei confronti dell’esecutivo le analisi della banca centrale. Definita da Oliviero Diliberto «un pericoloso covo di comunisti, perché dice che il governo sta fallendo tutte le proprie misure». «Bisogna mettere a posto i conti perché c’è stato un incremento del debito fortissimo e i dati sono assolutamente preoccupanti», ha detto Romano Prodi, che come primo atto del suo eventuale governo ha già proposto una verifica «indipendente» sui conti pubblici.
Francesco Rutelli ha detto che «dopo i dati di Bankitalia non c’è più spazio per la propaganda», anche se poi ha promesso: «noi puntiamo fortemente sul taglio delle tasse sul lavoro per far ripartire la crescita economica e difendere il potere d’acquisto». Preoccupati anche i sindacati, che però mettono le mani avanti: «Per il rilancio occorre una politica forte, rigorosa, che però non vuol dire di sacrifici».



GIALLO SUL LAVORO - Per Vincenzo Visco, ex ministro delle Finanze e del Tesoro, «Bankitalia conferma che in cinque anni il centrodestra ha portato il bilancio in gravissima difficoltà, l’economia al ristagno e l’occupazione in calo». Aprendo, su quest’ultimo punto, una polemica nella polemica. Secondo il ministro del Welfare Roberto Maroni, «il numero degli occupati aumenta e la lettura che fa la sinistra del Bollettino Bankitalia è errata. Il calo delle unità lavorative a tempo pieno è una mera astrazione statistica: nella realtà i posti di lavoro nell’ultimo anno sono cresciuti dello 0,2%. Il tasso di occupazione è cresciuto e la disoccupazione diminuita».
Mario Sensini


corriere
 
Aumenta il debito, ma l’economia riparte
di Gian Battista Bozzo
Bankitalia: nel 2006 possibile crescita dell’1,3%. Il governatore chiede azioni incisive per colmare il divario con altri Paesi

Polemica sui dati dell’occupazione: «È aumentata» afferma Maroni

Gian Battista Bozzo

da Roma

La ripresa c’è, ed è plausibile una stima di crescita dell’1,3% per quest’anno dopo lo zero del 2005. Il numero delle persone occupate è aumentato l’anno passato dello 0,2%, con un incremento molto elevato dei lavori atipici e part time. L’obiettivo di un deficit al 3,5% del Pil promesso dal governo all’Europa è possibile, ma per raggiungerlo occorre un taglio di spesa pubblica che, in termini reali, vale almeno un 1% del Pil. Il debito pubblico 2005 in rapporto al Pil, misurato per la prima volta da Bankitalia, è aumentato al 106,4% contro il 103,8% del 2004, ed è la prima volta che questo accade nell’ultimo decennio. L’indebitamento delle famiglie è cresciuto al 30%, pur restando ben inferiore alla media europea del 56%.
Questi i dati salienti contenuti nel Bollettino economico della banca centrale, il primo del governatorato Draghi, che hanno provocato polemiche elettorali. «I dati sono preoccupanti, dobbiamo mettere a posto i conti pubblici», attacca Romano Prodi. «I conti italiani sono stati promossi l’altro ieri dall’Europa - replica Giulio Tremonti -: per me, gli unici che contano sono i dati Eurostat».
Crescita: 1,3% ragionevole. Dopo la stagnazione del 2005, le stime di consenso indicano una crescita economica italiana superiore all’1% (l’1,3% è «ragionevole», dicono gli economisti di via Nazionale). Nel primo trimestre la crescita dovrebbe aggirarsi sullo 0,3-0,4% rispetto agli ultimi tre mesi del 2005. Bankitalia tuttavia osserva che i segnali di ripresa congiunturale «non delineano ancora il superamento del divario di crescita di cui l’economia italiana soffre. Per questo occorrono azioni di lunga lena», intese a modificare sia la struttura produttiva che l’ambiente regolamentare e di mercato.
Conti, cresce il debito. A fine 2005 il rapporto debito-Pil è salito al 106,4%: in valore nominale è aumentato di 65,7 miliardi di euro. Quanto al deficit di quest’anno, per raggiungere l’obiettivo del 3,5% occorre un forte controllo della spesa pubblica: in termini reali, intorno all’1% del Pil. In un’ottica di medio termine, sono necessari interventi per incidere sui comportamenti di spesa degli enti pubblici, con particolare attenzione alle amministrazioni decentrate (Comuni, Regioni ecc.). «Ricondurre i conti pubblici su un sentiero coerente, con la stabile riduzione del rapporto debito-Pil, è una priorità della politica economica, anche per trarre l’economia italiana dal ristagno», ricorda il Bollettino.
Lavoro, lite sui numeri. Bankitalia utilizza il metodo Istat per affermare che le «unità standard di lavoro a tempo pieno» si sono ridotte l’anno scorso dello 0,4%. In realtà, i posti di lavoro veri sono aumentati dello 0,2%, grazie anche a una crescita dei lavori atipici e part time. «L’occupazione aumenta, i dati sono eccezionalmente positivi», dice il ministro del Welfare Roberto Maroni replicando alla sinistra. È vero, peraltro, che nel 2005 quasi la metà dei nuovi assunti è stata inserita nelle aziende con contratti non a tempo indeterminato. «Precarizzazione», accusano i sindacati. «Accesso più facile al lavoro», replica il sottosegretario Maurizio Sacconi.
Famiglie indebitate. L’indebitamento delle famiglie italiane è passato dal 18% del Pil nel ’96 al 30% l’anno scorso. In teoria, la media è di 22mila euro per famiglia. Restiamo pur sempre ben sotto agli Usa (90% del Pil) e alla media Ue (56%). il giornale
 
Per adesso mi limito ad un'osservazione banale.
Se poi vogliamo discutere dei dati di Bankitalia, magari uno alla
volta, più che volentieri.
L'ho già scritto in un Post. Se la Fiat DA SOLA (e quindi nessun'altra azienda
italiana) avesse prodotto e venduto le auto di prima della crisi
(crisi di prodotto più che di mercato, visto che le auto
in Italia si è continuato a venderle) il PIL dell'Italia sarebbe
cresciuto quasi di quel o,9% della Germania...
Ho dato un'occhiata veloce ai quei dati, possono e devono
essere analizzati meglio.
L'UNICO VERO DATO NEGATIVO PER SE' E PER I RISVOLTI
CHE PORTA CON SE' E QUELLO DELLA PRODUTTIVITA'.
Lì si che siamo messi male...e non sarà facile uscirne....non basta
un regalino alle imprese dell' 1 o del 2 %...siamo molto lontani
dalla Germania...
 
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