rapporto risparmio gestito

  • ANNUNCIO: 46° Edizione del settimanale "Le opportunità di Borsa" dedicato ai consulenti finanziari ed esperti di borsa.

    Settimana tutto sommato positiva per le principali piazze internazionali che proseguono così il rimbalzo dai minimi di ottobre. Novembre sarà ricordato come uno dei mesi migliori nella storia più o meno recente dei mercati finanziari. Il calo dei rendimenti, con un ulteriore irripidimento delle curve, ha portato gli indici obbligazionari globali a registrare le migliori performance mensili dalla Grande Crisi Finanziaria, ovvero da dicembre 2008. Per l’azionario globale, invece, è stato il miglior rally mensile dal 2020. L’impulso è stato fornito anche dai dati sull’inflazione nell’area euro, che hanno rafforzato la tendenza ad anticipare la tempistica di un primo taglio dei tassi da parte della Bce già a partire dal 2024. Per continuare a leggere visita il link

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Le brutte sorprese sono state evitate grazie alle normative che fissano limiti precisi alla concentrazione degli investimenti, alla scelta di un alto numero di emittenti difficilmente praticabile dai singoli, alla piena autonomia

Risparmio gestito, è l’ora della rivincita

MARIANO MANGIA

C’è un vincitore morale nelle vicende che hanno colpito nell’ultimo anno gli investitori italiani: il risparmio gestito. Criticati, non sempre a torto, per i costi elevati, le gestioni semipassive e la duplicazione delle commissioni, fondi comuni, sicav, polizze assicurative e fondi pensione si sono rivelati strumenti efficienti e affidabili, mantenendo il risparmiatore al riparo dei tanti "casi" Enron, Argentina, Giacomelli, Cirio e Parmalat.
Per quanto riguarda azioni e obbligazioni del gruppo alimentare parmense, l’impatto sui fondi comuni italiani è stato decisamente limitato e rassicurante è anche il quadro della previdenza integrativa: alla fine del 2003, l’ammontare complessivo di obbligazioni Parmalat era pari a 14 milioni di euro, non più dello 0,7 per cento del patrimonio dei fondi pensione. Per quanto riguarda i prodotti assicurativi, l’esposizione in titoli del gruppo Parmalat era pari a 125 milioni di euro, ossia lo 0,05% del totale degli investimenti dell’intero settore assicurativo. In particolare per unit e index linked, nei quali il rischio di investimento è quasi sempre a carico degli assicurati, Parmalat pesava tra lo 0,7% e l’1,4% del portafoglio sottostante i singoli prodotti, con un impatto complessivo di circa 9 milioni di euro.
Risparmio gestito promosso, quindi. Merito di normative che fissano limiti ben precisi alla concentrazione degli investimenti, merito della diversificazione di portafoglio, quella ripartizione degli investimenti su un elevato numero di emittenti difficilmente praticabile dal singolo risparmiatore, e merito anche della piena autonomia nelle decisioni di investimento: le "chinese walls" imposte dalla normativa, la rigida divisione tra le diverse funzioni dei gruppi bancari, hanno dimostrato di funzionare, anzi, la valutazione negativa data dai fund manager a certi titoli si è rivelata più corretta di quella di chi in banca era preposto agli affidamenti.
I problemi sono dunque concentrati nel cosiddetto "risparmio amministrato". Secondo i dati forniti dall’Abi alla commissioni riunite di inchiesta sul caso Parmalat, nel 2002 l’ammontare investito in titoli depositati presso le banche era pari a 810 miliardi e rappresentava circa il 33% delle attività finanziarie delle famiglie. Seppure in diminuzione, era quasi il 47% nel 1995, il peso dell’investimento diretto appare ancora elevato (mediamente di 15 punti percentuali) se raffrontato a quello di altri paesi europei. Nel risparmio affidato a gestori professionali, sottolinea l’Abi, l’Italia è in ritardo nei confronti della Francia e della Germania con una differenza pari rispettivamente a 10 e 6 punti percentuali. Occorre, conclude l’Associazione Bancaria Italiana, «completare un fondamentale passaggio: un’ulteriore trasformazione degli investimenti "fai da te" in investimenti affidati a professionisti della gestione».
Sulla stessa lunghezza d’onda è il presidente di Assogestioni, Guido Cammarano: «La prima cosa da sottolineare è che ci deve essere una guida agli investimenti. Quanto è accaduto ha dimostrato che dove c’è un professionista del risparmio cui delegare la gestione dei propri investimenti, si è riusciti ad evitare brutte sorprese. Una struttura professionale mette a disposizione del singolo risparmiatore un’analisi non solo del mercato, ma della singola azienda, basata sullo studio dei bilanci, delle prospettive ma anche sui rapporti con il management».
Il risparmiatore deve "crescere", quindi, e della necessità di una maggiore cultura finanziaria è ben conscia anche l’associazione delle società di gestione. «Compito dell’industria che vuole essere competitiva e venire sempre più incontro alle esigenze dei risparmiatori — conferma Cammarano — è migliorare le sue capacità, investendo per accrescere la cultura dell’investimento finanziario, verso un approccio sempre più cosciente e responsabile dell’investimento. Questo è il momento di accrescere l’autonomia, di aumentare la dialettica tra fabbrica e cliente: una crescita della qualità del rapporto con il cliente è molto importante e su questo occorre lavorare, investire. Occorre poi prendere atto che il gestore sta della stessa parte del cliente: infatti non è altro che la lunga mano del risparmiatore sui mercati finanziari».

l’analisi dei fondi comuni

Quando i sottoscrittori arrivano in ritardo


I sottoscrittori di fondi comuni non brillano per efficienza. Non sempre, cioè, comprano i prodotti che rendono di più, fuggendo da quelli meno redditizi. E’ una conclusione che emerge dall’analisi dei flussi di raccolta netta degli ultimi anni messi a confronto con le performance realizzate, misurate dagli indici dei fondi elaborati da Banca Fideuram. Vediamo cosa è successo.
Nel 1999, l'anno del boom delle borse, i prodotti azionari hanno attratto sottoscrizioni per 35,6 miliardi di euro, con una raccolta record (4 o 5 miliardi /mese) a partire da luglio: sono soldi riscattati a man bassa dai fondi obbligazionari che chiudono l'anno ancora in positivo come raccolta, ma per soli 6 miliardi. In termini di performance non c'è paragone: +38,3% per gli azionari e poco meno dell'1% per i prodotti obbligazionari che fan peggio dei fondi di liquidità (6,8 miliardi di raccolta netta per uno +1,7% di rendimento. Pioggia di sottoscrizioni anche per i fondi bilanciati (15,8 miliardi) che realizzano una performance del 15,2% che si rivela tuttavia inferiore a quella media conseguita dai flessibili (+17,1%)
Nel 2000 l'euforia del boom della borsa fa confluire sui fondi azionari la bella cifra di 62,1 miliardi di euro, a fronte di una fuga dai fondi obbligazionari di quasi pari entità, ma va segnalata anche la buona raccolta netta dei fondi bilanciati. Una strage: gli azionari perdono il 12,7%, i bilanciati contengono le perdite in un 1,3%, mentre i tanto bistrattati prodotti obbligazionari regalano una performance del +3,1% e ancor meglio fanno i fondi di liquidità con il +4,5%.
Ammaccati e doloranti, i fondisti compiono scelte più assennate nel 2001, ma non sempre coerenti. Comincia la fuga dagli azionari (decisione corretta, perdono il 16,8%) ma soprattutto dai bilanciati, a dispetto della tenuta dell'anno precedente e anche del risultato 2001, negativo ma non troppo (6,2%). Pochi, invece, sentono l'esigenza di ridurre la partecipazione nei fondi flessibili che in termini di rendimento perdono (13,7%) più dei bilanciati e quasi quanto gli azionari. Si scoprono i fondi di liquidità che attirano sottoscrizioni per 25 miliardi e rendono il 3,5%, al pari degli obbligazionari che però hanno raccolto poco più di 3 miliardi.
Siamo arrivati al 2002. Le uniche tipologie di fondi che registrano una raccolta netta positiva sono nuovamente i fondi di liquidità (29,8 miliardi) e, per importi minori, i flessibili. Scelta azzeccata la prima, visto che i monetari conseguono la migliore performance in assoluto (+2,8%), poco felice la seconda che infligge una perdita del 13,4% ai sottoscrittori, un risultato, ancora una volta, peggiore rispetto ai bilanciati (11,6%) che però sono caduti definitivamente in disgrazia, con rimborsi per 12 miliardi. Analoga sorte per i fondi obbligazionari che subiscono un deflusso di denaro per 18 miliardi, pur offrendo per l'intero anno un rendimento del 2,6%.
E cosa è accaduto nel 2003? I prodotti più richiesti sono stati quelli che hanno conseguito il minor guadagno nel 2003, ossia i fondi di liquidità (+1,6%) e gli obbligazionari (+1,8%). Al contrario, gli azionari che hanno fatto registrare la migliore performance, con un +10,2%, presentano un saldo negativo, "limitato" a soli 1,2 miliardi di euro grazie al forte afflusso di sottoscrizioni registrato nella seconda metà dell'anno. L'unica scelta felice dei fondisti 2003 è rappresentata dalle sottoscrizioni nette di fondi flessibili che hanno, finalmente, battuto i bilanciati.
I fondisti non brillano per efficienza, quindi. L'analisi conferma che le sottoscrizioni dei fondi azionari sono trainate dalle performance passate e non dalle prospettive future. Le massicce perdite subite dai prodotti azionari hanno agito probabilmente da freno ai riscatti (il "non vendere in perdita") mentre, paradossalmente, i limitati danni registrati dai fondi bilanciati hanno facilitato il pentimento dei loro sottoscrittori; questi prodotti con la loro salomonica ripartizione di portafoglio non piacciono proprio più, mentre hanno maggior successo i prodotti flessibili che lasciano, almeno in teoria, ampia delega al gestore. I monetari infondono sicurezza, pur con rendimenti risicati e le sottoscrizioni di fondi obbligazionari appaiono le più ballerine dell'intero universo dei fondi. Una previsione, allora, per questo 2004? Facile, buona richiesta di fondi azionari e flessibili e nuova fuga dagli obbligazionari; stabili i bilanciati.
(m.m.)

Un’analisi condotta su un arco di dieci anni rileva che i prodotti specializzati sul nostro mercato hanno fatto meglio

Negli ‘azionari’, la diversificazione non paga

MARIANO MANGIA

Per anni abbiamo pensato alla borsa azionaria italiana come a un mercato di ridotto spessore, paragonabile per volatilità a un paese emergente e non adatto a rientrare in un ipotetico portafoglio efficiente. Meglio diversificare, era il verbo. I rendimenti conseguiti dai fondi comuni di diritto italiano hanno clamorosamente smentito questa teoria poiché, da un’analisi condotta su un arco temporale di 10 anni, emerge che i prodotti azionari specializzati sul nostro mercato hanno fatto mediamente e complessivamente meglio di fondi ampiamente diversificati a livello internazionale. Parliamo, naturalmente, di risultati ottenuti a livello di categoria e non di singolo prodotto e le performance sono misurate dagli indici dei fondi comuni elaborate da Banca Fideuram, indici costruiti su medie ponderate e rappresentativi, quindi, dei rendimenti conseguiti dalla maggior parte dei sottoscrittori di fondi.
In dieci anni, dunque, solo tre volte l’indice dei fondi internazionali ha fatto meglio dell’indice dei prodotti azionari specializzati sulla borsa italiana. E’ accaduto nel 1995, quando gli azionari italiani hanno lasciato sul terreno il 4,7% e la media dei fondi internazionali ha guadagnato il 9,3%. Si è ripetuto nel 1999, l’anno di grazia delle borse, con i fondi specializzati Italia che hanno reso "solo" il 29% contro il 35,6% dei fondi diversificati internazionalmente e ancora nel 2001, nel pieno dei ribassi azionari, quando la concentrazione sul mercato italiano ha fatto incorrere in perdite maggiori (20,6%) rispetto a quella subita investendo nei mercati mondiali (13,7%). In tutti gli altri casi, i fondi azionari italiani hanno conseguito risultati migliori. E non di poco, visto che, complessivamente, il rendimento medio annuo composto degli azionari Italia è stato dell’8,3% contro l’1,9% dei fondi internazionali.
Ampliando l’analisi a tutte le categorie dei fondi azionari specializzati per area geografica (America, Europa, Pacifico, Paesi Emergenti e dal 1999, area Emu), i prodotti "domestici" si sono collocati al vertice delle graduatorie annuali per rendimento ben quattro volte e in altre due occasioni hanno occupato la seconda posizione. Nessuna altra tipologia è riuscita a fare altrettanto. I fondi specializzati nei Paesi Emergenti, ad esempio, hanno perso di meno di tutti nel 2000 e nel 2001 e hanno guadagnato di più lo scorso anno, ma nella seconda metà degli anni novanta risultano tra i fondi peggiori. Anche i fondi specializzati sul mercato Usa, i più richiesti nel 2003, non hanno riservato grandi guadagni ai loro sottoscrittori e, complice l’apprezzamento dell’euro, negli ultimi due anni si sono rivelati l’investimento peggiore.
Prima di investire sul mercato domestico, comunque è bene riflettere su alcuni punti. L’arco temporale prescelto è abbastanza ampio per apprezzare il comportamento dei fondi in differenti condizioni di mercato, ma è pur sempre un periodo caratterizzato da un forte apprezzamento della lira (prima) e dell’euro (dopo) che hanno influenzato i risultati degli investimenti in valuta. In secondo luogo, anche se l’approfondita conoscenza del mercato domestico si traduce in una maggiore capacità media dei gestori di ottenere performance in linea se non superiori a quella degli indici di mercato, non si può escludere che altri mercati possano in futuro offrire opportunità migliori. Il problema, come l’andamento degli ultimi anni ci fa capire, è che estremamente difficile "azzeccare", anno per anno, il mercato /area dall’andamento migliore

bene la raccolta netta

Chi ha vinto la gara delle sottoscrizioni


Il 2003 è stato l’anno della riscossa per i fondi comuni con una raccolta netta tornata in positivo per 25 miliardi di euro. Ma quali gruppi hanno registrato i migliori risultati in termini di sottoscrizioni nette? Che il primo posto nella graduatoria sia appannaggio del gruppo Sanpaolo Imi è più che logico, trattandosi del leader di mercato. Meno ovvio è l’elenco dei gruppi che si collocano nelle posizioni di rincalzo, visto che al secondo posto troviamo le Banche Popolari Unite, la realtà scaturita dalla fusione della Popolare di Bergamo, Popolare Commercio e Industria e Popolare Luino e Varese con una nuova società di gestione del risparmio, Bpb Prumerica, partecipata al 35% dall’americana Prudential International Investments Corporation. Al terzo c’è Anima Sgr del Banco di Desio e della Brianza, a dimostrazione che la buona performance paga: i rendimenti e i riconoscimenti ottenuti dai fondi gestiti dalla società di Amilcare Foà hanno portato a un boom di richieste, non solo da parte della clientela retail ma anche da parte di un gran numero di gestori di altri gruppi nelle loro gestioni in fondi. Quarto gruppo è la Cassa di Risparmio di Firenze, con una raccolta legata esclusivamente alla sicav lussemburghese Cr Firenze Gestion Internationale, non disponendo la banca fiorentina di una sgr italiana; seguono il Credito Emiliano e il Monte Paschi di Siena.
E Banca Intesa, Unicredito dove sono? Intesa capeggia la classifica dei gruppi con raccolta dal segno negativo: 1,6 miliardi di euro sono volati via dai fondi comuni del gruppo, con riscatti concentrati particolarmente negli ultimi 4 mesi dell’anno. Seguono Deutsche Bank e, con un rosso meno mercato, Capitalia e Ing Group. Effetto Parmalat? Più verosimilmente gli effetti di ristrutturazioni e cessioni: il gruppo Intesa ha rinunciato ai promotori di Banca Primavera, in Capitalia si è proceduto a una riorganizzazione delle due realtà Banca di Roma e BipopFineco, i promotori di Ing sono approdati alla corte di Unicredito. Tra i gruppi che hanno subito il prevalere dei riscatti si notano anche società di minori dimensioni: in affanno Symphonia, che proprio nel corso dell’anno è passata al gruppo Banca Intermobiliare, in rosso Banca Leonardo, la Reali Associati. E per l’Agenzia Europea degli Investimenti, piccola società indipendente promotrice di un fondo etico, i 5 milioni di riscatti hanno portato alla chiusura.
(m.m.)

presto anche in italia

Etf, gli obbligazionari sono la nuova frontiera


Era considerato la cartina di tornasole del mercato. Se il debutto dell’Etf sullo S&P/Mib Master Unit fosse riuscito a registrare volumi molto interessanti, non ci sarebbe stato più alcun dubbio: gli Etf avrebbero avuto il loro spazio anche in Italia. E così è stato, nonostante si fossero raggiunti risultati molto interessanti anche nei mesi precedenti al lancio dell’Etf sullo S&P/Mib. Se guardiamo infatti ai volumi registrati nel mese di ottobre 2003, un mese prima del lancio del nuovo prodotto avvenuto il 12 novembre, notiamo che il segmento degli Etf ha raggiunto i 51 milioni di euro, una cifra che corrisponde a quasi il doppio rispetto all’anno precedente in cui erano stati collocati i primi Etf sul mercato italiano. All’epoca, i volumi erano stati pari infatti a 32 milioni di euro. ««Le ripercussioni del buon andamento del nuovo Etf sull’indice domestico sono andate oltre le aspettative del mercato — spiega Marco Montanari, responsabile dei prodotti quotati per Société Générale — Ci si attendeva che gli scambi avrebbero raggiunto un controvalore del 2,5% dell’intero mercato europeo degli Etf, mentre il prodotto legato allo S&P/Mib ha trattato il 4,9% del mercato complessivo europeo».
Nel mese di novembre in cui è stato lanciato il Master Unit S&P/Mib, il mercato degli Etf ha scambiato quasi 109 milioni di euro, più del doppio rispetto al mese precedente e di questi 75 milioni sono stati il frutto degli scambi effettuati sull’Etf legato all’indice domestico. Naturalmente, dopo un inizio scoppiettante legato anche alla novità, i volumi si sono un po’ contratti, registrando nel mese di gennaio 87 milioni di controvalore complessivo, di cui 33 milioni frutto degli scambi sullo S&P/Mib.
Va sottolineato che in questo periodo, mentre si è assistito ad un calo del nuovo Etf, è cresciuto invece l’interesse nei confronti degli altri Etf quotati da Borsa Italiana. Nuovo vigore agli scambi sul Master Unit S&P/Mib sarà tuttavia dato dalla nascita del future sullo S&P/Mib, che avverrà a partire dal prossimo 22 marzo e che sancirà il passaggio di testimone con il vecchio Mib 30.
Comunque, al di là dei buoni risultati ottenuti dallo S&P/Mib, sta nascendo una nuova frontiera degli Etf: gli obbligazionari. In questo momento in Europa sono 7 quelli quotati e a breve sbarcheranno in Italia. Nella seconda metà del 2004 avremo infatti con molta probabilità il lancio del Master Unit EuroMts di Lyxor (Société Générale) e dei due prodotti di Barclays: Iboxx Liquid Corporate e GS InvesTops Corporate. Prodotti in grado di far crescere ancora il segmento degli Etf di Borsa Italiana. Più lontana è invece la nascita degli Etf sulle materie prime. Al momento nel mondo sono quotati solo due Etf sull’oro: in Gran Bretagna ed in Australia, i Gold Bullion Securities. In questi casi lo sbarco in Italia è ancora molto lontano.
f.vac.)

novita’ in vista

Rivoluzione in arrivo per le polizze vita


Novità in vista per i prodotti vita: la garanzia di rendimento e il consolidamento annuale delle prestazione, tipici delle polizze a gestione separata, stanno per essere messi in discussione nei prodotti che alcune compagnie assicurative, il gruppo Generali — Alleanza e la Ras tra tutte, si preparano a immettere sul mercato nei prossimi mesi.
Il gruppo Ras da aprile proporrà una innovativa tipologia di polizze a premio annuo o ricorrente, finalizzate a esigenze di lungo periodo (previdenza, acquisto casa, educazione figli) che in un unico contratto racchiudono la prestazione tradizionale (gestione separata), l’investimento tipo unit linked e le garanzie di rischio (caso morte, long term care, perdita posto di lavoro, dread disease), Caratterizzate da una grande flessibilità, prevedono un meccanismo di rivalutazione diverso per la componente a gestione separata: il tasso minimo garantito è pari al 2% invece che il 2,5% ed è riconosciuto solo a scadenza, senza consolidamento delle prestazioni.
«I rendimenti delle gestione separate hanno dimostrato un trend di discesa più lento del calo dei tassi d’interesse. Nel 2003 abbiamo conseguito rendimenti del 4,90%, ben lontani dalla soglia di rendimento minimo e per il futuro si allontanano i rischi di ulteriori ribassi dei tassi», spiega Alessandro Scarfò, direttore Vita & Previdenza del gruppo Ras. «La garanzia ha un effetto "terapeutico", ma per comprare una garanzia che non serve, si rinuncia a maggiori rendimenti». Altri stanno studiando il problema e le possibili soluzioni. «I rendimenti effettivi oggi sono circa doppi dei minimi che vengono garantiti ammettono in Fondiaria Sai In generale, l’opzione a scadenza, alternativa a quella cliquet, non dà un beneficio immediato al cliente, ma attraverso una gestione finanziaria più elastica potrebbe consentire alla compagnia, nel medio periodo, una retrocessione anche al cliente di rendimenti migliori. Stiamo facendo le analisi per individuare un meccanismo che consenta da subito di trasferire parte di questo beneficio ai clienti».
Ma ci sono anche compagnie che intendono restare fedeli alla struttura tradizionale delle polizze vita. E’ il caso di Gan Italia Vita, come illustra il direttore centrale Germano Donadio: «Riteniamo che i prodotti del ramo I offrano già buoni rendimenti: il nostro fondo Vitafin ha realizzato nel 2003 un rendimento lordo del 5,08% e il fondo Open, di dimensioni minori e quindi più dinamico, il 5,43%. Abbiamo deciso di mantenere la prestazione rivalutata e il consolidamento dei risultati, riconosciuti anche in caso di riscatto, per il quale è prevista una contenuta penalizzazione (0,50% nel primo anno e 0,25% nel secondo)».
(m.m.)
 
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rendimenti ok

Crescita e performance positive per i fondi di fondi hedge

FERNANDO VACARINI

Hanno goduto per lunghi anni della fama di prodotti molto rischiosi: niente di più falso. Si tratta di una semplificazione troppo grossolana e legata esclusivamente agli hedge fund cosiddetti single manager, in altre parole a hedge fund specializzati in una sola tipologia di investimenti. Invece, se consideriamo la galassia dei fondi di fondi hedge, non si può parlare di prodotto speculativo, anzi. L’obiettivo è di dare un ritorno assoluto all’investitore, in qualsiasi condizione di mercato, senza subirne troppo le oscillazioni, aumentando la diversificazione e migliorando complessivamente la frontiera efficiente dell’investimento. Questo concetto è stato recepito in pieno da parte dei risparmiatori tanto che negli ultimi anni l’industria italiana degli hedge fund è cresciuta molto, a livelli esponenziali. «La logica di chi si avvicina agli hedge fund è di sottoscrivere fondi di fondi — sostiene Alberto La Rocca, amministratore delegato di Pioneer Alternative Investment — e l’abbassamento della soglia minima d’ingresso ha favorito questo sviluppo. I fondi puri invece hanno avuto all’inizio problemi legati alle vicende del prime broker e della banca depositaria. Inoltre, investire in un singolo fondo come minimo 500 mila euro è una cifra molto elevata: occorrono patrimoni mobiliari davvero consistenti».
I risultati in termini di performance di chi ha sottoscritto hedge fund nel 2003 sono stati molto interessanti, considerando che tutti i prodotti presenti sul mercato con almeno dodici mesi di vita hanno raggiunto performance positive, con i primi tre (Ersel Hedge Ilex, Gestielle Hedge Low Volatilità ed Ersel Multistrategy High) che hanno superato il 10%. «Il risultato degli hedge fund nel corso del 2003 e’ stato particolarmente significativo perché ha fugato il dubbio che i fondi hedge fossero strumenti di investimento adatti solo a situazioni di mercato difficili e tendenzialmente ribassiste — spiega Fabio Bariletti, responsabile investimenti di Kairos Alternative Investment — Gli hedge fund hanno dimostrato nel 2003 di poter fare molto bene anche in fasi di rialzo, registrando ottimi rendimenti in gran parte delle strategie di investimento».
In particolare, alcune strategie hanno fatto meglio di altre. «Brillanti sono risultati i gestori concentrati nel distressed securities e negli emerging markets, strategie che hanno tratto ampio beneficio dalla fase di forte riduzione del premio per il rischio e di contrazione dei credit spreads — spiega Andrea Nascè, direttore di Ersel Hedge —. Per il 2004 riteniamo interessanti le prospettive delle strategie long short equity che possono beneficiare delle buone opportunità di sector rotation e stock picking disponibili sui mercati». Il buon risultato ottenuto dagli hedge fund viene confermato anche da rilevazioni di più lungo periodo. «Se guardiamo alle performance in un arco temporale di 5 anni — afferma Alberto La Rocca — vediamo che i fondi di fondi hedge battono, sulla base del ritorno aggiustato per il rischio, sia gli azionari che gli obbligazionari».
Oltre ai fondi di fondi, nel corso del 2003 è nata una nuova categoria destinata a far parlare di sé: quella dei fondi di fondi misti, vale a dire un unico prodotto in cui abbiamo la combinazione di prodotti di risparmio gestito tradizionale con gli hedge fund. Un modo per abbassare di fatto la soglia minima di ingresso e permettere ad una platea di risparmiatori più vasta di accedere al mondo degli hedge.

studio prometeia

Hedge fund, un futuro tutto in crescita


Il settore degli hedge fund in Italia segna nel 2003 un salto dimensionale di rilievo a quota 6,2 miliardi di euro, quasi il triplo dei 2,2 miliardi del 2002. Sono i dati di un rapporto curato da Prometeia e presentato nel corso di un convegno organizzato da Hedge Invest Sgr. Un trend destinato a proseguire. Le potenzialità di crescita sono notevoli, si stima che, a fine 2004, almeno 16 tra fondazioni e casse privatizzate avranno questi asset class nel loro portafoglio. A livello mondiali questi prodotti si sono attestati alla fine del 2003 oltre gli 800 miliardi di dollari, segnando un rialzo sull'anno precedente del 30%

le novità

Un "total return" senza rischio di cambio


Chi in generale non ama rischiare troppo ed ha un orizzonte temporale di mediolungo periodo puó indirizzarsi vero un nuovo comparto della Sicav di diritto lussemburghese Franklin Templeton Investment Funds, il Templeton European Total Return Fund. E’ un fondo "total return" (caratterizzato dunque dalla ricerca di un rendimento sempre positivo) di tipo obbligazionario. Il fondo investe in bond governativi o corporate di emittenti europei. La valuta di denominazione è l´euro, per i sottoscrittori eurpei non c´è rischio di cambio. Il versamento iniziale minimo è l´equivalente in euro di 5.000 dollari Usa, i successivi di 1.000.

E’ l’unico modo per attrarre nuovi clienti e battere una concorrenza sempre più serrata tra istituti italiani e stranieri

Servizi su misura per il private banking

FERNANDO VACARINI

Le prospettive di crescita a due cifre per un periodo molto lungo sono un lontano ricordo: il private banking è un’attività bancaria in buona salute, ma non si può permettere di vivere sugli allori. La competizione si sta facendo sempre più serrata, dunque occorre prestare attenzione alla qualità del servizio, altrimenti la clientela migra verso operatori più dinamici. In questo contesto, una prima distinzione può essere fatta tra le divisioni o business unit dedicate al private delle banche commerciali italiane ed i grandi brand stranieri, con le società svizzere e statunitensi in testa. Il luogo comune vuole che gli italiani offrano un servizio standardizzato, mentre le grandi firme internazionali confezionino un prodotto su misura per ogni cliente. In realtà questo concetto è valido solo per la miriade di piccole realtà italiane che dichiarano di fare private banking, ma in realtà hanno strutture specializzate solo per la clientela affluent. Al contrario, le grandi banche estere hanno il nome ed il servizio, ma a parte poche eccezioni, non posseggono masse in gestione rilevanti.
«La nostra realtà è l’unica banca separata indipendente dedicata esclusivamente al private banking — afferma Marco Bolgiani, direttore generale di Unicredit private banking — e possiamo dire che il servizio è tagliato su misura per i clienti. All’interno della banca abbiamo suddiviso la nostra clientela non solo rispetto all’ammontare dei patrimoni in gestione, ma anche sulla base delle singole esigenze. Proprio perché solo partendo dalle singole esigenze è possibile offrire un servizio tailor made». Per rispondere alle esigenze dei clienti, spesso le realtà di private banking italiano offrono all’interno delle strutture un servizio di centro di investimenti. «Non è sufficiente creare una business unit separata dalla banca di appartenenza per poter dire di effettuare un servizio dal valore aggiunto per il cliente — spiega Roberto Fredella, responsabile private banking di Bnl — Nel nostro caso abbiamo un vero e proprio Investment Center dove autonomamente studiamo i mercati internazionali e forniamo ai clienti le nostre view con i portafogli consigliati in base al profilo di rischio del cliente».
Eppure, al di là dei miglioramenti effettuati dalla realtà italiana, il richiamo della tradizione è molto forte, ed in questo gli svizzeri possono godere di vantaggi difficili da colmare. «L’esperienza è il vero valore aggiunto che possiamo offrire rispetto al private banking italiano — spiega Paolo Ravano, responsabile relationship management di Credit Suisse Italy — Per chi fa private banking, la partita si gioca su questo: nel poter contare su una lunga esperienza nella gestione dei patrimoni. Se hai costruito la tua storia professionale di banca gestendo patrimoni, hai accumulato una casistica così ampia che sei pronto a trovare la soluzione giusta, senza che il cliente neppure te la chieda». Ma la realtà del private banking comprende anche strutture più piccole che hanno una conoscenza molto accurata del territorio in cui operano, facendone il loro punto di forza. «Puntiamo ad un forte radicamento sul territorio, presidiato dalle banche del gruppo — dichiara Maurizio Zancanaro, direttore generale e responsabile private banking di Banca Aletti — agendo in maniera sinergica con le strutture corporate della banca. Da gennaio per seguire meglio la clientela private abbiamo attivato un team dedicato ai clienti con oltre 10 milioni di euro». Ma le realtà di nicchia come faranno a sopravvivere con una competizione più esasperata? «Puntando sulla flessibilità dell’organizzazione — sostiene Stefano Piantelli, responsabile private banking di Banca Intermobiliare — e alla costanza delle performance dei prodotti di risparmio gestito».
 
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All’imposta sostitutiva è subentrata una ritenuta valida dall’inizio del 2004. Le modalità per calcolarla e quale è la base imponibile

Il fisco e i fondi immobiliari cambia il regime di tassazione

ROSA SERRANO

Modificato radicalmente il regime di tassazione dei partecipanti ai fondi immobiliari. La legge numero 326/2003 ha eliminato l’imposta sostitutiva pari all’1% del valore netto contabile del Fondo prelevata annualmente dalla società di gestione e ha previsto l’applicazione di una ritenuta nella misura del 12,50%. Come precisa Assogestioni, la base imponibile della ritenuta è rappresentata dall’ammontare dei proventi riferibili a ciascuna quota distribuiti a seguito della partecipazione al Fondo e risultanti dai prospetti periodici e dalla differenza tra il valore di riscatto o di liquidazione delle quote ed il costo di sottoscrizione o acquisto.
La ritenuta sarà applicata a titolo d’imposta nei confronti dei soggetti residenti che abbiano percepito i proventi al di fuori dell’esercizio dell’attività di impresa (persone fisiche, enti non commerciali, società semplici, associazioni e società equiparate alle società semplici). La ritenuta sarà, invece, effettuata a titolo di acconto se i proventi sono relativi a quote detenute nell’esercizio di attività di impresa commerciale oppure se i proventi sono percepiti da imprenditori individuali e le partecipazioni sono relative all’impresa commerciale; da società in nome collettivo, in accomandita semplice ed equiparate; dalle società per azioni e in accomandita per azioni; dalle società a responsabilità limitata; dalle società cooperative e di mutua assicurazione; dagli enti commerciali, nonché dalle stabili organizzazioni e dagli enti non residenti.
Il nuovo regime scatta per i proventi distribuiti o per quelli realizzati attraverso il riscatto o la liquidazione delle quote a decorrere dal primo gennaio 2004. Per i proventi prodotti fino al 31 dicembre 2003 verrà applicata dalla società di gestione l’imposta sostitutiva dell’1%. E’ opportuno sottolineare che i proventi maturati fino al 31 dicembre 2003 e relativi a partecipazioni assunte da contribuenti al di fuori dell’esercizio di attività commerciali e le plusvalenze realizzate in sede di negoziazione o rimborso delle quote non sono soggetti a imposizione fiscale. Al contrario, il regime di non imponibilità non è applicabile ai proventi percepiti nell’esercizio d’impresa commerciale, concorrendo gli stessi a formare il reddito d’impresa del sottoscrittore. Tuttavia, con l’evidente scopo di attenuare la doppia imposizione su questi proventi, viene riconosciuto un credito d’imposta pari all’1% del valore delle quote.
 
BANCHE E BIDONI

Risparmio gestito e banche sono la stessa cosa.

SELLA, l'ABI e compagnia cantante sono veramente PENOSI quando dicono che le banche non c'entrano a riguardo dei disastri finanziari che hanno colpito i risparmiatori. Visto che LE BANCHE HANNO FATTO I DANNI hanno il coraggio di affermare che
i risparmiatori dovrebbero rivolgersi ai FONDI COMUNI CHE SONO SEMPRE LE BANCHE. Io credo che questi signori considerino i risparmiatori dei veri e propri ignoranti a cui é possibile propinare qualsiasi BIDONE e anche qualsiasi storiella.
Intanto si é già visto che qualche rapporto tra le banche, alcuni collocamenti, alcuni banchieri proprio trasparenti non erano. E poi anche le altre storie di MAXI BIDONI nascondono sicuramente guadagni, business, sbagli di valutazione da parte delle banche, ecc. che a pagare sono sempre stati i risparmiatori.
La forma di ricatto: visto che ha dai ridire sulle banche che ti hanno fatto comperare dei titoli bidone allora devi comperare i i fondi (che ripeto sono sempre le banche) dovrebbe scuotere le persone perbene. Queste banche italiane bisognerebbe.....mandarle a casa!
 
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