balabiott
Scrooge
- Registrato
- 12/10/04
- Messaggi
- 2.703
- Punti reazioni
- 134
Buon giorno, riprovo ad avviare un thread di notizie ed opinioni sulle problematiche fondamentali inerenti al debito sovrano dell'Italiai, pregando i fans dei complotti massonici di astenersi dall'intervenire e dal causare ancora una volta lo spostamento del thread in arena.
Ben accette invece notizie "fresche".
Grazie
Da il sole24ore "Incubo 6%"
I conti pubblici italiani del 2006 fanno rotta verso un grande buco. Il deficit punta al 6% del Pil. Una previsione azzardata? E non è eccessivo preoccuparsi di quel che avverrà così in là nel tempo quando abbiamo già tanti crucci economici nel presente?
Al contrario, è bene preoccuparsi per due ragioni: in generale, nel governo dell'economia, di cui la finanza pubblica è uno strumento cruciale, l'anno venturo è già domani e si deve agire con tempismo per correggere ciò che va alla deriva; in particolare, nel 2006 si vota e chi vincerà avrà in consegna il bilancio pubblico nello stato in cui sarà e da lì dovrà partire per realizzare il suo programma.
Non è, purtroppo, un numero esagerato. Infatti, senza interventi, le proiezioni danno già un 4,6%: sono le ultime diffuse dalla Commissione europea che, nettamente superiori a quelle del Governo ( 3% esclusi gli effetti della prossima Finanziaria), sono in realtà prudenti per una serie di ragioni
Infatti, il 4,6% non tiene conto né dei rilievi ultimi mossi da Eurostat alla contabilità italiana, né delle prospettive reali della congiuntura: la crescita sarà quest'anno inferiore all' 1% e il prossimo non vedrà un gran miglioramento, contro l' 1,2% e l' 1,7% atteso dalla Ue. La Ue neppure considera le falle, piccole o grandi, che emergeranno nella finanza locale, mentre giustamente non prende al valore facciale le correzioni introdotte dall'ultima finanziaria.
Una previsione più aggiornata e credibile, come quella elaborata dagli economisti di ref. ( centro di ricerca di Milano), dà il deficit 2006 al 5%. A questo bisogna aggiungere l'effetto elezioni: maggiore generosità nei contratti pubblici e ulteriori tagli all'Irpef ( 12 miliardi). Poi c'è la necessità di eliminare l'Irap, cominciando a ridurla di un terzo, come annunciato dal Governo: altri 11 miliardi.
Nel complesso è quasi il 2% del Pil che deve trovare copertura ed è difficile, in un anno elettorale, che sia fatta di veri tagli alle spese o aumenti di imposte. Perciò, lo ha sottolineato anche il ministro Maroni, non ci sono i soldi per entrambe le riduzioni fiscali ( se per questo, non ce n'è neanche per una sola, ma tra le due, meglio la seconda). Così, passare dal 5% al 6% non è un salto clamoroso.
Ad aggravare il quadro c'è la constatazione che ormai la parte più consistente delle privatizzazioni è stata fatta: l'obiettivo del Governo Berlusconi di metterne in atto altre per 100 miliardi di euro tra il 2005 e il 2008 ( non nei prossimi dodici mesi, come affermato dal premier martedì sera in televisione) è molto ambizioso.
Inoltre, la strada delle cartolarizzazioni e dei condoni, che non sono né correzioni strutturali né sana gestione del bilancio pubblico ( giustamente il ministro Siniscalco li considera « droghe » pericolose), è già stata percorsa fino in fondo: Isabella Bufacchi ha dimostrato, dati Ocse alla mano, che tra il ' 93 e il 2003 l'Italia è stata seconda solo alla Grecia nel ricorso alle una tantum ( si veda Il Sole 24 Ore del 30 marzo).
In questo scenario diventa cruciale, per arginare il rosso dei conti pubblici, il comportamento di quattro attori.
L'Europa.
La sorveglianza dei nostri partner può essere più o meno morbida. La Commissione fa la voce grossa, come accaduto con gli ultimi ammonimenti, ma le decisioni spettano al Consiglio dei ministri finanziari e a quello dei capi di governo.
È nostro interesse nazionale, e non solo degli altri Paesi europei, che ci sia la massima severità e il richiamo, condito con tutte le misure persuasive possibili, a ridurre il deficit rapidamente e in modo strutturale.
Gli schieramenti politici.
La campagna elettorale è già iniziata. Promesse avventate e fughe in avanti, che rischiano di avvitarsi in una pericolosa rincorsa, come scriveva Carlo Bastasin sulla Stampa del 6 aprile, sono un lusso che non ci si può più permettere. Agli italiani non va nascosta la verità sulle difficoltà che nei prossimi anni affronteremo per raggiungere obiettivi anche ambiziosi di maggiore sviluppo.
I mercati finanziari.
Gli investitori chiederanno un maggior premio al rischio sul debito pubblico italiano. Significa tassi di interesse più alti, soprattutto se vi sarà un generale rialzo del costo del denaro. Quest'ultimo non si verificherà se la congiuntura di Eurolandia resterà negativa: ma sarebbe un cadere dalla padella nella brace.
Il ministro dell'Economia.
Domenico Siniscalco difende il proprio ruolo di tecnico che fornisce alternative tra cui i politici scelgono. A una simile funzione può bastare il Ragioniere generale. In realtà, il ministro avalla con la propria credibilità ( che è alta) decisioni che possono causare un deficit troppo alto: non è propriamente da tecnico.
Afferma di garantire la massima trasparenza; perché allora sul sito del Tesoro non c'è l'ultimo programma di stabilità mandato a Bruxelles lo scorso novembre?
Eppoi, è sicuro di voler passare alla storia, lui che viene dalle terre di Quintino Sella, come il ministro che ha lasciato riportare in alto mare i conti dello Stato? Può impedirlo e svolgere, al di
sopra delle parti, la funzione di nume tutelare della stabilità finanziaria del Paese, bene comune prezioso. Ha in mano una potente arma politica: le dimissioni. Usarla, se sarà necessario, non è un atto di insubordinazione all'ordine costituito.
Ben accette invece notizie "fresche".
Grazie
Da il sole24ore "Incubo 6%"
I conti pubblici italiani del 2006 fanno rotta verso un grande buco. Il deficit punta al 6% del Pil. Una previsione azzardata? E non è eccessivo preoccuparsi di quel che avverrà così in là nel tempo quando abbiamo già tanti crucci economici nel presente?
Al contrario, è bene preoccuparsi per due ragioni: in generale, nel governo dell'economia, di cui la finanza pubblica è uno strumento cruciale, l'anno venturo è già domani e si deve agire con tempismo per correggere ciò che va alla deriva; in particolare, nel 2006 si vota e chi vincerà avrà in consegna il bilancio pubblico nello stato in cui sarà e da lì dovrà partire per realizzare il suo programma.
Non è, purtroppo, un numero esagerato. Infatti, senza interventi, le proiezioni danno già un 4,6%: sono le ultime diffuse dalla Commissione europea che, nettamente superiori a quelle del Governo ( 3% esclusi gli effetti della prossima Finanziaria), sono in realtà prudenti per una serie di ragioni
Infatti, il 4,6% non tiene conto né dei rilievi ultimi mossi da Eurostat alla contabilità italiana, né delle prospettive reali della congiuntura: la crescita sarà quest'anno inferiore all' 1% e il prossimo non vedrà un gran miglioramento, contro l' 1,2% e l' 1,7% atteso dalla Ue. La Ue neppure considera le falle, piccole o grandi, che emergeranno nella finanza locale, mentre giustamente non prende al valore facciale le correzioni introdotte dall'ultima finanziaria.
Una previsione più aggiornata e credibile, come quella elaborata dagli economisti di ref. ( centro di ricerca di Milano), dà il deficit 2006 al 5%. A questo bisogna aggiungere l'effetto elezioni: maggiore generosità nei contratti pubblici e ulteriori tagli all'Irpef ( 12 miliardi). Poi c'è la necessità di eliminare l'Irap, cominciando a ridurla di un terzo, come annunciato dal Governo: altri 11 miliardi.
Nel complesso è quasi il 2% del Pil che deve trovare copertura ed è difficile, in un anno elettorale, che sia fatta di veri tagli alle spese o aumenti di imposte. Perciò, lo ha sottolineato anche il ministro Maroni, non ci sono i soldi per entrambe le riduzioni fiscali ( se per questo, non ce n'è neanche per una sola, ma tra le due, meglio la seconda). Così, passare dal 5% al 6% non è un salto clamoroso.
Ad aggravare il quadro c'è la constatazione che ormai la parte più consistente delle privatizzazioni è stata fatta: l'obiettivo del Governo Berlusconi di metterne in atto altre per 100 miliardi di euro tra il 2005 e il 2008 ( non nei prossimi dodici mesi, come affermato dal premier martedì sera in televisione) è molto ambizioso.
Inoltre, la strada delle cartolarizzazioni e dei condoni, che non sono né correzioni strutturali né sana gestione del bilancio pubblico ( giustamente il ministro Siniscalco li considera « droghe » pericolose), è già stata percorsa fino in fondo: Isabella Bufacchi ha dimostrato, dati Ocse alla mano, che tra il ' 93 e il 2003 l'Italia è stata seconda solo alla Grecia nel ricorso alle una tantum ( si veda Il Sole 24 Ore del 30 marzo).
In questo scenario diventa cruciale, per arginare il rosso dei conti pubblici, il comportamento di quattro attori.
L'Europa.
La sorveglianza dei nostri partner può essere più o meno morbida. La Commissione fa la voce grossa, come accaduto con gli ultimi ammonimenti, ma le decisioni spettano al Consiglio dei ministri finanziari e a quello dei capi di governo.
È nostro interesse nazionale, e non solo degli altri Paesi europei, che ci sia la massima severità e il richiamo, condito con tutte le misure persuasive possibili, a ridurre il deficit rapidamente e in modo strutturale.
Gli schieramenti politici.
La campagna elettorale è già iniziata. Promesse avventate e fughe in avanti, che rischiano di avvitarsi in una pericolosa rincorsa, come scriveva Carlo Bastasin sulla Stampa del 6 aprile, sono un lusso che non ci si può più permettere. Agli italiani non va nascosta la verità sulle difficoltà che nei prossimi anni affronteremo per raggiungere obiettivi anche ambiziosi di maggiore sviluppo.
I mercati finanziari.
Gli investitori chiederanno un maggior premio al rischio sul debito pubblico italiano. Significa tassi di interesse più alti, soprattutto se vi sarà un generale rialzo del costo del denaro. Quest'ultimo non si verificherà se la congiuntura di Eurolandia resterà negativa: ma sarebbe un cadere dalla padella nella brace.
Il ministro dell'Economia.
Domenico Siniscalco difende il proprio ruolo di tecnico che fornisce alternative tra cui i politici scelgono. A una simile funzione può bastare il Ragioniere generale. In realtà, il ministro avalla con la propria credibilità ( che è alta) decisioni che possono causare un deficit troppo alto: non è propriamente da tecnico.
Afferma di garantire la massima trasparenza; perché allora sul sito del Tesoro non c'è l'ultimo programma di stabilità mandato a Bruxelles lo scorso novembre?
Eppoi, è sicuro di voler passare alla storia, lui che viene dalle terre di Quintino Sella, come il ministro che ha lasciato riportare in alto mare i conti dello Stato? Può impedirlo e svolgere, al di
sopra delle parti, la funzione di nume tutelare della stabilità finanziaria del Paese, bene comune prezioso. Ha in mano una potente arma politica: le dimissioni. Usarla, se sarà necessario, non è un atto di insubordinazione all'ordine costituito.