Rivoluzione

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nickilista

Siento el Sur...
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Secondo voi, è possibile incitare alla "Rivoluzione" (quale che sia: conservatrice, liberale, comunista), ed eventualmente organizzarla, con lo strumento di internet?

Fermo restando che ci dovrebbe essere già un relativo controllo da parte degli attori in scena (Stato/i e - fantomatici - operatori del mercato), in ogni caso mi pare abbastanza improbabile che costoro riescano a controllare tutti i flussi di dati in transito su tutta la rete. Per cui, si potrebbe pensare (nel caso di una rivoluzione - quale che debba essere - su scala planetaria) che i flussi che non possono essere totalmente controllati giungano a destinazione.

O lo strumento consente di "rivoluzionare" controllando ("cittadinanza digitale")?
 
Ultima modifica:
Ho appena letto, non mi ricordo più su quale rotocalco, che a New York ha preso piede una moda singolare.
In breve, a seguito di un appello via internet, centinaia di persone si ritrovano in un determinato punto della città facendo qualcosa di particolare (tipo saltare la corda, mangiare una brioche, o altro) e spiazzando totalmente quanti sostano nei paraggi.
Poi, dopo pochi minuti, l'assembramento si scioglie.
Ecco, questa mi pare una pratica rivoluzionaria, alla pari delle biciclettate completamente nudi che pare si organizzino da qualche parte del Nord Europa o del Canada.
 
Se è vero che in URSS il PCUS è caduto sotto i colpi della Coca-Cola (un'enorme quantità di dati raggruppata in immagine), mi pare strano che questo problema non si ponga anche per internet, che, viceversa, veicola un maggior numero di messaggi "scritti" (anche se non è poi vero del tutto), quindi (secondo me) potenzialmente più attivi nel profondo.

Comunque, quello che scrivi, Scarda, è sintomatico: presumibilmente, costoro, erano e sono utenti di una community (un centro di aggregazione-irradiazione) e da qui (qui, dove?) si sono mossi in direzione X con la finalità Y di cui, verosimilmente, non conoscevano tutti gli effetti, e che anzi hanno voluto produrre per vedere, forse, la differenza tra ciò che immaginavano e ciò che realmente accade. Oppure, nel caso di coincidenza tra fine proposto e risultato ottenuto (ammesso che esistano resoconti), saranno considerati, forse, più "pericolosi".
 
Ultima modifica:
Sembra infatti che si creino dei problemi di natura tecnica (traffico impazzito, gente che smette di lavorare...) ma sicuramente più forte è l'azione destabilizzatrice che l'evento provoca nelle menti di chi osserva ignaro.
Del resto, se vedi passare uno nudo in bicicletta pensi ad un maniaco o ad un folle satiro, se ne vedi passare trecento inizi a pensare di avere qualche strana forma allucinatoria.
 
C'è però una differenza sostanziale (a ben vedere, si potrebbe trattare però di un'illusione) tra immagine e testo scritto: la prima comporta - come è noto - una fruizione passiva, il secondo presupporrebbe almeno un grado, seppur minimo (nel peggiore dei casi), di attività e partecipazione.

Per cui, nella produzione del messaggio su internet, una somma di volontà differenti, prima di raggiungere la fissazione dell'obiettivo, si dovrebbe continuamente "aggiustare", dando luogo (utopico) a ciò che propriamente affascina nella comunicazione. E' anche vero però che "una" volontà, quella che si determina al fine, è già una alterazione di più volontà, una sorta di protesi virtuale e sintetica di tutte le altre.

In ogni caso, potremmo sperimentare di determinarci vicendevolmente per il raggiungimento di un fine e valutare la conversione (continua e dmocratica) di una causa finale in causa efficiente, e viceversa. Ma forse si tratterebbe di "sedizione interna".
 
Scritto da Scardanelli
Ho appena letto, non mi ricordo più su quale rotocalco, che a New York ha preso piede una moda singolare.
In breve, a seguito di un appello via internet, centinaia di persone si ritrovano in un determinato punto della città facendo qualcosa di particolare (tipo saltare la corda, mangiare una brioche, o altro) e spiazzando totalmente quanti sostano nei paraggi.
Poi, dopo pochi minuti, l'assembramento si scioglie.
Ecco, questa mi pare una pratica rivoluzionaria, alla pari delle biciclettate completamente nudi che pare si organizzino da qualche parte del Nord Europa o del Canada.




ecco, appunto...le uniche rivoluzioni possibili (per il momento, almeno): qualche flash mob, o qualche critical mass...
 
Scritto da lattepiù
ecco, appunto...le uniche rivoluzioni possibili (per il momento, almeno): qualche flash mob, o qualche critical mass...
Sì, ma non è detto che sia negativo tutto ciò.
Perché pensare sempre in una prospettiva di "unificazione" a largo raggio?
Potrebbe darsi invece che creare una sorta di diversi punti "rivoluzionanti", sia sufficiente per "destabilizzare" inveterate convnizioni di controllo. Ad esempio, credo che la prospettiva dell'e.government sia tecnicamente difficile da gestire, se lasciata aperta ai "produttori" (di senso, di protesta a livello locale: disservizi etc..).
Perciò, secondo me, bisognerebbe vigilare sui piani di cittadinanza digitale.
E' anche vero però che quest'ultima potrebbe essere scavalcata dall'eventuale gestore di una community, che, disponendo di un numero di utenti "importante", terrebbe il fiato sul collo alle procedure dell'e.government, appunto. Ma qui si creerebbe un contrasto tra "produttori di senso".
(un po' come la stampa)
 
Ultima modifica:
e chi lo ha detto ch'è negativo?!!


(riguardo all'e government, in alcuni Paesi sono davvero anni luce avanti. Da noi ho paura che quando sarà il momento -non so entro quanti decenni...- si porranno seri problemi. E se la caveranno, al solito, con un'authority...:rolleyes: )
 
Scritto da nickilist@
C'è però una differenza sostanziale (a ben vedere, si potrebbe trattare però di un'illusione) tra immagine e testo scritto: la prima comporta - come è noto - una fruizione passiva, il secondo presupporrebbe almeno un grado, seppur minimo (nel peggiore dei casi), di attività e partecipazione.


La fruizione passiva è tale fino a un certo punto. Il discrimine è dato dalla capacità di realizzare la materialità immateriale del prodotto pubblicitzzato. Nessuno spenderebbe in pubblicità, se non ne considerasse (pianificasse) un elemento essenziale, il "ritorno commerciale". Ma qui siamo già nella produzione dell'in-formazione, non nella comunicazione. La comunicazione è appunto veicolata attraverso lo strumento televisivo o giornalistico in maniera inevitabilmente passiva. L' "attività" (o attivismo?) del destinatario è misurata dal rilievo, in termini numerici, dell'incremento (o dalla stagnazione o dalla diminuzione) delle vendite

Con il web come strumento, teoricamente, dovrebbe cambiare sia l'in-formazione (la forma è estremamente mobile e in via teorica mai fissata; in più, un utente non si fa pagare, se scambia esperienze e informazioni, anche quelle relative al proprio ambito lavorativo), che non è un vero e proprio "prodotto" (al limite una auto-produzione), sia la comunicazione, passando quest'ultima da una situazione di possesso a una di condivisione, insomma: più plurale.
 
Non è giusto dire che, quale che sia la Rivoluzione, lo strumento vi si adatta. Al limite, lo strumento consente o non consente il rivoluzionamento. Dipende dalla finalità (che, in un certo senso, lo strumento peraltro già contiene in sé), e dal controllo che vi si esercita. O, che è lo stesso, dalla "qualità" della produzione di senso.
 
Sto bazzicando nell'ambito delle "innovazioni tecnologiche": qualcosa come "servizi", trasferiti però, per ciò che attiene il controllo e l'erogazione degli stessi, a "società" che dovrebbero gestirli. Ora, come si determina propriamente un ambito di "gestione" del servizio? Tramite un'intesa tra Istituzioni locali e, appunto, l'azienda che dovrà gestirli. Insomma, sanno bene che bisogna "chiudere" il triangolo utenza (interrogata solo sulla base di "bisogni", ma un mio bisogno di utente è un guadagno potenziale, in via di realizzazione), azienda, Istituzione: e allora ecco quello che eroga il servizio, la collocazione non-localizzata del gestore e, fundamentum inconcussum, la presa di territorio, con la altrettanto fondamentale istituzione della segnaletica.

Fra un po', secondo me (valutazione del tutto soggettiva, e, forse, non supportata da alcun dato, se non quello dell'osservazione), tempo venti anni, ci sarà una riduzione drastica del consumo di moneta: tutto si farà tramite qualche soluzione di prelievo immediato (con il telefonino, e pure, ovviamente, con il pc)

Tutto questo per dire (sulla base di quello che sostiene Husserl nella Crisi ...) che fra poco, ma anzi in continua accelerazione già oggi, le nostre operazioni del quotidiano, come comprare il parking orario o altro, si ridurranno a una pura operazione tecnica, senza rimando alcuno al senso ultimo, dietro il quale c'è una "politica" (abitare la polis, fuori dai "professionismi", vecchi e quindi, per tradizione, nuovi) che non esplicita i propri "orizzonti di senso".
L'utenza sono io, rispetto!
 
secondo me avviene sempre qualcosa :di semplice...
 
Scritto da nickilist@

fondamentale istituzione della segnaletica.


Cosa ne viene dall'istituzione della segnaletica? La presenza del presente.
Il presente è l'unica categoria temporale che riesca a racchiudere le possibilità dell'impresa, se questa, ovviamente, riesce a stare al passo con ciò che il presente racchiude. Un po' come dire che il futuro è imposto e che il passato (degli accordi) c'è.

Allora le possibilità sono in un certo senso prefigurate dal dispositivo software--->Istituzione--->bisogno dell'utenza.
Se per comprare il parking mi si offre la possibilità X (e solo quella delle modalità A ,B, C, D, E ..., anche se gestita da 4 aziende con diverse opzioni per ciascuna, cosa già di per sé molto difficile), la mia possibilità di scelta è già perfettamente orientata dal sw, che mi dà accesso al servizio. In un rapporto perfettamente reinvertibile, il bisogno dell'impresa, che regola il servizio, è soddisfatto dall'utenza.

Ma perché, non avrei potuto, invece, auspicare la gestione del tutto sulla base di altro rapporto tra le componenti?

Carte di credito (anche quelle che ancora non esistono) e "cittadinanza digitale": un binomio vincente.
 
Sempre sullo "spirito" dell'impresa, o che è lo stesso, sullo "spirito di servizio".

Si dice: bisogna avere il know how, il know how è fondamentale (ci credo!); solo che non si dice cosa sia il know how, se non la (più o meno) rigida applicazione di un'idea-modello, che guida le scelte di marketing, gestione etc.. "Come ha intenzione di sviluppare l'immagine della nostra azienda?"; "Come pensa di gestire il piano della sua azienda?"

(Non la voglio buttare sul piano ontologico, ma un'idea, in senso platonico, rimanda all'ontos on, il vero essere, e, negativamente, al mè on, ciò che essere non è. Questa è la questione delle questioni: dove se ne va a finire l'intuizione di una possibilità di sviluppo, senza il "know how"?)

Non è vero niente, bisogna avere prima di tutto il come ( e possibilmente mantenerlo aperto) della conoscenza, non la conoscenza del come. Questa è solo una derivazione, una gestione, una obnubilazione, una tecno-logia (in senso etimologico). Del resto, è funzionale alla scala gerarchica e piramidale dell'organizzazione del "lavoro": dall'ingegnere informatico discende il tecnico informatico, collegato a sua volta al rivenditore informatico. Così per ogni ambito.
In più: la restrizione degli ambiti, crea i professionismi, molto gelosi della propria "categoria". Per quel che mi riguarda, ho un'idea (di cui, manco a dirlo, sono gelosissimo), che, se avessi l'how "del know how", mi consentirebbe di stare con la pancia all'aria per il resto della vita (casomai ci fosse un ingegnere informatico in linea, solo se referenziatissimo, potrei accennargliela).
 
Oggi sono andato a "discutere" delle "prospettive di sviluppo delle aree interessate alla variante di Bagnoli. Badate che davanti all'importanza di certe scelte, la politica non ha colore. O meglio: i dispositivi che essa mette in piedi, sono "tecno-logici e tecno-cratici" in senso stretto, quindi si passa per astrizioni di senso, o, che è lo stesso, per la storicità del senso, in senso "oggettivo". Quindi, al di là (o al di qua) della scelta politica di fondo, cui si può dare (e solo in generale) o meno il proprio assenso, la procedura che istituisce (: Bagnoli Futura) la conformità al senso è già una declinazione della prima fase. Ciò che si dice, appunto, "fase operativa". Fase seconda, fase dell'effetto storico.

Michel Foucault scriveva che la critica è una sorta di "indocilità ragionata". Davanti alle coercizioni del senso (che si mantengono negli orizzonti predisposti dall'elaborazione continua della "macchina dei significati"), l'unica risorsa disponibile è quella dell'esercizio della capacità di non farsi governare. Indocilità pura, che si situa sempre dalla parte del soggetto (non costituito, perché indocile), l'unica punta di fuoco capace di mettere in crisi la soggezione alla legge, all'autorità come potere (addirittura accusandola di non sapere operare ciò che essa è preposta a fare: far crescere, ricomprendere). Il potere, sotto un certo aspetto, è sempre illegittimo. Non per quel che riguarda, ovviamente, le procedure (o meglio: i processi) che portano alla sua istituzione, ma per la modalità in cui si esercita la scrematura del "Noi" a danno dell' "Io". E' chiaro che lo scarto non può essere mai colmato, ma crea almeno un problema di approccio alle "rotture" derivanti dalla sua istituzione.
 
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