Sarà questo il nostro futuro?

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Crisi: Sarkozy Serve Convergenza O Eurozona Collassera'
di: WSI Pubblicato il 01 dicembre 2011| Ora 21:33
(AGI) Tolone - Serve maggiore convergenza tra i paesi dell'area euro o l'unione monetaria collassera'. Lo ha affermato il presidente francese, Nicolas Sarkozy, in un discorso a Tolone. "Non ci puo' essere una moneta unica senza convergenza economica - ha sottolineato Sarkozy - Se aumentasse il gap tra gli standard di vita, la produttivita' e la competitivita' dei paesi l'euro si dimostrerebbe troppo forte per alcuni e troppo debole per altri, e l'Eurozona collasserebbe". "La convergenza deve essere la parola chiave dell'area euro, sara' un processo lungo e difficile", ha concluso il presidente francese, avvertendo che "la scomparsa dell'euro avrebbe conseguenze drammatiche" .

Italia a rischio Argentina
di: Daniele Chicca Pubblicato il 01 dicembre 2011| Ora 01:26
Roma - La "manovrina" di facciata da 20-25 miliardi che il governo Monti si appresta ad annunciare non sara' sufficiente a evitare il default dell'Italia. Il tergiversare degli ultimi giorni dimostra che il professore della Bocconi e i suoi colleghi sono stati mandati al potere senza un programma preciso. Siamo di fronte a un problema senza soluzione: per uscire dalla crisi l'Italia dovrebbe varare misure per centinaia di miliardi di euro, che prevedano tra l'altro una patrimoniale del 5%. E questo non succedera' mai, perche' il paese e' governato da un'oligarchia che non approverebbe mai misure per colpire i poteri forti e i ricchi. Mentre sul fronte primario, incombono scadenze sul debito da decine di miliardi.

Austerity e default: questo in due parole e' lo scenario che si va delineando per la terza economia dell'area euro, secondo Loretta Napoleoni, autrice di libri verita' sull'economia che si sta facendo un nome con posizioni "estreme" nel dibattito sul debito pubblico italiano. Dando per scontato il riflesso pavloviano e reazionario dei "benpensanti", consigliamo caldamente di ascoltare questa donna coraggiosa invece di scagliarsi a priori contro di lei. Secondo Napoleoni, l'Italia si prepara a fare la fine dell'Argentina molto presto, con un ritorno alla lira. :confused:
 
Banche italiane: "In Europa sono quelle che creano la maggiore ansia"

di: WSI Pubblicato il 02 dicembre 2011| Ora 15:31


Roma - Robert Cole, giornalista che pubblica editoriali su Reuters Breakingviews, parla nel corso di un'intervista delle condizioni in cui versano le banche italiane, ponendo l'accento su Monte dei Paschi di Siena.

"Le banche italiane, afferma Cole, sono tra quelle che stanno creando maggiore ansia tra gli investitori, più delle altre. E Monte dei Paschi si trova in una posizione peculiare, è uno dei nomi più vulnerabili nel settore bancario".

Il punto "è che non solo MPS ha bisogno di liquidità, ma sembra che lo stesso azionista di maggioranza, ovvero la Fondazione Monte dei Paschi di Siena, non sia esattamente inondata essa stessa di liquidità".

In questo contesto "la fusione potrebbe essere un'opzione, ma la città di Siena non sarebbe proprio felice" riguardo a questa soluzione. L'altra opzione è ricevere fondi dallo stato, e "forse il finanziamento da parte dello stesso potrebbe confermarsi inevitabile".
 
Italia
“Un passo molto significativo per la crescita economica, preservando l’equità sociale e la correttezza”. Questo il commento del ministro per gli Affari Economici dell’Unione Europea alla manovra da 30 miliardi lordi (13 da parte dello Stato e 17 da parte dei cittadini) comunicata ieri sera dal Consiglio dei Ministri.

Un’altra frase che deve far riflettere è stata pronunciata dal Presidente del Consiglio Monti dove ha chiaramente detto che o scegliamo di seguire la rotta proposta, con sacrifici, o rischiamo di mandare a gambe all’aria l’euro, magari a causa dell’infamia dell’Italia. Infamia, una parola che dà da pensare, se pronunciata all’interno di un contesto economico e da un Governo tecnico. Ci troviamo difatti di fronte ad un contesto di crisi economico-finanziaria che ormai tutti conosciamo, e se andiamo a cercare in qualsiasi manuale di economia, alla voce risoluzione problemi di una contrattura economica non troveremo di certo la risposta “utilizzare misure di austerity, tagliando la spesa pubblica – quello che è stato chiesto al Governo Italiano per rientrare all’interno di quei famosi parametri che garantirebbero (in teoria) la sostenibilità dell’eurozona.

Ed il Governo, si sta muovendo in quella direzione, manca il controbilanciamento dell’altro piatto della bilancia, poiché questo non può più essere deciso internamente, ma dev’essere coordinato a livello europeo. E quel qualcosa che manca in questo dipinto è lo stampare moneta da parte dell’Istituto Centrale di Francoforte, un’azione che porterebbe ad avere più inflazione soprattutto in Germania, ma che possiamo considerare come l’ultima ed unica soluzione per evitare di cadere in una fase recessiva.
 
S&P: tutta l'Europa da oggi a rischio declassamento. Addio AAA per Germania e Francia?
di: WSI Pubblicato il 05 dicembre 2011| Ora 22:12

Standard& Poor's ha messo sotto osservazione per possibile downgrade le valutazioni sul debito dei 17 paesi dell'area euro. Lo riferisce Bloomberg spiegando che tale scenario e' legato al possibile taglio della tripla 'A' di Germania, Francia, Olanda, Austria, Finlandia e Lussemburgo.

Dopo esere salito 167 punti, il Dow Jones Industrial Average (DJIA) ha dimezzato il rialzo chiudendo alla fine in crescita di i 78 punti (+0.65%) con 22 delle 30 blue chips in positivo. Lo S&P 500 (SPX) ha chiuso a +1.03%, con i finanziari in testa. E il Nasdaq Composite ha messo segno un guadagno di +1.10%.

Bloomberg ha scritto che Germania e Francia potrebbero perdere il rating AAA, tutto dipendera' da come andra' a finire il summit dell'Unione Europea venerdi' 9 dicembre. "La volatilita' non va via dal mercato, ancora dobbiamo avere un piano chiaro e definitivo per l'Europa", ha detto Marc Pado, U.S. market strategist di Cantor Fitzgerald, a New York

Commerzbank sta per fare crack. Chi e' il prossimo in Europa?

di: WSI Pubblicato il 05 dicembre 2011| Ora 17:05

I livelli di Tier 1 e di capitalizzazione delle maggiori banche europee.
New York - Che Commerzbank, la banca piu' insolvente in Germania, fosse a corto di liquidita' non e' piu' un segreto da tempo. L'unico nodo che rimane da sciogliere riguarda i tempi, ovvero quando sara' nazionalizzato l'istituto. Secondo il magazine Der Spiegel, che cita fonti del governo, l'ora si sta avvicinando.

Nello specifico nell'articolo si legge "il governo tedesco sta preparando un piano per una potenziale nazionalizzaizone di Commerzbank AG, nel caso in cui l'istituto di credito di Francoforte non sia in grado di varare l'aumento di capitale necessario.

Berlino riattivera' il fondo di salvataggio della banca, il SoFFin, per acquistare quote aggiuntive nel gruppo finanziario, se un incremento di risorse di capitale entro la prossima estate non dovesse andare in porto. La Germania ha gia' innalzato la quota al 25%, per consentirle di rimanere in vita durante la crisi finanziaria, in seguito al suo acquisto di Dresdner Bank.

Secondo l'articolo, nell'evento di un aumento di capitale la maggioranza delle nuove azioni andra' al governo. La Germania ha escluso la possibilita' di entrare in possesso della divisione di finanze pubbliche Eurohypo, che Commerzbank dovrebbe vendere per rispettare il mandato di ristrutturazione dell'Unione Europea richiesto per ricevere aiuti statali. In borsa, i titoli hanno perso il 4,34% oggi.

Chi sara' la prossima banca a saltare dopo quella meno "liquida" al mondo. Andando ad analizzare i livelli di tier 1 (vedi tabella in allegato) le vittime piu' probabili sono Deutsche Bank (e Postbank), Credit Suisses, BNP e Societe Generale.
 
Il paracadute europeo è sempre meno sicuro

di Isabella Bufacchi

Se il fondo di stabilità Efsf dovesse perdere la "AAA" di Standard & Poor's, il suo costo della raccolta sui mercati lieviterebbe (due triple A di Moody's e Fitch sono meno di tre triple A) e di conseguenza i suoi prestiti erogati a Portogallo, Irlanda e prossimamente alla Grecia verrebbero concessi a tassi più elevati. Il beneficio del "salvataggio" attraverso l'Efsf, cioè il risparmio sulla spesa per interessi degli Stati soccorsi, verrebbe ridimensionato e il piano di rientro e consolidamento dei conti pubblici portoghesi, irlandesi e greci rischierebbe di diluirsi. La "AAA" dell'Efsf non è dunque una scelta solo politica, non è un fiore all'occhiello di un'Eurozona altrimenti dal look dimesso, ma è una necessità.

La probabilità che l'Efsf perda una delle sue "AAA", quella di S&P's, da ieri è molto concreta. Il managing director dell'agenzia di rating per il debito sovrano Ue Moritz Kraemer ha scandito in conferenza stampa che l'Efsf dipende, in virtù delle sue garanzie, integralmente dalla tripla "A" dei suoi garanti. Basterebbe che uno soltanto degli Stati garanti perdesse la "AAA" (di uno o due gradini) per portare il rating dell'Efsf al suo nuovo livello, quindi uno o due notches più basso. Un problema. Già da qualche tempo i costi della raccolta dell'Efsf, nonostante le triple "A" di S&P's, Moody's e Fitch, sono saliti, pagando un premio importante sopra i rendimenti dei titoli di Stato tedeschi.


A rischio la tripla A del salva-Stati

Questo spread è in parte fisiologico. Gli Efsf-bond sono emessi per piccole quantità e quindi pagano un premio di illiquidità, il differenziale tra il prezzo di acquisto e di vendita è più ampio rispetto a quello di un titolo di Stato benchmark: e dopo tutto questo gran parlare, in circolazione attualmente si vedono solo quattro Efsf-bond per un totale di 12,5 miliardi con un massimo di 3,7 miliardi e minimo di 2,2 miliardi per emissione. In aggiunta, le obbligazioni Efsf rappresentano una forma di bond strutturato perché nel caso di "default", non scatterebbe una procedura lineare di un solo Stato che sborsa direttamente ma sarebbe chiamato in causa un gruppo di Stati. L'ampio spread tra gli Efsf-bond e i Bund, tuttavia, oltre al premio per l'illiquidità e per la struttura, ha riflesso negli ultimi tempi la presa di distanza dei grandi portafogli internazionali nei confronti dell'euro e delle istituzioni europee. E se S&P's privasse il fondo di stabilità salva-Stati di una tripla "A", questo strumento verrebbe in qualche misura ulteriormente ridimensionato.
 
Si tratta per l'euro ma per Deutsche Bank il "malato" Grecia è spacciato e il ritorno alla dracma scontato

Di Andrea Franceschi Cronologia articolo 9 dicembre 2011

Un'implosione dell'euro e un ritorno alle valute nazionali è un'eventualità che ha «zero probabilità» di manifestarsi. Mario Draghi, numero uno della Bce ha risposto così ai giornalisti che gli hanno chiesto di commentare i piani di emergenza, di cui ha parlato il Wall Street Journal, che le banche centrali starebbero mettendo in atto per prepararsi a un'eventuale crollo della moneta unica. Una risposta per rassicurare le paure di un baratro post moneta unica che il ministro delle Finanze francese per gli Affari europei Jean Leonetti ha esplicitamente evocato nei giorni scorsi («L'euro potrebbe esplodere»).
Dichiarazioni a parte, è un dato di fatto, che ormai anche le eventualità più catastrofiche vengono prese in considerazione. E se l'implosione dell'euro è altamente improbabile, lo stesso non può dirsi per un eventuale ritorno alla dracma della Grecia. In una nota inviata ai propri clienti per esempio gli analisti di Deutsche Bank hanno avvertito che i mercati stanno già scontando un'uscita dall'euro del "malato terminale". La dimostrazione sarebbe nel fatto che «i bond greci regolati dal diritto britannico vengono trattati a un prezzo maggiore rispetto a quelli collocati con le regole delle legislazione greca»
«Se Atene esce dalla moneta unica - spiega Sergio Capaldi economista di Intesa Sanpaolo - i titoli di stato potrebbero essere rimborsati nella nuova valuta nazionale, pesantemente svalutata. Questa è un'eventualità probabile soprattutto per i titoli regolati dalla legislazione greca. Quelli di diritto britannico (emessi per attirare gli investitori istituzionali, ndr) hanno clausole più compatibili con gli standard internazionali e pertanto offrono maggiori garanzie in questo senso. Ecco perché hanno un prezzo più alto».
Insomma, se un'implosione dell'euro ha «zero probabilità» come dice Draghi, l'uscita del paese più debole (da cui è partito il contagio) non è del tutto esclusa. Ma quanto potrebbe valere la nuova dracma? In un recente report gli analisti di Nomura ha provato a rispondere a questa domanda tenendo conto della competitività delle singole economie dell'Eurozona e dei rischi inflattivi.
La più colpita sarebbe appunto la Grecia che vedrebbe la sua nuova moneta svalutarsi del 57,6%. Secondo la simulazione degli analisti la "nuova dracma" potrebbe valere circa 57 centesimi di dollaro. Una eventuale nuova moneta portoghese invece varrebbe 71 centesimi di dollaro con una svalutazione del 47,2%. Al terzo posto tra i più colpiti da un crollo dell'euro gli analisti di Nomura piazzano la Spagna. La nuova "peseta" varrebbe 86 centesimi con una svalutazione del 35,5 per cento. Madrid sarebbe messa peggio dell'Irlanda, che ha dovuto fare ricorso al salvataggio. Un eventuale abbandono dell'euro costerebbe a Dublino una svalutazione del 28,6%. Quanto potrebbe valere invece la "nuova lira" italiana? Gli analisti di Nomura stimano una svalutazione del 27,3% e un tasso di cambio con dollaro fissato a 97 centesimi. Chi invece subirebbe il fenomeno inverso è invece la "solida" Germania. In caso di implosione dell'euro il nuovo marco diventerebbe valuta rifugio e si rivaluterebbe, con effetti inevitabilmente negativi per l'economia tedesca trainata dalle esportazioni.

La corsa del Gilt britannico, bene rifugio come il bund. Ecco i numeri che danno ragione a Cameron

Di Andrea Franceschi Cronologia articolo 10 dicembre 2011

«Noi non vogliamo aderire all'euro, siamo contenti di esserne fuori. Noi vogliamo i nostri tassi di interesse, la nostra politica monetaria». Parole del premier britannico David Cameron, pronunciate dopo lo strappo tra Unione europea e Gran Bretagna sull'unione fiscale. La scelta di Londra è stata criticata da una parte della stampa britannica. Il timore è che quanto avvenuto al vertice europeo possa sfociare in un crescente isolamento con effetti negativi per l'economia. È presto per dire se questi timori sono fondati. Quello che si può fare tuttavia è cercare di capire invece quanto, in questa fase, abbia giovato alla Gran Bretagna un'altra scelta autonoma fatta nel passato da un altro premier britannico. Stiamo parlando di John Major che nel 1992 decise di non aderire alla moneta unica mantenendo la sterlina.
Il fatto di non fare parte dell'euro intanto ha tenuto Londra al riparo da costosi piani di salvataggio (Grecia, Irlanda e Portogallo) e dall'impennata dei rendimenti e degli spread. Anzi, proprio il fatto di essere fuori dalla moneta unica, ha favorito gli acquisti di titoli britannici e quindi il calo dei rendimenti. Il Gilt è diventato "bene rifugio" alla stregua del bund tedesco, che ora rischia addirittura di perdere la tripla A di Standard & Poor's.
Questa settimana i rendimenti sul decennale britannico hanno chiuso al 2,16%, poco distanti dal 2,03% del bund tedesco. Un anno fa, stando alla banca dati Capital Iq di Standard & Poor's, il decennale britannico rendeva il 3,64% mentre il corrispondente bund il 2,99% per uno spread di 65 punti base. Il differenziale nel corso dei mesi si è sempre più assottigliato. C'è stata addirittura una giornata in cui lo spread, che solitamente pende in favore dei tedeschi, si è invertito. Dopo giornate di tensione seguite a un'asta tedesca andata praticamente deserta, il 29 novembre, a chiusura di seduta, il tasso sul Gilt era al 2,24% mentre quello sul Bund al 2,27 per cento.
In un anno il tasso pagato sui titoli inglesi è sceso del 40,55% mentre quello sui titoli tedeschi è calato del 32,21 per cento. Parallelamente il rendimento del BTp a 10 anni è salito del 42,54 per cento mentre quello della disastrata Grecia è passato dal'11 al 38% con un balzo del 207,4 per cento. Il termine tecnico per definire questo fenomeno è «flight to quality». Letteralmente volo verso la qualità, gli asset più sicuri. È quello che è successo con la crisi dei debiti sovrani dell'Eurozona: ci si disfa dei titoli a rischio (Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia) e si compra titoli considerati più sicuri, garantiti dalla solida tripla A, come quelli di Germania e Gran Bretagna.
Ma il parallelo tra Londra e Berlino in termini di solidità dei conti pubblici e dell'economia non regge. La Gran Bretagna, che con la crisi del 2008 è stata costretta a pesanti salvataggi bancari e ha un deficit di bilancio consistente, pari al 9% del Pil (peggio di Italia, Spagna e Portogallo). L'economia poi non è proprio brillante. Gli ultimi dati parlano di una crescita modesta nel secondo trimestre dell'anno (+0,1%) e di un calo della produzione industriale dell'1,2 per cento.
Se nonostante questi dati, non certo esaltanti, il titolo di stato britannico continua ad essere acquistato lo si deve proprio a ciò per cui Cameron si dice contento: la politica monetaria autonoma. La BoE ha adottato una politica monetaria ultraespansiva tenendo i tassi al mimimo storico (0,5% contro l'1% della Bce). In più, sullo stile della Fed, ha varato consistenti piani di acquisti di titoli di stato. L'ultimo, da 275 miliardi di sterline, è stato confermato proprio al recente direttivo. In questo modo si è comportato da prestatore di ultima istanza. Ha fatto cioè capire al mercato che non ha problemi a stampare moneta e a garantire che il debito pubblico di sua Maestà sarà ripagato. Tutto l'opposto della Bce che invece non può stampare moneta, avendo come unico compito quello di tenere sotto controllo l'inflazione.
Anche in Borsa infine il bilancio tutto sommato è positivo. In un anno segnato da burrasche sui mercati, l'indice Ftse 100 di Londra ha perso solo il 4,88 per cento mentre il DAX 30 di Francoforte ha lasciato sul parterre ben 14,55 punti percentuali. Per non parlare del FTSE MIB di Piazza Affari che ha un bilancio negativo del 23,25 per cento.
 
Euro, attacco entro Natale? La minaccia della speculazione

di: Federico Fubini Pubblicato il 11 dicembre 2011| Ora 18:33

La perdita di valore dell'euro.

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.


MILANO - I venti giorni per salvare l`euro si sono appena conclusi ma Mario Monti, venerdì a Bruxelles, ha riconosciuto che il verdetto resta aperto. «Non so se la moneta sia al sicuro - ha riconosciuto il premier -. Non so neppure se esista qualcuno che lo sappia». Il rischio, per molti, è che a questi venti giorni ne seguiranno altri venti in cui l`euro potrebbe tradire la propria fragilità.

Il calendario fino a fine anno non lascia in effetti molto spazio per tirare il fiato. Vero, quasi tutti i leader europei hanno liquidato come fuori luogo l`ultimo monito di Standard & Poor`s; ma nessuno può permettersi di ignorarlo:
solo lunedì scorso l`agenzia di rating aveva avvertito che avrebbe deciso se declassare i governi dell`area euro in base agli annunci di questi giorni.
«Pensiamo di concludere l`analisi appena possibile dopo il vertice di Bruxelles», aveva detto S&P`s. Ora ci siamo.

Di un ruolo più attivo della Banca centrale europea nella crisi, indicato da S&P`s come un sostegno al rating, non c`è traccia. I declassamenti della Germania, dell`Italia e quello (doppio) della Francia potrebbero arrivare entro il prossimo week end. E questo lo scenario che ieri ha spinto il Financial Times a parlare del rischio che «prima di Natale il debito di un Paese periferico finisca sotto attacco».

Come per inciso il quotidiano di Londra nota anche che i rendimenti dei Btp decennali, al 6,32%, «sono ai livelli più alti della storia della zona euro fino a un mese fa». Nel 2011 il saldo di bilancio italiano al netto degli interessi, la base di ogni risanamento, sarà in attivo di circa l`1% del Pil; quello britannico resta in rosso del 6,3%. Il debito estero in Italia è di 32.800 euro per abitante; in Gran Bretagna viaggia quattro volte più alto a 117.500, il che espone tutti i limiti della scelta della Bank of England di continuare a creare moneta, svalutandola, per finanziare i deficit: una caduta della sterlina può mettere in fuga gli investitori esteri e aprire di colpo una crisi di bilancia dei pagamenti.

Ma, per ora almeno, a queste sfumature il mercato resterà probabilmente daltonico. Come S&P`s, molti sui mercati dubitano della coerenza nel sistema di governo dell`euro e della capacità dell`Italia di tornare a crescere. E tutti hanno fatto i conti: nei prossimi cento giorni si aprirà una corsa ai rifinanziamenti - solo per l`Italia vale 165 miliardi - ma nessuna rete di sicurezza operativa è emersa dai quattro vertici europei degli ultimi cinque mesi. Dovessero arrivare, i declassamenti di S&P`s su Francia e Germania renderebbero ancora più precario l`Efsf, il solo fondo salvataggi che per ora esiste.

Di qui la delicatezza dei prossimi passaggi. Dopo aver omesso (per una volta) le stime preliminari, il 21 dicembre l`Istat comunicherà i dati di crescita - o contrazione - dell`economia italiana fra luglio e settembre. Lo stesso giorno la Bce terrà un`asta di liquidità illimitata a tre anni, accettando in garanzia titoli di qualità peggiore del solito in modo da aprirsi a un maggior numero di banche. La Banca d`Italia e gli altri istituti nazionali potranno poi allargare ancor più il catalogo delle garanzie per far accedere anche molte banche piccole e medie.

In poche ore, il 21 dicembre, il sistema creditizio europeo potrebbe aspirare dalla Bce oltre mille miliardi: è esattamente la funzione di prestatore di ultima istanza che l`Eurotower rifiuta di svolgere per i governi. Ma venerdì a Bruxelles Nicolas Sarkozy ha fatto sapere che questa può essere una svolta anche per i debiti sovrani: il leader francese chiede che le banche private, come in Giappone, siano spinte dalle autorità a comprare titoli di Stato.

In Italia la vigilanza spetta al governatore Ignazio Visco, che giovedì ha auspicato più sostegno all`economia: «Saremo attenti a dove andrà la liquidità delle banche». Oggi che gli Stati le aiutano a restare aperte, chiedere un piccolo favore in cambio può rivelarsi una tentazione irresistibile.

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I Paesi dell`Unione europea hanno raggiunto un accordo, con la sola eccezìone della Gran Bretagna, per un nuovo Patto sull`unione di bilancio da perfezionare entro marzo. Il nuovo Trattato vincola i 17 Paesi dell`eurozona e in prospettiva i 9 con moneta propria a cui sí potrebbe aggiungere nel 2013 la Croazia, la cui adesione alla Ue è stata approvata venerdì scorso.

Il nuovo Patto mira a rafforzare la disciplina di bilancio, fissando allo 0,5% del Pil il tetto per il disavanzo strutturale di ogni Stato (principio che dovrà essere recepito dalle Costituzioni nazionali) e varando sanzioni quasi automatiche nel caso sia superata la soglia critica del 3%. I Paesi con debito pubblico superiore al 60% del Pil dovranno ridurlo ogni anno di almeno 1/20 dell`eccedenza. La Germania è riuscita ad evitare che nel Patto intergovernativo ci siano riferimenti alle obbligazioni europee, richieste da più Paesi.

In compenso il Meccanismo europeo di stabilità (Esm) entrerà in vigore nel luglio 2012, con un anno di anticipo. La sua capacità di prestito sarà pari a 500 miliardi, compresi i fondi residui dal fondo temporaneo europeo, pari a 250-300 miliardi. La Bce, che avrà il controllo tecnico del fondo permanente, non potrà però finanziarlo in caso di nuovi soccorsi ai Paesi europei in crisi.
I leader Ue hanno così deciso di versare al Fmi tramite prestiti bilaterali fino a 200 miliardi (che si aggiungono ai 500 dell`Esm), chiedendo inoltre ad altri partner dell`organismo di Washington a partire da Usa e Cina di concorrere con nuove risorse.
 
Intesa e Unicredit rischiano rivolta degli schiavi del debito in Ungheria

di: WSI Pubblicato il 14 dicembre 2011| Ora 11:24

New York - Un milione di ungheresi che hanno acceso mutui immobiliari in franchi svizzeri durante lo scoppio della crisi subprime, ora si trovano a dover fare i conti con una montagna di debito da 4.900 miliardi di fiorini ($22 miliardi).

Il tracollo del 40% della valuta nazionale rispetto alla divisa elvetica - racconta Bloomberg - ha reso salatissimi gli interessi da pagare per la propria casa. I costi sono saliti ai massimi degli ultimi venti anni, spingendo il primo ministro Viktor Orban a definire questo tipo di prestiti immobiliare una "schiavitu' del debito".

Per dare una mano ai cittadini indebitati, Orban ha imposto alle banche di accettare di subire delle perdite che potrebbero raggiungere quota 900 milioni di euro ($1,2 miliardi). Gli istituti coinvolti, tra cui figurano Erste Group Bank AG e Raiffeisen Bank International, si sono detti disposti ad accettare fino a 2,2 miliardi di perdite aggiuntive, ma solo se il governo avesse promesso di non imporre ulteriori misure in futuro.

Se l'esecutivo non manterra' le promesse, le banche hanno minacciato di abbandonare il paese". "Vista anche la crisi finanziaria in cui e' coinvolta l'Europa occidentale, aumenta il rischio che le banche dell'Ovest lascino l'Ungheria, perche' per loro rappresenta un rischio troppo alto", osserva a Bloomberg Neil Shearing, senior emerging markets analyst di Capital Economics.

Inutile aggiungere che sarebbe un disastro. "Le banche ungheresi sono incredibilmente dipendenti dalle societa' madri occidentali per quanto riguarda le linee di credito a breve termine. Ben che vada, significa che le condizioni creditizie resteranno difficili".

Sei delle maggiori societa' finanziarie ungheresi sono controllate da gruppi stranieri, tra cui Intesa Sanpaolo, UniCredit e la tedesca BayernLB. Solo OTP Bank Nyrt., la maggiore banca del paese, e' ancora interamente nazionale.

Ma lo stato che rischia di piu' e' l'Austria. Al 30 giugno, le banche della nazione dell'Europa continentale hanno prestato $42 miliardi a cittadini ungheresi, $23 miliardi a italiani e $21 miliardi ai tedeschi, secondo i dati della Bank for International Settlements.

Le politiche del premier Orban nei confronti delle banche hanno avuto un effetto particolarmente negativo per il business dell'Austra, che fino al 1918 era il partner dell'Ungheria nella Monarchia Duale dell'Impero Asburgico e che e' tornata a fare affari con Budapest dopo la caduta del muro di Berlino e la fine dell'era comunista, nel 1989.

Per citare le parole dell'agenzia di rating Moody's, l'esposizione delle banche austriache alla regione centro-orientale europea sono "il singolo maggiore evento di rischio per il debito sovrano". Gli istituti austraici sono in affari anche con altri paesi dell'Est Europa. Il 5 dicembre Standard & Poor’s ha avvertito Vienna che potrebbe pedere la sua tripla A se dovesse aiutare le banche nazionali ad aumentare i loro livelli di capitale.

L'Austria, insieme a Francia e Germania, e' uno dei sei stati che conservano il rating piu' alto sulla qualita' del credito sovrano. L'associazione delle banche ungheresi ha proposto un suo piano, che include ulteriori perdite per le banche, che potrebbero toccare i $2,2 miliardi.

L'Ungheria ha chiesto 20 miliardi di euro di aiuti al FMI. Ue e Bce hanno gia' criticato il piano di ripagamento del debito e il programma potrebbe essere incluso nelle trattative con il Fondo Internazionale.

"Qualsiasi tentativo di ristrutturare in via unilaterale il debito detenuto in valuta estera e' fuori discussione", ha detto Shearing, analista di Capital Economics. "Impossibile che l'FMI lo autorizzi. Qualsiasi operazione di ristrutturazione dovra' essere approvata dalle banche e dal governo".
 
Sofferenze raddoppiate in tre anni

Di Paolo Bricco Cronologia articolo18 dicembre 2011

La crisi delle famiglie e delle imprese inizia a deteriorare i conti operativi delle banche italiane. Nei bilanci delle prime dieci stanno esplodendo le sofferenze. Secondo l'analisi delle ultime trimestrali, compiuta per «Il Sole 24 Ore» dall'Osservatorio Tam della Liuc di Castellanza e di Orlando Italy, la fragilità finanziaria delle imprese e delle famiglie incomincia a trasformarsi in incapacità di ripagare i debiti. Un primo assaggio, perché il grosso del problema emergerà nell'ultima parte dell'anno. Ma, comunque, un fenomeno che già adesso assume un profilo preciso. Al 30 settembre di quest'anno, i crediti deteriorati sono arrivati a un valore complessivo di 103,429 miliardi di euro. Una cifra doppia rispetto a tre anni fa.
Il problema non è però soltanto rappresentato dalla crescita del valore assoluto. È anche costituito dall'incremento del peso relativo di quelli deteriorati sul totale dei crediti. Nel 2008, l'anno del fallimento di Lehman Brothers che ha originato l'incendio dei mercati finanziari, questo peso era il 3 per cento. Nel 2009 è salito al 6 per cento. Nel 2010 è andato al 7 per cento. Alla fine del terzo trimestre di quest'anno è diventato pari al 12 per cento. «La crisi di quest'estate –dice Jonathan Donadonibus della Liuc – ha iniziato a incidere sui rendiconti delle banche relativi al terzo trimestre, ma impatterà soprattutto su quelli del quarto trimestre. Per questa ragione, è possibile ipotizzare che, entro fine anno, i crediti deteriorati peseranno sul totale non meno del 14 per cento. Dunque, una incidenza doppia rispetto a quella di un anno fa».
Di questi crediti deteriorati, il 42% sono classificati come sofferenze, il 36% come incagli, il 15% come ristrutturazioni e il 7% come esposizioni scadute. Interessante osservare la dinamica di queste differenti categorie: nel 2009, primo anno della crisi, le sofferenze sul totale dei crediti deteriorati erano il 34% (dunque, aumenteranno di otto punti negli anni successivi), gli incagli il 44% (meno otto punti negli anni dopo), le esposizioni scadute l'11% (quattro punti in meno) e le ristrutturazioni il 10% (5 punti in più al 30 settembre di quest'anno). Dunque, le ristrutturazioni sono aumentate in maniera significativa. «Gli automatismi regolamentari ma anche le scelte soggettive dei funzionari delle banche –osserva l'economista Giovanni Ferri, membro del banking stakeholder group dell'Eba – hanno fatto aumentare il ricorso alle ristrutturazioni dei crediti. Si tratta di un fenomeno interessante e dal doppio volto. Le banche convertono una parte dei crediti in capitale. E il tempo dirà se sarà stato un buon affare, diventare azioniste di società industriali e commerciali che, prima, erano soltanto loro clienti. Intanto, però, devono svalutare quei crediti trasformati in equity a bilancio, con tutte le conseguenze del caso sui loro ratios patrimoniali».
Le sofferenze sono un lagging indicator e quindi quello che sta emergendo oggi è il risultato della crisi del 2009 che le banche si erano convinte a far venire fuori nella fase di parziale recupero economico, fra il 2010 e la prima metà 2011. La scala di quanto verrà fuori, sui bilanci dell'anno prossimo, sarà probabilmente ancora superiore rispetto a quella di adesso
 
Allarme Draghi: 'La crescita del mondo rallenta'

'La Gran Bretagna ha bisogno dell'Europa e l'Europa ha bisogno della Gran Bretagna'

18 dicembre, 23:01

NEW YORK - La crescita economica mondiale sta rallentando. Lo afferma il presidente della Bce, Mario Draghi, in un'intervista al Financial Times.

"La Gran Bretagna ha bisogno dell'Europa e l'Europa ha bisogno della Gran Bretagna" ha proseguito Draghi. "Il programma di acquisto di bond della Bce non è né infinito né eterno" - ha poi detto, sottolineando che la banca centrale si augura di vedere operativo l'Efsf in gennaio.

"Il risanamento" di bilancio deve andare "mano nella mano con le riforme strutturali. Ogni paese ha la propria strada da seguire. Per alcuni paesi la situazione non sarebbe sostenibile neanche se fossero dall'area euro e svalutassero la proppria moneta. Le operazioni di rifinanziamento a tre anni della Bce "non necessariamente" saranno un incentivo per le banche ad acquistare bond dei paesi periferici dell'euro area. Le banche decideranno come meglio usare queste risorse. Draghi si augura che le banche usino i prestiti della Bce per finanziare l'economia reale. L'obiettivo dei prestiti è allentare le pressioni sulle banche.
 
Il Buon Natale AB1: Euro e Bce

di: Paolo Barnard Pubblicato il 24 dicembre 2011Ora 22:12

Il contenuto di questo scritto - tratto dal blog di Paolo Barnard - esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

Ora sappiamo cosa voleva dire Bini Smaghi. Voleva dire "Saltiamo in aria, è confermato. Draghi si assuma le responsabilità. Voglio che si metta agli atti che io mi ero dissociato". E salta come i topi dalla classica nave. Precisamente questo. Saltiamo in aria.

Ieri è trapelata una notizia che non può più lasciare incertezze. La notizia è questa: la Swift, che è l’agenzia belga che gestisce i codici elettronici per le transazioni finanziarie (si legga codice Swift, Iban ecc.) è stata contattata da due banche di "stazza globale" che le chiedevano di fornirgli i vecchi codici per i sistemi di gestione delle vecchie valute europee, cioè Drakme e Lire. Cioè: diteci i codici per tornare a scambiare Drakme e Lire nei pagamenti.

Fonte: il Wall Street Journal (news in inglese) - Wall Street Journal (news in italiano)

Non so se si è capito. Sanno che saltiamo in aria, si stanno preparando alla nostra uscita dall’Euro, all’esplosione dell’Eurozona, adesso, oggi. Sto parlando di quelli che le cose le sanno davvero, non i politici che voi ascoltate, ma le mega banche. E non solo.

Il governo britannico ha dato ordine alle sue forze di sicurezza di preparare l’evacuazione di emergenza dei cittadini inglesi da Spagna e Portogallo, nel caso di "una implosione delle banche" di questi due Paesi.

Ancora: i tassi sui titoli di Stato britannici a 10 anni hanno toccato ieri il minimo storico dal 1890. No, non ho sbagliato a scrivere, non è 1980, ma proprio 1890. Mettete le due notizie insieme: chi sa le cose, sa che l’Euro salta in (almeno) Italia e Grecia; chi sa le cose, si avventa sui titoli di Stato della Gran Bretagna che ha moneta sovrana, se ne frega dell’enorme debito pubblico inglese (149,1% del PIL, fonte: The Office for National Statistics UK) e li compra mentre si liberano dei nostri. Il governo inglese vede crollare i tassi che paga (per loro fortuna), i nostri schizzano alle stelle (per nostra rovina).

Ancora: le grandi banche francesi sono fallite, sono già fallite, perché chi sa le cose, sa che la loro esposizione al debito italiano e greco è enorme, impossibile da saldare per Italia e Grecia con la moneta Euro, e soprattutto impossibile da saldare perché noi saltiamo in aria. La maggiori banche italiane falliranno con le francesi, che si trascineranno le tedesche, le austriache e poi tutto il resto. Per salvare le banche, occorrerebbe un Quantitative Easing (un salvataggio fatto dalla Banca Centrale Europea a forza di denaro pompato nelle riserve delle banche fallite) nell’ordine di dieci volte i miseri 489 miliardi di Euro che Draghi gli ha messo a disposizione. (non sarebbero soldi dei contribuenti, come erroneamente tutti strillano, ma semplicemente denaro inventato dal nulla dalla BCE a fronte di collaterale delle banche)

Bini Smaghi questo chiedeva ieri l’altro. Ma salvare le banche non è solo immorale (andrebbero nazionalizzate, e poi salvati i non-speculatori e le aziende), è anche inutile, perché anche se le banche si ritrovassero con le riserve piene di soldi, non tornerebbero a prestare a economie ridotte da straccioni dalle politiche di austerità che ci hanno imposto. Risultato: le banche ci fanno fallire sia che le si salvi, sia che non lo si faccia e le si lasci fallire.

A fronte di questo, ecco cosa ha fatto Draghi. Nulla, anzi, ha ribadito il suo NO al salvataggio dei titoli di Stato dei Paesi come Italia e Grecia: "La scorsa settimana, la Bce ha praticamente azzerato l'acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario" (fonte Il Sole 24 Ore). Tradotto per tutti: il nocciolo del reattore nucleare sta fondendo, Draghi si è girato dall’altra parte, e nel farlo ha anche chiuso i circuiti di raffreddamento del nocciolo. Saltiamo in aria, si torna alla Lira ma senza un’economia da sani di mente come la Modern Money Theory, cioè sarà un macello sociale mai visto in 60 anni. Questo è ciò che ci aspetta al 99,9%. Saltiamo e la Swift lo sa bene, le banche lo sanno bene.

p.s. (E se invece accade lo 0,1%? In quel caso faranno l’Euro a due velocità, cioè la kosovizzazione dell’Italia, stesso macello, nulla cambia. Oppure la BCE soffoca Draghi nel suo bagno, e compra titoli dell’Eurozona s******** 5 o 10 mila miliardi di Euro, non 211 miliardi come ora. Ma anche questo sarà solo un tampone che non dura. Perché il dramma è l’Euro in sé. E' L'EURO. Mi fermo qui, mancano poche ore a tortellini e panettone. Ma io sono un giornalista...)
 
2012, euro toccherà parità sul dollaro

di: WSI Pubblicato il 29 dicembre 2011| Ora 08:54

Roma - Il peggio per l’euro deve ancora arrivare, E' quanto pronostica Scott Mather, responsabile della divisione di portafoglio globale di bond presso Pimco, in un' intervista rilasciata al Wall Street Journal. La moneta unica, afferma, potrebbe scivolare fino a raggiungere la parità verso il dollaro: e tale scenario potrebbe avverarsi proprio durante il 2012.

Mather stima un'altra flessione della valuta europea pari al 23% rispetto ai valori attuali, in un contesto in cui l'euro, finora ultimo baluardo a non cadere sotto la crisi dei debiti sovrani, inizia a perdere non pochi colpi. Ieri la moneta ha testato il minimo in quasi dieci anni nei confronti dello yen e ha bucato la soglia a quota $1,30. Tutto ciò, mentre si avvicina il decimo anniversario dalla sua nascita, il primo gennaio 2002.

"La parità con il dollaro, l'anno prossimo, non è fuori questione - afferma convinto Mather - Sono più ribassista ora sull'euro di quanto non lo fossi tre mesi fa". L'esperto prevede che la valuta unica scenderà a $1,20 entro la fine del primo trimestre del 2012.

Pimco non è l'unica a parlare di deterioramento progressivo della moneta unica.
Deutsche Bank e UBS ritengono infatti entrambi che l'euro potrebbe scendere fino a $1,25 entro la fine del prossimo anno.

Mather conclude che "ci sono molti fattori" che porterebbero l'euro a scivolare sulla parità nei confronti del biglietto verde, come una grave recessione economica, la rottura dell'Eurozona o il default di uno dei paesi del blocco europeo al di là della Grecia.

Un sostegno potrebbe arrivare invece se la Bce si decidesse a adottare finalmente un vero approccio di "quantitative easing" in termini di politica monetaria. E anche, se l'istituto di Francoforte acquistasse in modo più massiccio e illimitato i titoli di stato italiani e spagnoli
 
Hedge fund attaccano euro a livelli record

di: WSI Pubblicato il 03 gennaio 2012| Ora 09:24

La performance dell'euro nei confronti del dollaro negli ultimi cinque giorni di contrattazione.

New York - Hedge fund all'attacco contro l'euro. Secondo i dati resi noti dal Commodity Futures Trading Commission e segnalati da un articolo del Financial Times, nella settimana terminata il 27 dicembre le scommesse contro la moneta unica sono balzate a un livello mai visto in precedenza. (LEGGI LA PERFORMANCE DELL'EURO NEL 2011).

Di fatto, entro il 27 dicembre, il numero delle posizioni short è stato superiore a quello delle posizioni long di 127.900 contratti, al di sopra dei 113.700 contratti della settimana precedente.

"Quando assistiamo a posizioni short di un tale ammontare è normale assistere a una correzione di breve termine per l'euro - ha commentato Carole Laulhere, strategist di Société Générale - In un arco temporale più lungo, i fondamentali economici sono più importanti, ma anche questi si stanno indebolendo".

Intanto, diverse sono le stime degli analisti. Secondo i 41 esperti intervistati da Bloomberg, l'euro scenderà a quota $1,28 entro il secondo trimestre del 2012; ma broker e banche d'affari hanno divergenze notevoli sul futuro della valuta.

Nomura ritiene per esempio che il rapporto eur/usd calerà a 1,20 entro il secondo semestre dell'anno, mentre Stardard Chartered fissa un valore di $1,22 nello stesso arco temporale. Più ottimisti gli analisti di JP Morgan e di BNP Paribas, che prevedono che l'euro sarà interessato da una ripresa che lo riporterà rispettivamente a quota $1,34 e $1,35.
 
Il 2012 e la sfida delle maggiori economie: $8.000 mld di debiti

di: WSI Pubblicato il 03 gennaio 2012| Ora 15:39

Il debito pubblico italiano.

Roma - L’Italia resta sorvegliata speciale dai mercati, ma non è la sola a dover fronteggiare il problema del rimborso dei debiti in scadenza e il problema dell'incremento dei costi di rifinanziamento. Impossibile abbassare la guardia nel 2012. Stando ai dati riportati da Bloomberg, debiti per un valore superiore ai 7,6 trilioni di dollari rischiano di affossare ancora di più le finanze pubbliche delle economie avanzate, in un momento in cui i tassi salgono. Includendo proprio i tassi, l'ammontare da rifinanziare sale a più di 8 trillioni di dollari.

Il Giappone dovrà ripagare 3mila miliardi di dollari, seguito dai 2.800 miliardi in capo agli Stati Uniti. Poi ci sono Brasile, Russia, India e Cina che, insieme ai paesi del G7, dovranno pagare più dei 7.400 miliardi dei debiti che risultarono in scadenza durante lo stesso periodo dello scorso anno.

Considerando che la maggior parte degli economisti sostiene che gli yield dei decennali aumenteranno in almeno sette di questi paesi, il conto da pagare sarà ancora più salato.

"La situazione è difficile", ha ammesso Stuart Thomson, gestore di Ignis Asset Management. "Piuttosto che l'inizio dell'anno, il vero problema è però la parte centrale del 2012, ossia il momento in cui il rallentamento dell'economia globale potrebbe avere un impatto maggiore".

Il Fondo monetario internazionale ha già tagliato le previsioni di crescita per l’anno in corso al 4% dal precedente 4,5%, convinto che la crisi del debito si allargherà ulteriormente, mentre gli Stati Uniti avranno difficoltà a impostare una strategia per ridurre il loro deficit di bilancio; questo, a fronte di un mercato immobiliare della Cina che si raffredderà sempre di più.

C'è poi il problema della speculazione (che fa salire i rendimenti e rende più costoso ai paesi debitori riuscire a rifinanziarsi). A soffiare sul fuoco della speculazione è, in particolare, lo spauracchio di nuovi tagli di rating.

L’anno scorso Standard & Poor ha già bocciato gli Stati Uniti portando il giudizio ad AA+ da AAA, avvertendo poi di avere messo sotto osservazione per una possibile bocciatura 15 nazioni europee. "E’ un numero non piccolo e, ovviamente il fatto che i governi continuino ad accumulare debito e versino ancora in una situazione di deficit, è un problema", ha fatto notare Elwin de Groot, economista presso Rabobank.

Come se non bastasse, un sondaggio di Bloomberg rivela che la maggior parte di strategist ed economisti ritiene che i costi di finanziamento che gravano sui paesi del G7 potrebbero essere saliti fino a +39% nel 2011.

Intanto l’Italia, - con il differenziale di rendimento tra il Btp e il Bund tedesco a 10 anni oltre la soglia dei 500 punti, un tasso sul decennale poco al di sotto del 7% e debiti in scadenza nel 2012 per 428 miliardi di dollari - ha chiesto all'Europa di evitare di rendere ancora più stringenti i vincoli sulla riduzione del debito pubblico, rispetto a quando già previsto nella riforma del patto di stabilità denominata Six Pack. La richiesta, riporta un articolo di Reuters Italia, arriva dal ministro per le Politiche comunitarie Enzo Moavero Milanesi, che ha rilasciato una intervista al Corriere della Sera.

Tale riforma stabilisce per i paesi della zona euro il vincolo di una riduzione del debito pubblico in eccesso rispetto alla soglia del 60% del Pil di un ventesimo ogni anno, ma prevede che vengano considerati fattori attenuanti, come lo stock di risparmio privato di un paese.

Roma non è però sola a far tremare l'impalcatura dell'euro. Anche la Francia fa paura: ha un debito in scadenza da 367 miliardi di dollari, seguita dalla Germania con 285 miliardi. Il Canada deve rimborsare 221 miliardi, il Brasile 169 miliardi, l’Inghilterra 165 miliardi, la Cina 121 miliardi, l’India 57 miliardi e la Russia 13 miliardi.

Che il 2012 sia decisivo per l'area euro, che già questo mese sarà messa alla prova da varie aste di titoli pubblici, ne è convinto che anche il Wall Street Journal.

Secondo il quotidiano americano se supererà il primo test senza molti danni, Eurolandia si troverà ad affrontare numerose altre sfide: il vertice europeo di marzo, le elezioni in Grecia molto probabilmente in primavera e le elezioni presidenziali francesi. Saranno tutti questi i fattori che metteranno alla prova il Vecchio Continente - conclude il giornale - e accerteranno se i paesi del sud Europa ce la faranno a sopportare ulteriori tagli.
 
Leggete con attenzione e riflettete……

L'anticipo dell'Esm non piace al mercato

Questo articolo è stato pubblicato il 03 gennaio 2012 alle ore 06:37.

Isabella Bufacchi
Fare i conti senza l'oste, cioè il mercato, resta una specialità degli europei. Anticipare di un anno l'avvio del fondo salva-Stati permanente Esm, al prossimo luglio, è tutt'altro che un'operazione «market friendly».
Anche se l'ultimo Consiglio Europeo ha cancellato l'ipotesi del Private sector involvement (Psi) automatico abbinato agli aiuti Esm, è previsto che questo fondo applicherà gli stessi criteri dell'Fmi. Questo significa che la ristrutturazione del debito pubblico con haircut e perdita estesa ai privati sottoscrittori di titoli di Stato resta una possibilità, sia pur valutata caso per caso.
Un'altra caratteristica dell'Esm che non piacerà ai mercati è l'equiparazione all'Fmi come creditore privilegiato: tanto più elevato sarà l'aiuto finanziario dell'Esm, tanto più pesanti le eventuali perdite dei privati.
L'anticipo dell'Esm costringerà inoltre gli Stati dell'Eurozona, anche Italia e Spagna, a rastrellare denaro in fretta, per importi non trascurabili, da versare per il capitale paid-in del fondo. Attorno ai 14 miliardi per l'Italia: inizialmente in cinque anni in rate uguali, ma la scansione sarà velocizzata per dotare l'Esm di maggiori risorse sul nascere.
L'Esm operativo per luglio impone anche una modifica sostanziale della documentazione dei titoli di Stato per via dell'aggiunta delle Clausole di azione collettiva. Questa novità serve a spianare la strada per una ristrutturazione ordinata, «orderly» come predilige il mercato, dei titoli di Stato. L'allungamento delle durate dei bond, se fosse necessario, avverrebbe applicando la procedura di queste clausole, per raggiungere velocemente l'accordo con gli investitori sottoscrittori dei titoli. Questa operazione segmenterà lo stock dei titoli di Stato tra quelli nuovi con clausole e quelli senza. Il timing sarà pessimo: avverrà dopo la ristruttuazione del debito pubblico greco, dolorosissimo per i privati. Gli europei lanceranno lo slogan del caso greco come «unico ed eccezionale» ma ancora una volta avranno fatto i conti senza l'oste.
 
Ungheria a rischio crac. Fiorino ai minimi sull'euro, rendimenti dei bond alle stelle

di Vito Lops Cronologia articolo 05 gennaio 2012

Si aggrava la situazione in Ungheria, con rendimenti dei titoli di Stato ai massimi storici, il fiorino ungherese ai minimi sull'euro e un flop della domanda sull'asta di bond collocati oggi dal governo di Budapest. In questo quadro cresce il rischio di default con il rialzo dello spread tra i titoli ungheresi e quelli britannici a 750 punti. In salita anche i cds, i contratti di riassicurazione in caso di fallimento, a quota 745.

Budapest è finita nel mirino della speculazione finanziaria dopo che il governo di Viktor Orban ha dato l'ok a una legge costituzionale approvata la scorsa settimana dal Parlamento nazionale che minaccerebbe l'indipendenza della banca centrale. Norma che violerebbe il Trattato di Lisbona e per questo motivo ha causato l'interruzione delle trattative per i prestiti da parte del Fmi e dell'Ue al Paese.

L'esposizione di Intesa Sanpaolo e UniCredit
Le tensioni in Ungheria impattano direttamente su Unicredit e Intesa Sanpaolo, le due banche italiane con l'esposizione più forte in Ungheria. Nel dettaglio le controllate di Intesa Sanpaolo e Unicredit in Ungheria sono rispettivamente la quinta e la settima banca del Paese magiaro. Nel dettaglio Cà de Sass controlla Cib Bank, che conta su una quota di mercato - secondo il prospetto sull'aumento di capitale di Intesa - del 7,9% e 145 filiali. Piazza Cordusio ha, invece, 134 filiali ed ha una quota di mercato - scorrendo il prospetto sulla ricapitalizzazione dell'istituto - del 5,4%.

Fiorino ai minimi, rendimenti bond alle stelle
Come conseguenza di questa crisi politica-finanziaria, il fiorino continua a segnare record negativi. Oggi un euro vale più di 322 fiorini. La valuta ungherese non era mai stata così debole e la sua tendenza al ribasso conferma un trend che già ieri l'aveva vista superare il muro di quota 320. La debolezza del fiorino si conferma anche rispetto al franco svizzero, scambiato a 264,5 fiorini, e al dollaro Usa, scambiato a 249,5 fiorini.

Il franco è un punto di riferimento importante per l'Ungheria, dal momento che un'importante quota dei mutui in valuta estera contratti dai privati è denominato in tale valuta. Budapest vede poi nero anche sul fronte dei titoli di stato, il cui rendimento stamani è segnalato in ulteriore salita. Oggi i bond a 10 anni hanno un rendimento del 10,9 per cento. Solo ieri il rendimento di riferimento è stato fissato al 10,58 per cento. Si tratta del rendimento più alto degli ultimi 10 anni.

Flop dell'asta
Sempre sul fronte dei titoli di Stato, l'Ungheria ha collocato 35 miliardi di fiorini ungheresi in titoli di Stato a 12 mesi, un ammontare inferiore a quanto pianificato (45 miliardi) con rendimenti in rialzo al 9,96% rispetto all'asta del 20 dicembre di Bill a 3 mesi (7,03%) e a quella del 22 dicembre di Bill a 12 mesi (7,91%). «È chiaro che l'Ungheria non può andare avanti con i suoi mezzi. È una conseguenza dello stato di fatto» del Paese, spiega Chiara Manenti di Intesa Sanpaolo.

Lo scontro con l'Ue
L'indipendenza della banca centrale «è un prerequisito indispensabile» perché possano essere avviati i negoziati per la concessione degli aiuti finanziari all'Ungheria. Lo ha detto il portavoce della Commissione europea, Olivier Bailly, ribadendo per il terzo giorno consecutivo che Budapest non ha chiarito i dubbi sulla legge costituzionale che pone la banca centrale sotto controllo politico. L'indipendenza dell'istituzione, ha aggiunto Bailly, «preoccupa la Ue, lo Fmi, la Bce e i mercati». «Sta alle autorità ungheresi - ha aggiunto il portavoce - chiarire come vogliono fare per ristabilire certezze che diano stabilita».

«Una decisione sull'avvio dei negoziati formali - ha affermato Olivier Bailly - ci sarà solo quando avremo certezza dell'ambiente legale. Nel frattempo stiamo analizzando la nuova legge e avremo le risposte molto presto».
Bailly ha quindi ricordato come l'art.130 del Trattato di Lisbona stabilisce che le banche centrali europee «devono essere pienamente indipendenti» e che «non possono ricevere istruzioni da alcun politico al si sopra di loro». Inoltre ha sottolineato che «tutte le banche centrali europee sono connesse», ma se «una non è allineata crea problemi a tutta l'Europa».

Secondo altre fonti della Commissione «la Bce avrebbe sicuramente problemi a lavorare con una banca non indipendente». Scetticismo è stato poi mostrato nei confronti dell'ipotesi, ventilata da Budapest, di potersi rivolgere alla Cina o altri partner per ottenere i finanziamenti necessari per salvare il Fiorino in caduta libera e allontanare il rischio di default del Paese. «Non crediamo ad una parola di quello che dicono», ha detto una fonte europea a conoscenza del dossier.

Le possibili mosse del governo per uscire dalla crisi
«Siamo consapevoli della difficoltà della situazione, vogliamo un accordo con il Fondo monetario e se serve potremmo cambiare anche la legge sulla banca centrale», ha detto durante una conferenza stampa Tamas Fellegi, capo negoziatore con il Fondo sul pacchetto di aiuti. «Posso negoziare un accordo provvisorio, ma deve essere alle condizioni più favorevoli possibili» ha aggiunto Fellegi, secondo quanto riporta il Wall Street Journal, dopo un colloquio con il premier ungherese Viktor Orban, e a pochi giorni dalla missione dell'11 gennaio a Washington nella sede del Fondo monetario internazionale.
 
Unicredit avverte su rottura euro. Panico: titolo -17%

di: WSI-Reuters Italia-MF Dow Jones Pubblicato il 05 gennaio 2012| Ora 17:09

Roma - Secondo giorno consecutivo di fuga degli investitori dal titolo di Unicredit. La stessa Wall Street guarda alla performance delle quotazioni della banca di Piazza Cordusio e gli operatori spiegano il crollo dell'euro - arrivato a calare per un istante anche sotto la soglia psicologica a quota $1,28 - con il sell off che sta investendo i titoli finanziari quotati a Piazza Affari.

Unicredit stessa, poi, semina il panico. Nel prospetto informativo pubblicato ieri e riportato oggi da Bloomberg, Piazza Cordusio ha inviato un chiaro messaggio ai potenziali investitori che stanno considerando di acquistare i titoli nell'operazione di aumento di capitale da 7,5 miliardi di euro. Il messaggio è che i suddetti investitori dovrebbero considerare la possibilità che l'euro possa essere abbandonato.

"I timori che la crisi dei debiti sovrani dell'Eurozona possa peggiorare potrebbero tradursi nella reitroduzione delle valute nazionali in uno o più di un paese appartenente all'Eurozona o, in circostanze particolarmente fosche, nell'abbandono dell'euro", è scritto nel prospetto. E, prosegue il documento, una rottura dell'euro potrebbe avere "un impatto negativo significativo" su Unicredit.

Le quotazioni, dopo il -14% di ieri, continuano intanto ad affondare sul Ftse Mib. I ribassi sono stati tali da provocare ben 4 sospensioni per eccesso di ribasso, come mostra il grafico allegato. Alle 17.09, Unicredit cede più del 17% a quota 4,48 euro.

Unicredit: il titolo finora è stato sospeso quattro volte per eccesso di ribasso.

I mercati continuano a punire Unicredit dopo i dettagli sull'aumento di capitale. Ieri, alla chiusura di Piazza Affari, stando a quanto riporta MF-Dow Jones, la flessione rispetto al riferimento di martedi' e' stata del 14,45% a 5,41 euro, un livello che, secondo le elaborazioni di Bloomberg, e' pari a quello dell'ottobre del 1992, quando la banca si chiamava Credito Italiano e l'azionista di maggioranza era ancora l'Iri (la privatizzazione ci sara' nel 1993).

Intanto permane la fiducia dell'amministratore delegato di UniCredit, Federico Ghizzoni, che crede che l'operazione di aumento di capitale da 7,5 miliardi si concluderà con successo.

In una intervista al Sole 24 Ore all'indomani dell'annuncio sul dettagli dell'operazione, l'AD ritiene che "l'aumento sarà sostanzialmente tutto sottoscritto dal mercato" e non si dice sorpreso dalla caduta del titolo in borsa, trattandosi di una "reazione tecnica che ci si poteva aspettare".

Considerato che i soci stabili garantiranno la sottoscrizione del 24% dell'aumento e che il prezzo vantaggioso spingerà anche la parte retail, il manager crede che "una buona parte dell'aumento possa considerarsi gia 'prenotato'".Sui titoli di Stato Ghizzoni dice che la banca continuerà a fare ciò che ha fatto nell'anno appena trascorso in occasione delle aste.

"Se necessario compreremo in asta, contribuiremo poi a collocare sul mercato. L'orientamento è di mantenre i volumi in portafoglio sui livelli attuali", dice.

Unicredit ha fissato in 1,943 euro per azione, con uno sconto di circa il 43% rispetto al Terp, il prezzo dell'aumento di capitale da 7,5 miliardi di euro.

Loha riferito ieri una nota della banca dopo il consiglio, aggiungendo che il Terp (Theoretical ex-rights market price) è calcolato sulla base del prezzo ufficiale del 3 gennaio e riflette le attuali condizioni di mercato.

L'aumento si terrà dal 9 al 27 gennaio in Italia, Germania e Austria (partirà il 12 in Polonia) e agli attuali soci saranno offerte 2 nuove azioni ordinarie ogni risparmio o ordinaria posseduta.

Gli azionisti della banca, secondo quanto risulta a Unicredit, hanno indicato impegni a sottoscrivere fino al 24% dell'aumento.
 
Ungheria, in arrivo richiamo formale su banca centrale
Aggiornato 16.1.12 09:39 (Financial Times)
Questa settimana l´Unione Europea richiamerà formalmente l´Ungheria per la violazione delle norme comunitarie che compromettono l´indipendenza della banca centrale magiara dal potere politico. Il provvedimento segnerà un pesante colpo per le trattative del Paese con il Fondo Monetario Internazionale e con la stessa Ue per l´ottenimento di aiuti economici che evitibo la bancarotta del Paese. Il nuovo assetto della banca ungherese faceva parte del pacchetto di misure costituzionali votate dal Parlamento dietro la spinta del premier Viktor Orban.
 
Crisi: depositi in Bce toccano nuovo record
Aggiornato 18.1.12 09:53
Nuovo record per i fondi depositati dalle banche dell´Eurozona presso la Banca centrale europea. Ieri i depositi degli istituti di credito hanno raggiunto quota 528,2 miliardi di euro miliardi di euro dai 501,933 miliardi di lunedì. Lo ha reso noto l´Eurotower. I prestiti marginali si sono attestati a 2,309 mld.
 
In arrivo il report che sancira' la fine dell'area euro

di: WSI Pubblicato il 30 gennaio 2012| Ora 11:45

I leader del partito antieuropeista olandese di destra, il PVV, in grado di ricattare il partito moderato al potere.

New York - L'esito e' stato paradossale. L'introduzione dell'euro aveva l'obiettivo di unire il Vecchio Continente e invece non ha fatto che dividerlo ancora di piu'.

E' sempre piu' alta la possibilita' che la Germania e l'Olanda usciranno dall'area euro, stanche di ingoiare un numero indefinito di "trasferimenti" verso le nazioni in difficolta' della regione. A dirlo e' Charles Dumas, chief economist di Lombard Street Research.

Dumas sottolinea che i paesi del 'Club Med' hanno bisogno di circa il 5% di Pil per rifinanziare il debito per un tempo "piu' o meno indefinito".

La situazione e' particolarmente tesa in Olanda. Il partito di destra PVV (Partito per la Liberta'), pur non avendo seggi ministeriali, riesce a far valere la sua influenza sulla fazione al governo, che ha disperato bisogno del sostegno degli antieuropeisti per restare in sella.

Contro i piani di salvataggi di Grecia e Portogallo a spese dei contribuenti olandesi, Rispetto alla Germania, inoltre, Amsterdam non ha giovato cosi' tanto del passaggio all'euro.

Qualche mese fa il PVV ha commissionato alla societa' di ricerca Lombard Street Research uno studio che calcolasse le conseguenze economiche positive e negative tra restare a far parte dell'area euro e invece lasciare il blocco a 17. Il report uscira' a giorni. E conterra' materiale esplosivo.

Il PPV fara' di tutto per assicurarsi che esso riceva attenzione mediatica. A quel punto il governo, che difende a denti stretti le politiche di Bruxelles e Francoforte, entrera' in crisi. Senza l'appoggio del PPV non potra' resistere al potere.

Non finisce qui. Anche la Germania non potra' ignorare il report e rimanere indietro. E non lo fara' nemmeno la Francia. Si potrebbe cosi' materializzare la nascita di un'Europa a due velocita', diviso tra Europa teutonica con valuta forte ed Europa del sud con moneta debole, uno scenario che molto economisti prevedono.

Con il piano di salvataggio del Portogallo ormai alle porte e con la Grecia gia' pressoche' fallita e di cui la Germania chiede il commissariamento, le notizie negativa da Italia e Spagna potrebbero aumentare di intensita' e numero. E con esse i tagli fiscali e l'incremento delle tasse, che strozzerebbero ulteriormente una crescita gia' sterile.

Capiranno che i loro governi hanno dipinto un quadro troppo roseo sulle questione che l'Eurozona di trova a dover risolvere. Non si tratta solo del report, chiaramente. E' la combinazione di una serie di fattori negativi.

Il rapporto servira' "meramente" da catalizzatore, la goccia che fara' traboccare il vaso di Pandora. Piu' i piani di aiuti verso i paesi indebitati aumenteranno e piu' le voci anti euro si moltiplicheranno. E con esse i piani di austerita' e l'intensita' della recessione. Formando un'onda gigantesca che sara' difficile arginare.
 
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