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Ne soffrono 300 milioni di persone (erano 200 nel 1995)
Anche in Italia crescono le cliniche per dimagrire
Allarme, tutto il mondo ingrassa
obesi anche nei paesi più poveri
di CARLA POWER
La Terra ha seri problemi di peso. Nell'ultimo decennio l'obesità è aumentata del 50 per cento, portando i 200 milioni di obesi del 1995 ai 300 milioni del 2003. Ora, inoltre, cominciano ad essere afflitti da questo problema anche paesi da sempre colpiti dalla mancanza di cibo, più che dal sovrappeso. Persino in Africa sono sorte cliniche nelle quali si praticano varie cure che mirano alla perdita di peso.
In una recente indagine condotta in India - paese che ospita circa la metà della popolazione sotto nutrita del mondo - il 55 per cento delle donne comprese tra i 20 e i 69 anni è sovrappeso. Lo stesso accade al venti per cento della popolazione adulta cinese. Nell'arco di una sola generazione il tasso di obesità dei bambini brasiliani è schizzato del 239 per cento, quattro volte l'analogo tasso di crescita negli Stati Uniti. A marzo la Task force internazionale per la lotta all'obesità (Iotf) ha rivelato che su una popolazione complessiva di sei miliardi, 1,7 miliardi di persone è sovrappeso, con un indice di massa corporea di 25 (sovrappeso), oppure obeso (con un tasso BMI pari a 30 o superiore).
Come è potuto accadere che siamo diventati tutti così grassi? Il problema sorge dalla convergenza di numerose tendenze tipiche della nostra epoca: un accentuato processo di urbanizzazione delle masse; il proliferare di apparecchiature di "comodo", quali macchine, computer, fast food e televisione; la cultura lavorativa del XXI secolo, con lunghe ore trascorse alla scrivania. Nei paesi ricchi è tranquillamente ignorato il mantra ormai familiare e comune che predica di abbinare un regime alimentare a basso contenuto di grassi e l'esercizio fisico. Nel mondo in via di sviluppo, laddove l'educazione sanitaria spesso è del tutto sconosciuta e inesistente, la gente è particolarmente attratta dagli hamburger americani e dall'ozio in pantofole davanti alla tv. Chi emigra in città dalla campagna tutt'a un tratto si trova a disposizione i distributori automatici di merendine, i supermercati e il McDonald's. Nei paesi di recente industrializzazione, i cibi pronti e le catene alimentari fast food sono "commercializzati quasi fossero indici di ricchezza, segni di benessere e di appartenenza al jet set internazionale", spiega Philip James, presidente dello Iotf.
Il problema del peso corporeo è così diffuso che l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato l'obesità un'epidemia globale e sta approntando un decalogo riguardante l'alimentazione che ambisce ad evitare le patologie indotte da una cattiva alimentazione. La polemica è quanto mai accesa per il fatto che l'epidemia di grasso si sta diffondendo dai paesi ricchi del pianeta in quelli poveri. I nutrizionisti sostengono che all'origine di questa epidemia vi siano la biologia, la cultura e l'ambiente.
È indubbio che la vita in città rende l'esercizio fisico quanto mai difficile: le macchine prendono il sopravvento sulle biciclette e sui pedoni, e lo sviluppo edilizio ingoia gli spazi verdi. Come se non bastasse, le città sono il paradiso dei fast food: spostandosi in massa nelle zone urbanizzate i popoli del Mediterraneo hanno abbandonato il loro regime alimentare tradizionale e rinomatamente sano, a base di olio di oliva, pesce e frutta, cosa che ha spinto il governo italiano e quello greco a varare delle campagne contro l'alimentazione errata, quella a base di "junk-food," letteralmente cibo spazzatura.
In alcune aree del mondo questo "progresso" è stato talmente rapido che la popolazione è passata in un balzo dalla fame al sovrappeso nell'arco di una sola generazione. In pratica in tutto il mondo lo stile di vita e le modalità lavorative stanno diventando sempre più americani, e le abitudini alimentari non sono da meno. Le porzioni di cibo si stanno ingigantendo. Secondo uno studio pubblicato di recente sulla rivista dell'Associazione Dietetica Americana, la porzione media di patatine fritte è triplicata dal 1955 ad oggi, passando da 75 a 220 grammi.
In molti paesi è tra i bambini e gli adolescenti che cresce smisuratamente il tasso di obesità, di pari passo con le patologie ad essa correlate, quali il diabete di secondo tipo. In tema di obesità infantile i nutrizionisti accusano anche le strategie di marketing del settore alimentare e il proliferare dei supermarket. Quest'ultimo elemento, in particolare, ha drasticamente modificato le abitudini alimentari dei giovani e giovanissimi: negli anni '90 in America Latina soltanto il 16 per cento del cibo consumato era acquistato in un supermarket. Oggi, dieci anni dopo, la percentuale è salita al 60 per cento.
Alcuni paesi stanno prendendo in considerazione l'idea di varare nuove leggi restrittive che abbiano impatto sui produttori alimentari. Le 1035 scuole pubbliche di Rio de Janeiro hanno già messo al bando il junk food, lanciando un programma alimentare che si impernia sulla sana vecchia tradizione di fagioli e verdure. Sia le associazioni mediche inglesi che quelle americane stanno invece esercitando pressioni affinché sia approvata una tassa aggiuntiva sugli alimenti ad alto contenuto di grassi. Il responsabile sanitario per l'Unione Europea, David Byme, di recente ha proposto un disegno di legge che dovrebbe rendere più difficile per le società del settore sbandierare i pregi alimentari dei loro prodotti.
L'inversione di tendenza e questo nuovo clima paiono aver intimorito i produttori alimentari: alcuni stanno dunque aggiungendo alle loro linee di prodotti alimentari prodotti "sani" come l'acqua, i succhi di frutta, le verdure fresche. Il mese scorso la Kraft ha annunciato "un'iniziativa su scala globale per contrastare l'obesità", e si è impegnata a ridurre il contenuto di zuccheri e grassi, nonché le porzioni, dei propri prodotti. McDonald's ha inserito nei suoi menù le insalate e le macedonie. Non è certo un male che le società alimentari sono sempre più spesso chiamate in causa a rendere conto dei danni causati dai loro prodotti. Ad aprile, un rapporto della JPMorgan, ha messo in guardia le società del settore alimentare contro il rischio di un aumento del contenzioso, cercando al contempo di incoraggiarli a fare meglio.
Nel rapporto si legge infatti che "le preoccupazioni per il diffondersi dell'obesità possono costituire delle opportunità di crescita" e le parti interessate possono riposizionarsi nel settore dei cibi sani. Di questo passo, forse, alla finestra del drive through un giorno potremo ordinare una porzione di spinaci e pane integrale.
(Copyright Newsweek - La Repubblica. Traduzione di Anna Bissanti)
Anche in Italia crescono le cliniche per dimagrire
Allarme, tutto il mondo ingrassa
obesi anche nei paesi più poveri
di CARLA POWER
La Terra ha seri problemi di peso. Nell'ultimo decennio l'obesità è aumentata del 50 per cento, portando i 200 milioni di obesi del 1995 ai 300 milioni del 2003. Ora, inoltre, cominciano ad essere afflitti da questo problema anche paesi da sempre colpiti dalla mancanza di cibo, più che dal sovrappeso. Persino in Africa sono sorte cliniche nelle quali si praticano varie cure che mirano alla perdita di peso.
In una recente indagine condotta in India - paese che ospita circa la metà della popolazione sotto nutrita del mondo - il 55 per cento delle donne comprese tra i 20 e i 69 anni è sovrappeso. Lo stesso accade al venti per cento della popolazione adulta cinese. Nell'arco di una sola generazione il tasso di obesità dei bambini brasiliani è schizzato del 239 per cento, quattro volte l'analogo tasso di crescita negli Stati Uniti. A marzo la Task force internazionale per la lotta all'obesità (Iotf) ha rivelato che su una popolazione complessiva di sei miliardi, 1,7 miliardi di persone è sovrappeso, con un indice di massa corporea di 25 (sovrappeso), oppure obeso (con un tasso BMI pari a 30 o superiore).
Come è potuto accadere che siamo diventati tutti così grassi? Il problema sorge dalla convergenza di numerose tendenze tipiche della nostra epoca: un accentuato processo di urbanizzazione delle masse; il proliferare di apparecchiature di "comodo", quali macchine, computer, fast food e televisione; la cultura lavorativa del XXI secolo, con lunghe ore trascorse alla scrivania. Nei paesi ricchi è tranquillamente ignorato il mantra ormai familiare e comune che predica di abbinare un regime alimentare a basso contenuto di grassi e l'esercizio fisico. Nel mondo in via di sviluppo, laddove l'educazione sanitaria spesso è del tutto sconosciuta e inesistente, la gente è particolarmente attratta dagli hamburger americani e dall'ozio in pantofole davanti alla tv. Chi emigra in città dalla campagna tutt'a un tratto si trova a disposizione i distributori automatici di merendine, i supermercati e il McDonald's. Nei paesi di recente industrializzazione, i cibi pronti e le catene alimentari fast food sono "commercializzati quasi fossero indici di ricchezza, segni di benessere e di appartenenza al jet set internazionale", spiega Philip James, presidente dello Iotf.
Il problema del peso corporeo è così diffuso che l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato l'obesità un'epidemia globale e sta approntando un decalogo riguardante l'alimentazione che ambisce ad evitare le patologie indotte da una cattiva alimentazione. La polemica è quanto mai accesa per il fatto che l'epidemia di grasso si sta diffondendo dai paesi ricchi del pianeta in quelli poveri. I nutrizionisti sostengono che all'origine di questa epidemia vi siano la biologia, la cultura e l'ambiente.
È indubbio che la vita in città rende l'esercizio fisico quanto mai difficile: le macchine prendono il sopravvento sulle biciclette e sui pedoni, e lo sviluppo edilizio ingoia gli spazi verdi. Come se non bastasse, le città sono il paradiso dei fast food: spostandosi in massa nelle zone urbanizzate i popoli del Mediterraneo hanno abbandonato il loro regime alimentare tradizionale e rinomatamente sano, a base di olio di oliva, pesce e frutta, cosa che ha spinto il governo italiano e quello greco a varare delle campagne contro l'alimentazione errata, quella a base di "junk-food," letteralmente cibo spazzatura.
In alcune aree del mondo questo "progresso" è stato talmente rapido che la popolazione è passata in un balzo dalla fame al sovrappeso nell'arco di una sola generazione. In pratica in tutto il mondo lo stile di vita e le modalità lavorative stanno diventando sempre più americani, e le abitudini alimentari non sono da meno. Le porzioni di cibo si stanno ingigantendo. Secondo uno studio pubblicato di recente sulla rivista dell'Associazione Dietetica Americana, la porzione media di patatine fritte è triplicata dal 1955 ad oggi, passando da 75 a 220 grammi.
In molti paesi è tra i bambini e gli adolescenti che cresce smisuratamente il tasso di obesità, di pari passo con le patologie ad essa correlate, quali il diabete di secondo tipo. In tema di obesità infantile i nutrizionisti accusano anche le strategie di marketing del settore alimentare e il proliferare dei supermarket. Quest'ultimo elemento, in particolare, ha drasticamente modificato le abitudini alimentari dei giovani e giovanissimi: negli anni '90 in America Latina soltanto il 16 per cento del cibo consumato era acquistato in un supermarket. Oggi, dieci anni dopo, la percentuale è salita al 60 per cento.
Alcuni paesi stanno prendendo in considerazione l'idea di varare nuove leggi restrittive che abbiano impatto sui produttori alimentari. Le 1035 scuole pubbliche di Rio de Janeiro hanno già messo al bando il junk food, lanciando un programma alimentare che si impernia sulla sana vecchia tradizione di fagioli e verdure. Sia le associazioni mediche inglesi che quelle americane stanno invece esercitando pressioni affinché sia approvata una tassa aggiuntiva sugli alimenti ad alto contenuto di grassi. Il responsabile sanitario per l'Unione Europea, David Byme, di recente ha proposto un disegno di legge che dovrebbe rendere più difficile per le società del settore sbandierare i pregi alimentari dei loro prodotti.
L'inversione di tendenza e questo nuovo clima paiono aver intimorito i produttori alimentari: alcuni stanno dunque aggiungendo alle loro linee di prodotti alimentari prodotti "sani" come l'acqua, i succhi di frutta, le verdure fresche. Il mese scorso la Kraft ha annunciato "un'iniziativa su scala globale per contrastare l'obesità", e si è impegnata a ridurre il contenuto di zuccheri e grassi, nonché le porzioni, dei propri prodotti. McDonald's ha inserito nei suoi menù le insalate e le macedonie. Non è certo un male che le società alimentari sono sempre più spesso chiamate in causa a rendere conto dei danni causati dai loro prodotti. Ad aprile, un rapporto della JPMorgan, ha messo in guardia le società del settore alimentare contro il rischio di un aumento del contenzioso, cercando al contempo di incoraggiarli a fare meglio.
Nel rapporto si legge infatti che "le preoccupazioni per il diffondersi dell'obesità possono costituire delle opportunità di crescita" e le parti interessate possono riposizionarsi nel settore dei cibi sani. Di questo passo, forse, alla finestra del drive through un giorno potremo ordinare una porzione di spinaci e pane integrale.
(Copyright Newsweek - La Repubblica. Traduzione di Anna Bissanti)