Silvio vs Silvio

pasquino

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È vero, Silvio Berlusconi ha sempre trasformato le sue performance pubbliche in uno show, giocando a stupire, a contraddirsi, alimentando le suspense prima di un evento, per poi produrre piroette tattiche. È sempre stato puro istinto. Stavolta però è diverso. L’intervento dell’ex premier alla presentazione del libro di Vespa consegna un Cavaliere irrazionale più che istintivo, confuso più creativo, che ha evitato di parlare nei giorni scorsi perché evidentemente non sapeva che dire più che per calcolo.

È davvero difficile ricondurre a una logica il diluvio di parole e di contraddizioni pronunciate alla presentazione del libro di Bruno Vespa. Titolo: Dal Palazzo alla piazza. Quasi una metafora del tramonto del Cavaliere. Già, un diluvio dietro il quale è complicato scorgere un calcolo: l’ex premier dice di essere in campo ma anche di non esserlo, di voler candidare Monti che però non vuole, aggiunge che però deve essere candidato con la Lega, fa capire di essere il candidato del momento, ma poi dice che in pole position c’è Angelino Alfano. Affermare tutto questo è esercizio in cui l’equilibrismo cade, e scade nella semplice farsa.

La frase da prendere per buona è forse quella più scontata, quasi una non notizia, quella che si era capita da giorni, e sul cui contrario non c’era da scommettere un cent: “In questo momento sono candidato a palazzo Chigi”. Ma poiché il Cavaliere non sa con chi allearsi, come tornarci, e sa pure che la sconfitta è sicura, ecco la finta di un’offerta a Monti: “Io non credo che Monti accetti di poter diventare uomo di parte e di partito, ma ove Monti decidesse di aderire a questa richiesta, tutto lo schieramento moderato arriverebbe a questa possibilità”.

Un’offerta resa irricevibile dalla richiesta di una coalizione che tenga dentro Lega e Udc: “Un rassemblement di tutti i moderati altrimenti avremmo un frazionamento che non tiene insieme la governabilità”. E l’offerta è resa irricevibile anche dallo spartito anti-Europeo suonato anche oggi, nonché dal minimo accenno di autocritica sul fatto che pochi giorni fa il suo partito Monti lo ha, in sostanza, sfiduciato. Insomma, Berlusconi è in campo, ma temporeggia, e pare che prima del grande annuncio voglia dimostrate che la sua scelta è frutto di un sacrificio e della mancanza di alternative: “Il passo indietro o avanti – dice - dipende da come si sviluppano le cose”. Già, dipende. Ma alla precisazione di Vespa su un Berlusconi pronto a ritirarsi, l'ex premier, quasi stizzito, interrompe il giornalista: “No, non è così...”. Per poi rivendicare il diritto alla complessità della sua posizione: “La politica non è così semplice senno la fareste anche voi....”, ha detto rivolgendosi ai giornalisti Massimo Franco e Marcello Sorgi.

La politica non è semplice. Come non è semplice capire la disponibilità data da Berlusconi ad appoggiare un altro candidato premier rimanendo leader della coalizione. Se fosse così, verrebbe da chiedersi, perché ha fatto saltare il banco sulla legge elettorale? Mistero. Quel che è semplice, forse, è mettere in fila le cose che vengono dette. E se sul passo indietro la confusione annuncia il ritorno dell’uguale per mancanza di alternative, è sulle alleanze, sull’identità del partito di cui è il fondatore che Berlusconi mostra tutta la fragilità e l’improvvisazione delle strategie messe in campo. Con la Lega, oggi, la lontananza è aumentata se alla risposta alle richieste di Maroni la risposta è nel ricatto “se non chiudi l’alleanza in Lombardia, tiriamo giù il Veneto e il Piemonte”. Parole cui, ragionevolmente, è difficile possano seguire i fatti, considerando che per le regionali si voterà tra due anni, e che non si capisce perché un consigliere regionale si sacrifichi ad andare a casa per l’ultima campagna elettorale di Berlusconi. E infatti in serata Maroni risponde con un tweet esplicativo:
Roberto Maroni
@maroni_leganord

La minaccia di far cadere le giunte di Veneto e Piemonte? Una barzelletta. Possibile sostegno della Lega a Monti? Idem. Ma chi è questo B?
12 Dic 12
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Se la rottura con la Lega fosse compensata da un riequilibrio sul fronte dei moderati si capirebbe la logica. Ma il riequilibrio non c’è. Né Berlusconi con le parole di oggi è riuscito a chiudere il caso Ppe, anche se queste erano le sue intenzioni, almeno così dicono i suoi con le sue timide aperture a Monti. Nella sostanza il Cavaliere ha sfidato la Merkel, ha attaccato la Germania come uno “Stato egemone”. E come se non bastasse ha annunciato che lo spiegherà senza mezzi termini nel pranzo di Bruxelles con tutti i capi di Stato e di governo del Ppe.

Ecco dunque che alla fine di un evento caricato di significati impropri, di una eccessiva attesa da parte del suo mondo e pure degli orfani del Caimano, dipendenti dal Cav in modo quasi ossessivo, resta una sensazione, per dirla coi classici, di un “vecchio che non muore” e di “un nuovo che ancora non nasce”. Col sottofondo di antichi slogan – l’attacco alla magistratura che fa “schifo”, al servizio pubblico che è quasi come la magistratura, alla grande stampa piegata alle menzogne internazionali – che assomigliano a quei classici di repertorio che gli artisti cantano anche quando se ne va la voce. L’unica novità è che Berlusconi ha scaricato Dell’Utri, almeno per ora, affermando che non lo ricandiderà, anche se ha ragione lui e non la procura di Palermo. È possibile, dicono i suoi, che anche su questo cambierà idea, e che ha dovuto dirlo per evitare la rottura definitiva con Alfano. È possibile. È tutto possibile. E infatti a fine serata arriva la precisazione del senatore siciliano: "Ho parlato con Silvio, non ci sono problemi, sarò candidato".

:clap::D:clap:
 
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